"urn:schemas-microsoft-com:office:word"> MIA - Marx-Engels: Voci per la <i>New American Cyclopœdia</i>

Voci per la New American Cyclopœdia

Marx-Engels (1857-60)

Personaggi storici 2

 

Blücher
Blum
Bolivar
Bosquet
Bourrienne
Brown
Brune
Bugeaud
Bùlow
Coehorn

BLÜCHER

Blücher, Gebhard Leberecht von, principe di Wahlstatt, feldmaresciallo prussiano, nato il 16 dicembre 1742 a Rostock, nel Meclemburgo-Schwerin, morto a Krieblowitz, in Slesia, il 12 settembre 1819. Nel 1754, quando era ancora un ragazzo, fu mandato all'isola di Rùgen e qui segretamente arruolato come portabandiera in un reggimento di ussari svedesi per servire contro Federico II di Prussia. Preso prigioniero nella campagna del 1758, dopo un anno di carcerazione e dopo aver ricevuto il congedo dall'esercito svedese fu convinto a entrare nell'esercito prussiano. Il 3 marzo 1771 fu nominato capitano di cavalleria. Nel 1778 il capitano von Jàgersfeld, figlio naturale del margravio di Schwedt, ricevette al posto suo la promozione al posto vacante di maggiore, e allora Blücher così scrisse a Federico il: «Sire, mi è stato preferito Jàgersfeld, il quale non ha altro merito che essere il figlio del margravio di Schwedt. Prego la maestà vostra di accordarmi il congedo
[57]».

Per tutta risposta Federico II lo fece rinchiudere in carcere, ma quando, nonostante il prolungarsi della prigionia, Blücher rifiutò di ritirare la sua lettera di dimissioni, il sovrano accolse la sua petizione con un biglietto che così recitava: «II capitano von Blücher può andare al diavolo». Egli allora si stabilì nella Slesia polacca, presto si sposò, divenne agricoltore, acquistò una piccola tenuta in Pomerania e, dopo la morte di Federico 11, rientrò nel suo precedente reggimento con il grado di maggiore, a condizione però che la sua nomina fosse retrodatata al 1779. Qualche mese più tardi morì la moglie. Partecipò quindi all'invasione incruenta dell'Olanda [58] e il 3 giugno, 1788 fu nominato tenente colonnello. Il 20 agosto 1790 fu promosso colonnello e assunse il comando del primo battaglione del reggimento di ussari nel quale era entrato nel 1760.

Nel 1794, durante la campagna nel Palatinato contro la Francia repubblicana, si distinse a capo della cavalleria leggera. Dopo la vittoriosa faccenda di Kirrweiler fu promosso al grado di general-maggiore; le azioni militari di Lussemburgo, Kaiserslautern, Morschheim, Weidenthal, Edesheim ed Eden-koben gli assicurarono una crescente fama. Anche se teneva costantemente sotto pressione i francesi con audaci coups de main e vincenti incursioni, non trascurava mai di trasmettere al quartier generale le informazioni più accurate riguardo ai movimenti del nemico. Il suo diario, scritto durante questa campagna e pubblicato nel 1796 dal suo aiutante di campo, il conte Goltz, è considerato, nonostante lo stile incolto, un'opera classica sulle azioni militari d'avanguardia [59].

Dopo la pace di Basilea (1795) Blücher si risposò. Il nuovo sovrano Federico Guglielmo III lo nominò luogotenente generale e in questa veste Blücher occupò e governò Erfurt, Mùhlhausen e Mùnster. Nel 1805 ebbe ai suoi ordini un piccolo corpo militare a Bayreuth con il compito di sorvegliare gli immediati sviluppi che la battaglia di Austerlitz aveva prodotto per i prussiani, vale a dire l'occupazione del principato di Anspach a opera delle truppe di Bernadotte.

Nel 1806 Blücher era al comando dell'avanguardia prussiana alla battaglia di Auerstedt. Il suo assalto fu però respinto dal terribile fuoco dell'artiglieria di Davout e il re di Prussia rifiutò la sua proposta di lanciare una nuova carica con truppe fresche e con tutta la cavalleria. Dopo la doppia sconfitta di Auerstedt e Jena effettuò una ritirata discendendo il corso dell'Elba, mentre lo spietato inseguimento di Napoleone costringeva il grosso dell'esercito prussiano ad arretrare da Jena a Stettino. Durante la ritirata Blücher raccolse truppe disperse di vari corpi e ciò portò la sua armata a circa 25.000 uomini. Il suo ripiegamento su Lubecca, che anticipò l'arrivo delle forze congiunte di Soult, Bernadotte e Murat, rappresenta uno dei pochi episodi onorevoli in quell'epoca di umiliazione per la Germania. Poiché Lubecca era territorio neutrale, il fatto che Blücher avesse trasformato le strade di quella città aperta nel teatro di una disperata battaglia, esponendola inoltre a tre giorni di saccheggio da parte dei soldati francesi, divenne oggetto di animata censura; tuttavia, in quelle circostanze, fu importante offrire al popolo tedesco almeno un esempio di fiera resistenza. Scacciato da Lubecca, Blücher dovette capito lare nella piana di Ratekau il 7 novembre 1806, ma impose come condizione che venisse messo per iscritto che si era dovuto arrendere «per mancanza di munizioni e approvvigionamenti» [60]. Liberato sulla sua parola d'onore, riparò ad Amburgo dove, in compagnia dei figli maschi, ammazzò il tempo giocando a carte, fumando e bevendo. A seguito di uno scambio con il generale Victor, fu nominato governatore generale della Pomerania; ma uno degli articoli segreti dell'alleanza conclusa dalla Prussia il 24 febbraio 1812 con Napoleone prevedeva la dimissione dal servizio di Blücher, come anche di Scharnhorst e di altri emeriti patrioti prussiani. Per compensarlo di questa disgrazia ufficiale il re gli assegnò segretamente la bella tenuta di Kunzendorf in Slesia.

Durante gli anni che segnarono la transizione tra la pace di Tilsit e la guerra d'indipendenza tedesca, i capi del Tugendbund Scharnhorst e Gneisenau vollero creare rapidamente un eroe popolare, e scelsero Blücher [61]. Nell'opera di diffusione della sua fama tra le masse ebbero un tale successo che, quando Federico Guglielmo ili chiamò i prussiani alle armi con il proclama del 17 marzo 1813, i due possedevano sufficiente forza per imporlo al re come generale in capo dell'esercito prussiano. Nelle battaglie di Lùtzen e Bautzen (1813), ben disputate ma sfortunate per gli alleati, Blücher combattè sotto il comando di Wittgenstein. Nel corso della ritirata delle armate alleate da Bautzen a Schweidnitz, rimase nascosto a Haynau finché non gli fu possibile piombare con la sua cavalleria sull'avanguardia francese comandata da Maison, che in quell'occasione perse 1.500 uomini e 11 cannoni. Con questo attacco di sorpresa Blücher rialzò il morale dell'esercito prussiano e indusse Napoleone a una grande cautela nell'inseguimento.

Il passaggio di Blücher al comando autonomo di un esercito risale al momento della scadenza della tregua di Trachenberg, il io agosto 1813. I sovrani alleati avevano allora diviso le loro forze in tre armate: l'armata del Nord al comando di Bernadotte, di stanza lungo il basso Elba; l'armata principale, che stava avanzando in Boemia; l'armata slesiana con Blücher comandante in capo, affiancato da Gneisenau in qualità di capo di stato maggiore e,da Mùffling come quartiermastro generale. Questi ultimi, che lo seguirono sempre nelle stesse funzioni fino alla pace del 1815, gli redigevano tutti i piani strategici. Come testimonia Mùffling, Blücher «non capiva nulla della condotta strategica di una guerra; ne capiva talmente poco che quando gli veniva sottoposto un piano per l'approvazione, perfino un piano relativo a operazioni di minor conto, non riusciva a farsene un'idea chiara o a valutare se fosse buono o cattivo [62]».

Come molti marescialli di Napoleone, neanche Blücher sapeva leggere le mappe. L'armata slesiana era composta da tre corps d'armée: 40.000 russi al comando del conte Langeron, 16.000 uomini al comando del barone von Sacken e il corpo prussiano di 40.000 uomini al comando del generale Yorck. A capo di questa eterogenea armata la posizione di Blücher era estremamente difficile. Langeron, che aveva già ricoperto comandi indipendenti ed era restio a servire sotto un generale straniero, era anche al corrente che Blücher aveva segretamente ricevuto ordini che gli imponevano di limitarsi a un ruolo difensivo; egli invece ignorava che, in un incontro con Barclay de Tolly a Reichen-bach Pii agosto, lo stesso Blücher aveva strappato il permesso di agire secondo le circostanze. Pertanto Langeron si riteneva giustificato a disobbedire

agli ordini ogni volta che il generale in capo gli sembrava discostarsi dal piano prestabilito, e in questa condotta ribelle era fortemente appoggiato dal generale Yorck.

Il pericolo derivante da questo stato di cose si faceva sempre più minaccioso quando la battaglia del Katzbach assicurò a Blücher quel dominio sul I suo esercito che lo avrebbe portato fino alle porte di Parigi. Il maresciallo Macdonald, incaricato da Napoleone di ricacciare l'armata slesiana nell'interno della Slesia, il 26 agosto iniziò la battaglia attaccando gli avamposti di , Blücher situati tra Prausnitz e Kraitsch, laddove il Neisse sfocia nel Katzbach. La cosiddetta battaglia del Katzbach consistette, in effetti, di quattro diverse azioni, la prima delle quali, far sgombrare con un assalto alla baionetta circa otto battaglioni francesi (neanche un decimo delle forze avversarie) da un pianoro alle spalle di una cresta sulla riva destra del Neisse, produsse conseguenze del tutto sproporzionate rispetto alla sua originaria importanza: perché i soldati francesi in fuga dal pianoro non furono raccolti a Niedercrayn, ma lasciati oltre il Katzbach a Kraitsch, dove la loro presenza sarebbe stata del tutto ininfluente per il resto dell'esercito francese; perché verso sera le truppe di Sacken e Langeron inflissero alcune sconfitte al nemico sulla riva sinistra del Neisse; perché il maresciallo Macdonald, che aveva personalmente il comando sulla riva sinistra, e aveva opposto all'attacco di Langeron una debole difesa fino alle sette di sera, immediatamente dopo il tramonto fece marciare le sue truppe fino a Goldberg in uno stato di tale sfinimento che esse non riuscirono più a combattere e caddero nelle mani del nemico; e, infine, a causa delle condizioni atmosferiche, con violente piogge che avevano trasformato corsi d'acqua altrimenti insignificanti (Neisse, Katzbach, Deichsel, Bober) in impetuosi torrenti che i francesi in fuga dovettero attraversare e avevano reso quasi impraticabili le strade. Avvenne così che, anche con l'aiuto della milizia locale sulle montagne sovrastanti il fianco sinistro dell'armata slesiana, la battaglia del Katzbach, di per sé insignificante, portò alla cattura di 18.000 o 20.000 uomini, di oltre 200 pezzi di artiglieria e 300 carri di munizioni, materiale sanitario e bagaglio in genere.

Dopo la battaglia Blücher fece di tutto per spingere le sue truppe a impiegare le ultime energie nell'inseguimento del nemico, dicendo semplicemente che «con un piccolo sforzo fisico esse avrebbero potuto risparmiare una nuova battaglia». Il 3 settembre attraversò il Neisse con la sua armata e il 4 costeggiò Bischofswerda per andare a concentrarsi a Bautzen. Con questa mossa salvò l'armata principale che, sbaragliata a Dresda il 27 agosto e costretta a ritirarsi dietro gli Erzgebirge, risultò allora disimpegnata, visto che Napoleone dovette avanzare con i rinforzi verso Bautzen per raccogliervi l'esercito sconfitto sul Katzbach e offrire battaglia all'armata slesiana. Durante la sua permanenza nell'angolo sudoccidentale della Sassonia, sulla riva destra dell'Elba, 1 con una serie di avanzate e ritirate Blücher evitò sempre lo scontro che gli veniva offerto da Napoleone, ma ingaggiò sempre battaglia quando incontrava singoli distaccamenti dell'esercito francese. Il 22, 23 e 24 settembre marciò lateralmente al fianco destro del nemico, avanzando a tappe forzate sul basso Elba e giungendo in prossimità dell'armata del Nord. Il 2 ottobre fece collegare le due sponde dell'Elba a Elster con una fila di pontoni e il mattino del 4 la sua armata attraversò il fiume. Questa operazione, che non fu soltanto audace, ma perfino rischiosa, dato il completo abbandono delle linee di comunicazione, si rese necessaria per superiori ragioni politiche e portò infine alla battaglia di Lipsia che, se non fosse stato per Blücher, l'armata principale, così lenta ed eccessivamente cauta, non avrebbe mai azzardato.

L'armata del Nord, di cui era comandante in capo Bernadotte, contava circa 90.000 uomini e di conseguenza era della massima importanza che avanzasse in Sassonia. Tramite lo stretto collegamento che manteneva con Bùlow e Wintzingerode, i comandanti dei corpi prussiano e russo che facevano parte dell'armata del Nord, Blücher ottenne prove molto convincenti del civettare di Bernadotte con i francesi e dell'impossibilità di indurló a qualsiasi azione finché fosse rimasto da solo in un distinto teatro di guerra. Bùlow e Wintzingerode si dichiararono pronti a muoversi nonostante Bernadotte, ma per farlo chiesero il supporto di 100.000 uomini. Di qui la risoluzione di Blücher di effettuare la sua marcia laterale, risoluzione in cui perseverò sebbene avesse ricevuto dai sovrani alleati l'ordine di portarsi più vicino a loro, piegando a sinistra verso la Boemia. Non si lasciò distogliere dal suo obiettivo dagli ostacoli che Bernadotte continuò sistematicamente a porre sul suo cammino perfino dopo l'attraversamento dell'Elba da parte dell'armata slesiana. Prima di lasciare Bautzen, Blücher aveva mandato a Bernadotte un suo ufficiale per informarlo, in via del tutto confidenziale, che, giacché l'armata del Nord era troppo debole per operare da sola sulla sponda sinistra dell'Elba, sarebbe giunto con la sua armata slesiana e avrebbe passato il fiume a Elster il 3 ottobre; lo invitava quindi ad attraversare nello stesso giorno e ad avanzare con lui in direzione di Lipsia. Poiché Bernadotte non aveva preso in considerazione questo messaggio e poiché il nemico aveva occupato Wartenburg, che si trova proprio di fronte a Elster, Blücher fece prima sloggiare le sue truppe da quest'ultima cittadina e poi, per proteggersi da un eventuale attacco in forze di Napoleone, iniziò a costruire un accampamento trincerato tra Wartenburg e Bleddin. Di qui si spinse in avanti verso il Mulde.

