Introduzione a Per la Critica dell'Economia Politica

Capitolo 2. Il rapporto generale tra produzione, distribuzione, scambio e consumo

Prima di entrare in un’analisi più approfondita della produzione è necessario aver presenti le diverse rubriche, che gli economisti le pongono accanto.

La rappresentazione, che di primo acchito si offre: - nella produzione, i membri della società rendono propri (ricavano, formano) ai bisogni umani i prodotti naturali; la distribuzione determina la proporzione, in cui il singolo può disporre di tali prodotti; lo scambio porta al singolo i particolari prodotti, in cui egli vuol convertire la quota, che gli è stata assegnata dalla distribuzione; nel consumo, infine, i prodotti divengono oggetto del godimento, dell’appropriazione individuale. La produzione ricava gli oggetti corrispondenti ai bisogni; la distribuzione li suddivide secondo leggi sociali; lo scambio distribuisce il già distribuito ma, questa volta, secondo necessità individuali; infine, nel consumo il prodotto esce da questo movimento sociale, diviene direttamente oggetto della singola necessità e la soddisfa. La produzione, dunque, fa la sua comparsa come punto di partenza, il consumo come punto finale e la distribuzione e lo scambio come fase intermedia, ma sotto duplice forma, in quanto la distribuzione è il momento determinato dalla società, lo scambio invece dall’individuo. Nella produzione la persona si oggettiva e, nella persona, si soggettivista la cosa (die Sacche); nella distribuzione, -sotto forma di generali, imperative determinazioni- la società si assume il compito della mediazione tra produzione e consumo, che, nello scambio, vengono mediati dalla casuale determinatezza (Bestimmtheit) degli individui.

La distribuzione determina la proporzione (il quanto), in cui i prodotti vanno agli individui; lo scambio determina su quale produzione l’individuo rivendica la parte, che la distribuzione gli ha assegnato.

Produzione, distribuzione, scambio, consumo costituiscono un sillogismo in piena regola; la produzione è l’universale, la distribuzione e lo scambio il particolare, il consumo l’individuale, in cui il tutto si conclude [1]. Certamente questa è una connessione, ma superficiale. La produzione è determinata da generali leggi di natura; la distribuzione lo è dalla casualità sociale e, quindi, può avere effetti più o meno favorevoli sulla produzione; lo scambio si colloca tra le due in quanto movimento formalmente sociale e l’atto conclusivo del consumo, che non solo vien concepito come termine ultimo, ma anche come scopo finale, propriamente si colloca al di fuori dell’economia, tranne che per la misura in cui torna ad agire sul punto di partenza, dando così un nuovo inizio all’intero processo.

Gli avversari degli economisti -siano essi interni o esterni al loro ambito-, che rimproverano loro il modo barbarico con cui dissociano ciò che è connesso, o si collocano sul loro stesso terreno o sono perfino loro inferiori. Nulla è più abituale che rimproverare gli economisti di concepire la produzione del tutto come scopo a sé. Lo stesso spetterebbe alla distribuzione. Al fondo di questa obiezione c’è la concezione (Vorstellung) economica, secondo cui la distribuzione è, accanto alla produzione, una sfera autonoma e indipendente, ovvero i momenti non sono colti nella loro unità. Come se questo scindere non venisse alla dottrina dalla realtà, ma al contrario fosse penetrata nella realtà a partire dalla dottrina, e come se si trattasse, qui, di un raffronto dialettico di concetti e non della concezione di rapporti reali!

[Consumo e produzione].

a1) La produzione è immediatamente anche consumo. Duplice consumo: soggettivo e oggettivo; l’individuo, il quale nella produzione sviluppa le proprie capacità [2], le dà via anche, le consuma nell’atto del produrre, esattamente come la procreazione naturale è un consumo di forze vitali. In secondo luogo: consumo degli strumenti di produzione, che vengono usati e consumati e che, parzialmente (ad es., la combustione) tornano a scomporsi negli elementi generali [3]. Appunto, consumo della materia prima, la quale non permane nella sua forma sensibile (Gestalt) e nelle sue disposizioni naturali (Beschaffenheit), ma che piuttosto vien consumata. Lo stesso atto della produzione, dunque, è in ogni suo momento anche un atto del consumo. Ma questo gli economisti lo concedono. Essi chiamano consumo produttivo, appunto, la produzione in quanto immediatamente identica al consumo, il consumo in quanto immediatamente coincidente con la produzione. Questa identità di consumo e produzione riporta al principio di Spinoza: determinatio est negatio [4].

Ma questa determinazione del consumo produttivo, appunto, viene posta nel senso di separare il consumo, che è identico alla produzione, dal consumo in senso proprio, il quale, a sua volta, è concepito quale opposto, che riduce a nulla (vernichtender Gegensatz) la produzione.

