La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845)

Friedrich Engels


Tradotto direttamente dall'originale tedesco da Vittorio Piva (†1907) e trascritto da Leonardo Maria Battisti, giugno 2018


VI. Risultati.

Se noi abbiamo trattate con una certa ampiezza le condizioni nelle quali vive la classe lavoratrice inglese nelle città, saremo ora nel caso di trarre da questi fatti ulteriori conclusioni e di confrontarli di nuovo. Vediamo che cosa è avvenuto dei lavoratori in tali circostanze, che specie di gente noi abbiamo in essi, come si è costituita la loro condizione fisica, intellettuale e morale.

Se un individuo reca a un altro un danno fisico e tale che trae alla morte il colpito, noi chiamiamo ciò un omicidio; se l'autore sapesse in anticipazione che il danno sarebbe mortale, noi chiameremmo la sua azione un assassinio premeditato. Ma se la società1 pone in un tale stato centinaia di proletari, che essi necessariamente cadano vittime di una morte prematura ed innaturale, di una morte così violenta come la morte che avviene per mezzo di una spada od una palla; se essa sottrae a migliaia d'individui le condizioni necessarie alla vita, se li pone in uno stato in cui non possono vivere; se li costringe con il forte braccio della legge a rimanere in tale stato fino alla morte, morte che deve essere la conseguenza di questo stato; se essa società sa, e lo sa troppo bene, che queste migliaia d'individui, devono cadere vittime di tali condizioni e nondimeno lascia persistere la cosa, questo è appunto un assassinio premeditato come l'azione dell'individuo, soltanto un assassinio più celato, più perfido, un assassinio contro il quale nessuno si può difendere, che non sembra tale, poiché non se ne vede l'autore, perché è l'opera di tutti e di nessuno, perchè la morte della vittima sembra naturale e perchè è meno un peccato di azione o piuttosto un peccato di omissione. Ma esso rimane un assassinio premeditato. Io proverò ora che la società in Inghilterra compie ogni giorno, ogni minuto questo, che dai giornali operai inglesi con pieno diritto è chiamato un assassinio sociale; che essa ha messo i lavoratori in uno stato in cui non possono godere buona salute e vivere a lungo; che essa distrugge pezzo per pezzo, a poco alla volta la vita di questi lavoratori e li conduce alla tomba innanzi tempo; io dovrò ulteriormente provare, che la società sa quanto è nocivo un tale stato alla salute ed alla vita dei lavoratori e che essa nondimeno nulla fa affine di migliorare questa condizione. Che la società sappia in conseguenza delle sue istituzioni, che il suo modo di procedere non è semplicemente un omicidio, ma assassinio premeditato, io lo ho già provato, se io posso allegare documenti ufficiali, rapporti del parlamento e del governo per testificare il fatto dell'omicidio.

Si capisce da sè che una classe, la quale vive nelle condizioni sopra descritte e che è così miseramente trascurata con tutti i più necessari bisogni della vita, non possa essere sana e arrivare alla vecchiaia. Rivediamo frattanto le singole circostanze ed in ispeciale rapporto alle condizioni di salute dei lavoratori. Già la centralizzazione della popolazione nelle grandi città esercita un'influenza sfavorevole; l'atmosfera di Londra non può mai essere così pura, così ossigenata come quella di un paese di campagna; due milioni e mezzo di polmoni e due milioni e seicento mila fuochi raccolti su tre a quattro miglia geografiche abbisognano di una immensa quantità di ossigeno, che si supplisce soltanto con difficoltà, poiché la costruzione della città rende difficile in sè e per sè la ventilazione. Il gas carbonico prodotto mediante la respirazione e la combustione rimane per la sua gravità specifica nelle strade e le correnti del vento passano via sui tetti delle case. I polmoni degli abitanti non ricevono la completa quantità di ossigeno e ne è conseguenza il rilassamento fisico ed intellettuale e l'abbassamento del vigore della vita. Per questa ragione gli abitanti delle grandi città sono meno esposti alle malattie acute e specie d'infiammazione della gente di campagna — che vive in una atmosfera libera e normale — ma in luogo di ciò soffrono tanto più di mali cronici. E se la vita già nelle grandi città non è in sè e per sè vantaggiosa alla salute, come deve essere grande l'influenza dannosa di un'atmosfera anormale nei quartieri operai, dove, come noi vedemmo, è agglomerato tutto quello che può peggiorare l'atmosfera.

In campagna può essere innocuo abbastanza avere accanto ad una casa un letamaio, perché qui l'aria entra libera da tutte le parti; ma in mezzo ad una grande città, tra strade e cortili murati, intercettanti ogni corso d'aria, è completamente un'altra cosa. Tutte le materie animali e vegetali putrefatte sviluppano gas che sono assolutamente nocivi alla salute, e se questi gas non hanno alcun libero sfogo, devono per conseguenza appestare l'atmosfera. L'immondizie e le pozzanghere che vi sono nei quartieri operai delle grandi città, producono quindi le peggiori conseguenze per la pubblica salute, perchè esse appunto sprigionano i gas che apportano le malattie; e così si dica delle evaporazioni dei fluidi infetti. Ma questo non è ancor tutto. È invero ributtante come viene trattata dall'odierna società la massa dei poveri. La si trascina nelle grandi città ove respira un'atmosfera più cattiva che nella sua patria campagna; la si esilia nei quartieri che per la loro costruzione sono ventilati peggio degli altri; le si tolgono tutti i mezzi per la pulizia, le si sottrae l'acqua, mentre solo contro pagamento si pongono le tubature, ed i fiumi sono così infetti che non valgono più per gli scopi della pulizia; la si costringe a gettare sulla via tutti i resti e le spazzature, l'acqua sudicia, come spesso le più nauseanti immondizie e letami, mentre si tolgono ad essa tutti i mezzi di fare altrimenti; la si costringe perciò ad appestare i suoi quartieri. Né questo è abbastanza. Tutti i mali possibili sono ammassati sul capo dei poveri. La popolazione di città è generalmente già troppa densa, così si deve in primo luogo pigiare in un solo locale. Né contenti con ciò di aver corrotta l'atmosfera nelle strade, si bloccano a dozzine gli individui in una sola stanza, così che l'aria, la quale essi respirano di notte, diviene completamente soffocante. Si dànno a questa grande massa di operai abitazioni umide, cantine, che dal basso, o soffitte, che dall'alto, non sono impermeabili. Le loro case sono fabbricate in modo che l'aria umida non può essere eliminata. Si dànno loro abiti pessimi, stracciati o che stanno per stracciarsi, e nutrimento cattivo, adulterato e difficilmente digeribile. Si espone questa folla di poveri ai più bruschi cambiamenti di umore e alla più violenta vicenda di angoscie e di speranze, la si affatica come il selvaggio e non la si lascia mai in pace ed al tranquillo godimento della vita. Le si sottraggono tutti i godimenti, eccetto quello del sesso e del bere, all'incontro la si spossa giornalmente fino al completo rilassamento di tutte le forze intellettuali e fisiche, e perciò si eccita di continuo fino al più folle eccesso nei due soli godimenti che le restano.

E se tutto questo non basta, dopo che essa tutto questo sopporta, cade vittima di una crisi di disoccupazione, nella quale le sarà tolto anche il poco che fino allora le sì è lasciato.

Come è possibile che in queste condizioni la classe povera possa vivere sana e a lungo? Che v'è da attendersi altro che una proporzione esorbitante di casi di morte, che un'esistenza continua di epidemie, che un sicuro indebolimento fisico progressivo della generazione lavoratrice? Esaminiamo come stanno i fatti.

Che le abitazioni dei lavoratori nelle parti peggiori delle città, insieme con l'antica condizione di vita di questa classe, provochino una grande quantità di malattie, ci viene provato da ogni parte. Il sopra citato articolo dell'Artizan afferma con tutta ragione che le malattie croniche devono essere la conseguenza necessaria di tali disposizioni, ed in particolare si trovano in realtà frequenti tra i lavoratori. Che l'atmosfera cattiva di Londra e specie dei quartieri operai favorisca nel grado più alto la formazione della tisi, lo mostra l'aspetto tisico di molta gente, che si incontra sulla via. Se di mattina presto, quando tutti vanno al lavoro, si gironza un po' per le strade, si stupisce della quantità di gente dall'aspetto in parte o completamente tisico.

Nella stessa Manchester gli uomini non appariscono in tale stato; questi spettri pallidi, asmatici, dagli occhi affossati, ai quali si passa innanzi ad ogni momento, questi volti assonnati, senza forza, incapaci di ogni energia, io li ho veduti in così sorprendente quantità soltanto in Londra — quantunque pure nelle città industriali del nord la tisi falci ogni anno una folla di vittime. Con la tisi, all'infuori delle altre malattie acute e della scarlattina, avanti tutto concorre la malattia che apporta danni più terribili tra i lavoratori: il tifo. Questo male generalmente diffuso, dai rapporti ufficiali sulle condizioni di salute della classe lavoratrice viene direttamente derivato dallo stato pessimo delle abitazioni in rapporto alla ventilazione, all'asciugamento e alla pulizia. Questo rapporto — che, non si dimentichi, è stato elaborato dai primi medici inglesi su dati di altri medici — afferma che un cortile mal ventilato, un vicolo senza sfogo, specie se gli abitanti dimorano pigiati e la materia organica si trasporta nelle vicinanze, sono nel caso di produrre la febbre e quasi sempre la producono in fatto. Questa febbre ha quasi ovunque il medesimo carattere e sviluppa in quasi tutti i casi il tifo. Essa si trova nei quartieri operai di tutte le grandi città, come nelle vie mal costruite e mal tenute dei più piccoli paesi, e la sua maggior diffusione avviene nei quartieri peggiori, quantunque parzialmente faccia vittime anche nei migliori. In Londra ha dominato più lungo tempo; nell'anno 1837 la sua straordinaria violenza dette luogo al menzionato rapporto ufficiale.

Secondo il rapporto annuale del dott. Southwood Smith sull'ospedale per le malattie infettive di Londra nell'anno 1843, il numero degli ammalati curati fu di 1462, circa 418 di più che in qualsiasi anno precedente. Nelle umide e sporche località dell'est, del nord e del sud di Londra, questa malattia era stata violenta, in modo straordinario. Molti dei pazienti erano operai immigrati dalla campagna, che sofferte per via o dopo il loro arrivo le più dure privazioni e dopo aver dormito sulla strada mezzo nudi ed affamati, non avevano trovato lavoro ed erano stati presi dalla febbre Questa gente veniva, condotta in ospedale così debole, che doveva venir usata un'insolita grande quantità di vino, cognac, di preparati d'ammonio e d'altri mezzi stimolanti. Del totale degli ammalati ne morì il 16 ½ per cento.

Anche in Manchester si trova questa febbre maligna; nei quartieri peggiori della città vecchia, Ancoats, la Piccola Irlanda, ecc., non è quasi mai estinta; non vi domina però con l'estensione che sarebbe da attendere, come generalmente avviene nelle città inglesi. In Iscozia ed in Irlanda all'incontro il tifo regna con una veemenza che sorpassa ogni idea; in Edimburgo ed in Glasgow apparve, nel 1817, con la carestia; con particolare furore noi 1826 e 1837 dopo la crisi commerciale, ed ogni volta, dopo circa tre anni di strage, lasciò qualche strascico per qualche tempo; in Edimburgo nell'epidemia del 1817 furono assalite dalla febbre 6000 persone; nell'epidemia, del 1837 ne furono assalite 10,000, e non soltanto il numero degli ammalati, ma pure il furore della malattia e la proporzione dei casi di morte, aumentarono con ogni ripresa dell'epidemia2.