Il 7 ottobre, in un colloquio con Bernadotte, fu deciso che le due armate marciassero insieme verso Lipsia. Il giorno 9, mentre l'armata slesiana si preparava a partire, Bernadotte fu raggiunto dalla notizia che Napoleone stava avanzando sulla strada di Meissen e suggerì allora di ritirarsi oltre l'Elba; acconsentì infine a rimanere sulla sponda sinistra a condizione che Blücher accettasse di attraversare il Saale insieme a lui per prendere posizione dietro quel fiume. Anche se con questa manovra l'armata slesiana perdeva nuovamente la sua linea di comunicazione, Blücher accettò perché altrimenti gli alleati non avrebbero più potuto contare sull'apporto dell'armata del Nord.

Il 10 ottobre l'intera armata slesiana era a fianco dell'armata del Nord sulla sponda sinistra del Mulde, i cui ponti furono distrutti. A questo punto Berna-dotte dichiarò che era necessario ripiegare su Bernburg e Blücher, all'unico scopo di evitare che si riportasse sulla riva destra dell'Elba, acconsentì di nuovo, a condizione che Bernadotte guadasse il Saale a Wettin e lì si attestasse. L'11 ottobre, mentre le sue colonne stavano per attraversare la strada principale tra Magdeburgo e Halle, Blücher fu informato che, nonostante le promesse, Bernadotte non aveva costruito nessun ponte a Wettin e allora decise di procedere sulla strada principale a marce forzate.

Intanto Napoleone prendeva atto che l'armata del Nord e l'armata slesiana avevano evitato di ingaggiare la battaglia che aveva offerto loro concentrandosi a Dùben, e sapeva che gli avversari non avrebbero potuto evitarlo ancora senza ritirarsi oltre l'Elba; egli era inoltre consapevole che gli restavano solo quattro giorni prima di incontrare l'armata principale e di finire così tra due fuochi; decise allora di marciare lungo la sponda destra dell'Elba in direzione di Wittenberg in modo da attirare con questo movimento simulato le armate del Nord e slesiana al di là dell'Elba, per poi sferrare un rapido colpo all'armata principale. Bernadotte, in effetti, preoccupato per le sue linee di comunicazione con la Svezia, ordinò ai suoi uomini di passare senza indugio sulla riva destra dell'Elba utilizzando un ponte costruito ad Aken; lo stesso giorno, il 13 ottobre, informò Blücher che, per una serie di importanti motivi, l'imperatore Alessandro lo aveva posto sotto il suo comando. Di conseguenza lo invitò a seguire con l'armata slesiana i suoi movimenti sulla sponda destra dell'Elba, e ciò con il minimo ritardo possibile. Se in questa occasione Blücher si fosse dimostrato meno risoluto e avesse seguito l'armata del Nord, la campagna sarebbe stata perduta perché le armate del Nord e slesiana, che insieme contavano circa 200.000 uomini, non sarebbero state presenti alla battaglia di Lipsia. Blücher scrisse a Bernadotte che, secondo tutte le informazioni in suo possesso, Napoleone non aveva alcuna intenzione di spostare il teatro di guerra sulla sponda destra dell'Elba, ma stava solo cercando di portarli fuori strada. Allo stesso tempo pregò Bernadotte di rinunciare al suo progetto di attraversamento dell'Elba. Dopo aver ripetutamente sollecitato l'armata principale ad avanzare su Lipsia offrendosi di incontrarla nei pressi di tale località, finalmente Blücher ricevette, il 15 ottobre, l'invito tanto atteso. Mosse immediatamente in direzione di Lipsia, mentre Bernadotte si ritirava verso Petersberg. Nella sua marcia da Halle a Lipsia, il 16 ottobre sbaragliò a Mòckern il sesto corpo d'armata francese comandato da Marmont, in una battaglia molto dura 1 al termine della quale aveva catturato 54 pezzi d'artiglieria. Inviò subito un resoconto dell'esito dello scontro a Bernadotte, visto che il primo giorno della battaglia di Lipsia questi non era stato presente. Il secondo giorno della battaglia, il 17 ottobre, Blücher sloggiò il nemico dalla riva destra del Parme, eccezion fatta per alcuni edifici e trinceramenti vicini alla porta di Halle. All'alba del 18 si incontrò a Breitenfeld con Bernadotte, il quale dichiarò di non poter attaccare sulla riva sinistra del Parthe a meno che Blücher non gli fornisse per quella giornata 30.000 uomini dell'armata slesiana. Avendo in mente soltanto l'interesse generale, Blücher acconsentì senza esitare, ma a condizione di rimanere con quei 30.000 uomini per assicurare la loro vigorosa collaborazione all'attacco.

Dopo la vittoria finale del 19 ottobre, e durante tutta la ritirata di Napoleone da Lipsia al Reno, Blücher fu il solo a gettarsi in un vero e proprio inseguimento. Mentre i generali comandanti si incontravano il 19 ottobre nella piazza del mercato di Lipsia con i sovrani alleati, spendendo una gran quantità di tempo in reciproci complimenti, la sua armata slesiana stava già dirigendosi a Lùtzen all'inseguimento del nemico. Nel corso della marcia da Lùtzen a Weissenfels fu poi raggiunto dal principe Guglielmo di Prussia che gli conferì il grado di feldmaresciallo prussiano. I sovrani alleati avevano permesso a Napoleone di guadagnare un vantaggio che non poteva essere colmato, ma da Eisenach in poi, ogni pomeriggio Blücher occupava le stanze che Napoleone aveva lasciato al mattino. Mentre era sul punto di marciare su Colonia per attraversare il Reno in quel punto, fu richiamato e gli venne ordinato di porre il blocco intorno a Magonza, sulla sponda sinistra del fiume; il suo rapido inseguimento fino al Reno aveva infatti decretato la fine della Confederazione del Reno [63] disimpegnandone le truppe ancora arruolate nelle divisioni francesi. L'armata slesiana stabilì il proprio quartier generale a Hòchst, mentre l'armata principale risalì il corso dell'alto Reno. Terminò così la campagna del 1813, il cui successo fu interamente dovuto all'audace intraprendenza e alla ferrea energia di Blücher.

Gli alleati erano ora divisi riguardo al piano delle operazioni da seguire; una parte di essi proponeva di rimanere sul Reno e di attestarvisi in posizione difensiva, un'altra parte suggeriva di attraversare il fiume e di marciare su Parigi. Dopo lunga esitazione da parte dei sovrani, Blücher e i suoi sostenitori ebbero la meglio e fu deciso di avanzare in direzione di Parigi con un movimento concentrico: l'armata principale mosse dalla Svizzera, Bùlow dall'Olanda e Blücher con l'armata slesiana dalla media regione renana. Per questa nuova campagna furono assegnati a Blücher altri tre corpi, comandati da Kleist, dall'elettore dell'Assia e dal duca di Sassonia-Coburgo. Blücher lasciò parte delle truppe di Langeron a controllo di Magonza e radunò i nuovi rinforzi in una seconda divisione a seguito della prima; l'i gennaio 1814 attraversò il Reno in tre punti, a Mannheim, Caub e Coblenza, spinse Marmont oltre i Vosgi e la Saar nella valle della Mosella, piazzò le truppe di Yorck tra le fortezze di quest'ultima, e con 28.000 uomini (il corpo d'armata di Sacken e una divisione di quello di Langeron) avanzò via Vaucouleurs e Joinville su Brienne in modo da ricongiungersi a sinistra con l'armata principale. A Brienne, il 29 gennaio, fu attaccato da Napoleone che disponeva di 40.000 uomini: le truppe di Yorck erano ancora distaccate dall'armata slesiana e l'armata principale, forte di 110.000 soldati, era arrivata solo a Chaumont. Blücher dovette quindi affrontare da solo le forze di Napoleone che erano molto superiori alle sue. Tuttavia, Napoleone non lo assali con il suo solito vigore né, a parte qualche schermaglia di cavalleria, gli ostacolò la ritirata verso Trannes. Dopo aver preso possesso di Brienne, e dopo aver piazzato parte delle sue truppe nelle vicinanze occupando Dienville, La Rothière e Chauménil con tre diversi corpi, il 30 gennaio Napoleone sarebbe potuto piombare su Blücher con truppe molto più numerose, visto che quest'ultimo era ancora in attesa dei rinforzi. Egli invece mantenne un atteggiamento passivo, mentre nel frattempo l'armata principale si andava concentrando a Bar-sur-Aube e alcuni suoi distaccamenti raggiungevano il fianco sinistro di Blücher. L'inerzia dell'imperatore si può spiegare con le speranze che riponeva nei negoziati di pace del congresso di Chàtillon, che egli aveva avviato con l'aspettativa di guadagnare tempo [64]. In effetti, dopo il ricongiungimento dell'armata principale con l'armata slesiana, il partito dei diplomatici chiese che durante le trattative in corso al congresso la guerra fosse condotta solo come finzione. Il principe Schwarzenberg inviò un suo ufficiale a Blücher per assicurarsi la sua collaborazione, ma questi lo congedò con la seguente risposta: «Noi dobbiamo andare a Parigi. Napoleone ha fatto visita a tutte le capitali d'Europa; noi dovremmo essere meno educati? Per farla breve, deve scendere dal trono... e noi non avremo pace finché non verrà giù.»

Blücher insistette sui grandi vantaggi di un attacco alleato a Napoleone vicino a Brienne prima che egli potesse raccogliere il rimanente delle sue truppe, e si offrì di condurre l'attacco se solo avesse ottenuto rinforzi in assenza di Yorck. La considerazione che l'esercito non sarebbe potuto sopravvivere nella desolata valle dell'Aube e che, se non avesse attaccato, non avrebbe potuto fare altro che ritirarsi, fece prevalere il consiglio di Blücher. Fu deciso di attaccare battaglia, ma il principe Schwarzenberg, invece di premere sul nemico con tutte le forze a sua disposizione, fornì a Blücher solo i corpi al comando del principe della corona del Wùrttemberg (40.000 uomini), di Gyulay (12.000 uomini) e di Wrede (12.000 uomini). Napoleone da parte sua non sapeva né sospettava niente dell'arrivo dell'armata principale. Quando, circa all'una dell'i febbraio, fu informato dell'avanzata di Blücher, non riusciva a crederci. Dopo essersi accertato dei fatti montò a cavallo deciso a evitare la battaglia e impartì a Berthier ordini in tal senso. Quando però, tra la sua vecchia Brienne e Rothière, raggiunse la Giovane Guardia [65] che era corsa alle armi udendo il rombo dei cannoni che si avvicinavano, fu accolto con tale entusiasmo che ritenne di poter volgere la situazione a suo vantaggio ed esclamò «L'artìllerie en avant!». Così, verso le quattro ebbero sul serio inizio gli eventi di La Rothière. Dopo il primo rovescio, tuttavia, Napoleone non prese più parte personalmente alla battaglia. La sua fanteria irruppe a forza nel villaggio di La Rothière, e il combattimento fu lungo e ostinato, tanto che Blücher dovette perfino ricorrere alla riserva. I francesi furono fatti sloggiare dal villaggio solo alle undici di sera, quando Napoleone ordinò al suo esercito di ritirarsi dopo aver perso 4.000 o 5.000 uomini tra morti e feriti, 2.500 prigionieri e 53 cannoni. Se gli alleati, che si trovavano allora a soli sei giorni di marcia da Parigi, avessero insistito vigorosamente, Napoleone sarebbe stato schiacciato dalle loro forze immensamente superiori; ma benché i sovrani fossero ansiosi di evitare che Napoleone concludesse positivamente le trattative a Chàtillon, permisero al principe Schwarzenberg, comandante in capo dell'armata principale, di sfruttare ogni pretesto per eludere l'azione decisiva. Mentre Napoleone ordinava a Marmont di tornare sulla sponda destra dell'Aube verso Ramerupt, ed egli stesso ripiegava su Troyes con una marcia laterale, l'esercito alleato si divise in due tronconi: l'armata principale avanzò lentamente in direzione di Troyes e l'armata slesiana marciò verso la Marna, dove Blücher sapeva che avrebbe incontrato Yorck, oltre a parte dei corpi d'armata di Langeron e di Kleist, in modo che il numero complessivo delle sue forze sarebbe salito a circa 50.000 uomini. Il suo piano prevedeva l'inseguimento fino a Parigi del maresciallo Macdonald, che nel frattempo si era fatto vedere sulla bassa Marna, mentre Schwarzenberg doveva tenere in scacco il grosso dell'esercito francese sulla Senna. Ma Napoleone, vedendo che gli alleati non sfruttavano a pieno la loro vittoria, e nutrendo la certezza di tornare sulla Senna prima che l'armata principale potesse spingersi troppo avanti verso Parigi, decise di attaccare la più debole armata slesiana. Lasciò allora 20.000 uomini al comando di Victor e Oudinot per fronteggiare i 100.000 soldati dell'armata principale, avanzò con 40.000 uomini (i corpi di Morder e Ney) in direzione della Marna, raccolse le truppe di Marmont a Nogent e il 9 febbraio sopraggiunse a Sézanne a capo di queste forze riunite. Intanto Blücher aveva passato Ouen e Sommepuis lungo la stretta strada che porta a Parigi e il 9 febbraio aveva stabilito il suo quartier generale nella cittadina di Vertus. Le sue forze erano così dislocate: circa 10.000 uomini intorno al quartier generale; 18.000, al comando di Yorck, appostati tra Dormans e Chàteau Thierry sempre in attesa di Macdonald che era già sulla strada principale tra Épernay e la capitale; 30.000, al comando di Sacken, tra Montmirail e La Ferté-sous-Jouarre, incaricati di sventare il progettato ricongiungimento tra la cavalleria di Sebastiani e Macdonald e di tagliare il passaggio a quest'ultimo proprio a La Ferté-sous-Jouarre; infine, il generale russo Olsuviev, acquartierato con 5.000 uomini a Champaubert. Questa disposizione difettosa, che portò l'armata slesiana ad assumere uno schieramento estremamente sparpagliato, en échélon, fu il risultato delle contraddittorie motivazioni che agitavano l'animo di Blücher. Da una parte desiderava tagliar fuori Macdonald ed evitare il suo ricongiungimento con la cavalleria di Sebastiani; dall'altra, voleva riunirsi con le truppe di Kleist e Kapzewitch, i quali stavano avanzando da Chàlons ed erano attesi per il giorno 9010. Un motivo lo spingeva indietro, l'altro lo spingeva avanti.