Il consumo è immediatamente anche produzione, così come in natura il consumo degli elementi e delle sostanze chimiche è anche produzione delle piante, ecc. E’ del tutto chiaro -ad es., nella nutrizione, che è una forma di consumo- come l’uomo produca il suo stesso corpo. Ma ciò vale per ogni altro tipo di consumo, che in un modo o nell’altro per un qualche lato produca l’uomo. Produzione consumatrice. Ma, dice l’economia, questa produzione, che è identica al consumo, è una seconda produzione, che si genera dall’annichilimento del primo prodotto. Nella prima produzione, il produttore si fa “cosa” (versachlichen); nella seconda, invece, la cosa (Sache) costruita dal produttore si personifica. Dunque, questa produzione consumatrice -per quanto immediata sia l’unità fra produzione e consumo- è essenzialmente diversa dalla produzione propriamente. L’immediata unità -in cui si ha la coincidenza di produzione e consumo e di consumo e produzione- non toglie la loro immediata dualità. La produzione è, dunque, immediatamente consumo ed il consumo è immediatamente produzione. Ognuno è immediatamente il proprio opposto (Gegenteil). Tuttavia, si trova un movimento che media i due. La produzione media il consumo, di cui costruisce il materiale -consumo, a cui, d’altronde, mancherebbe la materia (Gegenstand), in mancanza di produzione. Ma a sua volta il consumo media la produzione, in quanto costruisce il soggetto per i prodotti -soggetto, per il quale essi sono prodotti [5]. Il prodotto ha nel consumo il suo finish [6], il suo tocco finale. Una ferrovia, su cui non si viaggi, che non sia usata, consumata, è una ferrovia solo d u n a m e i, non realmente.

Senza produzione non c’è consumo, ma anche senza consumo non c’è produzione, dacché altrimenti la produzione sarebbe priva di scopo (zwecklos). In un doppio senso il consumo produce la produzione, 1) in quanto solo nel consumo il prodotto è effettivamente se stesso, ad es., un abito diviene effettivamente un abito, quando viene indossato; una casa, che non sia abitata, di fatto non è per nulla effettivamente una casa; dunque, in quanto prodotto -a differenza di ciò che avviene con un mèro oggetto naturale- si verifica, cioè, diviene un prodotto nel consumo. Il consumo dà al prodotto -in quanto lo dissolve- il tocco finale; poiché prodotto è la produzione non in quanto attività reificata (versachlichte), ma solo in quanto materia (Gegenstand) per il soggetto attivo [7]; 2) in quanto il consumo crea il bisogno di una nuova produzione, è il fondamento ideale della produzione, quel fondamento che dall’interno la sollecita, insomma, il suo presupposto. Il consumo produce la spinta (Trieb) [8] alla produzione; esso fornisce anche la materia che è attiva nella produzione, in quanto ne determina lo scopo. Se è chiaro che la produzione fornisce nell’esteriorità la materia del consumo, allora è altrettanto chiaro che il consumo pone idealmente la materia della produzione, come immagine (Bild) interna, come spinta e come scopo. Il consumo fornisce le materie alla produzione in una forma ancora soggettiva. Senza bisogno, nessuna produzione. Ma il consumo riproduce il bisogno.

Dal lato della produzione, a ciò corrisponde che 1) essa fornisce al consumo il materiale, l’oggetto. Un consumo senza materiale non è affatto un consumo; dunque, essendo fornito da questo lato dalla produzione, appunto- questa produce il consumo. 2) Ma non è solo la materia, che la produzione crea per il consumo. Essa dà al consumo anche la sua determinatezza, il suo carattere, il suo finish. Così come il consumo dà al prodotto, in quanto prodotto, il suo finish, analogamente la produzione dà il suo finish al consumo. La materia non è una materia in generale, ma sì una materia determinata, la quale ha da essere consumata in un modo determinato che, a sua volta, ha da esser mediato dalla produzione. La fame è la fame; tuttavia, una fame che venga soddisfatta da carne cotta mangiata con coltello e forchetta, è una fame diversa da quella che vien placata da carne cruda mangiata, servendosi di mani, unghie e denti. Mediante la produzione non è solo prodotta la materia del consumo, ma anche il modo del consumo; la produzione opera non solo sul piano oggettivo, ma anche su quello soggettivo. La produzione crea anche i consumatori. 3) La produzione non solo fornisce un materiale al bisogno, ma sì anche un bisogno al materiale. Quando il consumo esce dalla sua prima, immediata rozzezza naturale -ed il rinvio ad essa sarebbe il risultato di una produzione ancora immersa nella rozzezza naturale-, allora il consumo, anche come impulso, è mediato dalla materia. Il bisogno, che il consumo avverte di quella certa materia risulta dal percepirla. Il materiale artistico -così come ogni altro prodotto- costruisce un senso artistico ed un pubblico capace di godimento artistico. Dunque, la produzione non produce solo un materiale per il soggetto, ma anche un soggetto per il materiale. Quindi la produzione produce il consumo 1) poiché le fornisce il materiale; 2) poiché determina il modo del consumo; 3) poiché essa genera come bisogno nei consumatori quei prodotti posti da essa stessa come materiale. Essa, dunque, produce materiale per il consumo, modo del consumo, spinta al consumo. Altrettanto il consumo produce la disposizione (Anlage) del produttore, poiché lo sollecita nel senso di un bisogno ben orientato.