Ma il furore del male appare essere stato in tutti i primi periodi un giuoco da fanciulli di fronte al furore dell'epidemia che seguì la crisi del 1842. Un sesto di tutti i poveri in tutta la Scozia fu assalito dalla febbre, ed il male, per i mendicanti che emigravano, con feroce rapidità passò da un paese all'altro; non rispettò le classi medie ed elevate della società: in due mesi vi furono più ammalati di febbre che nei dodici anni innanzi. In Glasgow ammalò nell'anno 1843, il 12 per cento della popolazione; di 32.000 persone colte dalla febbre, ne morì il 32 per cento, mentre la mortalità in Manchester e Liverpool normalmente raggiunge soltanto l'8 per cento. La malattia aveva la sua crisi nel diciassettesimo o diciottesimo giorno; in questo di solito il paziente diveniva giallo, il che proverebbe secondo l'autorità citata, che la causa del male è da ricercarsi anche l'eccitazione e nell'ansia3.

In Irlanda queste febbri epidemiche sono familiari. Durante ventun mesi del 1817-18 vi furono 39,000 ammalati di febbre, e nell'anno dopo, secondo Sheriff Alison (nel secondo volume dei Principles of Population), passarono per l'ospedale di Dublino circa 60,00 ammalati. In Cork l'ospedale per gli ammalati di febbre aveva nell'anno 1817-18 raccolto la diciassettesima parte della popolazione in Limerick v'era nella medesima epoca un quarto, e nel peggior quartiere di Waterford diciannove ventesimi della popolazione ammalati di febbre4

Se si ricordano le condizioni nelle quali vivono i lavoratori, se si pensa come sono accalcate le loro dimore, come ogni angolo è riempito d'uomini, che ammalati e sani dormono in una sola stanza, in un solo posto, ci si meraviglierà che una malattia infettiva come la febbre non si allarghi ancor più. E se si pensa quanto poco gli aiuti medicinali sono a disposizione degli ammalati, che molti dei consigli dei medici sono abbandonati e che rimangono sconosciuti i più comuni precetti dietetici, la mortalità ci appare ancor lieve. Il dott. Alison il quale conosce abbastanza la malattia in parola, la fa risalire appunto, nel citato rapporto, alla miseria ed allo stato di povertà degl'indigenti; egli afferma che, date le privazioni e l'insufficiente soddisfazione dei bisogni della vita, l'epidemia per infezione si fa accessibile ai corpi e rapidamente si allarga. Il dott. Alison prova che, ogni volta, un periodo di privazioni — una crisi commerciale od un raccolto scarso — in Iscozia come in Irlanda, ha prodotto il tifo, e che il furore della malattia è caduto quasi esclusivamente sulla classe operaia. È notevole, che, secondo quanto dice il dott. Alison, la maggioranza degli individui colpiti dal tifo sono padri di famiglia, appunto adunque quelli che sono più necessarii; ugualmente dicono parecchi medici irlandesi citati dall'Alison.

Un'altra serie di malattie ha l'origine immediata più nella nutrizione che nell'abitazione degli operai. Tale causa è in sé e per sé nel cibo difficilmente digeribile dei lavoratori che è assolutamente inadatto per i piccoli ragazzi; e nondimeno mancano al lavoratore e i mezzi e il tempo per provvedere ai suoi figli una nutrizione conveniente. Ne viene quindi il costume molto diffuso di dare ai ragazzi acquavite od anche oppio, e da ciò, assieme alle altre condizioni di esistenza nocive allo sviluppo fisico, derivano le più diverse malattie dell'organo della digestione, malattie che lasciano le loro traccie per tutta la vita. Quasi tutti i lavoratori hanno più o meno uno stomaco debole, e sono nondimeno costretti a rimanere di continuo alla dieta che fu la causa del loro male. Ed ancorché dovessero essi conoscerne la causa, come potrebbero provvedersi di un vitto conveniente sino a che non fossero posti in un altra condizione di vita, sino a che non fossero allevati in altro modo? Ma da questa cattiva digestione si sviluppano già dall'infanzia delle nuove malattie. La scrofola è quasi generalmente diffusa tra gli operai ed i genitori scrofolosi hanno figli scrofolosi, in ispecie se la causa originaria della malattia agisce sulla disposizione ereditariamente scrofolosa di questi ultimi. Un secondo risultato di tale insufficiente nutrizione del corpo durante lo sviluppo, è la rachitide (malattia inglese, escrescenze nodose alle articolazioni) che si trova molto spesso nei ragazzi degli operai. L'indurimento delle ossa è ritardato, sopratutto la costruzione delle ossa viene arrestata nella sua formazione, ed accanto alle abituali affezioni rachitiche, si trova spesso l'incurvamento delle gambe e della spina dorsale. Io non ho bisogno di aggiungere come tutti questi mali peggiorino per le alternative alle quali i lavoratori sono sottoposti per le fluttuazioni del commercio, la mancanza di pane e l'insufficienza del salario durante le crisi. La temporanea mancanza di una sufficiente nutrizione, a cui quasi tutti i lavoratori soggiacciono almeno una volta nella loro vita per un certo tempo, contribuisce a peggiorare le conseguenze della nutrizione cattiva sia pure sé sufficiente. I bambini, i quali appunto nel tempo in cui avrebbero maggior bisogno di nutrizione, possono solo saziarsi a metà — e per molti ciò avviene non soltanto nel periodo di ogni crisi, ma pure nei periodi migliori dell'industria — di necessità devono divenire deboli, scrofolosi, rachitici al più alto grado. E che divengano tali, è facile vederlo dall'apparenza. L'abbandono, a cui è condannata la grande massa dei figli degli operai, lascia indelebili orme ed ha per conseguenza l'indebolimento di tutta la generazione operaia. Inoltre bisogna tener conto degli abiti inadatti di cui dispone questa classe, della impossibilità crescente di proteggersi dai raffreddori, della necessità di lavorare sino a che lo permette la salute, della miseria crescente della famiglia nei casi di malattia, della mancanza del soccorso medico; così approsimativamente si può figurarsi quale è lo stato di salute dell'operaio inglese. Non voglio affatto far menzione delle conseguenze peggiori che sono proprie alle singole branche di lavoro, come ora sono esercitate.

Vi sono tuttavia altre cause che indeboliscono la salute di un gran numero di lavoratori. Innanzi tutto l'ubbriachezza, tutte le seduzioni, tutte le possibili tentazioni sono riunite a spingere l'operaio verso la passione del bere. L'acquavite è per i lavoratori, quasi l'unica fonte di gioia e tutto cospira affinché essa si stringa loro attorno. L'operaio ritorna a casa stanco ed affannato; trova un'abitazione senza alcuna comodità, sporca, sudicia, inospitale; egli abbisogna pressantemente di un po' di sollievo, egli deve avere qualche cosa che compensi la fatica del lavoro, la prospettiva che gli faccia sopportabile i giorni duri e difficili; il suo umore affaticato, difficile, ipocondriaco che deriva dal suo stato malaticcio e particolarmente dall'indigestione, diviene insopportabile per le altre condizioni di vita, per l'insicurezza dell'esistenza, per la dipendenza da tutti i possibili accidenti, per la sua impotenza a farsi una posizione sicura; il suo corpo debole, indebolito dall'aria cattiva e dalla cattiva nutrizione, pretende uno stimolo che lo scuota, con violenza; il suo bisogno sociale può soltanto venir soddisfatto in un osteria, egli non ha un altro luogo ove poter incontrare i suoi amici — e con tuttociò potrebbe l'operaio non avere le più forti tentazioni verso la passione del bere e potrebbe essere in istato di opporsi agli allettamenti di tale passione? Al contrario, è per la presente necessità morale e fisica, che in tali circostanze, una grande massa di operai è spinta nella crapula. E fatta astrazione dalle influenze fisiche, che trascinano il lavoratore a bere, altre ne esistono come l'esempio della gran massa, l'istruzione negletta, l'impossibilità di proteggere dalla tentazione la giovane gente, in molti casi l'influenza diretta dei genitori beoni che danno essi stessi l'acquavite ai proprii ragazzi, la certezza di dimenticare nell'ebbrezza per un paio d'ore la miseria e l'oppressione della vita ed altre cento circostanze così forti, che non si può biasimare negli operai la loro predilezione per l'acquavite. La passione del bere qui ha cessato di essere un vizio; per questo si possono scusare i viziosi; essa diviene un fenomeno, la conseguenza necessaria ed inevitabile di certe condizioni sopra un oggetto senza volontà, almeno vis-a-vis di tali condizioni. Quelli che hanno fatte degli operai un semplice oggetto, ne devono portare la responsabilità. Ma per la medesima necessità per cui una grande massa di operai è spinta a bere, per la medesima necessità l'ubbriachezza dimostra la sua azione rovinosa sullo spirito e nei corpi delle vittime.

Tutte le malattie, che derivano dalle condizioni di vita dell'operaio, sono accelerate da lui, e così lo sviluppo delle malattie croniche ed al basso ventre come l'origine e la diffusione del tifo, vengono da lui favorite al più alto grado.

Un'altra causa del male fisico sta per la classe lavotrice nell'impossibilità in caso di malattia di procurarsi l'assistenza di abili medici. È vero che un grande numero di benefici istituti cerca di aiutare la massa degli operai, in modo che ad esempio l'ospitale di Manchester annualmente in parte raccoglie ed in parte soccorre con il consiglio medico e con medicine, 22.000 ammalati — ma che cosa è tutto ciò in una città ove secondo il rapporto di Gaskell5, annualmente tre quarti degli abitanti abbisognano del soccorso dei medici? I medici inglesi pretendono alti onorarii e gli operai non sono in caso di pagarli. Essi quindi non possono far nulla o sono costretti a ricorrere a ciarlatani ed a medicine ciarlatanesche a buon prezzo, che apportano loro col tempo più danno che utile.

Un grande numero di detti ciarlatani trae la propria esistenza in tutte le città inglesi e si crea con annunzi, affissi sui muri ed altri artifici una clientela tra la classe povera. Ma oltre a ciò viene venduta una grande quantità di cosidette medicine patentate (patent medicines,) buone per tutti i mali possibili ed impossibili, pillole di Morrison, pillole di Parr, pillole del dott. Mainwaring e mille altre pillole, essenze e balsami, che hanno tutte la sola proprietà di curare tutte le malattie del mondo. Queste medicine contengono a dir vero raramente materie nocive ma nondimeno agiscono molto di frequente, se prese troppo spesso, in modo svantaggioso sui corpi, e agli operai che non ne sanno niente si predica in tutti gli annunzi che non ne possono prendere in dose troppo forte, ma tuttavia non si deve meravigliarsi, se con o senza altre cause, questi ne inghiottiscono di continuo grandi quantità. Non è per nulla straordinario che il preparatore delle pillole di Parr ne venda in una settimana da 20 a 25 mila scatole — e vengono prese da questo contro l'indigestione, da, quello contro la diarrea, contro la febbre, le debolezze e tutti i mali possibili. Come i nostri contadini tedeschi in un certo tempo dell'anno si lasciano scorticare o salassare, così ora gli operai inglesi prendono le loro medicine patentate per danneggiarsi da sè stessi o per cacciare nelle tasche dello stesso fabbricante il loro danaro. Una volta la peggiore di queste medicine patentate era una bibita che veniva preparata con oppio e specie con laudano e che veniva venduta sotto il nome di Godfrey's cordial. Le donne, che lavorano in casa e che hanno da custodire figli propri o d'altri, dava o loro tale bevanda affine di tenerli tranquilli, e come molti credono, per farli divenire più robusti. Esse cominciano spesso dalla nascita dei figli a dar loro tali medicine, senza conoscere le nocive conseguenze di questi «rimedio cordiale», sino a che muoiono. Se l'organismo del bambino resiste alle influenze dell'oppio, in tanta maggior quantità gliene viene dato. Se il cordiale non agisce più, viene unito con il laudano e dato a quindici o venti goccie alla volta. Il coroner di Nottingham affermò ad una commissione6 del governo che un farmacista, secondo un rapporto particolare, aveva preparato in un anno trenta quintali di sciroppo per il Godfrey's Cordial. Si può facilmente immaginare quali sono le conseguenze per i ragazzi allevati in tal modo. Essi divengono pallidi, flosci e deboli e muoiono nella maggioranza quando non hanno che due anni. L'uso di queste medicine è molto diffuso in tutte le grandi città e nei distretti industriali dello Stato.