Il 9 febbraio Napoleone attaccò Olsuviev a Champaubert e lo mise in rotta. Blücher, con Kleist e Kapzewitch che erano nel frattempo arrivati, ma senza la gran parte della loro cavalleria, avanzò contro Marmont, inviato da Napoleone ad affrontarlo, e lo inseguì mentre si ritirava su La Fère Champenoise; informato della sconfitta di Olsuviev, tuttavia, quella stessa notte tornò a Bergères con i suoi due corpi d'armata per coprire la strada verso Chàlons. Sacken, dopo un vittorioso combattimento il giorno io, costrinse Macdonald ad attraversare la Marna a Trilport, ma la sera stessa fu raggiunto dalla notizia della marcia di Napoleone su Champaubert e decise quindi di dirigersi in tutta fretta a Montmirail il mattino deE'i 1. Prima di giungervi fu però obbligato, a Vieux Maisons, a schierarsi contro l'imperatore, il quale scendeva da Montmirail per affrontarlo. Sacken fu sconfitto con gravi perdite prima che Yorck potesse unirsi a lui: i due generali si ricongiunsero quindi a Viffort e si ritirarono il 12 febbraio a Chàteau Thierry, dove Yorck dovette sostenere un combattimento di retroguardia molto oneroso e fu quindi obbligato a ripiegare su Oulchy-la-Ville. Avendo ordinato a Morder di inseguire Yorck e Sacken sulla strada di Fismes, il giorno 13 Napoleone rimase a Chàteau Thierry. Intanto Blücher, incerto su dove si trovassero Yorck e Sacken e sulle sorti delle loro battaglie, l'u e il 12 era rimasto tranquillo a Bergères a osservare Marmont appostato di fronte a lui a Etoges. Quando il 13 fu informato della sconfitta dei suoi generali, ipotizzando che Napoleone si fosse mosso alla ricerca dell'armata principale, cedette alla tentazione di infliggere un colpo definitivo alle truppe di Marmont, che reputava essere la retroguardia di Napoleone. Avanzando su Champaubert spinse Marmont verso Montmirail, dove questi fu raggiunto il giorno 14 da Napoleone che a questo punto si volse contro Blücher, forte di 20.000 uomini ma quasi del tutto sprovvisto di cavalleria, lo incontrò a mezzogiorno a Vauchamps, lo attaccò, aggirò le sue colonne con la cavalleria e lo rigettò indietro verso Champaubert infliggendogli gravi perdite. Durante la ritirata da quest'ultima località, l'armata slesiana avrebbe potuto raggiungere Etoges prima del calare della notte senza ulteriori perdite se solo Blücher non si fosse compiaciuto dell'intenzionale lentezza del suo arretramento. Subì pertanto continui attacchi durante tutta la marcia e un suo distaccamento, la divisione del principe Augusto di Prussia, fu ancora preso di mira dalle stradine laterali di Etoges mentre attraversava la città. Blücher arrivò al suo campo di Bergères intorno a mezzanotte per poi ripartire, dopo qualche ora di sosta, per Chàlons; qui giunse a mezzogiorno del 15 febbraio e fu raggiunto da Yorck e Sacken il ióeil 17.1 differenti episodi di Champaubert, Montmirail, Chàteau Thierry, Vauchamps ed Etoges gli costarono 15.000 uomini e 27 cannoni; ma Gneisenau e Mùffling furono i soli responsabili degli errori strategici che determinarono quei disastri.

Napoleone, lasciati Marmont e Mortier a fronteggiare Blücher, tornò con Ney a marce forzate verso la Senna; qui Schwarzenberg aveva costretto Victor e Oudinot ad arretrare oltre lo Yères, dove i due avevano raccolto circa 12.000 uomini al comando di Macdonald e alcuni rinforzi provenienti dalla Spagna. Il giorno 16 furono sorpresi dall'improvviso arrivo di Napoleone, seguito il 17 dalle sue truppe. Dopo essersi ricongiunto con i suoi marescialli egli mosse rapidamente contro Schwarzenberg, che trovò dislocato in un ampio triangolo che aveva ai suoi vertici Nogent, Montereau e Sens. Napoleone attaccò e sbaragliò uno dopo l'altro Wittgenstein, Wrede e il principe della corona del Wùrttemberg, ossia i generali al comando del principe Schwarzenberg, il quale se la diede allora a gambe levate, si ritirò verso Troyes e mandò a dire a Blücher di raggiungerlo in modo che potessero dare insieme battaglia sulla Senna. Blücher, che nel frattempo aveva ricevuto nuovi rinforzi, rispose immediatamente all'invito, entrò a Méry il 21 febbraio e restò in attesa di disposizioni per la concertata battaglia tutto il giorno 22. A sera apprese che era stata chiesta a Napoleone una tregua tramite il principe Liechtenstein, al quale era stato però opposto un netto rifiuto. Egli allora inviò all'istante un suo inviato personale a Troyes con l'incarico di pregare Schwarzenberg di accettare lo scontro e si offrì perfino di muovere da solo battaglia, chiedendo all'armata principale di svolgere esclusivamente il ruolo di riserva; ma Schwarzenberg, ulteriormente spaventato dalla notizia che Augereau aveva ricacciato in Svizzera il generale Bubna, aveva già ordinato di ripiegare verso Langres. Blücher comprese subito che un ripiegamento su Langres avrebbe significato la ritirata oltre il Reno e, allo scopo di distogliere Napoleone dall'inseguimento della scoraggiata armata principale, decise di marciare dritto in direzione di Parigi, verso la Marna, dove ora poteva pensare di radunare un esercito di 100.000 uomini: Wintzingerode era infatti giunto nelle vicinanze di Reims con circa 25.000 soldati, Bùlow era a Laon con altri 16.000, si attendeva l'arrivo da Erfurt del resto del corpo d'armata di Kleist e da Magonza dovevano sopraggiungere i rimanenti uomini del corpo di Langeron guidati da Saint-Priest.

Questo secondo distacco di Blücher dall'armata principale fece pendere decisamente la bilancia in sfavore di Napoleone. Se questi avesse seguito l'armata principale in ritirata, invece che l'armata slesiana che avanzava, la campagna sarebbe stata perduta per gli alleati. Prima che Napoleone si muovesse al suo inseguimento, Blücher effettuò l'attraversamento dell'Aube, l'unico punto difficile lungo la sua marcia, costruendo un ponte di barche ad Anglure il 24 febbraio. L'imperatore, dopo aver ordinato a Oudinot e Macdonald, forti di circa 25.000 uomini, di seguire l'armata principale, lasciò Ney e Victor a Herbisse, il giorno 26, lanciandosi all'inseguimento dell'armata slesiana. Raggiunto da un messaggio di Blücher che lo avvertiva che l'armata principale si trovava ora di fronte solo i due marescialli, Schwarzen-berg fermò la sua ritirata, riprese animo, si girò verso Oudinot e Macdonald e li sconfisse il 27 e il 28. L'intenzione di Blücher era di concentrare le sue truppe in un punto il più vicino possibile a Parigi. Marmont e i suoi uomini erano ancora appostati a Sézanne, mentre Mortier era a Chàteau Thierry. All'avanzata di Blücher Marmont si ritirò, raggiunse il 26 Mortier a La Ferté-sous-Jouarre, e di qui i due ripiegarono su Meaux. Il tentativo di Blücher, durato un paio di giorni, di attraversare l'Ourcq e di costringere i due marescialli alla battaglia con un fronte decisamente avanzato non ebbe successo, ed egli fu quindi obbligato a marciare lungo la riva destra dell'Ourcq. Arrivato a Oulchy-le-Chàteau il 2 marzo, apprese, il mattino del 3, la notizia della capitolazione di Soissons ottenuta da Bùlow e Wintzingerode, e, nel corso della stessa giornata, passò l'Aisne e concentrò tutte le sue forze a Soissons. Napoleone, che aveva attraversato la Marna a La Ferté-sous-Jouarre, indietro di due marce forzate rispetto a Blücher, avanzò in direzione di Chàteau Thierry e Fismes e, avendo guadato la Vesle, attraversò l'Aisne a Berry-au-Bac il 6 marzo, dopo che un distaccamento del suo esercito aveva riconquistato Reims. In origine Blücher intendeva offrire battaglia dietro l'Aisne al momento dell'attraversamento del fiume da parte di Napoleone, e aveva disposto le sue truppe in tal senso. Quando si rese conto che l'imperatore procedeva in direzione di Fismes e Berry-au-Bac allo scopo di aggirare l'armata slesiana sulla sinistra, decise di attaccarlo da Craonne su un fianco, obliquamente, immediatamente dopo la sua uscita da Berry-au-Bac, in modo che fosse costretto a combattere con la retroguardia ancora in colonna. Blücher aveva già posizionato i suoi uomini, l'ala sinistra sull'Aisne e l'ala destra sul Lette, a metà strada tra Soissons e Craonne, quando rinunciò al suo eccellente piano perché gli giunse notizia certa che il giorno 6 Wintzingerode aveva lasciato passare indisturbato Napoleone per Berry-au-Bac e che i francesi avevano perfino spinto un loro distaccamento sulla strada per Laon. A questo punto pensò che fosse necessario accettare la battaglia decisiva soltanto a Laon.

Per ritardare la marcia di Napoleone che da Corbeny poteva prendere la strada selciata che partiva da Reims e arrivare a Laon contemporaneamente all'armata slesiana proveniente da Craonne, Blücher piazzò il corpo d'armata di Vorontsov sul compatto pianoro di Craonne tra l'Aisne e il Lette, inviando inoltre 10.000 unità di cavalleria al comando di Wintzingerode con l'ordine di spingersi avanti oltre Festieux verso Corbeny; la cavalleria doveva assaltare il fianco destro e la retroguardia francese appena Napoleone avesse deciso di attaccare Vorontsov. Wintzingerode sbagliò l'esecuzione della manovra affidatagli e Napoleone potè scacciare Vorontsov dal pianoro il giorno 7, ma perse 8.000 uomini, mentre Vorontsov si ritirò dopo aver perso 4.700 soldati e riuscì anche a ripiegare in buon ordine. Il giorno 8 Blücher aveva concentrato le sue truppe a Laon, dove la battaglia doveva decidere il destino di entrambi gli eserciti. A parte la superiorità numerica, la vasta piana davanti a Laon era particolarmente adatta allo schieramento dei 20.000 cavalieri dell'armata slesiana e la stessa cittadina di Laon — situata sul pianoro di una collina isolata con pendii di 12, 16, 20 e 30 gradi alla base dei quali si trovano quattro villaggi — offriva notevoli vantaggi sia per la difesa sia per l'attacco. Quel giorno l'ala sinistra francese, condotta da Napoleone in persona, fu respinta, mentre l'ala destra al comando di Marmont fu attaccata di sorpresa mentre bivaccava al calar della notte e sbaragliata a tal punto che il .maresciallo non riuscì ad arrestare la corsa delle sue truppe prima di aver raggiunto Fismes. Napoleone, completamente isolato con la sua ala di soli 35.000 uomini e costretto in una posizione sfavorevole, avrebbe dovuto cedere di fronte a forze numericamente tanto superiori ed eccitate dalla vittoria. Il mattino seguente, tuttavia, Blücher fu colpito da un attacco febbrile e da un'infiammazione agli occhi, mentre Napoleone, fermo nella sua posizione, mantenne un atteggiamento provocatorio che intimidì a tal punto gli ufficiali che ora dirigevano le operazioni che essi non soltanto fermarono l'avanzata delle proprie truppe già in movimento, ma permisero anche all'imperatore di ritirarsi tranquillamente a Soissons verso sera.

Ma la battaglia di Laon aveva fiaccato le sue forze, tìsicamente così come moralmente. Con la subitanea conquista, il 13 marzo, di Reims (che era caduta nelle mani di Saint-Priest) egli cercò invano di riprendersi. Lo stato in cui versava era talmente evidente che, quando avanzò il 17 e il 18 su Arcis-sur-Aube contro l'armata principale, perfino Schwarzenberg, benché forte solo di 80.000 contro i 25.000 di Napoleone, osò attestarsi e accettare la battaglia, che durò due giorni, il 20 e il 21. Quando Napoleone interruppe il combattimento, l'armata principale lo seguì fino a Vitry dove si unì all'armata slesiana per continuare l'inseguimento. In preda allo sconforto l'imperatore cercò scampo in una ritirata su Saint Dizier pretendendo di minacciare, con il suo manipolo di soldati, l'immenso esercito alleato tagliando la principale linea di comunicazione e ripiegamento degli awersari tra Langres e Chaumont; a questa manovra gli alleati risposero proseguendo la marcia verso Parigi. Il 30 marzo si svolse la battaglia di Parigi, nel corso della quale l'armata slesiana prese d'assalto Montmartre. Sebbene non si fosse ancora rimesso dopo la battaglia di Laon, Blücher partecipò brevemente all'assalto comparendo a cavallo e con l'occhio riparato da una visiera; dopo la capitolazione di Parigi, tuttavia, rinunciò al comando con il pretesto della malattia, anche se la vera ragione era il contrasto tra il suo malcelato odio per i francesi e l'atteggiamento diplomatico che i sovrani alleati reputavano opportuno esibire. Così Blücher entrò a Parigi il 31 marzo in veste di privato cittadino. Durante la campagna del 1814 era stato l'unico, in tutto l'esercito alleato, a rappresentare il principio dell'offensiva militare. Nella battaglia di La Rothière aveva colto di sorpresa i pacificatori di Chàtillon; a Méry la sua risolutezza aveva salvato gli alleati da una rovinosa ritirata; nella battaglia di Laon era stato decisivo in vista della prima capitolazione di Parigi.

Dopo la conclusione della prima pace di Parigi, Blücher accompagnò l'imperatore Alessandro e il re Federico Guglielmo di Prussia nella loro visita in Inghilterra, dove fu accolto e festeggiato come l'eroe del giorno. Gli furono profuse tutte le onorificenze militari d'Europa: il re di Prussia creò per lui l'ordine della croce di ferro, il principe reggente d'Inghilterra [66] gli regalò il suo ritratto e l'università di Oxford gli conferì il titolo accademico di Legum Doctor.

