La situazione della classe operaia in Inghilterra (1845)

Friedrich Engels


Versione di Leonardo Maria Battisti, novembre 2017

Dedica

Oh Operai, a voi dedico un'opera in cui ho cercato di presentare ai miei compatrioti tedeschi un quadro fedele delle vostre condizioni, delle vostre sofferenze e lotte, delle vostre speranze e prospettive. Ho vissuto abbastanza a lungo fra voi per sapere un che delle vostre condizioni d'esistenza, al cui studio ho dedicato la più seria cura, studiando i vari documenti ufficiali e non ufficiali, per quanto possibile. Ma ciò non mi bastò: volli di più della semplice conoscenza astratta del mio soggetto, volevo vedervi nelle vostre stesse case, osservarvi nella vostra vita giornaliera, parlare con voi sui vostri stato e tormenti, assister alle vostre lotte contro il potere sociale e politico dei vostri oppressori. Così feci: ho lasciato la compagnia, i trattenimenti, il vino di porto e lo champagne delle classi medie; ho dedicato le mie ore libere quasi solo a frequentare semplici operai; sono lieto e fiero di averlo fatto. Lieto di trascorrere ore felici imparando a conoscere la realtà della vita (ore che altrimenti sarebbero state dissipate in discorsi mondani e in tediosi cerimoniali); fiero d'aver la possibilità di far giustizia ad un'oppressa e calunniata classe di uomini che, pur con tutti i loro difetti e in mezzo a tutti i disagi della loro situazione, suscitano rispetto a chiunque eccetto un affarista inglese; fiero inoltre di difender il popolo inglese dal disprezzo crescente che la politica brutalmente egoistica e la condotta generale della vostra classe media dominante ha d'uopo prodotto sul continente.

Intanto, avendo ampia occasione d'osservar le classi medie, vostre avversarie, tosto ho concluso che voi avete affatto ragione a non attender alcun appoggio da esse. Il loro interesse è diametralmente opposto al vostro, benché esse cerchino sempre di sostenere il contrario e di convincervi della più viva simpatia per la vostra sorte. Le loro azioni le smentiscono. Io spero d'aver raccolto prove sufficienti a provar che (checché siano le loro parole) invero le classi medie mirano solo ad arricchirsi col vostro lavoro, finché possono venderne il prodotto, e a farvi morir di fame, tostoché non possono più trarre profitto da tale commercio indiretto di carne umana. Che cosa le classi medie hanno fatto per provar la buona volontà che professano verso di voi? Hanno mai fatto caso alle vostre lagnanze? Cosa hanno fatto oltre a pagar le spese d'una mezza dozzina di commissioni d'inchiesta, i cui voluminosi rapporti sono condannati al sonno eterno fra cataste di cartacce nelle scansie del ministero dell'interno?

Hanno almeno tratto da questi maceri libri azzurri un solo libro leggibile, in cui ognuno possa trovar facilmente qualche informazione sulle condizioni della gran maggioranza dei britanni nati liberi? No. Naturalmente queste sono cose di cui le classi medie non amano parlar: hanno lasciato ad uno straniero il compito di informare il mondo civile sulla situazione degradante in cui siete costretti a vivere.

Uno straniero per loro, non per voi, spero. Benché il mio inglese non sarà perfetto, mi auguro che voi lo troverete chiaro. In Inghilterra (e in Francia) mai alcun operaio mi ha trattato da straniero. Con grande gioia ho osservato che vi ho veduti immuni da quella terribile maledizione che sono i nazionalismi che, in definitiva, sono solo egoismo all'ingrosso. Ho visto che simpatizzate con chiunque (sia o no inglese) lotti per il progresso umano; che ammirate le cose grandi e buone (siano o no sul vostro suolo natio), ho trovato che siete più che puri inglesi, più che membri di una singola nazione isolata: siete uomini, membri della grande famiglia dell'umanità, consci che gli interessi vostri e di tutto il genere umano coincidono. E come membri della famiglia dell'umanità «una e indivisibile», come esseri umani nel senso più pieno della parola, io e molti altri sul continente, salutiamo il vostro progresso in ogni direzione e vi auguriamo un rapido successo. Avanti allora come avete fatto finora. Molto resta da affrontare; siate decisi, siate intrepidi, il vostro successo è certo, e nessun passo della vostra marcia in avanti sarà perso per la nostra causa comune, la causa dell'umanità!

Barmen (Prussia renana), 15 marzo 1845 Friedrich Engels

Prefazione del 1845

Le seguenti pagine trattano un argomento che all'inizio volevo svolgere solo come capitolo singolo di un lavoro più ampio sulla storia sociale dell'Inghilterra, ma l'importanza dell'argomento tosto mi costrinse a dargli un'opera a sé stante. La situazione della classe operaia è il terreno reale e il punto di partenza di tutti i movimenti sociali contemporanei, poiché è la vetta più alta e visibile della nostra attuale miseria sociale. Il comunismo degli operai francesi e tedeschi è il suo prodotto diretto; il fourierismo e il socialismo inglese, come pure il comunismo della borghesia colta tedesca, ne sono il prodotto indiretto. Onde conoscere le condizioni del proletariato è una necessità indispensabile per dar salde basi alle teorie socialiste da un lato, ai giudizi sulla loro legittimità dall'altro; e per porre fine a tutti i sogni e le fole pro et contra. Ma le condizioni del proletariato nella loro forma classica e compiuta esistono solo nell'Impero britannico, specie nell'Inghilterra vera e propria; ed insieme solo in Inghilterra il materiale necessario e completo si è raccolto e si è acclarato con inchieste ufficiali, nel modo uopo per un esauriente trattazione dell'argomento.