La conseguenza di tutte queste influenze è un generale indebolimento del corpo degli operai. Tra coloro si trova la gente meno forte, meno ben costituita e sana — parliamo degli operai industriali, che lavorano in luoghi chiusi; soltanto d'essi è qui tenuta parola. Sono quasi tutti deboli, dall'ossatura angolosa, ma non forte, magri, pallidi, rosi dalla febbre con eccezione di quelli che hanno i muscoli rafforzati dal lavoro.

Quasi tutti soffrono cattive digestioni e in conseguenza sono più o meno ipocondriaci e di umore torbido e difficile. Il loro corpo indebolito non è in condizione di far resistenza ad una malattia e quindi ne viene assalito in ogni occasione. Perciò gli operai invecchiano presto e muoiono giovani. Le tabelle della mortalità danno di ciò una prova incontrastata.

Secondo il rapporto del registratore generale G. Graham, la mortalità dell'Inghilterra e del Galles è annualmente di poco inferiore al 2 ½ per cento, cioè di quarantacinque persone ogni anno ne muore una7 Almeno tale era la media dell'anno 1839-40 — negli ultimi anni la mortalità discese un poco e fu soltanto di uno su quarantasei. Ma nelle grandi città la condizione si presenta del tutto differente. Io ho innanzi (nel Manchester Guardian 31 luglio 1844) le tabelle ufficiali della mortalità, secondo le quali così viene valutata la mortalità in ciascuna delle grandi città: In Manchester, incluse Salford e Chorlton, un decesso su 32,72 abitanti; ed esclusa Salford e Chorlton, uno su 30,75; in Liverpool, incluso West-Derby, uno su 31,90 ed escluso West-Derby, uno su 29,90, mentre la media di tutti i nominati distretti di Cheshire, Lancashire e Yorkshire — e questi rinchiudono una folla di distretti completamente od in parte agricoli, quindi molte piccole città — con una popolazione di 2,172,506 di uomini, dà un decesso su 39,80 abitanti.

Come gli operai stieno male nelle città, lo dimostra la mortalità di Prescott nel Lancashire — un distretto abitato da operai delle cave di carbone — il lavoro nelle cave è per null'affatto molto salubre — che si trova riguardo alla salubrità al disotto di un distretto agricolo. Ma gli operai abitano in campagna e la mortalità si presenta d'uno su 47,54 persone, quindi quasi del 2 ½ più vantaggiosamente della media di tutta l'Inghilterra. Tutti i dati riposano sulle tabelle della mortalità dell'anno 1843. Ancor più alto è il rapporto della mortalità nelle città scozzesi; in Edimburgo nell'anno 1838-39 si ebbe un morto su 39 abitanti, mentre nella città vecchia nel 1831 se ne ebbe uno su 22; in Glasgow, secondo il dott. Cowan (Vital Statistica of Glasgow) la media dopo il 1830 fu di uno su 30, nei singoli anni uno su 22 sino a 24. Ci viene da tutte le parti provato che questa enorme diminuzione della durata media della vita, principalmente avviene nella classe operaia e che la media di tutte le classi migliora per la mortalità tenue delle classi elevate e medie. Una delle ultime testimonianze di ciò, è la seguente del dott. P. H. Holland di Manchester, il quale, in missione ufficiale,8 fece un'inchiesta nel sobborgo di Manchester, Chorlton-on-Medlock. Egli classifica le case e le vie in tre categorie e trova la seguente differenza di mortalità:

mortalità

Prima classe di strade

case I categoria

1 su 51

Prima classe di strade

case II categoria

1 su 45

Prima classe di strade

case III categoria

1 su 36

Seconda classe di strade

case I categoria

1 su 55

Seconda classe di strade

case II categoria

1 su 38

Seconda classe di strade

case III categoria

1 su 35

Terza classe di strade

case I categoria

(manca)

Terza classe di strade

case II categoria

1 su 35

Terza classe di strade

case III categoria

1 su 25

Da parecchie altre tabelle date da Holland risulta, che la mortalità nelle vie della seconda classe è del 18 per cento e della terza classe del 68 per cento più grande che in quelle della prima classe; che la mortalità nelle case della seconda classe è del 31 per cento e della terza classe del 78 per cento più grande che in quelle della prima classe; che la mortalità nelle strade peggiori, che vennero risanate, è diminuita del 25 per cento. L'autore chiude con un'osservazione assai chiara per un borghese inglese:

«Se noi troviamo che la mortalità in un'intera categoria di strade è di tanto più alta che in un'altra e che in una completa categoria di strade è doppia che in un'altra, se noi troviamo ancora che essa è invariabilmente alta in quelle strade, che sono nelle peggiori condizioni, e invariabilmente bassa in quelle strade che si trovano in buone condizioni, possiamo concludere che masse di persone, centinaia di nostri vicini annualmente vengono uccisi (destroyed) dalla mancanza di ogni comune misura di previdenza».

Il rapporto sullo stato di salute della classe lavoratrice contiene una relazione che prova il medesimo fatto. In Liverpool nel 1840 la durata media della vita dell'alta borghesia (gentry, professional men etc.) era di 35 anni; della classe commerciale e degli artigiani in migliore condizione di 22; degli operai, dei giornalieri e della classe inferiore generalmente soltanto di 15 anni.

I rapporti parlamentari contengono ancora un gran numero di fatti simili.

Le liste della mortalità principalmente salgono così alto per i molti casi di morte tra i piccoli fanciulli della classe operaia. Il corpo delicato di un fanciullo resiste meno alle influenze sfavorevoli di un basso tenore di vita: l'abbandono al quale spesso soggetto, se tutte e due i genitori lavorano e se uno dei due è morto, fa sentire prestissimo i suoi effetti e non v'è da meravigliarsi se ad esempio in Manchester, secondo gli ultimi menzionati rapporti, muore avanti i cinque anni, più del 57 per cento dei bambini della classe operaia, mentre ne muore solo il 20 per cento di quelli delle classi superiori, e la media della mortalità dei bambini sotto i cinque anni che appartengono a tutto le classi, nei distretti di campagna, non è nemmeno del 32 per cento9. Il più volte citato articolo dell'«Artizan» ci dà prove esatto con cui pone di fronte le proporzioni dei casi di morte per le singole malattie dei bambini nelle città a quelle delle campagne e prova che le epidemie in generale sono tre volte più mortali in Manchester ed in Liverpool che nei distretti agricoli; che le malattie del sistema nervoso sono quintuplicate e i mali di stomaco più che raddoppiati nelle città mentre i casi di morte in seguito a malattie croniche nelle città stanno a quelli di campagna come 2 ½ a 1. Nelle città i casi di morte dei piccoli bambini in seguito al vaiuolo, alla rosolia, alla tosse soffocante e alla febbre scarlattina sono quadruplicati; in seguito all'acqua al cervello triplicati e in seguito alle convulsioni decuplati.

E per citare ancora una indiscutibile autorità, riferisco qui una tabella data dal Dr. Wade, secondo il rapporto del comitato parlamentare per le fabbriche dell'anno 1832, nella sua History of the Middle and Working Classes (London, 1835, 3rd ed.).

Su 10,000 uomino morirono

Sotto i 5 anni

5-19

20-39

40-59

60-69

70-79

80-89

90-99

100 e oltre

Nella contea di Rutland - distretto agricolo salubre

2865

891

1275

1299

1189

1428

939

112

3

Nella contea d'Essex - distretto agricolo paludoso

3159

1110

1526

1413

963

1019

630

177

3

Nella città di Carlile 1779-87, avanti l'introduzione delle macchine

4408

921

1006

1201

940

826

533

153

22

Nella città di Carlile dopo l'introduzione delle macchine

4738

930

1261

1134

677

727

432

80

1

Nella città di Preston, industriale

4947

1136

1379

1114

553

532

298

38

3

Nella città di Leeds, industriale

5286

927

1228

1198

593

512

295

29

2

All'infuori di queste diverse malattie che sono la necessaria conseguenza dell'odierno abbandono e dell'odierna oppressione della classe operaia, vi sono ancora altre cause che conducono all'aumento della mortalità dei piccoli ragazzi. In molte famiglie la donna lavora fuori di casa come l'uomo e ne è conseguenza il completo abbandono dei figli, che né vengono rinchiusi, né dati in custodia a chicchessia. Nessuna meraviglia quindi se centinaia di tali ragazzi perdono la vita in ogni sorta di disgrazie. In nessun luogo tanti ragazzi sono schiacciati da cavalli o carri, in nessun luogo sono colpiti da disgrazie mortali, annegati o bruciati come nelle grandi città dell'Inghilterra. In ispecie sono frequenti i casi di morte in seguito a scottature o annegamento nell'acqua calda, in Manchester, durante i mesi d'inverno, se ne ebbe un caso quasi ogni settimana.; in Londra sono parimente frequenti, sebbene se ne parli di rado nei giornali; ho sotto gli occhi soltanto un rapporto apparso nel, Weekly Dispach del 15 dicembre 1844; secondo tale rapporto nella settimana dal primo al sette dicembre si ebbero sei dei menzionati casi. Questi poveri bambini, che muoiono in modo tanto terribile, sono semplicemente le vittime del nostro disordine sociale e della classe proprietaria interessata al mantenimento di tale disordine — e tuttavia non si potrebbe dire se questa morte terribile ed angosciosa non sia un bene per i bambini, dal momento che li preserva da una lunga vita piena di sudori e di miseria, ricca di dolori e povera di soddisfazioni. Ciò avviene da lungo tempo in Inghilterra — e la borghesia legge tutto questo nei giornali e non se ne affligge. Ma essa non si dorrà, se, basandomi sulle citate testimonianze ufficiali e non ufficiali, che deve conoscere, io la accuso di assassinio sociale. Nè essa per ciò si cura che sia posto rimedio a questa terribile condizione, nè cede l'amministrazione dei pubblici interessi alla classe lavoratrice. E quanto all'ultima cosa essa non ne ha alcuna voglia, mentre, quanto alla prima, non ne avrebbe la forza, sino a che rimane borghesia e costretta nei pregiudizi borghesi; poichè se essa alla fine, dopo che sono cadute nella battaglia centinaia di migliaia di vittime, prende una piccola precauzione per il futuro, promulgando un Metropolitan Buildings Act, secondo cui viene limitata l'agglomerazione senza riguardo delle abitazioni, se essa si mostra gloriosa di misure che sono lungi d'andare alla radice del male, che non suppliscono alle più ordinarie regole di polizia sanitaria, non per questo si potrà purificare dalle accuse mosse contro di essa.

La borghesia inglese ha soltanto la scelta o di continuare a regnare con la irrefragabile accusa di assassinio sulle sue spalle e nonostante tale accusa, o di abdicare in favore della classe operaia. Sino ad ora essa ha preferito il primo compito.