Nel 1815 fu ancora una volta decisivo nell'ultima campagna contro Napoleone. Dopo la disastrosa battaglia di Ligny del 16 giugno, sebbene avesse allora 73 anni, si impose sulla sua armata allo sbando e la riportò in formazione marciando alle calcagna dei francesi vittoriosi e presentandosi, la sera del 18 giugno, sul campo di battaglia di Waterloo realizzando un'impresa senza precedenti nella storia della guerra. Dopo la battaglia di Waterloo, il suo inseguimento fino a Parigi dei francesi in fuga trova un solo parallelo nell'inseguimento dei prussiani da Jena a Stettino condotto da Napoleone in modo egualmente mirabile. Blücher fece il suo ingresso a Parigi alla testa della sua armata e insediò Mùffling, il suo quartiermastro generale, come governatore generale militare della città. Si dichiarò favorevole alla fucilazione di Napoleone, a far saltare il ponte di Jena e a imporre la restituzione agli originali proprietari dei tesori saccheggiati dai francesi nelle varie capitali d'Europa. Il primo desiderio fu ostacolato da Wellington, il secondo dai sovrani alleati, mentre il terzo fu realizzato. Blücher rimase a Parigi tre mesi, frequentando spesso i tavoli da gioco del rouge-et-noir. Nell'anniversario della battaglia del Katzbach si recò in visita a Rostock, sua città natale, dove gli abitanti avevano tutti contribuito alla realizzazione di un monumento in suo onore. Dopo la sua morte l'intero esercito prussiano osservò otto giorni di lutto.

Le vieux diable, come lo soprannominò Napoleone, il Maresciallo "Avanti!", come lo chiamavano i russi dell'armata slesiana, fu fondamentalmente un generale di cavalleria. In questo ruolo eccelleva, perché richiedeva grandi doti tattiche e poche conoscenze strategiche. Partecipe al massimo grado dell'odio popolare contro Napoleone e i francesi, fu sempre apprezzato dalle masse per le sue passioni plebee, il suo rozzo senso comune, la volgarità delle sue maniere, la rudezza del suo eloquio al quale, tuttavia, sapeva aggiungere nelle giuste occasioni un tocco di infiammata eloquenza. Fu un soldato modello. Rappresentava un esempio, mostrandosi il più coraggioso in battaglia e il più infaticabile nell'impegno; esercitava influenza e fascino sulle truppe; affiancava alla sua impetuosa audacia una fine capacità di valutazione del terreno, una rapida risolutezza nelle situazioni difficili, un'ostinazione nella difesa pari all'energia profusa nell'attacco; se a tutto ciò si aggiunge un'intelligenza capace di trovare da sola le giuste soluzioni nelle combinazioni più semplici e di affidarsi a Gneisenau per quelle più complesse, Blücher emerge come l'autentico generale per le operazioni militari del 1813-15, le quali ebbero il carattere della guerra per metà regolare e per metà insurrezionale.

Karl Marx e Friedrich Engels
Scritto tra il 17 settembre e il 30 ottobre 1857
Pubblicato in The New American Cyclopœdia , vol. III, 1858

BLUM

Blum, Robert, martire della rivoluzione tedesca, nato a Colonia il io novembre 1807, giustiziato a Vienna il 9 novembre 1848. Era figlio di un povero bottaio a giornata che morì nel 1815 lasciando tre figli e una vedova disperata, la quale nel 1816 si risposò con un comune chiattaiolo. Questo secondo matrimonio si rivelò infelice e la famiglia raggiunse il culmine della miseria durante la carestia del 1816-17. Nel 1819 il giovane Robert, appartenendo alla religione cattolica, ottenne un impiego come servitore di messa; poi fu apprendista presso un doratore e un bustaio, quindi, secondo l'uso tedesco, divenne lavoratore itinerante a giornata, ma non soddisfacendo i requisiti del suo mestiere, dopo una breve assenza dovette far ritorno a Colonia. Qui trovò lavoro in una fabbrica di lanterne, si ingraziò i favori del suo padrone, fu da questi promosso alla posizione di contabile, lo accompagnò nei suoi viaggi attraverso gli Stati meridionali della Germania e visse presso di lui a Berlino tra il 1829 e il 1830. In questo periodo si impegnò con assiduo esercizio a costruirsi una sorta di conoscenza enciclopedica, senza tuttavia manifestare nessuna spiccata predilezione né speciale talento per qualche disciplina in particolare. Quando fu chiamato nel 1830 al servizio militare, che tutti i sudditi prussiani sono obbligati a prestare, i rapporti con il suo padrone si interruppero. Dimesso dall'esercito dopo sei settimane, scoprendo che il suo impiego era svanito, tornò nuovamente a Colonia pressoché nelle stesse condizioni in cui l'aveva lasciata già due volte. La povertà dei genitori e la sua stessa mancanza di risorse lo convinsero ad accettare, alle dipendenze del signor Ringelhardt, direttore del teatro di Colonia, l'incarico di factotum del teatro. Questo legame con il palcoscenico, sebbene di carattere subalterno, attirò la sua attenzione sulla letteratura drammatica, mentre il fervore politico diffusosi in tutta la Prussia renana dopo la rivoluzione di luglio in Francia gli permise di entrare in certi circoli politici e di pubblicare qualche poesia sui giornali locali.

Nel 1831 Ringelhardt, che nel frattempo si era trasferito a Lipsia, nominò Blum cassiere e segretario del teatro di quella città, posto che egli conservò fino al 1847. Dal 1831 al 1847 scrisse per alcuni giornali per famiglie di Lipsia, come il Cornei, l’Abend-Zeitung, ecc, pubblicò una "Enciclopedia del teatro", l'"Amico della costituzione", un almanacco intitolato Vorwàrts, ecc. I suoi scritti recano l'impronta di una certa mediocrità provinciale. Le sue successive pubblicazioni furono inoltre viziate da un eccesso di cattivo gusto. L'inizio dell'attività politica di Blum risale al 1837, quando, in veste di portavoce di una delegazione di cittadini di Lipsia, consegnò un'onorificenza a due membri dell'opposizione degli Stati sassoni. Nel 1840 fu tra i fondatori, e poi nel 1841 tra i dirigenti, dell'Associazione Schiller e dell'Associazione degli autori tedeschi [67]. I suoi articoli per i Sàchsische Vaterlands-Blàtter, un giornale politico, lo resero il più popolare giornalista della Sassonia e un obiettivo privilegiato della persecuzione governativa. Il cattolicesimo tedesco [68], così come venne chiamato, trovò in lui un ardente sostenitore. Blum fondò la chiesa cattolica tedesca di Lipsia e ne divenne direttore spirituale nel 1845. Il 13 agosto del 1845, quando un'immensa folla di cittadini e studenti armati si radunò davanti alla caserma dei fucilieri di Lipsia [69], minacciando di assaltarla per vendicare l'attacco omicida perpetrato il giorno precedente da una compagnia degli stessi fucilieri, Blum, con la sua popolare eloquenza, persuase le masse agitate a non abbandonare i metodi legali di resistenza e assunse la direzione delle procedure per ottenere il risarcimento legale. Come ricompensa per i suoi sforzi, il governo sassone rinnovò le persecuzioni contro di lui che culminarono nel 1848 con la chiusura dei Vaterlands-Blàtter.

Allo scoppio della rivoluzione di febbraio del 1848 Blum divenne il punto di riferimento del partito liberale della Sassonia, fondò l'Associazione della patria che ben presto raccolse più di 40.000 aderenti e, in generale, si dimostrò un infaticabile agitatore. Inviato dalla città di Lipsia al "parlamento preliminare" [70], ne fu nominato vicepresidente e contribuì a sostenere questo organismo evitando la secessione in massa dell'opposizione. Dopo il suo scioglimento, Blum divenne membro del comitato che ne prese il posto e successivamente del parlamento di Francoforte, dove fu capo dell'opposizione moderata [71]. La sua visione politica tendeva alla repubblica come vertice della Germania, ma alla base prevedeva i diversi e tradizionali regni, ducati, ecc, giacché, secondo la sua opinione solo questi ultimi erano capaci di conservare intatta quella che egli considerava una particolare bellezza della società tedesca, lo sviluppo indipendente dei suoi diversi ordini. Fu un oratore convincente, piuttosto teatrale e molto popolare.

Quando giunse a Francoforte la notizia dell'insurrezione di Vienna [72], Blum fu incaricato, insieme ad altri membri del parlamento tedesco, di portare a Vienna un indirizzo redatto dall'opposizione parlamentare. In qualità di portavoce della delegazione, consegnò l'indirizzo al consiglio municipale viennese il 17 ottobre 1848. Blum si unì ai ranghi del corpo studentesco e diresse una barricata durante i combattimenti; dopo la conquista della città da parte di Windischgràtz, Blum sedeva conversando tranquillamente in un albergo di Vienna quando l'edificio fu circondato dai soldati ed egli fu fatto prigioniero. Portato di fronte alla corte marziale, rifiutò di rinnegare i suoi discorsi e le sue azioni e fu condannato al patibolo, sentenza poi tramutata in fucilazione. L'esecuzione ebbe luogo all'alba nel Brigittenau.

Karl Marx
Scritto nel settembre (non dopo il 22) del 1857
Pubblicato in The New American Cyclopœdia , vol. III, 1858

BOLIVAR

Bolivar y Ponte, Simón, il "liberatore" della Colombia, nato a Caracas il 24 luglio 1783, morto a San Pedro, nei pressi di Santa Marta, il 17 dicembre 1830. Figlio di una delle familias Mantuanas, che all'epoca della dominazione spagnola costituivano la nobiltà creola del Venezuela. Secondo il costume delle ricche famiglie americane dell'epoca, alla giovane età di 14 anni fu mandato in Europa. Dalla Spagna si spostò in Francia e risiedette qualche anno a Parigi. Si sposò a Madrid nel 1802 e tornò in Venezuela, dove la moglie morì improvvisamente di febbre gialla. Quindi visitò l'Europa una seconda volta e assistette all'incoronazione imperiale di Napoleone nel 1804 e alla sua accessione alla corona di ferro di Lombardia nel 1805. Nel 1809 fece ritorno nel suo paese natale e, nonostante le insistenze del cugino José Felix Ribas, rifiutò di unirsi alla rivoluzione che scoppiò a Caracas il 19 aprile 1810 [73]; tuttavia, dopo quell'episodio, accettò di compiere una missione a Londra per acquistare armi e sollecitare la protezione del governo britannico. Sembra che fosse favorevolmente ricevuto dal marchese di Wellesley, allora segretario agli affari esteri, ma non ottenne altro che il permesso di esportare armi contro denaro contante, mediante il pagamento di pesanti dazi doganali. Al suo ritorno da Londra si ritirò nuovamente a vita privata finché, nel settembre del 1811, il generale Miranda, comandante in capo delle forze terrestri e marittime degli insorti, lo convinse ad accettare il grado di tenente-colonnello dello stato maggiore, e il comando di Puerto Cabello, la più potente fortezza del Venezuela.

I prigionieri di guerra spagnoli che Miranda inviava regolarmente a Puerto Cabello perché fossero rinchiusi nella cittadella riuscirono a sopraffare di sorpresa le loro guardie e a impadronirsi della cittadella: nonostante fossero disarmati, mentre egli disponeva di una nutrita guarnigione e di notevoli depositi di munizioni, Bolivar, senza neanche avvisare le truppe, si imbarcò precipitosamente nella notte con otto dei suoi ufficiali; giunto all'alba a La Guayra, si ritirò nella sua tenuta di San Mateo. Quando si rese conto della fuga del suo comandante, la guarnigione abbandonò il luogo in buon ordine, e la fortezza fu immediatamente occupata dagli spagnoli comandati da Monteverde. Questo avvenimento fece pendere la bilancia in favore della Spagna e obbligò Miranda, su ordine del Congresso, a firmare, il 26 luglio 1812, il trattato di Vitoria, che restituiva il Venezuela all'autorità spagnola. Il 30 luglio Miranda arrivò a La Guayra, dove intendeva imbarcarsi su un vascello inglese. Durante la sua visita al comandante del luogo, il colonnello Manuel Maria Casas, incontrò una numerosa compagnia di persone, tra le quali Don Miguel Pena e Simón Bolivar; quest'ultimo lo persuase a trattenersi almeno per una notte nell'abitazione di Casas. Alle due del mattino, mentre Miranda dormiva profondamente, Casas, Pena e Bolivar entrarono nella sua stanza con quattro soldati armati, gli sottrassero prudentemente la spada e la pistola, quindi lo svegliarono, gli dissero bruscamente di alzarsi e vestirsi, gli misero i ferri e infine lo consegnarono a Monteverde che lo spedì a Cadice dove morì in catene dopo qualche anno di prigionia. Questa azione, commessa con il pretesto che Miranda avesse tradito il suo paese con la capitolazione di Vitoria, procurò a Bolivar il favore particolare di Monteverde: quando Bolivar chiese il suo passaporto, egli dichiarò che «la richiesta del colonnello Bolivar dev'essere accolta in ricompensa del servizio da lui reso al re di Spagna con la consegna di Miranda [74]».

Bolivar fu così autorizzato a salpare per Curacao, dove trascorse sei settimane; in compagnia del cugino Ribas si diresse poi nella piccola repubblica di Cartagena, dove si era già rifugiato un gran numero di soldati che avevano servito al comando del generale Miranda. Ribas propose loro di intraprendere una spedizione in Venezuela contro gli spagnoli e di accettare Bolivar come comandante in capo. Alla prima proposta gli uomini aderirono entusiasticamente, sulla seconda esitarono, ma infine cedettero, a condizione che Ribas diventasse comandante aggiunto. Manuel Rodriguez Torrices, presidente della repubblica di Cartagena, aggiunse agli 800 soldati così arruolati agli ordini di Bolivar altri 500 uomini al comando del proprio cugino Manuel Castillo. La spedizione prese il via all'inizio di gennaio del 1813. Essendo sorti alcuni dissapori tra Bolivar e Castillo riguardo al comando supremo, il secondo levò improvvisamente il campo con i suoi granatieri. Dal canto suo Bolivar pensò allora di seguire l'esempio di Castillo e di tornare a Cartagena, ma alla fine Ribas lo convinse a procedere almeno fino a Bogotà, a quel tempo sede del Congresso della Nuova Granada. Furono favorevolmente ricevuti, aiutati in ogni modo e nominati entrambi generali dal Congresso; dopo aver diviso il loro piccolo esercito in due colonne, marciarono su Caracas prendendo strade diverse. Più avanzavano, più trovavano rinforzi: le tremende crudeltà commesse dagli spagnoli agivano ovunque come sergenti reclutatori per l'armata degli indipendentisti. La capacità di resistenza degli spagnoli fu infranta, in parte perché il loro esercito era composto per tre quarti da indigeni che a ogni scontro correvano a unirsi alle file nemiche, in parte a causa della codardia di generali come Tiscar, Cajigal e Fierro, i quali non perdevano occasione per abbandonare le loro truppe. Accadde così che fu un giovane ignorante, Santiago Marino, a cacciare gli spagnoli dalle province di Cumanà e Barcelona nel momento stesso in cui Bolivar avanzava nelle province occidentali. L'unica resistenza seria fu opposta dagli spagnoli contro la colonna di Ribas, il quale riuscì comunque a sconfiggere il generale Monteverde a Los Teques e lo costrinse a rinchiudersi a Puerto Cabello con quanto rimaneva delle sue truppe.