Per ventun mesi ebbi agio sia di conoscere da vicino, con l'osservazione e i rapporti personali, il proletariato inglese, le sue aspirazioni, le sue sofferenze e le sue gioie, sia di completar le mie osservazioni ricorrendo alle necessarie fonti autentiche. Ciò che ho visto, udito e letto è rielaborato in questo scritto. Mi aspetto di veder attaccati da molte parti, oltre al mio punto di vista, i fatti riportati, specie se il mio libro cadrà in mani di inglesi; e so molto bene che qua e là mi si potrà provar qualche inesattezza insignificante, che manco un inglese potrebbe evitare, data l'estensione del soggetto e delle sue premesse, tanto più che manco in Inghilterra esiste ancora un'opera che, come la mia, tratti di tutti gli operai. Ma oso sfidare la borghesia inglese a provare (e a provarlo con prove autentiche, come quelle che ho portato io) un'inesattezza in un solo fatto che sia di una qualche rilevanza dal punto di vista generale.

In particolare per la Germania ha grande rilevanza la descrizione delle classiche condizioni del proletariato dell'Impero britannico, specie ai giorni nostri. Il socialismo e il comunismo tedeschi sono partiti più degli altri da premesse teoriche; noi teorici tedeschi conoscevamo ancora ben poco il mondo reale per poter essere spinti direttamente da situazioni reali a riformare questa «cattiva realtà». Niun fautore di tali riforme è giunto al comunismo se non dalla dissoluzione della speculazione hegeliana fatta da Feuerbach. Le reali condizioni di vita del proletariato sono così ignote fra noi che pure le ben intenzionate «Unioni per il miglioramento delle classi lavoratrici», in cui la nostra borghesia bistratta la questione sociale, prendono sempre le mosse dalle più ridicole ed assurde opinioni sulla situazione degli operai. Su tale questione soprattutto a noi tedeschi serve conoscere i fatti. Pure alla base delle condizioni del proletariato tedesco (benché non siano giunte alla forma classica di quelle inglesi) c'è lo stesso ordine sociale che, prima o poi, sarà spinto agli stessi estremi cui è giunto al di là del Mare del nord, se la nazione non capisce in tempo la necessità d'attuar misure che diano una nuova base a tutto il sistema sociale.

Pure in Germania ci sono gli stessi fattori fondamentali che in Inghilterra hanno prodotto la miseria e l'oppressione del proletariato, e col tempo devono produrre gli stessi risultati. Ma intanto la constatata miseria inglese ci offrirà l'occasione di constatare pure la nostra miseria tedesca, ci fornirà un metro per misurare la sua estensione e la gravità del pericolo (esibito dai disordini scoppiati in Slesia e in Boemia) che da questo lato minaccia l'immediata quiete della Germania.

Mi restano infine da far due osservazioni. In primo luogo, io ho sempre usato la parola classe media nel senso inglese di middle-class (o, come si dice quasi sempre: middle-classes) ove essa, come il francese bourgeoisie, indica la classe abbiente, specie quella diversa dalla cosiddetta aristocrazia: cioè quella classe che detiene il potere statale, direttamente in Francia e in Inghilterra e indirettamente in Germania in quanto «opinione pubblica». Del pari, io ho sempre usato come sinonime le parole: operai (working men); proletari, classe operaia; classe non abbiente e proletariato. In secondo luogo, io ho indicato nella maggior parte delle citazioni il partito cui appartengono gli autori citati a sostegno delle mie tesi perché, perlopiù, i liberali danno risalto alla miseria delle zone agricole ma negano quella delle zone industriali; invece, i conservatori riconoscono la miseria delle zone industriali, ma non vogliono saperne di quella delle zone agricole. Per lo stesso motivo, ove mi mancavano i documenti ufficiali circa gli operai dell'industria ho preferito la testimonianza di un liberale, per colpire la borghesia liberale stesse parole, e mi sono richiamato ai tories o ai cartisti solo se vidimavano l'esattezza della mia osservazione diretta, o se la verità dell'asserto fosse garantita dalla personalità morale o intellettuale dell'autore citato.

Barmen, 15 marzo 1845 Friedrich Engels

Prefazione del 1892

Il libro ivi ripresentato al pubblico tedesco uscì per la prima volta nell'estate del 1845. Nel bene come nel male reca l'impronta della gioventù dell'autore. Allora io avevo 24 anni; oggi ne ho tre volte tanti, e rivedendo tal opera giovanile, trovo che non ho affatto da vergognarmene. Onde non penso affatto di cancellare quell'impronta. Immutato io ripresento il lavoro al lettore. Solo ho riformulato alcuni passi un po' oscuri con più chiarezza, e qui e là ho apposta qualche breve nota a piè di pagina segnandola con la data dell'anno (1892).

Delle sorti di tale libro ricordo solo che nel 1887 ne uscì a New York la traduzione inglese (della signora Florence Kelley Wischnewetzky), che fu ristampata nel 1892 a Londra da Swan Sonnenschein & Co. Sulla prefazione all'edizione americana si fonda quella inglese, e su quella si fonda questa prefazione tedesca. La moderna grande industria ha reso simili le economie di tutti i paesi che abbraccia onde ho poco da dire al lettore tedesco di diverso da ciò che ho detto al lettore americano ed inglese.