Da tre punti di vista, dunque, appare l’identità fra produzione e consumo:

1) Identità immediata: la produzione è consumo; il consumo è produzione. Produzione consumatrice. Consumo produttivo. Gli economisti chiamano entrambi consumo produttivo. Si fa, però, ancora una differenza. La prima figura come riproduzione; la seconda come consumo produttivo. Tutte le ricerche, che riguardano la prima, si occupano del lavoro produttivo o improduttivo; quelle, invece, che riguardano la seconda, si occupano del consumo produttivo o improduttivo.

2) Appaiono come medio l’una dell’altro; con il che si esprime la reciproca dipendenza; un movimento, mediante cui appaiono relazionate l’una all’altra, indispensabili l’una all’altro, restando, tuttavia, reciprocamente esteriori. La produzione crea, come oggetto esteriore, il materiale per il consumo; il consumo, da parte sua, produce il bisogno, come oggetto interno, come scopo della produzione. Senza produzione niente consumo; senza consumo niente produzione. Nell’economia, figura in molte forme.

3) Non solo la produzione è immediatamente consumo e il consumo immediatamente produzione; ma anche la produzione è solo mezzo per il consumo e il consumo scopo della produzione, ovvero, si forniscono reciprocamente la materia: la produzione la fornisce nell’esteriorità al consumo; questi la fornisce, in quanto immaginata, alla produzione; entrambi non sono solo -immediatamente o mediatamente- l’altro, ma la produzione costruisce se stessa e il consumo, e il consumo costruisce se stesso e la produzione, dacché l’una realizzandosi crea l’altro e vice versa. Il consumo porta a termine l’atto della produzione, poichè il consumo compie il prodotto in quanto prodotto, lo dissolve, ne distrugge la forma di cosa (sachliche Form); poiché il consumo rende stabile, mediante il bisogno la disposizione, già sviluppata nel primo atto della produzione, Il consumo, dunque, non è solo l’atto conclusivo mediante cui il prodotto diviene prodotto, ma anche quelle mediante cui il produttore diviene effettivamente tale. Dall’altro lato la produzione produce il consumo, poiché crea il modo determinato del consumo e poiché essa rende autentico bisogno lo stimolo (Reiz) al consumo, la capacità di consumo. L’identità -qui indicata sotto 3)- è variamente illustrata dall’economia come rapporto (Verhältnis) domanda/offerta, oggetti/bisogni sia naturali che prodotti dalla vita sociale (Sozietät).

Di qui, nulla di più facile per un hegeliano [9] che porre l’identità di produzione e consumo. E ciò è avvenuto non solo ad opera della bellettristica [10] socialista ma, anche, ad opera di prosaici economisti, come ad es. J-B. Say; nella forma che quando si studia un popolo, il suo consumo è la sua produzione. Storch ha mostrato la falsità di ciò, poiché un popolo, ad es., non consuma solamente il suo prodotto, ma crea anche strumenti di produzione ecc., capitale fisso ecc. Se si analizza la società come un unico soggetto, la si analizza in modo falso; speculativamente. In un unico soggetto, produzione e consumo si presentano come momenti di un solo atto. Qui l’importante è sottolineare che se analizzati come attività di un solo soggetto o di molti individui, comunque, produzione e consumo appaiono momenti di un processo, in cui la produzione è l’effettivo punto di partenza e, dunque, anche il momento predominante [11]. Il consumo in quanto necessità, in quanto bisogno è, esso stesso, un momento interno dell’attività produttiva. Quest’ultima, però, è il punto d’avvio della realizzazione e dunque anche il suo momento predominante e l’atto da cui l’intero processo si ripropone. L’individuo produce un oggetto e consumandolo ritorna a sé, ma come individuo produttivo, che riproduce anche se stesso. Il consumo appare così momento della produzione.

Nella società, tuttavia, quello del produttore col suo prodotto, non appena terminato, è un rapporto esteriore (äußerliche Beziehung) ed il ritorno del prodotto al soggetto dipende dai rapporti (Beziehung) che quest’ultimo ha con gli altri individui. Egli non se ne impadronisce immediatamente. D’altra parte, se il soggetto vive in società, non ha come proprio scopo l’immediata appropriazione del prodotto. Fra prodotti e produttori si interpone la distribuzione, che determina, secondo una legge sociale, quale parte gli spetti dell’insieme delle merci. Si colloca la distribuzione in una sfera autonoma, accanto ma esterna alla produzione?

Distribuzione e produzione.