Alla notizia dell'avvicinarsi di Bolivar, il generale Fierro, governatore di Caracas, inviò i suoi emissari per concordare la capitolazione, che fu conclusa a Vitoria; ma, colto da improvviso panico, e senza attendere il ritorno dei suoi stessi emissari, Fierro fuggì segretamente durante la notte, lasciando più di 1.500 spagnoli alla mercé del nemico. A Bolivar fu tributato un trionfo pubblico. A bordo di un carro trionfale trainato da dodici giovani donne vestite di bianco, decorate con i colori nazionali e scelte tra le migliori famiglie di Caracas, Bolivar, a capo scoperto, in grande uniforme e reggendo tra le mani un piccolo bastone, impiegò circa mezz'ora per arrivare dalle porte della città alla sua residenza. Dopo essersi proclamato «dittatore e liberatore (libertador) delle province occidentali del Venezuela» (visto che Marino aveva assunto il titolo di «dittatore delle province orientali»), creò «l'ordine del liberatore», nominò un corpo scelto di soldati come sua guardia personale e si circondò dello splendore di una corte. Ma, come la maggior parte dei suoi connazionali, egli era nemico di qualsiasi sforzo prolungato e la sua dittatura cadde presto nell'anarchia militare: gli affari più importanti erano lasciati nelle mani di favoriti che dilapidavano le finanze del paese e poi ricorrevano a mezzi odiosi per restaurarle. Il recente entusiasmo popolare si mutò così in malcontento e le disperse forze avversarie poterono ricostituirsi. All'inizio di agosto del 1813 Monteverde era rinchiuso nella fortezza di Puerto Cabello e l'esercito spagnolo era rimasto in possesso solo di una sottile striscia di terra nella regione nord-occidentale del Venezuela; quattro mesi più tardi, in dicembre, il liberatore aveva perduto il suo prestigio e la stessa Caracas fu minacciata dall'improvviso apparire nei suoi dintorni degli spagnoli vittoriosi comandati da Boves. Per rafforzare il suo vacillante potere, l'i gennaio 1814 Bolivar riunì una giunta degli abitanti più influenti di Caracas e dichiarò di non essere più disposto a sopportare il fardello della dittatura. Hurtado Mendoza sostenne allora in una lunga orazione «la necessità di lasciare il potere supremo nelle mani del generale Bolivar fin quando si riunisca il Congresso della Nuova Granada e il Venezuela si unifichi sotto l'autorità di un governo [75]». Questa proposta fu accettata e la dittatura ricevette così una sorta di investitura legale.

Per qualche tempo la guerra contro gli spagnoli fu condotta con una serie di azioni minori, senza alcun vantaggio decisivo per nessuna delle due parti.

Nel giugno del 1814, alla testa delle sue forze riunite, Boves marciò da Calabozo a La Puerta, dove i due dittatori Bolivar e Marino avevano operato un ricongiungimento, si parò di fronte a loro e ordinò l'attacco immediato. Dopo qualche resistenza Bolivar fuggì verso Caracas, mentre Marino scomparve in direzione di Cumanà. Puerto Cabello e Valencia caddero nelle mani di Boves, il quale distaccò allora due colonne (una al comando del colonnello Gonzales) verso Caracas per due strade diverse. Ribas cercò invano di contrastare l'avanzata di Gonzales. Quando Caracas si arrese a Gonzales, il 17 luglio 1814, Bolivar evacuò La Guayra, ordinò alle imbarcazioni presenti nel porto di salpare per Cumanà e battè in ritirata con il resto delle sue truppe in direzione di Barcelona. Dopo la sconfitta inflitta agli insorti da Boves ad Arquita l'8 agosto 1814, Bolivar abbandonò le sue truppe la notte stessa per giungere segretamente, in tutta fretta e attraverso strade secondarie, a Cumanà; qui, nonostante le rabbiose proteste di Ribas, si imbarcò immediatamente sul vascello Bianchi insieme a Marino e ad alcuni ufficiali. Se Ribas, Paez e altri generali avessero seguito i dittatori nella loro fuga tutto sarebbe stato perduto. Al loro arrivo a Juan Griego, sull'isola di Margarita, furono accolti come disertori dal generale Arismendi, il quale ordinò loro di ripartire; si diressero allora a Campano ma, trovando la stessa accoglienza da parte del colonnello Bermudez, fecero rotta su Cartagena. Qui, per trovare attenuanti alla loro fuga pubblicarono una memoria giustificativa piena di frasi altisonanti.

Essendosi unito a un complotto per rovesciare il governo di Cartagena, Bolivar dovette lasciare la piccola repubblica e si recò a Tunja, dove si riuniva il Congresso della repubblica federalista di Nuova Granata [76]. In quel momento la provincia di Cundinamarca era a capo delle province indipendenti che rifiutavano l'accordo federale di Granada, mentre Quito, Pasto, Santa Marta e altre province erano ancora sotto l'autorità spagnola. Bolivar, che giunse a Tunja il 22 novembre 1814, fu nominato dal Congresso comandante in capo delle forze federaliste e ricevette il doppio incarico di costringere il presidente della provincia di Cundinamarca a riconoscere l'autorità del Congresso, e quindi di marciare contro Santa Marta, l'unico porto fortificato della Nuova Granada ancora nelle mani degli spagnoli. Il primo compito fu facilmente portato a termine visto che Bogotà, capitale della provincia dissidente, era una città priva di difesa. Nonostante avesse capitolato, Bolivar consentì alle sue truppe di saccheggiarla per 48 ore. A Santa Marta il generale spagnolo Montalvo, che disponeva di una debole guarnigione di meno di 200 uomini e di una fortezza in miserevoli condizioni difensive, aveva già predisposto un'imbarcazione francese per assicurarsi la fuga, mentre gli abitanti della città avevano fatto sapere a Bolivar che al suo approssimarsi avrebbero aperto le porte e cacciato la guarnigione. Ma egli, invece di attaccare gli spagnoli a Santa Marta come il Congresso gli aveva ordinato, si abbandonò al suo rancore contro Castillo, il comandante di Cartagena, e si arrogò il compito di guidare le sue truppe contro quest'ultima città che era parte integrante della repubblica federale. Battuto e respinto, dispose il suo campo su La Papa, una grande collina pressoché a distanza di tiro da Cartagena, e lì installò una batteria composta da un solo cannone di piccolo calibro contro una località munita di un'ottantina di pezzi. Successivamente convertì l'assedio in un blocco che durò fino all'inizio di maggio senza produrre altri risultati che la riduzione del suo esercito, per diserzioni e malattie, da 2.400 a 700 uomini. Intanto una grande spedizione spagnola, partita da Cadice e comandata dal generale Morillo, era giunta all'isola di Margarita il 25 marzo 1815, era riuscita a inviare notevoli rinforzi a Santa Marta e poco tempo dopo a conquistare la stessa Cartagena. Già in precedenza, tuttavia, il io maggio 1815, Bolivar si era imbarcato per la Giamaica con una decina di suoi ufficiali a bordo di un brigantino armato inglese. Giunto in questo luogo di riparo, rese pubblico un nuovo proclama nel quale si presentava come la vittima di un segreto nemico o di una fazione occulta e giustificava la sua fuga di fronte all'arrivo degli spagnoli come una rinuncia al comando per favorire una pace generale.

Durante gli otto mesi della sua permanenza a Kingston i generali che aveva lasciato in Venezuela, come anche il generale Arismendi nell'isola di Margarita, tennero risolutamente testa alle truppe spagnole. Ma quando Ribas, cui Bolivar doveva la sua fama, fu fucilato dagli spagnoli dopo la presa di Maturin, un altro uomo apparve sulla scena a prenderne il posto; egli possedeva capacità ancora superiori, ma non potendo, in quanto straniero, giocare un ruolo indipendente nella rivoluzione sudamericana, decise infine di agire agli ordini di Bolivar. Quest'uomo era Louis Brion. Per portare aiuto ai rivoluzionari era partito da Londra diretto a Cartagena con una corvetta da 24 cannoni; equipaggiata in gran parte a sue spese, essa trasportava 14.000 armi da fuoco e una notevole quantità di materiale militare. Essendo giunto troppo tardi per rendersi utile in quella zona, ripartì per Cayes, ad Haiti [77], dove erano riparati numerosi patrioti emigrati dopo la resa di Cartagena. Nel frattempo anche Bolivar aveva lasciato Kingston per Port-au-Prince: qui, avendo egli promesso di emancipare gli schiavi, il presidente di Haiti, Pétion, gli offrì importanti mezzi per allestire una nuova spedizione contro gli spagnoli in Venezuela. A Cayes Bolivar conobbe Brion e gli altri emigrati, e in una riunione generale si propose come capo della nuova spedizione, a condizione che fossero riuniti nelle sue mani il potere civile e quello militare fino alla convocazione di un Congresso generale. La maggioranza accettò i suoi termini e la spedizione salpò il 16 aprile 1816, con Bolivar comandante e Brion ammiraglio. A Margarita il primo riuscì a conciliarsi Arismendi, che comandava l'isola dopo aver stretto gli spagnoli in un'unica località, Pampatar. Avendo ricevuto da Bolivar la promessa formale di convocare un Congresso nazionale in Venezuela appena fosse divenuto padrone del paese, Arismendi riunì una giunta nella cattedrale di Villa del Norte e lo proclamò pubblicamente comandante in capo delle repubbliche del Venezuela e della Nuova Granada. Il 31 maggio 1816 Bolivar sbarcò a Carupano, ma non osò impedire a Marino e Piar di separarsi da lui per ingaggiare una guerra contro Cumanà sotto la loro stessa autorità. Indebolito da questa separazione salpò, su consiglio di Brion, per Ocumare, dove arrivò il 3 luglio 1816 con 13 imbarcazioni, delle quali solo sette erano armate. Il suo esercito non contava più di 650 uomini, ma l'arruolamento dei neri, di cui aveva proclamato l'emancipazione, portò questo numero a circa 800. A Ocumare emise un ennesimo proclama promettendo di «sterminare i tiranni» e di «chiamare il popolo a nominare i propri delegati al Congresso [78]».

Durante l'avanzata verso Valentia incontrò, non lontano da Ocumare, il generale spagnolo Morales a capo di circa 200 soldati e 100 miliziani. I tiragliatori di Morales dispersero l'avanguardia di Bolivar ed egli, secondo il resoconto di un testimone oculare, abbandonò «ogni presenza di spirito, non disse più una parola, girò rapidamente il suo cavallo e fuggì a tutta velocità verso Ocumare; passò per il villaggio a galoppo sfrenato, arrivò nella vicina baia, smontò da cavallo, saltò su una barca e si imbarcò sul Diana ordinando all'intera squadra di seguirlo sull'isoletta di Buen Aire e lasciando tutti i suoi compagni senza alcun aiuto [79]».

Dopo le rimostranze e le ammonizioni di Brion raggiunse nuovamente gli altri comandanti sulla costa di Cumanà, ma, ricevuto duramente e minacciato da Piar di essere giudicato di fronte a una corte marziale per diserzione e codardia, tornò velocemente verso Cayes. Dopo mesi di tentativi, Brion riuscì infine a persuadere la maggioranza dei vertici militari venezuelani, che avevano necessità di trovare almeno un capo nominale, a richiamare Bolivar al suo posto di comandante in capo; la condizione era che convocasse un Congresso e non intervenisse nell'amministrazione civile. Il 31 dicembre 1816 arrivò a Barcelona con le armi, le munizioni e le varie forniture militari offertegli da Pétion. Raggiunto da Arismendi il 2 gennaio 1817, il giorno 4 proclamò la legge marziale e la riunione di tutti i poteri nelle sue mani; ma cinque giorni dopo, quando Arismendi fu oggetto di un'imboscata tesagli dagli spagnoli, il dittatore fuggì a Barcelona. Le truppe si raccolsero in questa località, dove anche Brion gli inviò cannoni e rinforzi che gli permisero di radunare un nuovo corpo d'afrnata di 1.100 uomini. Il 5 aprile gli spagnoli si impadronirono di Barcelona e le truppe dei patrioti si ritirarono verso la casa di carità, un edificio ai margini della città che era stato trincerato su ordine di Bolivar, ma era inadatto a proteggere da un attacco massiccio una guarnigione di mille uomini. Bolivar lasciò la postazione nella notte del 5 aprile, comunicando al colonnello Freites, al quale trasferì il comando, che si allontanava per andare in cerca di altre truppe e che sarebbe presto tornato. Fidandosi di questa promessa Freites rifiutò l'offerta di capitolazione e dopo l'assalto spagnolo fu massacrato insieme all'intera guarnigione.

Piar, un uomo di colore nativo di Curagao, pianificò e realizzò la conquista delle province della Guyana; l'ammiraglio Brion affiancò l'operazione con le sue cannoniere. Il 20 luglio gli spagnoli evacuarono completamente queste province e Piar, Brion, Zea, Marino, Arismendi e altri convocarono un Congresso provinciale ad Angostura; a capo dell'esecutivo fu posto un triumvirato nel quale Brion, che odiava Piar ed era inoltre profondamente interessato al successo di Bolivar, avendovi investito la propria cospicua fortuna personale, riuscì a far entrare quest'ultimo nonostante la sua assenza. Apprese queste notizie, Bolivar lasciò il suo rifugio per Angostura dove, incoraggiato da Brion, sciolse il Congresso e il triumvirato e li sostituì con un «consiglio supremo della nazione» con se stesso presidente e con Brion e Antonio Francisco Zea capi, rispettivamente, degli affari militari e degli affari politici. Comunque, Piar, il conquistatore della Guyana, che in passato aveva minacciato di portarlo di fronte alla corte marziale per diserzione, non risparmiò il suo sarcasmo contro «il Napoleone della ritirata» e di conseguenza Bolivar accettò un piano per disfarsi di lui. Con la falsa accusa di aver cospirato contro i bianchi, complottato contro la vita di Bolivar e aspirato al potere supremo, Piar fu trascinato davanti a un consiglio di guerra presieduto da Brion, fu imprigionato, condannato a morte e fucilato il 16 ottobre 1817. La sua morte terrorizzò Marino. Pienamente consapevole della propria inconsistenza una volta separato da Piar, egli scrisse una lettera abominevole nella quale calunniava pubblicamente l'amico assassinato, condannava il proprio tentativo di rivaleggiare con il liberatore e si appellava all'inesauribile magnanimità di Bolivar.