Lo stato di cose descritto in questo libro appartiene oggi perlopiù al passato, almeno per ciò che riguarda l'Inghilterra. Benché non è espressamente detto nei manuali patentati, è tuttavia una legge della moderna economia politica, che quanto più si sviluppa la produzione capitalistica, tanto meno essa può restare alle piccole pratiche dell'inganno e della frode caratteristici dei suoi gradi anteriori. Le meschine astuzie dell'ebreo polacco (che incarna il grado più basso del commercio europeo) gli stessi raggiri che in patria gli rendono sì eccellenti servigi e sono gli generalmente adottati, gli nuocciono se ei viene a Berlino od Amburgo. Parimenti se il commissionario ebreo o cristiano va da Berlino o da Amburgo alla borsa di Manchester, trovava, non molto tempo fa, che per comprar a buon prezzo filo o tessuto, doveva deporre quei più raffinati ma sempre meschini artifici e quelle manovre, che in patria valevano come vetta dell'abilità negli affari. Certo pure in Germania col progresso della grande industria molte cose devono esser mutate e, specie dopo la Jena industriale [alla VIª Esposizione Industriale Mondiale] di Filadelfia1, dev'essersi screditata pure il vecchio principio tedesco di probità che alla gente piaccia se noi le inviamo buoni campioni e poi cattive merci! E di fatto tali artifici e raggiri non sono più redditizi in un grande mercato, ove il tempo è denaro sviluppando una certa moralità commerciale solo per non perder tempo e fatica per nulla, non per eccesso di virtù. Lo stesso è capitato in Inghilterra nei rapporti del fabbricante coi suoi operai.

Dopo la crisi del 1847, la ripresa degli affari segnò l'inizio di una nuova epoca industriale. L'elisione delle leggi sul grano e le conseguenti riforme finanziarie, diedero all'industria ed al commercio inglesi tutto il campo d'azione desiato. Subito dopo venne la scoperta dell'oro californiano e australiano. I mercati coloniali svilupparono in misura crescente la loro capacità di assorbire i prodotti industriali inglesi. Il telaio meccanico di Lancashire espulse definitivamente milioni di tessitori indiani. La Cina si aprì sempre più al commercio. Ma l'America soprattutto si sviluppò in modo súbito pure per questo paese dal progresso gigantesco; senza scordar che l'America era allora solo uno, anzi il più grande mercato coloniale (cioè un paese che esportava materie prive ed importava prodotti, in questo caso dall'Inghilterra).

Inoltre alla fine dell'ultimo periodo, l'introduzione di nuovi mezzi di comunicazione (ferrovie e transatlantici) finalmente internazionali, attuò ciò che fino ad allora esisteva solo in potenza: il mercato mondiale .

Tale mercato mondiale allora constava ancora perlopiù o solo d'una costellazione di paesi agricoli attorno ad un grande centro industriale: l'Inghilterra. L'Inghilterra importava la maggior parte delle materie prime offrendo la maggior parte del loro fabbisogno di prodotti industriali. Non stupisce così che il progresso industriale dell'Inghilterra fu sì colossale e inaudito che in confronto il livello del 1844 pare oggi irrilevante, quasi primitivo.

Come si attuò tale progresso, così la grande industria si moralizzò nei suoi fenomeni esteriori. La concorrenza fra fabbricante e fabbricante mercé piccoli furti a danno degli operai, andò in disuso. Gli affari erano divenuti troppo grandi, da fare denaro senza mezzi così miserabili; il fabbricante milionario aveva di meglio da fare che perdere il suo tempo con simili raggiri. (I raggiri convengono solo alla genterella che deve arraffare ogni soldo per non soccombere nella concorrenza). Così sparì il truck system2 dai distretti industriali; passarono il bill delle dieci ore e tutta una serie di piccole riforme: tutte cose contro lo spirito del libero scambio e la concorrenza sfrenata, ma che facevano ancor più forte la concorrenza dei grandi capitalisti di fronte ai loro sfavoriti colleghi d'affari.

Ancora. Più grande era uno stabilimento industriale e più numerosi i suoi operai, tanto maggiore è il danno agli affari che arreca ogni conflitto coi lavoratori. Onde un nuovo spirito penetrò i fabbricanti, specie più grossi, col tempo con il tempo: evitar i conflitti non necessari; rassegnarsi all'esistenza e alla forza delle Trades Unions; scoprir negli scioperi (se proclamati al tempo giusto) un mezzo efficace per attuar i loro stessi scopi. Così i maggiori fabbricanti, già in testa alla lotta contro la classe operaia, di poi furono i primi ad esortare alla pace ed all'armonia. E ciò per validi motivi.

Invero tutte queste concessioni alla giustizia ed alla filantropia erano solo un mezzo per accelerar la concentrazione del capitale in mano di pochi e schiacciar i piccoli concorrenti, che non potevano viver senza tali guadagni supplementari. Per i pochi grandi capitalisti, le piccole estorsioni degli anni prima non avevano più rilevanza; anzi ostacolavano gli affari più grandi. Così è bastato il puro sviluppo della produzione capitalistica (almeno nei principali rami dell'industria, poiché nei rami meno importanti non è affatto così) ad elidere tutti i piccoli abusi che appena prima peggioravano la sorte dell'operaio. E così emerge sempre più il fatto cruciale che la causa della miseria della classe operaia è nell'essenza del sistema capitalistico, non nei suoi accidenti: l'operaio vende al capitalista la sua forza-lavoro per una certa somma giornaliera; dopo il lavoro di poche ore egli ha riprodotto il valore di quella somma; ma il suo contratto di lavoro dice che egli deve lavorare ancora per diverse ore per finir la sua giornata di lavoro. Il valore che l'operaio produce nelle ore aggiuntive di pluslavoro, è il plusvalore, che nulla costa al capitalista eppure fluisce nella sua tasca. Ecco l'essenza del sistema che sempre più polarizza la società: un polo di pochi proprietari di tutti i mezzi di produzione e di sussistenza (pochi Rothschild e Vanderbilt); e un altro polo di un'enorme massa di salariati, proprietari solo della loro forza-lavoro. Tale risultato non deriva da questo o quell'abuso accidentali, ma unicamente dal sistema stesso, questo fatto è oggi posto nella luce più viva dallo sviluppo del capitalismo in Inghilterra.