Passiamo adesso dall'esame della condizione fisica a quello della condizione intellettuale degli operai. Se la borghesia lascia loro tanto di vita quanto appunto è loro necessario, noi non ci dobbiamo meravigliare se essa dà loro quel tanto di istruzione che è nel suo interesse di dare. Ed invero non è gran cosa. I mezzi di istruzione sono sproporzionatamente scarsi di fronte al numero degli abitanti. Se poche scuole settimanali esistenti a disposizione della classe lavoratrice possono venir frequentate soltanto dai meno e sono inoltre pessime; i maestri — operai, che hanno tralasciato di lavorare e persone incapaci, che soltanto per poter vivere divengono maestri di scuola — sono essi stessi in gran parte digiuni dei più elementari principii indispensabili, privi dell'educazione morale così necessaria al maestro e senza alcun pubblico controllo. Anche qui domina concorrenza la libera concorrenza e come sempre i ricchi ne hanno l'utile, ed i poveri, per i quali appunto la concorrenza non è libera, che non hanno le dovute cognizioni per poter giudicare, ne ricevono il danno. Una scuola obbligatoria non esiste, nelle vere fabbriche, come vedremo, che di nome; ed allorché nella sessione del 1843 il governo voleva mettere in vigore questa apparente scuola obbligatoria, la borghesia industriale vi si oppose con tutto il suo potere, sebbene gli operai fossero risolutamente per la scuola obbligatoria. Inoltre una grande quantità di ragazzi lavora tutta la settimana nelle fabbriche ed in casa, e perciò non le è possibile di frequentare la scuola. Poichè le scuole serali dove possono andare i ragazzi, che sono occupati durante il giorno, sono frequentate con pochissimo profitto o con profitto nullo. Ed invero sarebbe pretendere troppo, che operai giovani, che sono tormentati per dodici ore dal lavoro, dovessero andare alla scuola dalle otto fino alle dieci.

E quelli tra loro che lo fanno, s'addormentano nella maggior parte, come è constatato nel Children's Empl. Rept, in centinaia di relazioni. Certamente si sono organizzate le scuole della domenica, che sono pure tenute da maestri insufficienti al più alto grado e possono trarne utile profitto soltanto quelli che già hanno imparato qualche cosa nelle scuole settimanali. Il rapporto della Children's Employement Commission offre migliaia di prove e la Commissione dice in riguardo a ciò, nel modo più chiaro, che né le scuole dottrinali, né le scuole della domenica corrispondono nemmeno minimamente al bisogno della nazione. Questo rapporto offre la prova dell'ignoranza della classe operaia inglese, ignoranza che non sarebbe da attendersi nemmeno da paesi come la Spagna e l'Italia. E non può essere altrimenti; la borghesia ha poco dà sperare, ma bensì molto da temere dall'educazione degli operai; il governo nel suo colossale bilancio di 55,000,000 di lire sterline, ha soltanto un'esigua somma di 40,000 sterline per la pubblica istruzione; e, se non vi fosse il fanatismo delle sette religiose, che danneggia da una parte quanto qui è là fa di bene, i mezzi d'istruzione sarebbero ancora più miseri. Ma così la High Church eleva le sue National Schools ed ogni setta ha le proprie scuole in vero con l'idea di conservare i bimbi dei suoi proseliti nel suo grembo e dove è possibile qui e là, di strappare una povera anima di bimbo alle altre sette. Ne è conseguenza che la religione ed appunto il lato più sterile della religione hanno elevato la polemica ad oggetto dell'insegnamento più preferito, che la memoria dei fanciulli viene confusa con dogmi incomprensibili e distinzioni teologiche, che l'odio di setta e la bigotteria fanatica vengono risvegliati il più presto possibile e che è trascurata l'educazione sensata, intellettuale e morale. Gli operai hanno spesso richiesta dal Parlamento un'educazione prettamente secolare, lasciando la cura della religione ai religiosi di ogni setta — essi non hanno ancora trovato alcun ministero che voglia concedere qualche cosa di simile. Naturalmente. Il ministero è l'ubbidiente servitore della borghesia e questa si divide in sette senza numero; ma ogni setta concede all'operaio l'educazione del resto pericolosa, se questi deve prendere l'antidoto dei dogmi che appartengono specialmente a questa setta. E queste sette ancora sino ad oggi si disputano il dominio, e così frattanto la classe operaia rimane senza istruzione. In vero i fabbricanti si gloriano di aver insegnato a leggere alla grande maggioranza, ma che cosa sia questo leggere lo dimostra il rapporto della Children's Employement Commission.

Chi conosce l'alfabeto, si dice, potrebbe leggere; e con ciò i fabbricanti si tranquillizzano. Ma, se si rammenta la confusa ortografia inglese, per cui il leggere è una vera difficoltà e che soltanto può venir appresa dopo una lunga istruzione, si trova comprensibile questa ignoranza. Ben pochi sanno scrivere perfettamente — moltissimi tra gli «istruiti» non sanno scrivere ortograficamente. Le scuole della domenica della High Church, dei quaccheri ed io credo ancora di parecchie sette, non insegnano affatto a scrivere «perché questa è una occupazione mondana per la domenica».

Che n'è dell'istruzione che viene offerta agli operai, lo dicono un paio di esempli. Essi sono tolti dal rapporto della Children's Employement Commission, rapporto che purtroppo non si estende sulla industria delle fabbriche propriamente detta.

In Birmingham, dice il commissario Grainger, i ragazzi esaminati da me sono nella loro generalità completamente sforniti di tutto ciò che pure nel modo più lontano potrebbe venir detta un'utile istruzione. Sebbene in quasi tutte le scuole venga data l'istruzione religiosa, anche su questa in generale dimostrano la più grande ignoranza.

In Wolverhampton, narra il commissario Horne, trovai tra gli altri, i seguenti esempi: Una ragazza di undici anni che era stata in una scuola settimanale e della domenica «nulla aveva imparato nè di un altro mondo, del cielo, o di un'altra vita». Un'altra di 17 anni non sapeva quanto fanno due volte due, quanti farthingspenny - dieci centesimi) vi sono in due pence (venti centesimi) e ciò pure se teneva il denaro nella mano. Alcuni ragazzi non sapevano nulla né di Londra e né di Willenhall, sebbene quest'ultima città disti soltanto un'ora dal loro paese e sia di continuo in comunicazione con Wolverhampton. Alcuni non conoscevano il nome della regina o nomi come Nelson, Wellington, Buonaparte. Ma è notevole che quelli i quali non avevano appreso il nome di San Paolo, Mosè o Salomone, erano molto bene al corrente della vita, le azioni ed il carattere di Dick Turpin, l'assassino da strada ed in particolare di Jack Sheppard il ladro e topo di prigioni.

Un giovane di 16 anni non sapeva quanto fa due volte due o quanto fanno quattro farthings - un giovane di 17 anni diceva che dieci farthings sono dieci mezzi pence ed un terzo, pure di 17 anni, rispondeva brevemente ad alcune domande molto semplici che «non sapeva nulla di nulla» (he was ne judge o' nothin) (Horne, Rept. App., Part. II, Q. 18, N. 216, 217, 226, 233, ecc.). Questi ragazzi che dai qua ttro ai cinque anni sono tormentati con dogmi religiosi alla fine ne sanno quanto ne sapevano prima. Un ragazzo «è andato regolarmente alla scuola della domenica per cinque anni; non sa chi era Gesù Cristo, ma ne ha appreso il nome; ma non ha imparato quello dei dodici apostoli, di Sansone, Mosè, Aronne, ecc. (ibid. Evid., p. 9, 39, I. 33). Un altro «è andato regolarmente alla scuola della domenica per sei anni. Sa chi era Gesù Cristo, che morì in croce, che sparse il suo sangue per liberare i nostri liberatori; ma non sapeva nulla di S. Pietro e di S. Paolo» (ibid, p. 9, 36, I. 46). Un terzo «era stato sette anni in diverse scuole della domenica, può soltanto leggere in libri chiari parole facili di una sillaba; ha udito parlare degli apostoli, non sa se uno d'essi fu San Pietro o San Giovanni, dovette essere San Giovanni Wesley (fondatore dei Metodisti)» ecc. (ibid, p. 9, 34, I. 58); alla domanda chi fosse Gesù Cristo, Home ricevette le seguenti risposte: «egli era Adamo»; «egli era un apostolo»; «egli era il figlio del Signore del liberatore (he was the Saviour's Lord's Son)»; ed un ragazzo di sedici anni: «egli era un re di Londra molto e molto tempo fa».

In Sheffield il commissario Symons fece leggere gli scolari della domenica; essi non erano nella condizione di dire quello che avevano letto o qual gente sono stati gli apostoli dei quali avevano appena letto. Dopo che il Symons ebbe interrogati buon numero di alunni, senza aver ottenuta una risposta esatta, chiamò un piccolo ragazzo, scaltro, di buona cera che con grande sicurezza disse: «Io lo so, essi erano lebbrosi» (Symons, Rept. App., Parte I, p. p. E 22 s p. p.). Dei distretti dalle fabbriche di stoviglie e del Lancashire vien data una simile relazione.

Si vede quello che la borghesia e lo Stato hanno fatto per l'educazione e l'istruzione della classe operaia. Fortunatamente le condizioni nelle quali vive la classe operaia sono così fatte che esse danno un'educazione pratica, che non solo surroga l'ingombro scolastico, ma che pure rende innocua la confusa concezione religiosa connessa alle scuole e pone gli operai a capo del movimento nazionale dell'Inghilterra. La miseria insegna a pregare e, quello che vuol dire ancor più, a pensare e agire.

L'operaio inglese che sa leggere poco ed ancor meno scrivere, sa tuttavia molto bene quale è il suo proprio interesse e quello di tutta la nazione — egli sa pure quale è l'interesse speciale della borghesia e che cosa ha da attendere da questa borghesia; egli non sa scrivere, ma può nondimeno parlare, pubblicamente parlare; egli non sa calcolare, ma sa nondimeno calcolare con nozioni d'economia nazionale quanto fa d'uopo per esaminare e confutare un borghese che vuole l'abolizione delle leggi sul grano; nonostante tutte le fatiche dei preti gli rimangono molto oscure le domande circa il paradiso, ma egli ha tanto meglio conoscenza della questione irlandese e della questione polilica e sociale. Noi avremo da parlare su di ciò più innanzi; passiamo ora ad esaminare il carattere morale dei nostri operai.

Che l'insegnamento morale, che viene unito in tutte le scuole d'Inghilterra a quello religioso, non possa aver miglior effetto di questo, è abbastanza chiaro. I semplici principii che regolano per gli uomini i rapporti dell'uomo con l'uomo, principii che già per la condizione sociale, per la guerra di tutti contro tutti cadono nella più orribile contusione, devono rimanere oscuri ed estranei all'operaio non istruito, se sono frammisti con principii religiosi incomprensibili e se vengono messi innanzi nella forma religiosa di un comando arbitrario ed infondato. Le scuole secondo le confessioni di tutte le autorità, specialmente della Child. Empi. Comm. contribuiscono quasi nulla alla moralità della classe operaia.

La borghesia inglese è così indifferente, così stupidamente limitata nel suo egoismo, che non si dà una sola volta la fatica da insegnare la morale odierna agli operai, una morale che la borghesia si è nondimeno plasmata nel suo particolare interesse e per sua particolare difesa. Questa stessa cura per sé stessa dà troppa fatica alla borghesia oziosa e pigra e inoltre ciò le sembra superfluo. Verrà senza dubbio il tempo in cui essa troppo tardi si pentirà della sua negligenza. Ma non si deve lagnare se gli operai nulla sanno di questa morale e se non si regolano secondo essa.