La conquista della Guyana da parte di Piar aveva completamente mutato la situazione in favore dei patrioti; questa provincia da sola forniva loro più risorse delle altre sette province del Venezuela messe insieme. C'era quindi la generale aspettativa che la campagna annunciata da Bolivar tramite un nuovo proclama [80] avrebbe decretato l'espulsione definitiva degli spagnoli. Questo primo proclama, che descriveva la ritirata da Calabozo di alcune esigue bande di spagnoli in cerca di vettovagliamento come una «fuga precipitosa delle armate nemiche di fronte alle nostre truppe vittoriose» non era certamente concepito per smorzare tali speranze. Contro circa 4.000 spagnoli, di cui Mortilo non aveva ancora realizzato il ricongiungimento, Bolivar disponeva di oltre 9.000 uomini ben armati, ben equipaggiati e ampiamente forniti di tutto ciò che era necessario alla guerra. Ciò nonostante, verso la fine di maggio del 1818 egli aveva perso una dozzina di battaglie e tutte le province a nord dell'Orinoco. Bolivar, infatti, disperdeva le sue forze numericamente superiori, le quali venivano sempre sconfitte separatamente. Lasciata la direzione della guerra a Paez e agli altri suoi subalterni, si ritirò allora ad Angostura. Le defezioni si moltipllcarono e tutto sembrò precipitare verso la rovina totale. In questo momento estremamente critico una nuova combinazione di eventi fortunati ribaltò ancora una volta la situazione. Ad Angostura Bolivar incontrò Santander, un nativo della Nuova Granada che lo supplicò di concedergli i mezzi per invadere quel territorio, visto che la popolazione era pronta a scatenare un'insurrezione generale contro gli spagnoli. Bolivar diede un certo seguito a questa richiesta, tanto che affluirono dall'Inghilterra imponenti soccorsi in uomini, imbarcazioni e materiali militari, e accorsero ad Angostura ufficiali inglesi, francesi, tedeschi e polacchi. Infine entrò in scena il dottor German Roscio, il quale, costernato per le declinanti fortune della rivoluzione sudamericana, acquisì influenza sull'animo di Bolivar e lo convinse a convocare, il 15 febbraio 1819, un Congresso nazionale; l'annuncio di questo evento fu di per sé sufficiente per radunare un nuovo esercito di 14.000 uomini che consentì a Bolivar di riprendere l'offensiva.

Il piano suggerito dagli ufficiali stranieri era il seguente: fingere l'intenzione di attaccare Caracas e di voler liberare il Venezuela dal giogo spagnolo, inducendo così Morillo a indebolire la Nuova Granada e a concentrare le sue truppe a difesa del Venezuela, mentre Bolivar, dirigendosi rapidamente verso ovest, si sarebbe unito alla guerriglia di Santander e avrebbe marciato su Bogotà. Per eseguire il piano Bolivar lasciò Angostura il 24 febbraio 1819 dopo aver nominato Zea presidente del Congresso e vicepresidente della repubblica durante la sua assenza. Grazie alle manovre di Paez, Morillo e La Torre furono sconfitti ad Achaguas e sarebbero stati annientati se Bolivar avesse ricongiunto le sue truppe a quelle di Paez e Marino. In ogni caso, le vittorie di Paez portarono all'occupazione della provincia di Barima, che apriva a Bolivar la strada per penetrare in Nuova Granada. Qui Santander aveva predisposto ogni cosa e le truppe straniere, composte principalmente da inglesi, decisero le sorti della Nuova Granada .riportando tre vittorie successive, l'i e il 23 luglio, e il 7 agosto, nella provincia di Tunja. Il 12 agosto Bolivar fece il suo ingresso trionfale a Bogotà mentre gli spagnoli, contro i quali si erano sollevate tutte le province della Nuova Granada, si barricarono nella città fortificata di Mompox.

Dopo aver installato il Congresso della Nuova Granada a Bogotà e nominato il generale Santander comandante in capo, Bolivar marciò a Pamplona, dove trascorse circa due mesi in feste e balli. Il 3 novembre arrivò a Montecai, in Venezuela, dove avev.a ordinato ai capi dei patrioti del paese di radunarsi con le loro truppe. Disponeva allora di un tesoro di circa due milioni di dollari provenienti dai contributi forzosi degli abitanti della Nuova Granada e di un'armata di circa 9.000 uomini, un terzo dei quali composto da inglesi, irlandesi, hannoveriani e altri stranieri, tutti ben disciplinati; doveva ora affrontare un nemico privo di qualsiasi risorsa, ridotto alla cifra nominale di 4.500 uomini, due terzi dei quali indigeni e pertanto del tutto inaffidabili per gli spagnoli. Morillo si era ritirato da San Fernando de Apure verso San Carlos e Bolivar lo inseguì fino a Calabozo: i quartieri generali awersari si trovavano a una distanza di soli due giorni di marcia. Se Bolivar fosse avanzato risolutamente gli spagnoli sarebbero stati distrutti dalle sole truppe europee, ma egli preferì prolungare la guerra per altri cinque anni.

Nell'ottobre del 1819 il Congresso di Angostura aveva costretto alle dimissioni Zea, il presidente scelto da Bolivar, e nominato Arismendi al suo posto. Quando ricevette questa notizia, Bolivar decise improvvisamente di dirigere la sua legione straniera verso Angostura, colse di sorpresa Arismendi, che poteva contare solo su 600 indigeni, lo esiliò sull'isola di Margarita e restituì Zea alla sua precedente dignità. Il dottor Roscio lo entusiasmò con la prospettiva di un potere centrale e lo indusse a proclamare la «Repubblica della Colombia», che comprendeva anche la Nuova Granada e il Venezuela [81], a promulgare una legge fondamentale per il nuovo Stato (redatta dallo stesso Roscio) e a permettere la costituzione di un Congresso comune alle due province. Il 20 gennaio 1820 fece ritorno a San Fernando de Apure. L'improvviso ritiro della legione straniera, che gli spagnoli temevano più che il decuplo di colombiani, aveva dato a Morillo una nuova occasione di raccogliere rinforzi, mentre la notizia di un'imponente spedizione in partenza dalla Spagna al comando di O'Donnell rialzò il morale abbattuto dell'esercito spagnolo. Nonostante disponesse di forze ampiamente superiori, nella campagna del 1820 Bolivar riuscì a non concludere nulla. Giunse intanto notizia dall'Europa che la rivoluzione nell'Isla de Leon [82] aveva posto obbligatoriamente fine alla progettata spedizione di O'Donnell. Nella Nuova Granada quindici province su ventidue avevano aderito al governo della Colombia e gli spagnoli detenevano ora solo la fortezza di Cartagena e quella dell'istmo di Panama. In Venezuela erano sei su otto le province che obbedivano alle leggi colombiane. Questa era la situazione quando Bolivar si lasciò allettare dalla proposta di negoziato offertagli da Morillo che portò, il 25 novembre 1820, a concludere a Truxillo un armistizio di sei mesi. Nell'armistizio non si accennava minimamente alla Repubblica della Colombia, sebbene il Congresso avesse formalmente vietato di concludere qualsiasi trattato con il comandante spagnolo se egli non riconosceva prima l'indipendenza della repubblica.

Il 17 dicembre Morillo, desideroso di giocare un ruolo in Spagna, si imbarcò a Puerto Cabello lasciando il comando supremo a Miguel de la Torre al quale, il io marzo 1821, Bolivar notificò per lettera che le ostilità sarebbero riprese allo scadere di trenta giorni. Gli spagnoli occupavano una posizione molto solida a Carabobo, villaggio situato circa a mezza strada tra San Carlos e Valencia; tuttavia, invece di riunire lì tutte le sue forze, La Torre vi aveva concentrato solo la prima divisione, composta da 2.500 effettivi di fanteria e circa 1.500 di cavalleria, mentre Bolivar disponeva di circa 6.000 effettivi di fanteria (tra cui 1.100 uomini della legione britannica) e di 3.000 llanervs [83] a cavallo al comando di Paez. Ma lo schieramento avversario gli sembrò così formidabile che propose al consiglio di guerra di concludere un nuovo armistizio, cosa che fu però rifiutata dai suoi subalterni. A capo di una colonna quasi interamente composta dalla legione britannica, Paez riuscì, passando per un sentiero laterale, a circondare l'ala destra del nemico; a seguito della felice esecuzione di questa manovra, La Torre fu il primo degli spagnoli a darsi alla fuga e non si fermò a prender fiato finché non giunse a Puerto Cabello dove si asserragliò con le sue truppe. Puerto Cabello si sarebbe certamente arresa se l'esercito vittorioso fosse avanzato rapidamente, ma Bolivar perse tempo a fare mostra di sé a Valencia e Caracas. Il 21 settembre 1821 la potente fortezza di Cartagena capitolò nelle mani di Santander. Gli ultimi fatti d'armi in Venezuela, lo scontro navale di Maracaibo nell'agosto del 1823 e la resa forzata di Puerto Cabello nel luglio del 1824, furono entrambi opera di Padilla. La rivoluzione dell'Isla de Leon, che impedì la partenza della spedizione di O'Donnell, e il concorso della legione britannica fecero evidentemente pendere la bilancia in favore dei colombiani.

Il Congresso colombiano inaugurò la sua sessione a Cùcuta nel gennaio del 1821, il 30 agosto promulgò una nuova Costituzione e confermò nei suoi poteri Bolivar che, ancora una volta, finse di volersi dimettere. Avendo sottoscritto la nuova Costituzione, ottenne l'autorizzazione a intraprendere la campagna di Quito (1822), provincia nella quale gli spagnoli si erano ritirati dopo essere stati cacciati dall'istmo di Panama [84] da un'insurrezione generale della popolazione. Questa campagna, che terminò con l'incorporazione di Quito, Pasto e Guayaquil nella Colombia, fu nominalmente condotta da Bolivar e dal generale Sucre, ma i pochi successi militari si dovettero interamente agli ufficiali britannici, come ad esempio il colonnello Sands. Durante le campagne del 1823-24 contro gli spagnoli nell'alto e basso Perù, Bolivar non ritenne più necessario mantenere le apparenze del comando e, lasciando ogni responsabilità militare al generale Sucre, si dedicò alle entrate trionfali, ai manifesti e alla proclamazione delle Costituzioni. Con l'aiuto della sua guardia personale colombiana influenzò il voto del Congresso di Lima che gli trasferì, il io febbraio 1823, i poteri di dittatore, mentre si assicurò la rielezione a presidente della Colombia con un'ennesima offerta di dimissioni. Nel frattempo la sua posizione si era rafforzata, vuoi per il riconoscimento formale del nuovo Stato da parte dell'Inghilterra, vuoi per la conquista delle province dell'alto Perù a opera di Sucre, il quale le riunì in una repubblica indipendente denominata Bolivia. In questo paese, dove le baionette di Sucre dominavano, Bolivar diede libero corso alla sua tendenza al potere arbitrario introducendo il "codice boliviano", imitazione del Code Napoléon. Il suo progetto era di esportare quel codice dalla Bolivia al Perù e dal Perù alla Colombia, di tenere sotto controllo i primi due Stati con le truppe colombiane e il terzo avvalendosi della legione straniera e di soldati peruviani. Con la forza e con l'intrigo riuscì effettivamente, almeno per qualche settimana, a imporre il suo codice al Perù. Presidente e liberatore della Colombia, protettore e dittatore del Perù, padrino della Bolivia, aveva raggiunto l'apogeo della sua gloria. Ma in Colombia era sorto un grave conflitto tra i centralisti, o bolivaristi, e i federalisti; sotto questo nome si erano alleati i nemici dell'anarchia militare e gli awersari di Bolivar all'interno dell'esercito. Dietro sua istigazione il Congresso colombiano aveva emesso un atto d'accusa contro Paez, vicepresidente del Venezuela, il quale reagì con un'aperta rivolta segretamente sostenuta e alimentata dallo stesso Bolivar; quest'ultimo si augurava infatti che lo scoppio di insurrezioni gli fornisse il pretesto per abolire la Costituzione e riassumere la dittatura. Al suo ritorno dal Perù guidava, oltre alla sua guardia personale, 1.800 peruviani che dichiarò di voler condurre contro i ribelli federalisti. Ma a Puerto Cabello, dove incontrò Paez, non solo lo confermò al suo posto di comando in Venezuela ed emise un proclama di amnistia per tutti i ribelli, ma prese apertamente le loro parti e si scagliò contro gli amici della Costituzione; e con il decreto di Bogotà del 23 novembre 1826 assunse i poteri dittatoriali.

Nel 1826, anno che segnò l'inizio del declino del suo potere, Bolivar riunì un Congresso a Panama, ufficialmente allo scopo di stabilire un nuovo codice internazionale democratico. Delegati plenipotenziari giunsero dalla Colombia, dal Brasile, da La Piata, dalla Bolivia, dal Messico, dal Guatemala, ecc. In realtà, ciò a cui mirava era la trasformazione di tutta l'America del Sud in un'unica repubblica federativa sottomessa alla sua dittatura. Mentre lasciava così libero sfogo al sogno di associare mezzo mondo al suo nome, il potere reale gli sfuggiva rapidamente dalle mani. Le truppe colombiane in Perù, informate dei passi intrapresi da Bolivar per introdurre il codice boliviano, scatenarono una violenta insurrezione. EN-US'>I peruviani dessero presidente della loro repubblica il generale Lamar, aiutarono i boliviani a cacciare le truppe colombiane e ingaggiarono una guerra vittoriosa contro la Colombia che si concluse con un trattato che riportava quest'ultima ai suoi vecchi confini, sanciva la parità tra i due paesi e separava i loro debiti pubblici [85]. Il Congresso di Ocafìa, convocato da Bolivar al fine di modificare la Costituzione in favore del suo potere assoluto, fu aperto il 2 marzo 1828 da un indirizzo inaugurale estremamente elaborato che insisteva sulla necessità di assegnare nuove prerogative all'esecutivo. Tuttavia, quando fu evidente che il progetto di modifica della Costituzione sarebbe uscito dal Congresso in una forma molto diversa da quella originale, gli amici di Bolivar abbandonarono l'aula; di conseguenza all'assemblea venne a mancare il quorum ed essa fu costretta a porre fine alla propria attività. Da una residenza di campagna a qualche chilometro da Ocana, dove si era ritirato, Bolivar pubblicò un nuovo manifesto in cui si fingeva indignato per l'atteggiamento dei suoi stessi amici, ma allo stesso tempo attaccava il Congresso, si appellava alle province affinchè ricorressero a misure straordinarie e si dichiarava pronto a sopportare qualsiasi fardello di comando gli venisse assegnato. Sotto la minaccia delle sue baionette una serie di assemblee popolari riunite a Caracas, Cartagena e Bogotà (dove era intanto riparato) lo investì nuovamente del potere dittatoriale. Un mancato tentativo di assassinarlo a Bogotà nella sua stanza da letto, al quale sfuggì saltando dal balcone nell'oscurità e rimanendo nascosto sotto un ponte, gli fornì il pretesto per esercitare per qualche tempo una sorta di terrorismo militare. Comunque, non si vendicò contro Santander, che pure aveva partecipato al complotto, bensì condannò a morte il generale Padilla, la cui colpevolezza non fu provata, ma che, in quanto uomo di colore, non potè difendersi.