Ancora. Le ripetute visite di colera, tifo, vaiolo e di altre epidemie hanno imposto al borghese britannico l'urgente necessità di risanare le sue città, per non cadere vittima con la famiglia di questi morbi. Così i mali peggiori descritti in questo libro sono oggi elisi o resi meno gravi. La fognatura è introdotta o migliorata, larghe vie trapassano molti dei peggiori fra i “quartieri brutti”: Little Ireland è sparita, presto toccherà ai Seven Dials. Ma che significa ciò? Interi distretti che io nel 1844 poteva ancora descrivere quasi in modo idillico, oggi sono, con il crescere delle città, ridotti alla stessa rovina, inabitabilità, miseria. I porci ed i cumuli di rifiuti certo non si tollerano più. La borghesia ha fatto ulteriori progressi nell'arte di celar la miseria della classe operaia. Ma niun progresso essenziale ha fatto circa le abitazioni operaie, come prova affatto il Report of the Royal Commission on the Housing of the Poor (anno 1885). E lo stesso capita in tutto il resto. Le ordinanze di polizia sono divenute frequenti come le more, ma esse possono solo confinar la miseria degli operai, non eliderla.

Ma, mentre l'Inghilterra è cresciuta uscendo dallo stato giovanile del profitto capitalistico da me descritto, altri paesi ci stanno entrando. La Francia, la Germania e soprattutto l'America, sono le rivali minacciose che (come io previdi nel 1844) rodono sempre più il monopolio industriale dell'Inghilterra. La loro industria è più giovane di quella inglese, ma cresce con maggior celerità, e oggi è giunta circa allo stesso grado di sviluppo in cui era l'industria inglese nel 1844. Il parallelo è notevole soprattutto per quanto riguarda l'America. Certo l'ambiente esterno è assai diverso per la classe operaia americana, ma operano le stesse leggi economiche, ed i risultati devono essere dello stesso tipo, benché non identici sotto ogni aspetto. Così in America ci sono le stesse lotte per una limitazione legale della giornata di lavoro, in particolare per le donne ed i bambini che lavorano nelle fabbriche; vigono il truck system e il cottage system3 usato nei paesi di campagna dai bosses (dai capitalisti e dai loro rappresentanti) come mezzo per dominar. Allorchè nel 1886 ricevetti i giornali americani con notizie del grande sciopero dei minatori della Pennsylvania nel distretto di Connelsville (contea di Fayette) mi parse di legger la mia descrizione dello sciopero dei minatori di carbone successo nell'Inghilterra del nord nel 1844: le stesse frodi ai danni degli operai con false misurazioni; l'eguale truck system; lo stesso tentativo di vincer la resistenza degli operai con l'ultima terribile arma del capitalista: lo sfratto degli operai dalle loro abitazioni di proprietà dell'amministrazione delle miniere.

Né qui, né nell'edizione inglese io ho cercato di adattare il libro all'odierna situazione (cioè di elencare i mutamenti capitati dopo il 1844). Per due motivi: primo, avrei dovuto raddoppiare la mole del libro; secondo, Marx (Capitale. Libro primo) descrive ampiamente la situazione della classe operaia inglese verso il 1865 (cioè l'epoca in cui il proletariato industriale inglese raggiunse la sua vetta massima). Avrei dovuto ripetere il già detto da Marx.

È appena necessario osservare che il generale punto di vista teorico di questo libro (in senso filosofico, economico e politico) non corrisponde esattamente all'odierno. Nell'anno 1844 non esisteva ancora il moderno socialismo internazionale che, elevatosi a scienza soprattutto e quasi solo grazie ai lavori di Marx. Il mio libro è solo una fase del suo sviluppo embrionale. E come l'embrione umano nei suoi primi stadi di sviluppo ricapitola le branchie dei nostri predecessori, i pesci, così questo libro esibisce ovunque le tracce della derivazione del moderno socialismo da un suo antenato: filosofia classica tedesca. Così si dà molta rilevanza (specie alla fine) all'asserto che il comunismo, oltre a dottrina di partito della classe operaia, sia una teoria il cui scopo finale è la liberazione dell'intera società (inclusi i capitalisti) dai rapporti odierni che la soffocano. Ciò è giusto in senso astratto, ma nella pratica è più dannoso che inutile. Finché le classi proprietarie, oltre a non sentir alcun necessità di liberazione, si oppongono con tutte le forze alla liberazione della classe lavoratrice, allora la classe operaia sarà costretta ad iniziare e a compiere da sola la rivoluzione sociale. Pure i borghesi francesi del 1789 dichiararono che la liberazione della borghesia era l'emancipazione di tutto il genere umano; ma nobiltà e clero non vollero capirlo; l'asserto (benché allora fosse una verità storica innegabile circa il feudalesimo) degenerò presto in una pura frase sentimentale e sparì affatto nel fuoco della lotta rivoluzionaria. Pure oggi ci sono molti che, dall'alto punto di vista dell'imparzialità, predicano agli operai un socialismo al di sopra di tutti gli antagonismi e le lotte di classe. Ma tali individui, o sono novizi che hanno da imparare molto, o sono i peggiori nemici degli operai (lupi in pelle di pecora).

Nel testo dico che il ciclo delle grandi crisi industriali è di 5 anni. Tale apparente intervallo di tempo fu dedotto dal corso degli avvenimenti dal 1825 al 1842. Ma la storia dell'industria dal 1842 al 1868 ha provato che il reale periodo è decennale, che le crisi intermedie sono di natura secondaria, e dopo il 1842 svanirono sempre più. Dopo il 1868 la situazione mutò di nuovo: di ciò parlerò dopo.