Così gli operai sono, come fisicamente e intellettualmente, anche moralmente trascurati e respinti dalla classe che ha il potere. Il solo riguardo che si ha per essi è la legge che si applica loro, tosto che essi offendono la borghesia — come contro le bestie irragionevoli si applica soltanto un mezzo di educazione — la frusta, la forza brutale che non convince ma soltanto intimidisce.

E quindi non meraviglia nulla affatto se gli operai trattati come bestie o divengono realmente bestie o se solamente salvaguardano la coscienza ed il sentimento della loro umanità, con l'odio più vivo, con la continua ribellione interna contro la borghesia che detiene il potere. Essi sono soltanto uomini fino a che sentono la collera contro la classe dominante; divengono bestie tosto che si piegano docilmente al giogo e cercano di rendere gradevole una vita da schiavi, senza pensare a spezzare il giogo.

Questo è tutto ciò adunque che la borghesia ha fatto per l'educazione della classe operaia — e, se noi ponderiamo le altre condizioni in cui quest'ultima vive, non potremo biasimare il rancore che essa nutre contro la classe dominante. — L'educazione morale che non viene impartita nella scuola all'operaio, non gli viene data neppure nelle altre circostanze della sua vita — non è per lo meno l'educazione morale che ha qualche valore agli occhi della borghesia. Il modo con cui vive l'operaio e tutto ciò che gli sta attorno, lo spingono verso l'immoralità. È povero, per lui la vita non ha alcuna attrazione, gli sono interdette quasi tutte le soddisfazioni, le pene della legge non hanno per lui più nulla di terribile — perché si deve egli regolare nei suoi desiderii, per qual ragione deve lasciare ai ricchi il godimento dei suoi beni, invece di appropriarsene una parte? Il proletario qual ragione ha di non rubare? Va benissimo, ed al borghese suona abbastanza aggradevole alle orecchie, quando si parla della «santità della proprietà» — ma per colui che non ha alcuna proprietà cessa da sè tale santità della proprietà. Il denaro è il dio di questo mondo. Il borghese prende il denaro al proletario e lo fa per ciò un ateo pratico. Nessuna meraviglia adunque se il proletario salvaguarda il suo ateismo e non rispetta più la santità e la forza del dio terrestre.

E se la povertà del proletario sale fino alla reale mancanza delle cose più necessarie alla vita, sino alla miseria, sino all'indigenza più nera, così nel tempo intesso ancor più si allarga lo sdegno contro ogni ordine sociale. Questo sanno pure in gran parte i borghesi stessi. Simons10 nota che la povertà stessa esercita un'azione distruttrice sullo spirito come la passione del bere sul fisico, e Sheriff Alison con esattezza descrive ai proprietarii quali sono le conseguenze della oppressione sociale per i lavoratori11. La miseria lascia all'operaio soltanto la scelta di morir di fame lentamente, di uccidersi o di prendere quello che gli è necessario, quello che trova, infine di rubare. E non ci dobbiamo quindi per nulla meravigliare se i più preferiscono il furto alla morte per fame o al suicidio. Invero, pure tra i lavoratori ve ne sono d'abbastanza morali tanto da non rubare, pur quando sono spinti agli estremi, e questi muoiono di fame o si uccidono. Il suicidio, che una volta era il privilegio inevitabile delle classi elevate, avviene in Inghilterra pure tra i proletarii. È divenuto di moda, ed una folla di povera gente si uccide affine di sfuggire dalla miseria dalla quale non può salvarsi altrimenti.

Ma ancor molto più demoralizzatrice della miseria è per gli operai inglesi l'insicurezza della loro posizione; la necessità di vivere passando il salario dalla mano alla bocca, dire in breve quello che li fa proletarii.

I nostri piccoli agricoltori sono in Germania in gran parte anche poveri e soffrono la miseria, ma essi sono meno dipendenti dal caso, essi hanno almeno qualche cosa di fisso. Ma il proletario che non ha nulla all'infuori delle due mani, che oggi consuma quello che ieri ha guadagnato, che dipende da tutte le possibili eventualità, che non possiede la più piccola garanzia per la sua capacità di guadagnarsi quanto gli è di assoluto bisogno per vivere — ogni crisi, ogni capriccio del suo padrone possono renderlo disoccupato — il proletario è posto nella più inumana e sovversiva condizione, che un uomo possa immaginare.

Allo schiavo è almeno assicurata l'esistenza dall'interesse particolare del suo padrone, il servo ha tuttavia un pezzo di terra del quale vive; essi hanno almeno una garanzia per la nuda vita — ma il proletario può soltanto contare per sè stesso, e nel medesimo tempo non trova il modo di impiegare le sue forze in modo da poter far calcolo su di esse. Tutto quello che il proletario può fare per il miglioramento della sua condizione dispare come una goccia in una secchia contro i flutti dell'alternativa ai quali egli è esposto e sui quali egli non ha la più piccola forza. Egli è l'oggetto senza volontà di tutte le possibili combinazioni delle circostanze e si può dire fortunato se per un breve tempo riesce a salvare la vita. E come è facile a comprendersi, il suo carattere ed il suo metodo di vita si conformano a tali circostanze. O egli cerca d'arrestarsi in questo vortice, di salvare la sua umanità, e ciò egli può fare soltanto ribellandosi12 alla borghesia, cioè alla classe che lo sfrutta senza alcun riguardo, e lo sottomette al proprio destino, che cerca di costringerlo a rimanere in questa condizione indegna di un uomo, o egli rinuncia alla lotta come infruttuosa e cerca di approfittare quanto può dei momenti favorevoli. Il risparmio non gli è d'alcun vantaggio, poiché può al massimo raccogliere quanto gli abbisogna per nutrirsi un paio di settimane, e se resta disoccupato non vi rimane soltanto un paio di settimane. Egli non può farsi una proprietà per qualche tempo, e, se lo potesse, dovrebbe cessare di essere operaio ed un altro andrebbe al suo posto. Che cosa può quindi far di meglio, quando guadagna un buon salario, che viversela bene? Il borghese inglese si meraviglia e si scandalizza al più alto grado della vita allegra che conduce l'operaio nel tempo in cui ha un salario alto — e non è tuttavia del tutto soltanto naturale ma inoltre ragionevole che della gente, se può, si goda la vita invece di raccogliere tesori, che non possono esserle utili e che alla fine saranno divorati di nuovo dalle tarme e dalla ruggine, cioè dai borghesi. Ma una tale vita è demoralizzatrice come nessun altra. Quello che Carlyle disse a proposito dei filatori di cotone, vale per gli operai di tutte le altre industrie inglesi:

«Presso di essi l'occupazione oggi è intensa, domani languente — un continuo giuoco d'azzardo, ed essi vivono come un giuocatore, oggi nel lusso, domani nella miseria. Si consuma un insidioso e nero disgusto, che è il sentimento più miserabile che possa albergare nel petto dell'uomo. Il commercio inglese con le sue convulsioni e fluttuazioni mondiali, con la sua irregolare attività ha fatto per gli operai tutti i sentieri malsicuri; sobrietà, fermezza, tranquilla stabilità ed i primi beni dell'uomo sono loro sconosciuti. Questo mondo non è per essi una casa paterna ma una prigione cupa, piena di tormenti infruttuosi ed eccessivi, di ribellioni, di odii, di sdegni contro sè e tutti gli uomini.

È un mondo verde e fiorito fatto e retto da un dio — ovvero un vaso bollente pieno di fumo di vetriolo, polvere di cotone, di zozza, di furore, di tormenti del lavoro fatto e retto da un demonio?»13.

E più innanzi a pagina 40:

«Se l'ingiustizia e la slealtà contro la verità, i fatti e l'ordine della natura sono l'unico male sotto il sole, e la coscienza di soffrire il male e l'ingiustizia il solo sentimento doloroso insopportabile, la nostra domanda circa la condizione degli operai sarebbe questa: È ciò giusto ? E innanzi tutto. Che cosa pensano essi di tale giustizia? — Le loro parole sono sufficiente risposta, i loro fatti ancor più. — La ribellione, il subitaneo e vendicativo impulso di ribellione contro le classi elevate, lo scemato rispetto ai comandi dei loro superiori, la scemata credenza nelle dottrine dei superiori spirituali, divengono di più in più il sentimento generale delle classi sottoposte. Tale sentimento può venir biasimato, può venir condannato, ma tutti devono riconoscere che esiste negli operai, tutti devono sapere che ciò è triste e che, ove non muti, porterà sciagura».

Carlyle ha nel fatto completamente ragione e soltanto ha torto allorché biasima l'ira selvaggia degli operai contro le classi elevate. Questa ira, questa collera è tanto più la prova che gli operai sentono l'inumanità della loro condizione, che non si vogliono lasciar trattare come bestie, e che essi si libereranno dalla servitù in cui li tiene la borghesia. Noi vediamo ciò in coloro appunto che non partecipano a questa collera — o si sottopongono al destino che li colpisce; vivono come gente onesta alla meno peggio, non si curano del cammino dell'umanità, aiutano la borghesia a ribattere saldamente le catene agli operai; il loro spirito è morto o si lasciano malmenare dalla sorte e giuocano con essa, perdono anche interiormente la sicura fermezza, che hanno già esteriormente perduta, vivono alla giornata, bevono zozza e si divertono con le ragazze — in tutti e due i casi sono bestie. Questi ultimi contribuiscono principalmente al «rapido aumentare del vizio» di ciò la sentimentale borghesia è così spaventata, dopo averne essa stessa originate le cause.

Un'altra fonte della demoralizzazione dei lavoratori è la condanna al lavoro. Se la libera attività produttrice è la soddisfazione più alta che noi conosciamo, il lavoro obbligatorio è il tormento più duro e più avvilente. Nulla è più terribile di dover fare tutti i giorni, dalla mattina alla sera, qualche cosa che è ripugnante. E quanto più l'operaio sente umanamente, tanto più deve essergli in odio il lavoro, pecche sente la violenza la mancanza di scopo che sono per lui in esso. Perchè egli lavora? Per il piacere di produrre? Per impulso della natura? Nemmeno per sogno. Egli lavora per il denaro, per ottenere una cosa che non ha nulla a fare con il lavoro, egli lavora perchè egli deve, e lavora così a lungo e con tale interrotta uniformità, che già per questa causa sin dalle prime settimane il lavoro gli deve essere un tormento, se ancora egli ha il sentire umano. La divisione del lavoro ha ancor moltiplicata l'azione deprimente del lavoro obbligatorio. Nella maggior parte dei rami di lavoro, l'attività dell'operaio è limitata ad una breve e semplicemente meccanica manipolazione che è ripresa di minuto in minuto e che rimane la medesima di anno in anno14. Chi, dall'infanzia, ogni giorno, per dodici ore e ancor più, ha fatto delle spille o limato dei pettini, ed inoltre ha vissuto nelle condizioni di un proletario inglese, quali sentimenti umani e quanta abilità può avere dopo i trent'anni? L'egual cosa avviene con l'introduzione delle macchine del vapore. L'attività dell'operaio diminuisce, è risparmiato lo sforzo del muscolo e il lavoro stesso diviene insignificante, ma monotono al più alto grado. Il lavoro non lascia all'operaio alcun campo per l'attività intellettuale, gli è necessaria la più grande attenzione poiché egli per attendere bene al lavoro non deve pensare ad altro. Un tale lavoro è una condanna esso toglie all'operaio tutto il tempo disponibile, gliene resta appena quanto è necessario per mangiare e per dormire, non un po' per il movimento del corpo nell'aria libera, per il godimento della natura, per tacere dall'attività intellettuale — una tale condanna non deve degradare gli uomini bestie! L'operaio ha soltanto di nuovo l'alternativa di sottomettersi al destino, di divenire «un bravo operaio», d'osservare fedelmente l'interesse del borghese — e quindi imbestialisce, questo è certissimo — o di resistere affine di lottare per la sua umanità finchè può, e ciò egli può solo fare lottando contro la borghesia.