Se si esaminano i comuni testi di economia, non può assolutamente sfuggire che, in essi, tutto vien posto due volte. Ad es., nella distribuzione figurano rendita, salario, interesse e profitto, mentre nella produzione figurano terra, lavoro, capitale quali agenti della produzione. Con il capitale va subito chiarito che è posto due volte, 1) come agente della produzione; 2) come fonte di reddito; come determinante forme determinate della distribuzione. Come tali, interesse e profitto figurano anche nella produzione, in quanto forme in cui il capitale si maggiora, s’accresce, dunque, momenti della stessa sua produzione. Interesse e profitto come forme della distribuzione sottendono il capitale come agente della produzione. Si tratta di modi di distribuzione, che hanno come presupposto il capitale come agente della produzione. Son, dunque, modi di riproduzione del capitale.

Il salario è, appunto, quello stesso lavoro salariato, che viene esaminato in un’altra rubrica: la determinatezza, che il lavoro ha qui come agente della produzione, appare come determinazione della distribuzione. Se il lavoro non fosse determinato come lavoro salariato, il modo in cui esso prende parte ai prodotti, non apparirebbe come salario -si veda ad es. la schiavitù. Infine, la rendita terriera, -per considerare la forma più sviluppata della distribuzione, in cui la proprietà della terra prende parte ai prodotti-, sottende -come agente della produzione- la grande proprietà terriera (propriamente la grande agricoltura) e non semplicemente la terra -nello stesso modo, in cui il salario non sottende il lavoro semplicemente. I modi e i rapporti della distribuzione (Distributionsverhältnis) appaiono, quindi, solo come l’altra faccia degli agenti della produzione. Un individuo, che prenda parte alla produzione nella forma del lavoro salariato, prende parte ai prodotti, ai risultati della produzione, nella forma del salario. L’articolazione della distribuzione è appieno determinata dall’articolazione della produzione. La distribuzione è, essa stessa, un prodotto della produzione, non solo per quanto riguarda il suo contenuto -dato che solo i risultati della produzione possono essere distribuiti-, ma anche per la forma, dacché il modo determinato in cui si prende parte alla produzione determina le forme particolari della distribuzione, la forma in cui si prende parte alla distribuzione. E’, dunque, un’illusione porre, nella produzione, la terra e, nella distribuzione, la rendita fondiaria, ecc.

Economisti come Ricardo -a cui di solito vien rimproverato d’aver a mente solo la produzione-, hanno fatto, invece, della distribuzione l’oggetto esclusivo dell’economia, poiché istintivamente hanno colto che le forme della distribuzione sono il modo più chiaro in cui, in una società data, si manifestano gli agenti della produzione.

Naturalmente, al singolo individuo la distribuzione si presenta come una legge sociale, che condiziona la sua posizione all’interno della produzione e che, dunque, precede la produzione. Dalla nascita l’individuo non ha né capitale né rendita, ed è la distribuzione sociale che lo indirizza al lavoro salariato. Proprio questo esser indirizzato risulta dall’esistenza, come autonomi agenti della produzione, del capitale e della rendita.

Considerate intere società, c’è ancora un altro lato, per cui la distribuzione sembra precedere e determinare la produzione, quasi si trattasse di un fatto pre-economico. Un popolo, che opera delle conquiste, divide la terra fra i conquistatori e così impone una determinata forma e divisione della proprietà terriera; quindi, determina la produzione. Ovvero rende schiavi i conquistati e, quindi, rende il lavoro schiavistico il fondamento della produzione. Oppure un popolo che, mediante una rivoluzione, parcellizza la grande proprietà fondiaria, mediante questa nuova distribuzione, dà anche un nuovo carattere alla produzione. Oppure, la legislazione eternizza la grande proprietà terriera di certe famiglie o suddivide il lavoro come un privilegio ereditario, cristallizzandolo in caste. In ognuno di questi casi -tutti storici- sembra che la distribuzione articoli e determini la produzione e non che quest’ultima determini la prima.

Alla considerazione più superficiale, la distribuzione si presenta come distribuzione di prodotti e sussistente ben al di fuori e quasi indipendentemente dalla produzione. Ma prima di essere distribuzione di prodotti, la distribuzione è: 1) distribuzione degli strumenti di produzione e 2) distribuzione dei membri della società fra i diversi rami della produzione -il che è un’ulteriore determinazione dello stesso rapporto. (Sussunzione degli individui sotto determinati rapporti di produzione) [12]. La distribuzione dei prodotti è, chiaramente, solo un risultato di quest’altra distribuzione, che è radicata nel cuore stesso del processo di produzione e che determina l’articolazione della produzione. La produzione, esaminata facendo astrazione dalla distribuzione in essa implicita, è chiaramente una vuota astrazione, mentre al contrario la distribuzione dei prodotti è già data, essendo data quest’altra distribuzione che costituisce un momento originario della produzione. Ricardo -il cui scopo era cogliere la moderna produzione nella sua determinata articolazione sociale e che è per eccellenza l’economista della produzione- indica proprio per questo non la produzione, ma la distribuzione come tema proprio dell’economia moderna. Da qui risalta di nuovo l’insulsaggine degli economisti, che trattano la produzione come un’eterna verità e relegano nella storia solo la distribuzione.