Non ho pensato d'elider dal testo le molte profezie, specie quella d'un'imminente rivoluzione sociale in Inghilterra, dovuta al mio entusiasmo giovanile coevo. Perché presentar il mio lavoro e me migliori di ciò che eravamo? Notevole non è che tante profezie siano errate, ma che tante si siano avverate e che la situazione dell'industria inglese sia invero divenuta critica per la concorrenza continentale e specie americana (benché lo previdi in un futuro molto più vicino). In rapporto a questo punto, sono in dovere di porre il libro in armonia con l'odierno stato di cose. Assolvo tale compito riproducendo ivi un articolo uscito in inglese nel Commonwealth di Londra del 10 marzo 1885, e in tedesco nella Neue Zeit del giugno del 1885 (fascicolo 6).

«Quaranta anni fa l'Inghilterra stava innanzi ad una crisi che, stando alle apparenze, solo la forza poteva sciogliere. L'enorme e súbito sviluppo dell'industria aveva superato l'estensione dei mercati stranieri e l'aumento della domanda. Ogni dieci anni il corso della produzione fu violentemente interrotto da una generale crisi del commercio, alla quale, dopo un lungo periodo di depressione cronica, seguirono pochi anni di prosperità, che di nuovo portarono a una febbrile sovrapproduzione ed infine a un nuovo crollo. La classe capitalistica chiedeva a voce alta il libero commercio del grano e minacciava d'ottenerlo col rinvio dell'affamata popolazione cittadina nelle campagne donde veniva “come un esercito che si accampa su territorio nemico anziché come bisognosi che chiedono pane”, come disse John Bright4. Le masse operaie cittadine chiesero la partecipazione al potere politico con la Carta del popolo5; e furono appoggiate dalla maggioranza dei piccoli borghesi, e l'unica differenza fra i due era se la Carta doveva attuarsi con la forza o legalmente. Venne allora la crisi commerciale del 1847 e la carestia dell'Irlanda, e con esse la prospettiva della rivoluzione.

Il Quarantotto francese salvò la borghesia inglese. I proclami socialisti dei vittoriosi operai francesi atterrirono la piccola borghesia inglese e disorganizzarono il movimento degli operai inglesi, che procedeva entro limiti stretti ma più immediatamente pratici. Proprio quando poteva sviluppare tutta la sua forza, il cartismo crollò all'interno, prima di crollare all'esterno il 10 aprile 18486. L'attività politica della classe operaia fu battuta. La classe capitalista vinse su tutta la linea.

La riforma parlamentare del 1831 fu la vittoria di tutta la classe capitalistica sull'aristocrazia fondiaria. L'elisione dei dazi sul grano fu la vittoria dei capitalisti industriali, nonché sulla grande proprietà fondiaria, sulle frazioni capitaliste i cui interessi erano più o meno identici o legati agli interessi della proprietà fondiaria: banchieri, agenti di borsa, rentiers, etc. La libertà di commercio significò la trasformazione di tutta la politica finanziaria e commerciale interna ed estera dell'Inghilterra in armonia con gli interessi dei capitalisti industriali, che ora rappresentano la nazione. E tale classe si mise all'opera con energia. Ogni ostacolo alla produzione industriale fu spietatamente rimosso. Le tariffe doganali e tutto il sistema fiscale furono rivoluzionati. Tutto fu coordinato ad un solo fine, ma di estrema importanza per gli industriali capitalisti: render a buon mercato la materia prima, specie i mezzi di sussistenza per la classe operaia; diminuire il costo delle materie prime, e tenere bassi i salari benché senza ridurli. L'Inghilterra doveva divenir l'officina del mondo: tutti gli altri Paesi dovevano divenire per l'Inghilterra come l'Irlanda: mercati per i suoi prodotti industriali, fornitori di materie prime e di prodotti alimentari. L'Inghilterra, il grande centro industriale di un mondo agricolo, con un numero ognora crescente di satelliti produttori di grano e cotone orbitanti attorno al sole industriale. Che meravigliosa prospettiva!

I capitalisti industriali iniziarono a perseguire tale loro grande fine con robusto e sano intelletto, e con disprezzo delle idee tradizionali che li hanno sempre distinti dai loro concorrenti filistei del continente. Il Cartismo era in agonia. La ritrovata prosperità commerciale, naturale e ovvia, dopo l'esaurimento della crisi del 1847 fu ascritta solo alla libertà di commercio. Per tali due fatti, la classe operaia inglese divenne politicamente la coda del grande partito liberale (il partito dei fabbricanti). Ottenuto tale vantaggio, c'era da perpetuarlo. E dalla forte opposizione dei cartisti, non al libero commercio, bensì alla trasformazione del libero commercio nell'unica questione vitale del paese, i fabbricanti avevano capito (e capivano ogni giorno di più) che: mai la borghesia può aver pieno dominio sociale e politico senza l'aiuto della classe operaia. Così mutò a poco a poco la reciproca attitudine delle due classi. Le leggi sulle fabbriche, prima spauracchio di tutti i fabbricanti, ora furono, nonché promulgate volentieri, più o meno estese a tutta l'industria. Le Trades Unions, prima ritenute opera del diavolo, ora furono appoggiate e protette dai fabbricanti come istituzioni legittime e mezzi tesi a diffondere sane dottrine economiche fra i lavoratori. Perfino gli scioperi, che erano vietati prima del 1848, furono ora stimati occasionalmente utili, specie se provocati dai fabbricanti stessi a tempo opportuno. Furono elise almeno le più sediziose fra le leggi che avevano tolto all'operaio la parità di diritti di fronte al suo padrone. E Carta del popolo, prima temuta, ora divenne il programma politico di quei fabbricanti che le si erano opposti fino all'ultimo. L'abolizione della eleggibilità per censo e lo scrutinio segreto sono ora leggi del paese. Le riforme parlamentari del 1867 e del 1884 si avvicinano già fortemente al suffragio universale, almeno come ora c'è in Germania; il disegno di legge sui collegi elettorali, che il Parlamento sta ora discutendo, crea collegi elettorali uguali o nel complesso non più diversi di quelli della Germania e della Francia. Sono in vista l'indennità e la breve durata del mandato, se non pure annuale elezione del Parlamento, come avverrà senza dubbio in un prossimo futuro. Eppure c'è gente che dice che il Cartismo sia morto!