E se tutte queste cause hanno prodotto la grande demoralizzazione che regna nella classe operaia, ecco che si presenta una nuova causa che allarga ancor più questa demoralizzazione e la spinge al più alto culmine — la centralizzazione della popolazione. Gli scrittori inglesi della borghesia gettano alte grida sull'influenza immorale delle grandi città — questi Geremia piangono non su quello che esse distruggono, ma su quello che Sheriff Alison fa derivare quasi tutto e il Dr. Vaughan, autore di un libro «The Age of Great Cities», molto più ancora, da questa causa. Naturalmente. Per le altre cause, che agiscono in maniera deleteria sul corpo e sullo spirito degli operai, viene in gioco direttamente l'interesse della classe proletaria. Se essi dicessero: la povertà, l'insicurezza della posizione, sopra lavoro, il lavoro obbligatorio sono le cause principali, ognuno, essi stessi dovrebbero rispondere: diamo quindi della proprietà ai poveri, garantiamo loro l'esistenza, facciamo delle leggi contro il sopra lavoro — e a questa la borghesia non può consentire.

Ma le grandi città si sono così sviluppate da sè, la gente vi è andata liberamente, e la conclusione chiara, che l'industria e la classe media, la quale ne approfitta, hanno creato queste grandi città, resta tanto fuori di vista che con troppa facilità deve venire al pensiero della classe dominante di gettare tutte le colpe sopra questa apparente inevitabile causa — benché tuttavia le grandi città possano almeno dare al male già esistente in genere, uno sviluppo più rapido e più maturo. Alison è almeno ancora così umano da riconoscere ciò — egli non è completamente un perfetto borghese, un tory ed ha quindi qualche volta gli occhi aperti, quando i veri borghesi li hanno completamente ciechi. Vogliamo qui lasciarlo parlare:

«È nelle grandi città che il vizio dispiega le sue tentazioni, la lussuria le sue reti, che la colpa è stimolata dalla speranza dell'immunità e la pigrizia dai numerosi esempi. In questi grandi mercati della corruzione umana si rifugiano i cattivi e i dissoluti dalla semplicità della vita di campagna qui trovano vittime per la loro malvagità e guadagno, quale salario, per i pericoli nei quali arrischiano di cadere. La virtù è inviluppata nell'oscurità ed oppressa, la colpa si matura nella difficoltà degli espedienti per non essere scoperta, le dissolutezze vengono ricompensate dall'immediato godimento. Chi di notte attraversa St. Giles, le anguste e fitte viuzze di Dublino, i quartieri poveri di Glasgow troverà la conferma di quanto abbiamo detto: non si meraviglierà che vi sono molti, ma bensì così pochi malfattori al mondo. — La grande causa della delinquenza nelle grandi città è la natura contagiosa del cattivo esempio e la difficoltà di mettersi al riparo degli allettamenti del vizio, quando tali allettamenti sono portati vicino giornalmente al contatto della crescente generazione. I ricchi non sono eo ipso migliori, anch'essi nella medesima condizione non possono resistere alle tentazioni; la sfortuna particolare dei poveri è che essi ovunque devono incontrare le seducenti forme del vizio e gli allettamenti dei piaceri proibiti. — L'impossibilità manifesta di celare ai giovani della classe povera nelle grandi città attrattive del vizio, è la causa della demoralizzazione».

Dopo una lunga di costumi, l'autore prosegue:

«Tutto ciò non proviene da una straordinaria depravazione del carattere, ma dalla quasi incontrastata natura delle seduzioni, alle quali i poveri sono esposti. I ricchi che biasimano la condotta dei poveri, si sommetterebbero all'influenza delle menzionate cause tanto facilmente quanto rapidamente. Vi è un grado di miseria, un insinuarsi del peccato a cui la virtù raramente è capace di opporsi ed al quale particolarmente la virtù non può resistere».

Ed in un altro passo, più oltre:

«Se le classi elevate per il loro vantaggio hanno raccolti gli operai in grandi masse entro uno spazio angusto. il contagio della delinquenza si fa terribilmente veloce ad inevitabile.

Le classi inferiori, per l'insegnamento morale e religioso che ricevono, sono spesso poco più da biasimare per il fatto che cedono alle tentazioni che per il fatto cadono vittime del tifo»15.

Basta! Il mezzo borghese Alison ci denuncia, sia anche in modo limitato, le cattive conseguenze delle grandi città per lo sviluppo morale degli operai. Un altro borghese completo, un uomo del cuore della Lega contro le leggi sul grano, il Dr. Andrea Ure16, ci denuncia l'altra parte. Egli racconta che la vita nelle grandi città agevolerebbe le cabale tra gli operai e darebbe forza alla plebe. Se qui gli operai non fossero educati (cioè educati all'obbedienza verso la borghesia) considererebbero la cosa da un solo lato, dal punto di vista di un sinistro egoismo e si lascierebbero condurre facilmente da astuti demagoghi — sarebbero capaci di considerare i loro migliori benefattori, i frugali e intraprendenti capitalisti, con occhio ostile e geloso. Qui sarebbe utile soltanto una buona educazione, senza la quale dovrebbero seguire la bancarotta nazionale ed altri orrori, poichè una rivoluzione di operai non potrebbe altrimenti tardare. E il nostro borghese ha completamente ragione con i suoi timori. Se la centralizzazione della popolazione agisce sviluppando e stimolando, già sulla classe dei possidenti, essa trascina innanzi ancor più rapidamente lo sviluppo degli operai. Gli operai incominciano a sentirsi una classe nel loro assieme e si accorgono che, quantunque siano individualmente deboli, uniti sono una forza; la separazione dalla borghesia, l'istruzione viene a dare ai lavoratori ed alla loro condizione di vita, idee e percezioni proprie, la coscienza sente d'essere oppressa e gli operai raggiungono una importanza sociale e politica. Le grandi città, sono il focolare del movimento operaio: in esse gli operai hanno in primo luogo incominciato a riflettere sulla loro condizione e a combattere contro essa; in essa apparve il contrasto tra la borghesia ed il proletariato, da esse sono usciti le unioni operaie, il Chartismo ed il socialismo.

Le grandi città hanno la malattia del corpo sociale, malattia che si presenta nella campagne sotto forma cronica, e in esse si trasforma in acuta; perciò è messa alla luce la vera natura della malattia ed indicato il modo adatto per curarla.

Senza le grandi città e la loro crescente azione sullo sviluppo della intelligenza, i lavoratori non sarebbero così innanzi come ora sono. Inoltre esse hanno spezzato le ultime vestigia dei rapporti patriarcali tra gli operai ed i padroni; a ciò contribuì anche la grande industria facendo gli operai dipendenti da un singolo borghese. La borghesia si lamenta di ciò ed ha ragione — poiché nel passato stato di cose il borghese era pressochè sicuro innanzi ad una ribellione degli operai. Egli poteva sfruttarli e dominarli a volontà e riceverne, per sopra mercato, ubbidienza, ringraziamenti e sottomissione dal popolo stupido, se gli lasciava andare oltre il salario, un po' di amicizia, che non gli contava nulla, e forse un piccolo vantaggio — e faceva tutto ciò con l'aria di chi dà qualche cosa per bontà di cuore, per un di più, e senza mai offrire la decima parte di quello che sarebbe stato obbligo.

Allorché il singolo borghese, posto nella condizione, non creata da lui, fece certamente almeno in parte il suo dovere, ma come membro della classe dominante — per il fatto che questa regna, è responsabile delle condizioni di tutto il paese e assume la difesa dell'interesse generale — egli non fece nulla di quello ch'egli era in obbligo di fare per la sua posizione, ma sfruttò inoltre tutto il paese pel suo privato interesse.

Quando erano in vigore le condizioni di vita patriarcale che nascondevano in modo ipocrita la schiavitù degli operai, l'operaio era morto intellettualmente, era del tutto ignaro del suo particolare interesse, era un semplice individuo privato.

Allorché in primo luogo si allontanò dal suo padrone, allorchè apparve evidente che egli era unito soltanto dall'interesse privato, soltanto dal guadagno di denaro, allorché l'apparente unione, che non resistette alla prova più lieve, volò via del tutto, allora l'operaio cominciò a riconoscere la sua posizione ed il suo interesse, e a svilupparsi da sé stesso; allora egli capì d'essere nel suo pensiero, nei sentimenti, nelle estrinsecazioni della volontà, lo schiavo della borghesia. Ed a questo hanno principalmente influito le grandi città e l'industria in grande.

Un altro fenomeno, che ebbe una notevolissima influenza sul carattere dell'operaio britannico, fu l'immigrazione irlandese, della quale già in tale senso tenemmo parola. Essa ha senza dubbio, come abbiamo veduto, in parte degradati gli operai inglesi, tolto forza alla civiltà e peggiorata la loro condizione — ma d'altra parte ha contribuito allo sprofondarsi dell'abisso tra operai e borghesia e così all'accelerazione delle approssimantesi crisi. Il corso della malattia sociale che affligge l'Inghilterra è eguale a quello di una malattia fisica; questa si sviluppa secondo certe leggi e ha le sue crisi, l'ultima e la più grave delle quali decide della sorte dell'ammalato. E poiché la nazione inglese non può perire in questa ultima crisi, ma, rinata e rinnovata, deve sorgere da essa, così si può sopra tutto augurare che la malattia raggiunga il suo culmine. E a ciò contribuisce ancora l'immigrazione irlandese mediante la natura irlandese vivace e appassionata che la naturalizza in Inghilterra e la porta nella classe operaia inglese. Irlandesi e Inglesi si trovano in molte circostanze come francesi e tedeschi, e la mescolanza del temperamento irlandese, leggero, irritabile, caldo con il temperamento inglese, tranquillo, perseverante, giudizioso, può col tempo soltanto essere favorevole a tutti e due. Il rozzo egoismo della borghesia inglese sarebbe rimasto molto più a lungo nella classe operaia, se non fosse stato sopraffatto fino alla spreco generoso del sentimento prevalente della natura irlandese e se il carattere inglese, giudizioso e freddo non fosse stato mitigato da una parte dalla fusione delle razze e dall'altra dai quotidiani rapporti.

Non ci meraviglieremo dopo tutto ciò, se la classe operaia inglese è a poco a poco divenuta del tutto un altro popolo che la borghesia inglese. La borghesia ha più affinità con tutte le altre nazioni della terra, che non con gli operai che le stanno accanto. Gli operai parlano un'altra lingua, hanno altre idee e nozioni, altri costumi ed altri principii morali, altra religione e altra politica che la borghesia. Sono due popoli completamente diversi, essi si differenziano come fossero due razze, e d'essi sinora sul continente ne abbiamo conosciuto uno soltanto: la borghesia. Ed è appunto l'altro, l'esistente popolo formato di proletari che ha la maggior importanza per l'avvenire dell'Inghilterra17.

Avremo da parlare più oltre del carattere pubblico dell'operaio inglese, come si manifesta nelle associazioni e nei principii politici — qui vogliamo far menzione soltanto dei risultati dei quali abbiamo raccolte le cause in quanto che queste agiscono sul carattere privato degli operai.