Nel 1829 una violenta lotta tra fazioni turbò la repubblica; in un nuovo appello [86] Bolivar invitò i cittadini a esprimere apertamente i loro desideri riguardo alle modifiche da apportare alla Costituzione. Un'assemblea di notabili di Caracas rispose denunciando la sua ambizione, mettendo a nudo la debolezza della sua amministrazione, dichiarando la separazione del Venezuela dalla Colombia e ponendo Paez a capo di questa repubblica. Il Senato colombiano sostenne Bolivar, ma altre insurrezioni scoppiarono in diverse località. Dopo essersi dimesso per la quinta volta nel gennaio del 1830, Bolivar accettò nuovamente la presidenza e lasciò Bogotà per muovere guerra contro Paez in nome del Congresso colombiano. Verso la fine di marzo del 1830 avanzò a capo di 8.000 uomini, prese Caracuta che si era ribellata e quindi piegò in direzione della provincia di Maracaibo, dove Paez, attestato su solide posizioni, lo attendeva con 12.000 uomini. Appena si rese conto che Paez intendeva combattere seriamente, il coraggio gli venne meno. Per un attimo pensò perfino di arrendersi a Paez e di dichiararsi nemico del Congresso; ma l'influenza dei suoi sostenitori in seno al Congresso era ormai svanita e Bolivar fu costretto a offrire le sue dimissioni: fu quindi informato che questa volta avrebbe dovuto attenersi a questa decisione e che gli sarebbe stata accordata una pensione annuale a patto che espatriasse. Di conseguenza, il 27 aprile 1830, egli inviò al Congresso le sue dimissioni. Tuttavia, nella speranza di riguadagnare il potere grazie all'opera dei suoi partigiani e a una reazione scatenata contro il nuovo presidente colombiano Joaquim Mosquera, effettuò la sua partenza da Bogotà con estrema lentezza, e con una serie di pretesti riuscì a prolungare il suo soggiorno a San Pedro fino alla fine del 1830, quando improvvisamente morì.

Quella che segue è la descrizione che di lui ha fornito Ducoudray Holstein: «Simón Bolivar è alto 5 piedi e 4 pollici, il suo viso è lungo, le sue guance sono scavate, la carnagione è olivastra; gli occhi sono di grandezza media e molto infossati nelle orbite, la capigliatura è rada. I baffi gli conferiscono un aspetto cupo e selvaggio, in particolare quando è in collera. Tutto il suo corpo è magro e sottile. Ha l'aspetto di un uomo di 65 anni. Quando cammina le sue braccia sono in continuo movimento. Non può camminare a lungo perché si affatica presto. Ama stare seduto o sdraiato sulla sua branda. Si abbandona ad accessi d'ira e d'un tratto diventa come folle, si getta sulla branda e lancia maledizioni e imprecazioni contro tutti quelli che lo circondano. Spesso si lascia andare al sarcasmo verso persone assenti, legge solo letteratura leggera francese, è un audace cavallerizzo e nutre una grande predilezione per il valzer. Si ascolta volentieri parlare e fare brindisi. Di fronte alle avversità, quando è privo di aiuto esterno, si libera completamente di ogni passione e di scatti d'umore. Diventa allora mite, paziente, docile e perfino remissivo. Nasconde ampiamente i suoi difetti sotto il garbo dell'uomo educato nel cosiddetto beau monde, possiede un talento quasi asiatico per la dissimulazione e una capacità di comprendere il genere umano superiore alla maggior parte dei suoi compatrioti.»

Per decreto del Congresso della Nuova Granada i suoi resti furono trasportati nel 1842 a Caracas, dove fu eretto un monumento in suo onore.

Si vedano: Histoìre de Bolivar, par le Gén. Ducoudray Holstein; continuée jusqu'a sa mori par Alphonse Vtolkt (Parigi, 1831), Memoirs of Gen. John Miller (al servizio della Repubblica del Perù); Account of bis Joumey to thè Orinoco, del colonnello Hìppisley [87].

Karl Marx

Scritto tra dicembre 1857 e l'8 gennaio 1858

Pubblicato in The New American Cyclopœdia, voi III, 1858 [88]

BOSQUET

Bosquet, Marie Joseph, maresciallo di Francia, nato nel 1810 a Pau, dipartimento dei Bassi Pirenei. Frequentò dal 1829 la scuola politecnica di Parigi e dal 1831 la scuola militare di Metz; divenne tenente d'artiglieria nel 1833 e con questo grado partì nel 1834 per l'Algeria con il decimo reggimento artiglieri. Qui, con un piccolo distaccamento francese, gli accadde una volta di trovarsi in condizioni molto critiche: l'ufficiale comandante non riusciva a trovare il modo di disimpegnare le sue truppe e allora il giovane Bosquet si fece avanti proponendo un piano che portò alla totale sconfitta del nemico. Fu nominato tenente nel 1836, capitano nel 1839, maggiore nel 1842, tenente colonnello nel 1845, quindi colonnello e subito dopo, sotto gli auspici del governo repubblicano, generale di brigata nel 1848. Durante la campagna di Kabilia, nel 1851 [89], fu ferito mentre dirigeva la sua brigata all'assalto della gola di Monagal. La sua promozione al grado di generale di divisione fu dilazionata a causa delle sue riserve nei confronti di Luigi Napoleone, ma quando fu deciso l'invio di truppe per la guerra in Turchia [90] ottenne il comando della seconda divisione.

Alla battaglia dell'Alma eseguì la manovra di attacco con cui l'ala destra francese aggirò la sinistra russa con una velocità e un'energia lodate dagli stessi russi; riuscì perfino a trasportare la sua artiglieria fin sull'altura inerpicandosi su pareti prive di sentieri e apparentemente impraticabili. Occorre aggiungere, tuttavia, che in questa occasione disponeva di forze numericamente molto superiori a quelle del nemico. A Balaklava intervenne rapidamente per disimpegnare l'ala destra inglese in modo che il resto della cavalleria leggera inglese potesse ritirarsi sotto la copertura delle sue truppe e i russi fossero obbligati a bloccare il loro inseguimento [91]. A Inkermann [92] era già pronto di primo mattino ad appoggiare gli inglesi con tre battaglioni e due batterie. La sua offerta fu declinata, e allora si schierò tra le riserve, sulla retroguardia dell'ala destra inglese, con tre brigate francesi; con due di esse, alle 11 del mattino, avanzò sulla linea del fronte costringendo i russi a ripiegare. In mancanza di questo soccorso gli inglesi sarebbero stati completamente distrutti giacché avevano impegnato tutte le loro truppe e non avevano più riserve cui attingere, mentre i russi disponevano di 16 battaglioni ancora da schierare. A capo del corpo incaricato di prestare copertura alle forze alleate sul pendio del Cernaia, Bosquet si distinse per la rapidità, la vigilanza e l'attività incessante. Partecipò all'assalto del Malakhov [93] e in seguito a tale evento fu nominato maresciallo e, nel 1856, senatore.

Karl Marx e Friedrich Engels
Scritto tra il 15 e il 29 settembre 1857
Pubblicato in The New American Cyclopadia, vol. III, 1858

BOURRIENNE

Bourrienne, Louis Antoine Fauvelet de, segretario personale di Napoleone, nato a Sens il 9 luglio 1769, morto nei pressi di Caen il 7 febbraio 1834. Entrato nel 1778 alla scuola militare di Brienne, vi rimase per circa sei anni e fu compagno di studi di Napoleone. Dal 1789 al 1792 fu addetto all'ambasciata francese a Vienna, studiò diritto internazionale e lingue nordiche a Lipsia, e soggiornò alla corte di Poniatowski a Varsavia. Al suo ritorno a Parigi rinnovò l'amicizia con Napoleone, il quale era all'epoca un povero ufficiale senza relazioni; ma la svolta decisiva avvenuta nel movimento rivoluzionario dopo il 20 giugno 1792
[94] riportò Bourrienne in Germania. Nel 1795 tornò nuovamente a Parigi, dove rincontrò Napoleone che, comunque, lo trattò con freddezza; verso la fine del 1796 Bourrienne si rivolse ancora a lui, fu convocato al suo quartier-generale e nominato immediatamente suo segretario personale. Dopo la seconda campagna d'Italia, Bourrienne divenne consigliere di Stato, ricevette un alloggio alle Tuileries e fu accolto nella cerchia familiare del primo console. Nel 1802, con un passivo di tre milioni, falli la ditta Coulon, appaltatrice dell'esercito, di cui Bourrienne era segretamente divenuto socio e alla quale aveva procurato un lucroso affare di forniture per l'intera cavalleria; il direttore della ditta sparì e Bourrienne fu esiliato ad Amburgo. Nel 1806 fu qui incaricato di sorvegliare la rigorosa esecuzione del sistema continentale deciso da Napoleone. Accusato di peculato dal senato di Amburgo, dal quale aveva ottenuto due milioni di franchi, ma anche dall'imperatore Alessandro, al cui parente, il duca di Meclemburgo, Bourrienne aveva estorto del denaro, la sua condotta fu sottoposta a indagine da parte di una commissione inviata da Napoleone, la quale gli ingiunse di restituire al tesoro imperiale un milione di franchi.

Così, rovinato e in disgrazia, visse a Parigi fino alla caduta di Napoleone nel 1814; uscì allora dall'ombra, si fece rimborsare il suo milione dal governo provvisorio francese, fu nominato ministro delle poste in tale governo e poi deposto da Luigi XVIII, il quale, alle prime notizie del ritorno di Napoleone dall'Elba, gli assegnò successivamente l'ufficio di prefetto della polizia di Parigi, carica che Bourrienne mantenne per otto giorni. Poiché, nel decreto promulgato a Lione il 13 marzo, Napoleone lo aveva escluso dall'amnistia generale, egli seguì Luigi XVIII in Belgio; fu quindi inviato ad Amburgo e, al suo ritorno a Parigi, nominato consigliere di Stato e poi ministro. Difficoltà finanziarie lo costrinsero nel 1828 a cercare rifugio in Belgio, presso la tenuta della duchessa di Brancas a Fontaine l'Evèque, non lontano da Charleroi. Qui, con l'aiuto del signor de Villemarest e altri assistenti, redasse le sue Memorie (io volumi in ottavo) che, pubblicate a Parigi nel 1829, suscitarono grande scalpore. Morì in manicomio.

Karl Marx
Scritto nel mese di settembre (non dopo il 22) del 1857
Pubblicato in The New American Cycbpctdia, vol. III, 1858

BROWN

Brown, Sir George, generale britannico, nato nell'agosto del 1790 a Linkwood, presso Elgin, in Scozia. Entrò nell'esercito il 23 gennaio 1806 come alfiere del 43° reggimento appiedato e, come sottotenente dello stesso reggimento, fu presente al bombardamento di Copenhagen
[95], combattè nella guerra peninsulare dal suo inizio nel 1808 alla sua conclusione nel 1814; fu gravemente ferito alla battaglia di Talavera (1809) e guidò una pericolosa missione durante l'assalto a Badajoz (1812). Fu nominato capitano dell'85° reggimento il 20 giugno 1811; nel settembre del 1814 prese parte come tenente-colonnello alla spedizione negli Stati Uniti comandata dal general-maggiore Ross, fu alla battaglia di Bladensburg e alla presa di Washington [96]. Venne nominato comandante di un battaglione della brigata fucilieri il 6 febbraio 1824; colonnello il 6 maggio 1831; general-maggiore il 23 novembre 1841; vice aiutante generale nel 1842; aiutante generale deFesercito nell'aprile del 1850; luogotenente generale nel 1851. Durante la campagna di Crimea guidò la divisione leggera inglese alla battaglia dell'Alma e a quella di Inker-mann, e assunse il comando in capo della colonna d'assalto nel primo sfortunato attacco contro il Redan [97]. Tra gli eserciti alleati si distinse come ufficiale molto rigido; tuttavia, grazie al valore personale e alla totale imparzialità con cui richiamava i giovani ufficiali provenienti dall'aristocrazia a tutti i doveri della disciplina da campo, acquistò grande popolarità tra la massa dei soldati. Nel 1855 fu insignito del titolo di cavaliere comandante dell'Ordine del Bagno e il 4 aprile del 1856 apparve citato sulla gazzetta ufficiale come «generale dell'esercito distintosi per il servizio svolto con onore sul campo».

Karl Marx

Scritto tra il 21 settembre e il 15 ottobre 1857

Pubblicato in The New American Cyclopœdia, vol. III, 1858

BRUNE

Brune, Guillaume Marie Anne, maresciallo dell'impero francese, nato a Brive-la-Gaillarde il 13 marzo 1763, morto ad Avignone il 2 agosto 1815. Il padre lo mandò a Parigi a studiare legge, ma dopo aver lasciato l'università fu costretto da difficoltà finanziarie a lavorare come stampatore. Nel periodo iniziale della rivoluzione pubblicò, insieme a Gauthier e a Jourgniac de St. Méard, A Journal generai de la Cour et de la Ville. Ben presto aderì al partito della rivoluzione, si arruolò nella guardia nazionale e divenne un acceso membro del club dei cordeliers [98]. L'aspetto imponente, l'aria marziale e lo sfrenato patriottismo ne fecero uno dei capi militari popolari alla dimostrazione del 1791 al Campo di Marte che fu repressa dalle guardie nazionali di La Favette [99]. Dopo la sua incarcerazione si diffuse la voce che i sostenitori della monarchia avessero cercato di liberarsi di lui con mezzi odiosi e allora fu Danton a intervenire personalmente per ottenere la sua liberazione. Alla protezione di quest'ultimo, di cui divenne uno dei più ardenti sostenitori, Brune dovette la carica militare che ricoprì durante le famose giornate del settembre 1792 [100], nonché la rapida promozione a colonnello e aiutante maggiore il 12 ottobre 1792. Servì poi in Belgio agli ordini di Dumouriez; fu inviato contro i federalisti del Calvados che avanzavano verso Parigi al comando del generale Pui-saye e li sconfisse agevolmente. Successivamente nominato generale di brigata, partecipò alla battaglia di Hondschoote (1793). Il Comitato di salute pubblica gli affidò la missione di stroncare i movimenti insurrezionali nella Gironda, compito che egli eseguì con il massimo rigore.