Il Quarantotto ebbe la stessa strana sorte di parecchie rivoluzioni precedenti: gli stessi individui che la abbatterono sono divenuti suoi esecutori testamentari (così disse Karl Marx). Luigi Napoleone fu costretto a creare un'Italia unita ed indipendente, Bismarck fu costretto a rivoluzionare a suo modo la Germania e a ridare una certa indipendenza all'Ungheria, ed i fabbricanti inglesi stimano cosa migliore dare forza di legge alla Carta del popolo.

Gli effetti di tale dominio dei capitalisti industriali inglesi all'inizio furono notevoli. Gli affari furono vivificati e si estesero in misura inaudita pure per questa culla dell'industria moderna. Tutte le precedenti immense creazioni del vapore e delle macchine svanirono in confronto al potente sviluppo della produzione nel ventennio dal 1850 al 1870, con le cifre enormi dell'esportazione e dell'importazione, della ricchezza che si accumulava nelle mani dei capitalisti e della forza-lavoro che si concentrava in città gigantesche. Il progresso fu interrotto, come sempre, da una crisi decennale (nel 1857 e nel 1866); ma tali contraccolpi ora sono stimati avvenimenti naturali inevitabili, da sopportare poiché alla fine si aggiusterebbero sempre.

E quale era la condizione della classe operaia durante questo periodo? Temporaneamente ci fu un miglioramento pure per la grande massa. Ma tale miglioramento ridiscese al vecchio livello per l'afflusso della grande massa di riserva disoccupata, per l'incessante espulsione di operai per l'invenzione di nuove macchine e per l'immigrazione dei lavoratori agricoli, anch'essi per di più soppiantati dalle macchine.

Un miglioramento durevole c'è solo in due settori protetti della classe operaia. Il primo: gli operai delle fabbriche. Aver fissato a loro favore una giornata di lavoro normale, almeno relativamente razionale, ha sanato la loro salute e ha dato loro una superiorità morale, rafforzata dalla loro concentrazione locale. La situazione della classe operaia delle fabbriche è senza dubbio migliore che nel 1848. La miglior prova di ciò è che di dieci scioperi fatti da loro, nove sono provocati dai fabbricanti stessi che ci hanno interesse (essendo l'unico modo di evitare la sovrapproduzione). Voi mai indurrete i fabbricanti ad accordarsi per lavorare a orario ridotto, benché i loro prodotti siano invendibili. Ma fate scioperare gli operai ed tutti i capitalisti chiuderanno le loro fabbriche.

Il secondo: le grandi Trades Unions. Esse sono le organizzazioni dei settori lavorativi in cui è impiegabile solo o prevalentemente il lavoro d'uomini adulti. Ivi non c'è la concorrenza di donne e bambini, né le macchine finora hanno spezzato le loro forze organizzate. I meccanici, i carpentieri, gli ebanisti, gli addetti alle costruzioni sono altrettante forze, al punto che possono opporsi con successo (come fanno gli operai edili) all'introduzione delle macchine. La loro situazione è sì migliorata notevolmente dal 1848. La miglior prova di ciò è che da più di quindici anni essi sono contenti dei loro padroni, nonché i loro padroni sono contenti di essi. Gli operai edili formano una aristocrazia nella classe operaia; sono giunti ad ottenere ed accettar come definitiva una condizione relativamente buona. Sono gli operai modello dei signori Leone Levi e Giffen (nonché di un borghesuccio Lujo Brentano) e invero sono gente molto gentile con cui tratta ogni capitalista intelligente in particolare e la classe capitalista in generale.

Ma circa la grande massa degli operai, il livello di miseria e di insicurezza è oggi così basso, se non più basso di ieri. L'East-End di Londra, se disoccupato, è una palude sempre più crescente di miseria e di disperazione stagnanti, di fame; se occupato, di avvilimento fisico e morale. È così in tutte le altre grandi città, eccetto per la minoranza di operai privilegiati; è così nelle piccole città e nei distretti agricoli. La legge che limita il valore della forza-lavoro al prezzo dei mezzi necessari alla vita & la legge che di regola riduce il prezzo medio al minimo dei mezzi di sussistenza, tali due leggi agiscono sugli operai con la forza irresistibile di una macchina automatica che li schiaccia fra i suoi raggi.

Ecco la condizione creata dalla politica del libero scambio del 1847 e dal ventennale dominio dei capitalisti industriali. Alla crisi del 1866, seguì invero verso il 1873 un breve e leggera ripresa d'affari, ma non durò. Da quando la crisi è finita, nel 1877 e nel 1878, non c'è stata alcuna crisi completa, ma dal 1876 c'è una situazione di ristagno cronico in tutti i rami principali dell'industria: né c'è il crollo completo né il bramato tempo della prosperità degli affari, a cui crediamo d'aver diritto, sia prima sia dopo il crack. Una depressione mortale, una saturazione cronica in tutti i mercati per tutti gli affari: ecco la situazione in cui siamo da quasi dieci anni. Donde ciò?