L'operaio è molto più umano del borghese nella vita comune. Io ebbi sopra di già a dire, che i questuanti sogliono rivolgersi quasi soltanto agli operai e che generalmente per il mantenimento dei poveri si fa più da parte degli operai che da parte dei ricchi. Questo fatto — che si può del resto constatare tutti i giorni — è constatato pure dal signor Parkinson, Canonikus di Manchester:

«I poveri si danno reciprocamente di più di quello che i ricchi dieno ai poveri. Io posso confermare quanto asserisco con la testimonianza di uno dei nostri medici tra i più vecchi, più abili, più umani, con la testimonianza del dottor Bardsley. Questi ha pubblicamente dichiarato che la somma totale che i poveri si danno reciprocamente ogni anno, sorpassa quella che nello stesso tempo versano i ricchi»18.

Anche l'umanità degli operai si mostra ovunque gioviale. Essi hanno conosciuto il loro duro destino e possono quindi nutrire simpatia per coloro che sono in miseria; per essi ogni uomo è un uomo, mentre l'operaio è per il borghese meno che un uomo. Essi, operai sono più socievoli e più cortesi dei possidenti; quantunque abbiano bisogno di denaro , sono meno avidi perché per essi il denaro ha soltanto un valore per comperare quello di cui hanno bisogno, mentre per il borghese il denaro ha un valore particolare, un valore in sè, il valore di un dio e fa così del borghese un uomo-denaro volgare e sudicio. L'operaio che non conosce questo sentimento di venerazione per il denaro, non è quindi così avido come il borghese, il quale fa ogni cosa soltanto per guadagnar denaro e vede lo scopo della vita nell'accumulazione d'esso. Perciò anche l'operaio più ingenuo ha gli occhi più aperti per i fatti che il borghese, e non considera tutto a seconda dell'egoismo. È protetto dalla sua imperfetta cultura contro i pregiudizi religiosi: egli non ne capisce nulla, non si tormenta per essi, non conosce il fanatismo, che tiene prigioniera la borghesia, e, se ha un po' di religione, questa è soltanto nominale, mai teorica — vive praticamente soltanto per questo mondo e cerca di farsi cittadino d'esso.

Tutti gli scrittori della borghesia s'accordano nel dire che gli operai non hanno religione e che non vanno in chiesa. In ogni caso sono da eccettuarsi gli irlandesi, i vecchi, quindi i mezzo borghesi, i guardiani, i mastri e simili. Ma nella massa si trova quasi ovunque una indifferenza completa verso la religione, e se si va in alto si trova un po' di deismo, troppo poco sviluppato perché possa dare più di semplici parole o provocare un po' più di un vago terrore innanzi ad espressioni come infedele e ateo.

Il clero di tutte le sètte è in cattiva considerazione presso gli operai, quantunque abbia perduto la sua influenza su questi principalmente negli ultimi tempi: ora è messo in modo che il semplice grido: he is a parson — egli è un prete! — è sufficiente a far gettar giù dalla tribuna delle pubbliche adunanze un clericale. E come già sopratutto la condizione di vita, così pure la mancanza dell'educazione religiosa e d'altra specie, contribuisce a preservare gli operai, più semplici e più liberi del borghese, da principii fissi e da opinioni fatte. Quest'ultimo sta immerso nei pregiudizi della sua classe che gli furono dalla gioventù inculcati fino sopra le orecchie; con lui non v'è nulla da fare: egli è essenzialmente, pure se in forma liberale, conservatore, il suo interesse è unito a ciò che esiste, egli è insensibile ad ogni movimento. Il borghese non è più a capo dello sviluppo storico: gli operai prima di diritto, poi di fatto, ne occupano il posto.

Questo e la conseguente attività pubblica degli operai, che più tardi termineremo di esaminare, sono i lati favorevoli del carattere della classe operaia; i lati sfavorevoli si riassumono pure altrettanto rapidamente e derivano, come è naturale, dalle cause citate. La passione del bere, l'irregolarità del commercio sessuale, la rozzezza, la mancanza di rispetto verso la proprietà, sono i punti principali che il borghese rimprovera all'operaio.

Che questi beva molto è un fatto, e non sarebbe d'attendersi altrimenti. Sheriff Alison afferma che, in Glasgow, ogni sabato sera, sono ubbriachi trentamila operai e tale cifra non è certamente lieve; che in questa città nel 1830 v'era una taverna d'acquavite ogni dodici case e nel 1840 una su dieci case; che in Iscozia nel 1823 vennero daziati 2,300,000 di galloni19 d'acquavite, nel 1837, 6,620.000, e in Inghilterra nel 1823, 1.076,000, nel 1837, 7.875,00020. La legge sulla birra del 1830, che facilita lo stabilimento delle case di birra, le cosidette Jerry-Shops — di cui è concessionario il proprietario per la vendita della birra, to be drunk the premises (che deve esser bevuta in casa) — facilita pure il diffondersi della passione del bere, di modo che tale legge ha creato quasi innanzi ad ogni porta un'osteria. Quasi in ogni strada si trovano parecchie di queste case di birra, e, mentre in campagna due o tre case stanno assieme, qui può dirsi senza tema d'errore che vi è una sola Jerry-Shops. Inoltre vi sono ancora in gran numero le Hush-Shops, cioè le taverne abusive che non sono concessionate, e appunto molte distillerie, che si trovano ne quartieri remoti delle grandi città raramente visitati dalla polizia, producono una grande quantità di questa bevanda. Gaskell fa ammontare tali Hush-Shops solo in Manchester a più di cento e a non meno di 156,000 galloni la loro produzione annua. In Manchester vi sono inoltre più di mille osterie, quindi adunque in rapporto al numero delle case, almeno tante quanto Glasgow. Di tutte le altre città si dica l'egual cosa.

E se si riflette ancora all'infuori delle conseguenze comuni della passione del bere, che gli uomini e le donne di ogni età, pure dei ragazzi, spesso delle madri con i loro figli in braccio stanno assieme con le vittime cadute nel più basso del regime borghese, con ladri, imbroglioni e prostitute, se si riflette che talune madri ad allattanti, che portano sulle braccia, danno da bere dell'acquavite, si ammetterà l'azione demoralizzatrice che esercita la frequenza di tali luoghi. Specialmente al sabato sera, in cui è riscosso il salario e un po' prima del consueto viene lasciato il lavoro, quando tutta la classe operaia dai suoi pessimi quartieri si spande nelle vie principali, si può vedere l'ubbriachezza in tutta la sua brutalità. Io sono raramente uscito in una di tali sere da Manchester, senza incontrare una folla di barcollanti o di ubbriachi dispersi sull'acciottolato. Alla domenica sera suole rinnovarsi la medesima scena, soltanto meno rumorosa.

E quando il denaro è consumato, i bevitori vanno al primo Monte di Pietà, ve n'è una folla in ogni grande città — in Manchester più di sessanta e in una sola strada di Salford (Chapel-Street) da dieci a dodici — e impegnano quello che ancora possiedono: mobilio, vestiti da festa quando esistono, fornimenti ecc. vengono ogni sabato portati in massa ai Monti di Pietà, quasi sempre sono riscattati prima del prossimo mercoledì sino a che alla fine un caso fa impossibile il disimpegno, e un pezzo dopo l'altro va in mano dell'usuraio, sino a che questi non vuol più dare un soldo per le cose divenute inutili e troppo usate.

Chi ha potuto osservare con i propri occhi il diffondersi della passione del bere in Inghilterra, crede senza difficoltà a quanto dice Lord Ashley21, il quale afferma che la classe operaia spende ogni anno venticinque milioni di lire sterline per bevande spiritose — ognuno può facilmente pensare quale deterioramento ne deriva allo stato esteriore, quale terribile rovina della salute intellettuale e fisica, quale guasto di tutti i rapporti famigliari. Le unioni di temperanza hanno in vero fatto molto, ma quale effetto possono avere un duecento «Teetotellers» su milioni di operai? Quando il padre Mathew, l'apostolo irlandese della temperanza, viaggia attraverso le città inglesi, dai trenta a sessanta mila operai fanno il voto di non bere, ma dopo quattro settimane esso è dai più dimenticato. Se ad esempio si formano le masse di quelli che negli ultimi tre o quattro anni hanno fatto voto di temperanza, si ha più gente di quella che abita nella città —e non si nota che la passione del bere decresca.

Accanto alla sfrenata passione delle bevande spiritose si forma la passione del commercio carnale, uno dei vizii principali di molti operai inglesi. Anche questa deriva, come conseguenza ferrea, come selvaggia necessità, dalla condizione di una classe che si abbandona a sé stessa senza possedere il mezzo di fare adatto uso di questa libertà. La borghesia le ha lasciato soltanto questi due piaceri, mentre le ha imposto una grande quantità di sofferenze e di fatiche, e ne è conseguenza che gli operai, per avere nondimeno un po' di vita, concentrano tutta la passione in questi due piaceri e si danno ad essi nel modo più irregolare ed eccessivo.

Se si costringe la gente a rimanere in una condizione che può essere adatta alle bestie, non le può rimaner altro che ribellarsi o immergersi nella vita bestiale. E se la borghesia inoltre contribuisce in buona parte al diretto estendersi della prostituzione, essa ha ben poco il diritte di biasimare gli operai per la loro brutalità sessuale — quante delle quarantamila donne di piacere, che empiono22 ogni sera le vie di Londra, vi vivono della virtuosa borghesia? — quante d'esse hanno a ringraziare la seduzione di un borghese, poiché devono offrire in vendita i loro corpi ai passanti, per vivere?

Gli errori degli operai consistono sopratutto nella sfrenata ricerca piacere, nella mancanza di previdenza e di adattamento all'ordine sociale, sopratutto nell'incapacità di resistere e sacrificare il piacere momentaneo al lontano vantaggio. Ma ciò, come dovrebbe meravigliare? Una classe che può ottenere in compenso del suo aspro lavoro poco, e soltanto piaceri sessuali, non deve gettarsi follemente e ciecamente in essi? Una classe della cui educazione nessuno si cura, che è sottoposta a tutti i possibili accidenti, che non conosce alcuna sicurezza di vita, qual ragione, quale interesse ha di praticare la previdenza, di condurre una vita «morigerata» e invece di approfittare del favore del momento, di pensare ad un piacere lontano, che è per essa e per la sua situazione eternamente vacillante, molto incerto? Come si può pretendere che una classe che deve sopportare tutti gli svantaggi dell'ordine sociale senza averne i vantaggi, che una classe a cui questo ordine sociale sembra soltanto nemico, deva rispettarlo? Questo in vero sarebbe troppo. Ma la classe operaia non può sfuggire all'ordine sociale sinché esso esiste; e se il singolo operaio s'erige contro esso, cade su di lui il più grande danno. Così l'ordine sociale fa quasi impossibile all'operaio la vita di famiglia; una casa inabitabile e sporca che è appena sufficiente per il rifugio notturno, male ammobiliata e spesso senza riparo dalla pioggia e non riscaldata, una atmosfera umida in una camera piena di persone, non permettono alcuna vita famigliare; l'uomo lavora tutto il giorno, forse anche la moglie e i ragazzi più vecchi e tutti in luoghi diversi; essi si vedono soltanto alla mattina ed alla sera, da qui le visite continue alle bettole; dove può esistere la vita di famiglia? Tuttavia l'operaio non può sfuggire la famiglia, egli deve vivere nella famiglia e ne sono conseguenza le continue liti, le discordie che agiscono sui coniugi e specie pei ragazzi nel modo più demoralizzante?

La trascuratezza di tutti i doveri famigliari e dei figli è soltanto troppo frequente tra gli operai inglesi ed è prodotta dalla odierna organizzazione della società. E i ragazzi elevati a questo modo in un ambiente dei più demoralizzati, in un ambiente a cui appartengono ed in cui crescono i genitori stessi, come possono di poi divenire morali? E realmente troppo ingenuo quanto il borghese, contento di sé, chiede all'operaio.