Quale rapporto si stabilisca tra questa distribuzione, che determina la produzione, e la produzione stessa è, chiaramente, una questione che si colloca all’interno della produzione. Qualora si dicesse che poiché la produzione deve derivare da una certa distribuzione, almeno, degli strumenti di produzione, allora, in questo senso, la distribuzione precede la produzione e ne costituisce il presupposto, l’adeguata risposta sarebbe che, in effetti, la produzione ha presupposti e condizioni, che ne costituiscono i momenti, e che, al primo inizio, potrebbero presentarsi anche come presupposti e condizioni naturali (naturwüchsig) [13]. Mediante lo steso processo di produzione questi presupposti e condizioni vengono trasformati da naturali in storici e se in un periodo appaiono come presupposti naturali della produzione è perché sono stati, precedentemente, un suo risultato storico. Tali presupposti e condizioni sono, all’interno della produzione, sottoposti ad un continuo cambiamento. Ad es., l’impiego del macchinario modifica sia la distribuzione degli strumenti di produzione che dei prodotti. La stessa moderna grande proprietà fondiaria è un risultato sia del commercio e dell’industria moderni, sia dell’impiego di quest’ultima in agricoltura.

Le questioni prima poste, in ultima istanza, trovano -tutte- la loro soluzione nel modo in cui i rapporti storici generali operano (hineinspielen) all’interno della produzione, e nel modo in cui la stessa produzione si rapporta al movimento storico. La questione, chiaramente, fa parte della discussione e dello svolgimento (Entwicklung) della stessa produzione.

Per la forma triviale in cui, sopra, son state poste, ci si potrebbe rapidamente sbrigare di tali questioni. In tutti i casi di conquista, tre son le possibilità. Il popolo conquistatore impone al conquistato il proprio modo di produzione (ad es., gli Inglesi in Irlanda, in questo secolo, e, in parte, in India). Oppure, il conquistatore consente la sopravvivenza del precedente modo di produzione e si contenta di tributi (per es., Turchi e Romani). Oppure, c’è una reciproca influenza, da cui nasce qualcosa di inedito, una sintesi (in parte questo è il caso delle conquiste germaniche). In ogni caso, il modo di produzione -sia quello del popolo conquistatore, sia quello del popolo conquistato, sia quello che risulta dalla mescolanza di entrambi- è determinante per la nuova [forma di] distribuzione, che si impone. Per quanto appaia presupposto del nuovo periodo della produzione, la distribuzione è, essa stessa, un prodotto della produzione -e non solo della produzione in un senso storico generale, ma anche in un senso storicamente determinato.

I Mongoli, ad es., con le loro devastazioni in Russia, agivano in modo conforme alla loro produzione -la pastorizia-, fondamentale condizione della quale è l’esistenza di grandi estensioni disabitate. I barbari germanici, per i quali la produzione tradizionale era la coltivazione dei campi con lavoro servile ed una vita solitaria in campagna, potettero imporre queste condizioni alle province romane tanto più facilmente, quanto più la concentrazione della proprietà fondiaria aveva già stravolto, in quei territori, i più antichi rapporti (Verhältnis) agricoli.

E’ una concezione (Vorstellung) tradizionale che, in certi periodi, si sia vissuto solo di rapina. Ma perché si possa rapinare, è necessario che vi sia qualcosa da rapinare, dunque, che vi sia una produzione. Ed anche il odo della rapina è, a sua volta, determinato dal modo di produzione. Una nazione di speculatori di borsa (stock-jobbing nation) non può esser rapinata nello stesso modo, in cui può esserlo una nazione di vaccari.

Quando ci si impadronisce di uomini per ridurli in schiavitù, si ruba direttamento lo strumento di produzione. Ma allora è necessario che la produzione agricola, a vantaggio della quale lo schiavo è stato rubato, sia strutturata in modo tale da consentire la schiavitù o (come avviene in Sudamerica, ecc.) o che vi sia un modo di produzione corrispondente a quello della schiavitù.

Le leggi possono perpetuare [il possesso di] uno strumento di produzione, per es. la terra, [da parte di] alcune famiglie. Queste leggi hanno un significato economico solo se la grande proprietà fondiaria è in armonia con la produzione sociale, come per es. in Inghilterra. In Francia era praticata la piccola agricoltura, nonostante la grande proprietà terriera; quest’ultima, dunque, poté essere abbattuta anche dalla Rivoluzione. Ma è possibile perpetuare la parcellizzazione, ad es., mediante le leggi? Nonostante le leggi, la proprietà si concentra di nuovo. Va determinato particolarmente l’influsso delle leggi sulla stabilizzazione dei rapporti di produzione ed, attraverso ciò, il loro influsso sulla produzione.