La teoria del libero scambio che si basa su un'ipotesi: che l'Inghilterra dovesse divenir l'unico grande centro industriale di un mondo agricolo. I fatti hanno affatto smentito tale ipotesi. Il livello dell'industria moderna (forza a vapore e macchine) è creabile ovunque ci sia combustibile (specie il carbone); e in tanti paesi oltre all'Inghilterra c'è carbone: Francia, Belgio, Germania, America, perfino Russia. E i loro popoli non stimavano nel loro interesse tramutarsi in affamati fittavoli irlandesi, per la gloria e la ricchezza dei capitalisti inglesi. Essi iniziarono a fabbricare, nonché per sé, per il resto del mondo, onde il monopolio industriale che l'Inghilterra ha avuto per quasi un secolo, ora è irremeabilmente spezzato.

Ma il monopolio industriale dell'Inghilterra è il perno del coevo sistema sociale inglese. Pure durante il monopolio, i mercati non potevano tenere il passo con la produttività dell'industria inglese; ne furono conseguenza le crisi decennali. Ed ora i nuovi mercati divengono ogni giorno più rari, onde pure ai negri del Congo va imposta la civiltà che fuoriesce dalle cotonate di Manchester, dalle stoviglie di Staffordshire e dalle forge di Birmingham. Cosa succederà se le merci europee e americane affluiranno in massa ognora crescente, se la parte da leone (ancora toccante alle fabbriche inglesi) nel rifornimento del mondo rimpiccolisce di anno in anno? Rispondi, oh libero scambio, oh panacea universale!

Io non sono il primo che accenna a questo. Già nel 1883, nell'assemblea dell'Associazione britannica di Southport, il presidente della sezione economica (signor Inglis Palgrave) ha dichiarato passati i giorni dei grandi profitti commerciali per l'Inghilterra, subentrando una pausa nello sviluppo di diversi grandi settori dell'industria: si poteva dire che l'Inghilterra stava passando a una condizione di non-progresso.

Quale sarà l'esito di tutto ciò? La produzione capitalistica non può divenir stabile: essa deve o crescer ed estendersi, o morir. Già ora la sola riduzione della parte di leone dell'Inghilterra nel rifornir il mercato mondiale, implica stagnazione, miseria, eccesso qui di capitale, lì di operai disoccupati. Cosa avverrà se l'aumento della produzione annua cessa? È il tallone d'Achille della produzione capitalistica. Per essa è vitale espandersi sempre, ma tale continua espansione ora è impossibile. La produzione capitalistica va in un vicolo cieco. Ogni anno l'Inghilterra si avvicina al dilemma: si rompe o il paese o la produzione capitalistica. Quale delle due cose avverrà?

E la classe operaia? Se dovette patire tanta miseria sotto l'incredibile espansione del commercio e dell'industria (dal 1848 al 1868), se perfino allora la maggioranza degli operai, nel migliore dei casi, ottenne solo un passeggero miglioramento della sua situazione, mentre solo una piccola minoranza protetta e privilegiata ebbe vantaggi durevoli, che cosa sarà se questo periodo abbagliante sparirà per sempre, se l'opprimente stagnazione odierna, nonché aggravarsi, diverrà lo stato normale e permanente dell'industria inglese?

La verità è che, finché durava il monopolio industriale dell'Inghilterra, la classe operaia inglese ha partecipato un po' ai vantaggi di esso. Vantaggi spartiti in modo disuguale fra la classe lavoratrice: la minoranza privilegiata intascò la parte maggiore, ma pure la grande massa ebbe ogni tanto la sua parte per poco. Ecco perché dopo la morte dell'Owenismo non c'è stato socialismo in Inghilterra. Con la fine del monopolio, la classe operaia inglese perderà tale posizione privilegiata. Tutta la classe operaia in Inghilterra (inclusa la minoranza privilegiata e dirigente) si vedrà un giorno ridotta allo stesso livello degli operai stranieri. Così in Inghilterra ritornerà il socialismo».

Così l'articolo del 1885. Invece nella Prefazione dell'edizione in lingua inglese di questo libro dell'11 gennaio 1892 proseguii:

«Poco ho da aggiunger a tale analisi della situazione del 1885. Non serve dir “infatti oggi in Inghilterra il socialismo è tornato” e in gran quantità: socialismo di tutti i tipi, socialismo cosciente e incosciente, socialismo in prosa e in versi, socialismo della classe operaia e della classe media. Poiché tale mostro di tutti i mostri, il socialismo, oltre a divenir rispettabile, certo indossa l'abito di gala e ozia pigramente sui divani dei salotti. Ciò riprova l'incurabile incostanza di quel terribile tiranno della buona società che è l'opinione pubblica della classe media e giustifica il disprezzo che noi socialisti della scorsa generazione nutriamo per tale opinione pubblica. Tuttavia non dobbiamo dolerci di questo nuovo sintomo.

Ciò che ritengo più rilevante di tale momentanea moda di farsi belli nei circoli borghesi con un socialismo all'acqua di rose, più rilevante del progresso che il socialismo ha fatto in generale in Inghilterra, è il risvegliarsi dell'East End londinese. Tal immenso campo di miseria non è più la palude stagnante di 6 anni fa. L'East end ha scosso la sua torpida disperazione; è rinato divenendo patria del Nuovo Unionismo, cioè dell'organizzazione della grande massa degli operai unskilled (non qualificati). Tal organizzazione è diversa dalle vecchie unioni di operai skilled (qualificati), pur avendone per certi versi la forma. Le vecchie unioni conservano le tradizioni del tempo in cui furono fondate: considerano il sistema salariale come definitivo, che nel miglior caso possono un po' mitigare nell'interesse dei loro associati. Invece le nuove unioni sono fondate in un tempo in cui la fede nell'eternità del sistema salariale è fortemente scossa. I loro fondatori e protettori erano socialisti per coscienza o per sentimento; le masse affluiteci, e in cui sta la loro forza erano rozze, trascurate, tenute in non cale dalla aristocrazia operaia. Ma esse hanno un vantaggio immenso: i loro spiriti sono ancor puri, privi dei “rispettabili” pregiudizi borghesi, che offuscano le menti dei meglio messi “vecchi unionisti”. Così vediamo tali nuove unioni salire alla direzione del movimento operaio, e pigliar a rimorchio le “vecchie” unioni ricche e superbe.