Il disprezzo per l'ordine sociale si mostra nella forma più chiara nella delinquenza. Quando le cause che demoralizzano l'operaio sono più forti e decisive del solito, l'operaio diviene delinquente con l'eguale certezza con cui l'acqua a 80 gradi Réaumur si trasforma dallo stato liquido in quello aeriforme. L'operaio per il brutale o brutalizzante trattamento della borghesia diviene appunto una cosa senza volontà come l'acqua, ed è appunto sottoposto all'egual necessità delle leggi della natura — per lui cessa ad un certo punto ogni libertà. Con l'estendersi del proletariato è quindi aumentata pure la delinquenza in Inghilterra e la nazione inglese è divenuta la nazione che conta il maggior numero di delinquenti. Dalle «Tabelle criminali» pubblicate annualmente dal Ministero dell'interno risulta che in Inghilterra la delinquenza è aumentata con incredibile velocità. Ecco le cifre degli arrestati per atti criminali soltanto nell'Inghilterra e nel Galles:

Nell'anno 1805

4,605

Nell'anno 1810

5,146

Nell'anno 1815

7,898

Nell'anno 1820

13,710

Nell'anno 1825

14,437

Nell'anno 1830

18,107

Nell'anno 1835

20,731

Nell'anno 1840

27,787

Nell'anno 1841

27,760

Nell'anno 1842

31,309

Adunque in 37 anni gli arrestati sono moltiplicati sette volte. Di questi arrestati nel 1842 soltanto al Lancashire ne spettano 4,497, adunque il 14 per cento, e al Middlesex (inclusa Londra) 4,094, adunque più del 13 per cento. Così noi vediamo che due distretti che includono grandi città con molti proletari danno più del quarto di tutti i delinquenti, quantunque la loro popolazione totale non raggiunga il quarto di tutto il paese.

Le tabelle criminali provano ancora in modo diretto che quasi tutti i delinquenti vengono dal proletariato, poichè nel 1842 per ogni cento delinquenti in media 32.35 non sapevano nè leggere, nè scrivere; 58.32 sapevano leggere e scrivere insufficientemente; 6.77 scrivevano e leggevano bene; 0.22 avevano un'educazione superiore e di 2.34 non si potè stabilire quale coltura avessero.

In Iscozia la delinquenza è aumentata ancor più sollecitamente. Nel 1819 vi furono soltanto 89 arrestati per atti criminali; nel 1837 ve ne sono già 3,176 e nel 1843 ben 4,189. Nel Lanarkshire ove Sheriff Alison ebbe a redigere il rapporto ufficiale, la popolazione si è raddoppiata in trenta anni, mentre la delinquenza s'è raddoppiata ogni cinque anni e mezzo, a dunque è aumentata sei volte più rapidamente che la popolazione. I delinquenti stessi, come in tutti i paesi civilizzati, lo sono nella grande maggioranza, per attentati contro la proprietà, che hanno la loro origine nella mancanza di questa o quella cosa, poiché chi ha non ruba. Il rapporto dei delinquenti contro la proprietà che sta nei Paesi Bassi alla cifra di popolazione come 1: 7140, in Francia come 1:804, come scrive Gaskell, sta in Inghilterra come 1: 799; il rapporto dei delinquenti contro le persone, sta alla cifra di popolazione nei Paesi Bassi come 1: 28904, in Francia come 1: 17573, in Inghilterra come 1: 23395; nei distretti agricoli il rapporto della delinquenza sta alla cifra di popolazione come 1: 1043, nelle città industriali come 1: 84023; in tutta l'Inghilterra tale rapporto ora sta appena come 1: 66524 e sono appena dieci anni dacché apparve il libro del Gaskell!

Questi fatti sono invero più che sufficienti per far riflettere e meditare qualsiasi persona, pure un borghese, sulle conseguenze di una tale condizione di cose. Se la demoralizzazione ed i delinquenti aumentano ancora in vent'anni in tale misura — e se l'industria inglese in questi vent'anni è meno fortunata di quello che fu finora, la progressione della delinquenza deve ancora accelerare — quale ne sarà il risultato? Noi vediamo già ora la società in completa dissoluzione, noi non possiamo prendere in mano un giornale senza dovervi leggere in fatti significantissimi rallentamento di tutti i legami sociali. Prendo a caso dai cumuli di giornali inglesi che mi stanno innanzi; ecco qui un Manchester Guardian (30 ottobre 1884), che dà relazione di tre giorni; esso non si cura che di dare le sole notizie di Manchester e racconta semplicemente i fatti più interessanti: che in una fabbrica gli operai per ottenere un salario più alto, avevano sospeso il lavoro e che erano stati costretti dal giudice di pace a riprenderlo; che in Salford un paio di ragazzi avevano commesso un furto e che un mercante bancarottiere aveva voluto ingannare i suoi creditori. Più minute sono le notizie dei sobborghi: in Ashton due furti, uno scassinamento, un suicidio; in Bury un furto; in Oldham una sospensione di lavoro per causa di salario, un furto, una lite tra donne irlandesi, un cappellaio non appartenente all'unione operaia maltrattato dai soci dell'unione, una madre battuta da suo figlio; in Rochdale una serie di liti, un'aggressione contro la polizia, un furto in chiesa; in Stockport malcontento degli operai causa il salario, un furto, un imbroglio, una lite, un uomo che maltratta la moglie; in Warrington un furto e una lite; in Wigan un furto e una ruberia in chiesa.

Le notizie dei giornali inglesi sono ancora peggiori: imbrogli, furti, rapine, liti in famiglia si incalzano; prendiamo un Times (12 settembre 1844) che parla solo dei fatti di un giorno: esso narra di un furto, di un'aggressione contro la polizia, di una sentenza che costringe un padre a mantenere un figlio illegittimo, dell'abbandono di un bimbo da parte dei suoi genitori e dell'avvelenamento di un uomo da parte di sua moglie. Cose eguali si trovano in tutti i giornali inglesi. In questo paese la guerra sociale è scoppiata completamente; ognuno pensa a sè stesso e letta per sè contro tutti gli altri; e, se egli deve o no far danno a tutti gli altri, che sono nemici dichiarati, dipende soltanto dal calcolo egoistico su ciò che a lui è di maggior vantaggio. Non avviene più ad alcuno di intendersi in via pacifica con i suoi simili; tutte le differenze finiscono con minacce, con difese personali al tribunale. Breve: ognuno vede nell'altro un nemico, del quale vuol sgombrare la via o tutto al più un mezzo da sfruttarsi a proprio vantaggio. E questa guerra, come lo provano le tabelle criminali, diviene ogni anno più aspra, più appassionata, più implacabile; l'ostilità a poco a poco si divide in due grandi campi, che marciano l'uno contro l'altro: la borghesia quì, il proletario là. Questa guerra di tutti contro tutti e del proletariato contro la borghesia non ci deve meravigliare, poichè essa è soltanto la conseguenza del principio che ristà nella libera concorrenza; ma ben piuttosto ci dobbiamo meravigliare che la borghesia contro la quale giornalmente si radunano nuove e minacciose nubi di tempesta, rimanga sì tranquilla e noncurante, come essa possa leggere ogni giorno nei giornali queste cose senza, noi non vogliamo dire sdegno della condizione sociale, ma senza sentire terrore innanzi le sue conseguenze, innanzi ad uno scoppio generale di quanto è messo in luce dalla delinquenza.

Ma appunto perciò essa è borghesia e non può dal suo punto di vista accorgersi dei fatti e pesarne le conseguenze. Soltanto questo è stupefacente: che pregiudizi di classe e opinioni fisse nella testa abbiano colpita di cecità al più alto grado, vorrei dire ad un grado pazzesco, tutta una classe d'uomini. Lo sviluppo della nazione procede nella sua mania, i borghesi possono o no avere per sé gli occhi, e un bel mattino la classe proprietaria sarà sorpresa da cose di cui per la sua sapienza non ha mai sognato.


Note

1. Se io parlo, qui e in altre parti della società come di un assieme responsabile, che ha i suoi diritti e doveri, si capisce che io con ciò indico il potere della società, quella classe adunque che nel presente possiede il dominio sociale e politico e con ciò nel tempo medesimo la responsabilità per la condizione di quella che non ha alcun potere. In Inghilterra questa classe dominante è, come in tutti gli altri paesi civili, la borghesia. Ma che la società e specialmente la borghesia abbiano il dovere di sostenere nella sua vita ogni membro della società, ed aver cura ad esempio per ciò che nessuno muoia di fame, io non ho bisogno di provarlo ai miei lettori tedeschi. Io scrissi per la borghesia inglese; ora sarebbe tutt'altra cosa (1892). Come tutto questo s'è cambiato dopo cinquant'anni! Oggi vi sono dei borghesi inglesi che riconoscono gli obblighi della società verso i singoli membri della stessa; ma i borghesi tedeschi?!?

2. Dott. ALISON, Manag. of Poor in Schotland.

3. Dott. ALISON, in un articolo letto innanzi alla British Association for the Advancement of Science in. York, ottobre 1844.

4. Dott. ALISON, Manag. of Poor in Schotland.

5. The Manufacturing Population of England, c. 8 [pp. 229-230]

6. Report of Commission of Inquiry into the Employment of Children and Young Persons in Mines and Collieries and in the Trades and Manufactures in which Numbers of them work thogether, not being included under the Term of the Factories Regulation Act. First and second Reports. Grainger's Rept., second Rept. Normalmente citato come Children's Employment Commission's Rept., una delle migliori fonti ufficiali, che contiene un gran numero di fatti del più gran valore e dei più spaventosi. Il primo rapporto uscì nel 1841, il secondo due anni più tardi

7. Fifth Annual Report of Reg. Gen. of Birth, Deaths and Marriages.

8. Confronta: Report of Commission of Inquiry into the State of large Towns and populous Districts, first Report, 1844, Appendix.

9. Factories Inquiry Commission's Report, 3rd vol. Report of Dr. Hawkins on Lancashire, dove il Dr. Roberton viene citato come autorità “la più alta autorità per la statistica in Manchester.„

10. Arts and Artizans.

11. Princ. of Popul, vol. II, p. 196, 197.

12. Vedremo in seguito come la ribellione del proletario contro la borghesia sia legittimata legalmente in Inghilterra dal diritto della libera associazione.

13. Chartism, p. 34 ss.

14. Devo pur qui far parlare per me le testimonianze dei borghesi? Io ne scelgo soltanto una che si può leggere in Adam Stnith, Wealth of Nations (edizione citata) vol 3, lib. 3, cap. 8, pag. 297.

15. Princ. of population, vol. II, p. 76 ss., p. 135.

16. Philosophy of Manufactures. London. 1835. Noi avremo da parlare ancora di questo bel libro. I passi citati sono a pag. 406 e seguenti.

17. (1892) La stessa idea che la grande industria ha divisi gl'inglesi in due nazioni distinte, è come tutti sanno, per caso, nell'egual epoca, stato espresso dal Disraeli nel suo romanzo: “Sybil, or the two Nations„.

18. On the present Condition of the Labouring Poor in Manchester ecc., by the Rev. Rd. Parkinson, Canon of Manchester, 3rd edit. London and Manchester, 1841.

19. Gàllon misura inglese di circa 5 litri (n.d.t.).

20. Princ. of Popul. passim.

21. Seduta della Camera bassa del 28 febbraio 1843.

22. Sheriff Alison, Princ. of Popul. vol. II.

23. Manuf. Popul. of Engl. chapt 10.

24. Il numero dei delinquenti convinti (22,733) diviso per la cifra di popolazione (circa 15 milioni).



Ultima modifica 2019.07.31