In fine, scambio e circolazione.

Scambio e produzione.

La stessa circolazione esaminata come solo un momento determinato dello scambio o anche lo scambio nella sua totalità.

Se lo scambio è solo un momento di mediazione fra la produzione e la distribuzione, da quella determinata, con il consumo; e se quest’ultimo appare come un momento della produzione, allora lo scambio è chiaramente compreso, anche, in quest’ultima come un momento suo.

In primo luogo è chiaro che lo scambio, che avviene nella stessa produzione, di attività e facoltà appartiene direttamente alla produzione e la definisce nella sua essenza. In secondo luogo, lo stesso vale per lo scambio di prodotti, in quanto sia mezzo per la costruzione del prodotto finito, determinato in vista del consumo immediato.In questa misura, lo scambio stesso è un atto compreso nella produzione. In terzo luogo, il cosiddetto scambio fra negozianti [14] è non solo del tutto determinato dalla produzione, per quanto riguarda la sua stessa organizzazione, ma è, anche, proprio esso un’attività produttiva. E’ solo nel suo ultimo stadio che lo scambio si presenta, indipendente, accanto alla produzione ed indifferente rispetto ad essa, cioè, quando il prodotto è scambiato immediatamente per il consumo. Ma 1) non c’è scambio senza divisione del lavoro, sia quest’ultima naturale o già risultato di una storia. 2) Lo scambio privato presume la proprietà privata; 3) sia l’intensità che l’estensione e il modo dello scambio è determinato dallo svolgersi e strutturarsi della produzione. Per esempio. Scambio tra città e campagna; scambio nella campagna e nella città, ecc. In tutti i suoi momenti, dunque, lo scambio si presenta o direttamente interno alla produzione, oppure da questa determinato.

Il risultato a cui giungiamo non è che produzione, distribuzione, scambio, consumo siano identici, sì piuttosto che, tutti, son le articolazioni di una totalità, differenze interne ad un’unità. La produzione predomina sia su se stessa, nella contraddittoria determinazione della produzione, sia sugli altri momenti. E’ dalla produzione che il processo ricomincia sempre di nuovo. Che scambio e consumo non possano essere il momento predominante è del tutto chiaro. Altrettanto a proposito della distribuzione come distribuzione dei prodotti; ma in quanto distribuzione degli agenti della produzione, essa stessa è un momento della produzione. Una produzione determinata, dunque, determina un determinato consumo, una determinata distribuzione, un determinato scambio ed i rapporti determinati di questi diversi momenti tra di loro. Necessariamente, anche la produzione, nella sua forma unilaterale, è, a sua volta, determinata dagli altri momenti. Ad es., quando il mercato si estende, cioè quando si ampliano le sfere dello scambio, anche il dominio della produzione si allarga e si articola ulteriormente. Modificandosi la distribuzione, si modifica anche la produzione; per es., con la concentrazione del capitale, con un diverso distribuirsi della popolazione fra città e campagna, ecc. Infine, i bisogni di consumo determinano la produzione. Tra i differenti momenti c’è interazione. Così avviene in ogni tutto organico.

NOTE 1. Così leggiamo in Aristotele, Topici, 100a25: "Sillogismo è propriamente un discorso in cui, posti alcuni elementi, risulta per necessità, attraverso gli elementi stabiliti, alcunché di differente da essi."; dunque, per Aristotele, il sillogismo è un argomento -dimostrativo-, ben costruito secondo certe regole. Nell’hegeliana Wissenschaft der Logik, II: 351s,, leggiamo: "Il sillogismo è il concetto posto compiutamente, dunque, è il razionale. L’intelletto è assunto come la capacità del concetto determinato, fissato per sé nell’astrazione e nella forma dell’universalità. Nella ragione, invece, i concetti determinati sono posti nella loro totalità ed unità. Non solo il sillogismo è razionale, ma tutto ciò che è razionale è sillogismo.". Sappiamo che, per Hegel, il porsi del concetto non è un mèro processo logico, bensì logico-storico; non meraviglia, dunque, che l’hegeliano Marx possa trovare, in un processo storico determinato (il movimento che media produzione e consumo), il mostrarsi della forma sillogistica.