Certo la gente dell'East End ha fatto grossi errori; ma ne fecero pure gli antecessori, e ne fanno ancor oggi i socialisti dottrinari che arricciano il naso ante essa. Una grande classe, come una grande nazione, mai impara più súbita che mercé le conseguenze dei suoi propri errori. E malgrado tutti i possibili errori del passato, del presente e del futuro, il risveglio dell'East End londinese è uno dei più grandi e lieti eventi di questa fin de siècle, ed io sono felice e fiero d'averlo potuto vedere».

Da quando sei mesi fa, io scrissi quanto testé, il movimento operaio inglese ha fatto un nuovo buon passo avanti.

Le 1892 United Kingdom general election di alcuni giorni fa hanno reso noto ai due partiti ufficiali (i conservatori e i liberali) che d'ora in poi devono fare i conti con un terzo partito: l'Independent Labour Party [I.L.P.]. Tale partito operaio è in fieri7; i suoi elementi sono ancora occupati a elider i tradizionali pregiudizi d'ogni specie (borghesi, vetero-sindacali, dottrinari socialisti) per potersi ritrovar sul terreno comune a tutti. Eppur l'istinto che li spinge a unirsi è sì forte, da dare risultati elettorali inediti in Inghilterra. A Londra si sono candidati due operai, socialisti dichiarati; i liberali non hanno opposto alcun candidato, ed i due socialisti sono eletti con una maggioranza inattesa e schiacciante. A Middlesborough si presenta un candidato operaio contro uno liberale ed uno conservatore, ed è stato eletto contro loro due; invece i nuovi candidati operai che si sono coalizzati coi liberali hanno perso senza rimedio, eccetto uno. Uno di tali finti rappresentanti degli operai (cioè uno a cui si perdona la qualità di operaio, perché vorrebbe affogarla nell'oceano del liberalismo), il più illustre rappresentante del vecchio unionismo, Henry Proadhurst, ha perso clamorosamente perché egli s'è dichiarato contro la giornata di otto ore. In due collegi elettorali di Glasgow, in uno di Salford ed in parecchi altri ancora, si candidarono operai indipendenti contro candidati dei due vecchi partiti: hanno perso, ma insieme ai candidati liberali. Insomma: in molti collegi elettorali urbani ed industriali, gli operai hanno ripudiato ogni legame coi due vecchi partiti riportando successi diretti o indiretti mai capitati in precedenti elezioni. E la gioia fra gli operai è grande. Per la prima volta hanno visto e sentito cosa possono far usando il loro diritto di voto nell'interesse della loro classe. È rotta la superstizione del “grande partito liberale” che ha dominato per quasi quaranta anni gli operai inglesi. Gli operai hanno visto con esempi tangibili d'esser in Inghilterra la forza decisiva, purché vogliano e sappiano ciò che vogliono; e le elezioni del 1892 sono l'inizio del potere consapevole e del volere. Il movimento operaio continentale farà il resto; i tedeschi ed i francesi che, nei parlamenti e nei consigli locali, hanno già ricca rappresentanza, emuleranno gli inglesi degnamente, con altri successi. E se in un tempo non lontano risulterà che tale parlamento nulla può combinare col vincitore liberale signor Gladstone e nulla il signor Gladstone con tale parlamento, allora il partito operaio inglese si sarà consolidato da poterla far tosto finita con l'altalena dei due vecchi partiti, che si alternano al governo, ed appunto così perpetuano il dominio della borghesia.

Londra, 29 marzo 1892

Friedrich Engels

Note

1. Alla VIª Esposizione Industriale Mondiale di Filadelfia [1876], i prodotti dell'industria tedesca furono inferiori ai prodotti degli altri paesi. Engels paragona lo smacco alla sconfitta a Jena [1806] dei prussiani contro Napoleone.

2. Truck system: anziché in denaro, il fabbricante paga il salario in merci a un prezzo più caro, o in buoni sconto (del valore pari al salario) validi solo in un negozio del fabbricante stesso (dove gli articoli sono più cari).

3. Cottage system: il fabbricante costruisce le abitazioni per gli operai (mancanti vicino alle fabbriche), e assume solo chi va ad abitarci pagando affitti più alti degli altri fittavoli, e sfratta gli scioperanti.

4. John Bright fu deputato per 46 anni e animatore del partito liberale. Insieme a Richard Coden fondò la Lega contro le leggi del grano.

5. Il Cartismo fu un movimento popolare-operaio a favore della Carta del popolo, che traeva il nome dalla Magna Charta Libertatum [1215] con cui i baroni inglesi posero i primi limiti al potere assoluto del re.

6. Il 10 aprile 1848 i capi cartisti sciolsero il corteo dietro la promessa di discuter le loro proposte in Parlamento. La promessa fu infranta; furono arrestati i capi ed emigrate migliaia di persone nelle colonie.

7. Dopo una lunga fase di subalternità politica ed elettorale verso i liberali, nel 1892 il movimento operaio inglese si dotò di un'organizzazione indipendente fondando il Partito Laburista Indipendente di Manchester. L'anno dopo, gennaio 1983, tal partito ed altre formazioni (come la federazione sociale democratica, la società fabiana, il partito laburista scozzese) diedero vita al Partito Laburista Indipendente, che proclamò suo fine «conseguire la proprietà collettiva dei mezzi di produzione, distribuzione, scambio».

 



Ultima modifica 2020.05.14