2. Di grande interesse la concezione hegeliana della cultura/Bildung., che certamente Marx ha ben presente. Nelle già citate Grundlienien..., §. 187, Hegel definisce la cultura un duro lavoro, a cui l’individuo deve sottoporsi per liberarsi, da un lato, dell’immediatezza della sensazione, del desiderio e dell’arbitraria convinzione, dall’altro, per costruirsi come capacità di valutazione e comportamento razionali, universali. La durezza di questa fatica, sottolinea Hegel, spiega l’ostilità che, in vero, circonda la cultura E’ chiaro che l’impegno dell’uomo, a liberarsi dalla propria immediatezza naturale ed a costruirsi come realtà culturale, implicita un forte senso della dignità dell’uomo; di qui l’amarezza grande che lo spettacolo della storia -delle sue insensatezze, mostruosità ed errori-, può ingenerare, dacché non è consentito all’uomo di ignorare la propria responsabilità per quel terribile spettacolo (G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia: 63). Ancora nelle Grundlinien, al §. 187, Hegel definisce l’uomo colto come colui "che sa comprendere il mondo ed adeguarsi ad esso; l’incolto, invece, è ideosincratico, contrappone la propria soggettività al mondo, è indifferente al modo di essere di questo. L’uomo colto è universale."; a dissipare ogni fraintendimento di questa definizione come dichiarazione di passivo conformismo, valga la descrizione, che lo stesso Hegel fa del lavoro nella moderna società civile: "Nel lavoro, l’universale e l’oggettivo stanno, però, nell’astrazione, che produce la specificazione dello strumento e dei bisogni, con la conseguenza di dar luogo alla specificazione della stessa produzione ed alla divisione del lavoro. Mediante la divisione, il lavoro dei singoli diventa più facile e cresce l’abilità in questo loro lavoro astratto, così come cresce la quantità che si riesce a produrre. Nello stesso tempo, questa astrazione dell’abilità e dello strumento completa la dipendenza e la relazione reciproca degli uomini l’uno rispetto all’altro, in vista della soddisfazione dei bisogni per la necessità di tutti. L’attività produttiva divenuta astratta rende il lavorare sempre più meccanico ed alla fine ciò rende possibile cacciar via gli uomini ed introdurre al loro posto le macchine.". Questo tema è ripreso dall’Enzyklopädie, §. 525 e §. 526, in termini tali da anticipare pienamente Marx. Nel §. 411 dell’Enzyklopädie, Hegel riprende un tema, che aveva già trattato: quello del nesso tra formazione di abilità corporee nuove, di costruzione di strumenti operativi, ed evoluzione delle facoltà spirituali dell’uomo.

3. Se comprendiamo il significato del termine produrre, comprendiamo anche la sua immediata identità col proprio opposto, ovvero con consumare: ecco un chiarissimo esempio di tautologia. Ma, stabilito il rapporto logico-linguistico tra i due termini, Marx procede a descrivere cosa esso comporti o significhi nel Dasein, nell’esistenza effettiva. In questo senso, la tautologia vien trasportata dal piano logico-linguistico a quello del vivere reale: è così che emergono i vari lati o conseguenze, nell’esperienza, della tautologia in questione. Da vuota tautologia, essa diviene piena.

4. "Ci sono bisogni che devono essere appagati e mezzi per il loro appagamento. Ciò comporta le antitesi generali di consumo e produzione. Ora il valore dei mezzi si determina anche secondo ciò. I mezzi che l’operaio produce devono costituire assieme il valore di ciò che consuma, e deve inoltre essere prodotto ancora di più di quanto venga immediatamente consumato. Il consumo in genere non deve essere qualcosa di meramente negativo, ma deve condurre a sua volta alla produzione." (G.W.F. Hegel, Le filosofia del diritto: 262). Il principio spinoziano, richiamato da Marx, è ovviamente presente anche negli scritti di Hegel -ad es., in Enzyklopädie, §. 91. Zusatz. Sulla presenza di Spinoza in Hegel, così si legge in Marx - Engels, La sacra famiglia: 182s: "La lotta fra Strauss e Bauer sulla sostanza e sull’ autocoscienza è una lotta che ha luogo all’ interno delle speculazioni hegeliane. In Hegel si hanno tre elementi: la sostanza spinoziana, l’ autocoscienza fichtiana, l’ unità hegeliana, necessariamente contraddittoria, di entrambe, lo spirito assoluto." . Un recente studio, che si interessa anche della presenza di Spinoza in Hegel, è quello di F. Menegoni, compreso in Quaderni di Verifiche, 6.

5. Mantenendosi strettamente all’interno della materia qui trattata, l’uso del linguaggio dialettico hegeliano non sembra affatto inevitabile ché, al contrario, appare linguaggio sovrabbondante e non giustificato. A meno che Marx, parlando di produzione e consumo, non voglia suggerire dell’altro. E quest’altro -a ben vedere- è un modo di concepire la storia, il quale è dialettico. Nel senso che è la dialettica (di Hegel, sostanzialmente) a fornire il linguaggio per dire le complessità di un processo, che si svolge per contraddizioni, inclusive e non-inclusive, e loro superamento -determinato e, dunque, sempre revocabile e revocato. Si ricordi, a conferma di quanto diciamo, che Prawer (op. cit.: 216) valuta questa Introduzione di Marx documento non solo della sua critica all’economia politica, ma più ancora del suo impegno a costruire una "complessiva scienza dell’uomo".

6. Anche questo concetto di finish ci permette di cogliere la ‘profondità’ storica della riflessione di Marx. Ad es., così leggiamo in Aristotele: "Infatti come per un suonatore di flauto e per uno scultore e per ogni artigiano e, in generale, per le cose di cui vi è un’opera ed un’azione (e r g o n t i k a i p r a x i V)è nell’opera che, ad avviso unanime, risiedono il bene e la perfezione, così tutti ammetteranno che è anche per l’uomo, se è vero che vi è un’opera propria di lui." (Etica nicomachea 1097b 25-30); "... l’opera è migliore che la disposizione, giacché è fine: il fine è stato infatti definito come la cosa migliore e suprema in vista della quale si compiono tutte le altre cose. E’ chiaro dunque che l’opera è superiore alla disposizione e alle facoltà." (Etica eudemia, 1219a 4-5). In Hegel leggiamo: "E’ questo il rapporto fra sostanza e accidenti, fra l’interno e l’esterno, fra la forza e la sua manifestazione. Questo è logico: la sostanza, il fondamento è essenzialmente esterno; la sostanza ha accidenti ed è la loro totalità (ciò è inseparabile); la forza si deve esternare, diversamente non è tale, essa appare solo nella sua manifestazione. Il campo arato è campo arato solo in quanto abbia un ricavo, l’albero in quanto è legno, è combustibile (legno e combustibile non possono essere separati). Chi dunque ha l’uso di un campo arato è proprietario dell’intero, all’altro non resta più nulla...(Hegel, Le filosofie del diritto: 98).

7. Questo testo di Marx è significativamente costruito sulla contrapposizione tra versachlichte Tätigkeit, da un lato, e Gegenstand für das tätige Subjekt. E’ questo un caso particolarmente evidente a riprova della tesi che Marx ricorre al linguaggio hegeliano non tanto perché sollecitato a ciò dal lato strettamente economico di ciò che egli studia; sì piuttosto in quanto suo scopo è inserire l’argomento economico in una prospettiva storica e teorica più generale, fondata esattamente sul superamento della reificazione ( la versachlichte Tätigkeit) in quanto forma estraniata dell’attività del soggetto (il tätige Subjekt). In questo senso, abbiamo qui un rapido anticipo sul tema del feticismo della merce, che comparirà nei volumi I e III di Das Kapital.

8. Che il termine Trieb giochi un ruolo centrale nelle filosofie di Aristotele (Trieb = phorà/j o r a) di Hegel e di Marx, non meraviglia dato che, come abbiamo già visto, tutte e tre pongono l’enfasi sull’«opera», sulla «prassi», sulla «proiezione nel Dasein».

9. Si badi che Marx ironizza, qui, non contro Hegel, ma contro un ipotetico e generico hegeliano.

10. Così Prawer, op. cit.: 219 definisce il bellettrismo: "la scrittura epigona, esperta e levigata, che non aveva nulla da dire".

11. L’espressione di Marx è "übergreifende Moment". Ho sottolineato übergreifende perché di non facile traduzione: infatti, sta a indicare il «comprendere entro di sé e, contemporaneamente, superare qualcosa». Per chiarire, si pensi a questa precisazione di Marx, che sta descrivendo il movimento Denaro - Merce - Denaro: in esso, scrive Marx, denaro e merce appaiono solo come diverse forme d’esistenza determinata (Daseinsform) del valore di scambio, il quale, la prima volta, appare nella sua forma universale di denaro, la seconda, nella forma particolare di merce, ma sempre come ciò che comprende/supera (als das übergreifende) le due forme e che in esse si afferma (Karl Marx - Friedrich Engels, Gesamtausgabe: 10s). Un autore, che ha particolarmente sottolineato l’importanza di questo verbo - übergreifen- nella prospettiva dialettica di Hegel e di Marx, è il tedesco H. H. Holz, di cui ricordo Marx, la storia, la dialettica.

12. Rapporti di produzione, cioè, Produktionsverhältnisse.

13. In generale, il Marx di Das Kapital usa naturwüchsig in un duplice senso: è naturwüchsig il movimento delle differenti sfere della produzione, che cercano un loro equilibrio (in questo caso, «naturale» significa casuale, non consapevole, non organizzato, non pianificato). tale processo «naturale» è, però, obbligato da un altro processo -«naturale» anch’esso ma in un significato diverso: esistono molteplici e differenziati bisogni sociali, che debbono essere soddisfatti e che naturalmente/spontaneamente si incatenano in un sistema. Dunque, due processi naturali, due usi diversi del termine naturale o, se si vuole, due aspetti diversi del naturale: la spontanea necessità assume, anche, l’aspetto dell’arbitrio/Willkür e del caso/Zufall. Come anche avviene in Hegel.

14. Dealers and dealers.

 

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Ultima modifica 24.12.2003