Al momento dell'arresto di Danton ci si poteva attendere che corresse in soccorso del suo amico e protettore, ma dopo essersi tenuto prudentemente in disparte durante i primi momenti di pericolo, riuscì ad attraversare indenne il regno del Terrore. Dopo il 9 Termidoro si unì nuovamente agli allora vittoriosi dantonisti e seguì Fréron a Marsiglia e Avignone. Il 13 Vendemmiaio (5 ottobre 1795) fu tra i generali subalterni di Bonaparte nell'azione contro le sezioni di Parigi in rivolta [101]. Dopo aver prestato la sua assistenza al Direttorio nella repressione della cospirazione del campo di Grenelle (9 settembre 1796) [102], Brune entrò nella divisione di Masséna dell'armata d'Italia e si distinse in tutta la campagna per il suo ardimento. Bonaparte, desiderando ingraziarsi i capi dei cordeliers, attribuì parte del successo ottenuto a Rivoli (1797) all'impegno di Brune, lo nominò sul campo generale di divisione e convinse il Direttorio ad affidargli il comando della seconda divisione dell'armata d'Italia che era rimasto vacante a causa della partenza di Augereau per Parigi.

Dopo la pace di Campoformio il Direttorio lo incaricò di convincere gli svizzeri che non avevano nulla da temere, quindi di insinuare spaccature tra i loro consigli e infine, quando un esercito era stato ormai approntato allo scopo, di irrompere nel cantone di Berna e di impadronirsi del loro tesoro pubblico; e in quell'occasione Brune dimenticò di redigere l'inventario del saccheggio. Sempre con manovre sotterranee di carattere diplomatico piuttosto che militare forzò il re di Sardegna Carlo Emanuele, ufficialmente alleato dei francesi, a consegnare nelle sue mani la cittadella di Torino (3 luglio 1798). La campagna batava [103], che durò circa due mesi, fu il grande evento della vita militare di Brune. In questa campagna egli sconfisse le forze inglesi e russe unite sotto il comando del duca di York, il quale capitolò promettendo la restituzione di tutti i prigionieri francesi catturati dagli inglesi dall'inizio della guerra antigiacobina. Dopo il coup d'Etat del 18 Brumaio, Bonaparte nominò Brune membro del nuovo Consiglio di Stato e lo inviò quindi contro i realisti in Bretagna.

Nuovamente con l'armata d'Italia nel 1800, Brune occupò tre accampamenti trincerati nemici sul Volta, spinse gli avversari oltre il fiume e si apprestò ad attraversarlo immediatamente. Secondo le istruzioni che aveva impartito, le truppe dovevano effettuare l'attraversamento in due punti: l'ala destra al comando del generale Dupont tra un mulino sul Volta e il villaggio di Pozzolo, l'ala sinistra comandata dallo stesso Brune a Monbazon [Monzambano]. Questa seconda parte delle operazioni incontrò delle difficoltà e Brune diede ordine di ritardare di 24 ore la sua esecuzione sebbene l'ala destra, che aveva iniziato l'attraversamento nell'altro punto, fosse già impegnata in combattimento contro forze austriache di gran lunga superiori. Fu solo grazie all'impegno del generale Dupont che l'ala destra non venne distrutta o cattu- rata, mettendo in serio pericolo il successo dell'intera campagna. A seguito di questo errore Brune fu richiamato a Parigi.

Dal 1802 al 1804 svolse mediocremente l'incarico di ambasciatore a Costantinopoli, dove il suo talento diplomatico non poggiava, come in Svizzera e in Piemonte, sul potere delle baionette. Quando fece ritorno a Parigi, nel dicembre 1804, Napoleone lo nominò maresciallo preferendolo a generali del calibro di Lecourbe. Per un certo periodo comandò il campo di Boulogne [104] e nel 1807 fu inviato ad Amburgo come governatore delle città anseatiche e comandante della riserva della Grande Armata. In tale veste assecondò energicamente i peculati di Bourrienne. Allo scopo di definire alcuni punti contestati di una tregua conclusa a Schlatkow con la Svezia, ebbe un lungo colloquio personale con il re Gustavo che di fatto gli propose di tradire il suo signore. Il modo in cui rifiutò l'offerta destò i sospetti di Napoleone, il quale si irritò profondamente quando Brune, dovendo stendere una convenzione riguardante la resa ai francesi dell'isola di Rùgen, citò semplicemente l'esercito francese e quello svedese come parti contraenti, senza alludere minimamente alla «sua maestà reale e imperiale [105]». Brune fu immediatamente richiamato con una lettera di Berthier in cui quest'ultimo, su espresso ordine di Napoleone, affermava che «uno scandalo del genere non si era mai visto dai tempi di Faramondo [106]».

Al suo ritorno in Francia si ritirò a vita privata. Nel 1814 diede la sua adesione agli atti promulgati dal senato [107]e ricevette da Luigi XVIII la croce di San Luigi. Durante i Cento Giorni divenne nuovamente bonapartista e gli fu assegnato il comando di un corpo di ricognizione sul Var, dove dimostrò contro i realisti lo stesso brutale vigore della sua epoca giacobina. Dopo la battaglia di Waterloo acclamò il ritorno della monarchia. Partito da Tolone verso Parigi, arrivò ad Avignone il 2 agosto, con la città che già da 15 giorni era condannata a subire la carneficina e gli incendi da parte della folla realista. Qualcuno lo riconobbe e lo uccise, la folla si impossessò del suo cadavere, lo trascinò per le strade e infine lo gettò nel Rodano. «Brune, Masséna, Augereau e molti altri», disse Napoleone a Sant'Elena, «furono intrepidi predoni [108]

Riguardo al suo talento militare, egli osservò: «Brune non era privo di meriti, ma, nel complesso, era più un generai de tribune che un terribile guerriero [109]. »

Un monumento fu eretto in suo onore nel 1841 nella sua città natale.

Karl Marx
Scritto probabilmente tra il 27 novembre 1857 e P8 gennaio 1858
Pubblicato in The New American Cyclopœdia, vol. IV, 1859

BUGEAUD

Bugeaud de la Piconnerie, Thomas Robert, duca d'Isly, maresciallo di Francia, nato a Limoges nell'ottobre del 1784, morto a Parigi il io giugno 1849. Entrò nell'esercito francese come soldato semplice nel 1804, divenne caporale durante la campagna del 1805, servì come sottotenente nella campagna di Prussia e Polonia (1806-07), partecipò col grado di maggiore agli assedi di Lerida, Tortosa e Tarragona, fu promosso tenente-colonnello a seguito della battaglia di Ordal, in Catalogna
[110]. Dopo il primo ritorno dei Borbone, il colonnello Bugeaud celebrò il giglio bianco [111] in una serie di versi zoppicanti, ma poiché le sue estrinsecazioni poetiche furono accolte con sussiegosa noncuranza decise di riabbracciare durante i Cento Giorni il partito di Napoleone, il quale lo inviò presso l'armata delle Alpi a capo del 14° reggimento di linea. Al secondo ritorno dei Borbone si ritirò a Excideuil, nella tenuta del padre. Al momento dell'invasione della Spagna a opera del duca di Angoulème [112], offrì la sua spada ai Borbone, ma poiché questi rifiutarono l'offerta, divenne liberale e si unì al movimento che portò alla rivoluzione del 1830.

Fu membro della Camera dei deputati nel 1831 e Luigi Filippo gli conferì il grado di general-maggiore. Nominato governatore della cittadella di Blaye nel 1833, ebbe in consegna la duchessa di Berry, ma non si fece onore per il modo in cui svolse il suo incarico e divenne in seguito noto con l'appellativo di "ex carceriere di Blaye". Durante il dibattito tenutosi alla Camera dei deputati il 25 gennaio 1834, mentre Larabit criticava la dittatura militare di Soult, Bugeaud lo interruppe dicendo: «L'obbedienza è il primo dovere di un soldato »; un altro deputato, Dulong, chiese allora in modo pungente: «E che dire se ci viene ordinato di fare i carcerieri?». L'incidente causò un duello tra Bugeaud e Dulong nel quale quest'ultimo rimase ucciso. La conseguente esasperazione dei parigini fu ulteriormente accresciuta dalla partecipazione di Bugeaud alla repressione dell'insurrezione di Parigi, il 13 e 14 aprile 1834 [113]. Le forze incaricate di soffocare l'insurrezione erano state divise in tre brigate, una delle quali al comando di Bugeaud. Nella me Transnonain un pugno di entusiasti che resistevano su una barricata il mattino del 14, ossia quando la parte più grave degli eventi era ormai terminata, fu crudelmente massacrato da forze numericamente soverchianti. Anche se il luogo era al di fuori della circoscrizione assegnata alla brigata di Bugeaud ed egli non aveva preso parte alla carneficina, l'odio della popolazione fissò per sempre il suo nome a questo fatto e, nonostante tutte le smentite, continuò a marchiarlo come "l'uomo della rue Tmnsnonairi.

II generale Bugeaud partì il 6 giugno 1836 per l'Algeria, dove gli fu assegnato un comando nella provincia di Orano pressoché indipendente dal governatore generale. Ricevuto l'ordine di combattere Abd el-Kader e di convincerlo alla resa schierando un imponente esercito, egli concluse il trattato di Tafna [114] lasciando sfuggire ogni opportunità di operazioni militari e ponendo le sue truppe in una situazione critica ancor prima di iniziare ad agire. Precedentemente al trattato Bugeaud aveva combattuto diverse battaglie. Ma una clausola segreta e nemmeno scritta prevedeva che al generale Bugeaud fossero corrisposti 30.000 boojoo (circa 12.000 dollari). Richiamato in Francia fu promosso luogotenente generale e nominato grand'ufficiale della legion d'onore. Quando trapelò la notizia della clausola segreta del trattato di Tafna, Luigi Filippo lo autorizzò a spendere il denaro per la costruzione di strade pubbliche, in modo da aumentare la sua popolarità tra gli elettori e assicurargli il seggio alla Camera dei deputati [115].

All'inizio del 1841 Bugeaud fu nominato governatore generale dell'Algeria e sotto la sua amministrazione la politica francese nel paese mutò radicalmente. Fu il primo governatore generale a disporre sotto il proprio comando di un esercito all'altezza dei suoi compiti, a esercitare un'autorità assoluta sui generali comandanti in seconda e a ricoprire il suo ruolo per un tempo sufficientemente lungo a operare secondo un piano che richiedeva anni per essere realizzato. Il successo nella battaglia di Isly (14 agosto 1844), nella quale Bugeaud sconfisse l'esercito dell'imperatore del Marocco con forze di gran lunga inferiori, fu determinato dalla sorpresa con cui il generale francese colse i musulmani, senza che vi fosse stata una formale dichiarazione dì guerra e nel momento in cui stava per essere concluso un negoziato [116]. Già elevato alla dignità di maresciallo di Francia il 17 luglio 1843, Bugeaud fu ora insignito del titolo di duca d'Isly. Poiché Abd el-Kader aveva radunato un nuovo esercito dopo il rientro di Bugeaud in Francia, quest'ultimo fu rinviato in Algeria dove schiacciò rapidamente la rivolta araba. A causa delle divergenze tra lui e Guizot a seguito della spedizione di Kabylia che aveva intrapreso contro gli ordini ministeriali [117], fu sostituito dal duca di Aumale e, secondo l'espressione dello stesso Guizot, «gli fu permesso di tornare e di godersi la sua gloria in Francia [118]».

Nella notte tra il 23 e il 24 febbraio 1848, su segreto avviso di Guizot, fu chiamato alla presenza di Luigi Filippo che gli conferì il comando supremo di tutte le forze armate, di quelle di linea così come della guardia nazionale. A mezzogiorno del 24, seguito dai generali Rulhières, Bedeau, Lamoricière, De Salles, Saint-Arnaud e altri, si diresse allo stato maggiore alle Tuileries dove il duca di Nemours lo investì solennemente del comando supremo. Agli ufficiali presenti Bugeaud ricordò che colui che li avrebbe guidati contro i rivoluzionari parigini «non era mai stato sconfitto, né sul campo di battaglia né durante un'insurrezione» e ancora una volta promise di fare piazza pulita della «plebaglia ribelle». Nel frattempo, la notizia della sua promozione contribuì a imprimere alla situazione una svolta decisiva. La guardia nazionale, furiosa per la nomina di Bugeaud a comandante supremo, esplose nel grido «Abbasso Bugeaud!», «Abbasso l'uomo di rue Transnonair», e dichiarò esplicitamente che non avrebbe obbedito ai suoi ordini. Spaventato da questa dimostrazione Luigi Filippo ritirò le sue deliberazioni e trascorse il 24 febbraio in vani tentativi di negoziato. Lo stesso giorno, isolato all'interno del consiglio di Luigi Filippo, Bugeaud insistette ancora sulla necessità di combattere strenuamente, ma il re già intravedeva nel sacrificio del maresciallo il mezzo per rappacificarsi con la guardia nazionale. Di conseguenza il comando supremo fu affidato ad altre mani e Bugeaud allontanato. Due giorni dopo egli offrì inutilmente i suoi servizi al governo provvisorio.

Una volta divenuto presidente, Luigi Napoleone assegnò a Bugeaud il comando in capo dell'armata delle Alpi; egli fu inoltre eletto all'Assemblea Nazionale come rappresentante del dipartimento della Charente-Inférieure.

Bugeaud pubblicò diversi scritti che trattano soprattutto dell'Algeria [119]. Nell'agosto del 1852 fu eretto un monumento in suo onore ad Algeri e un altro nella sua città natale.

Karl Marx
Scritto nel mese di novembre (non dopo il 27) del 1857
Pubblicato in The New American Cyclopœdia, vol. IV, 1859

BULOW

Bùlow, Friedrich Wilhelm, conte von Dennewitz, generale prussiano, nato il 16 febbraio 1755, morto il 25 febbraio 1816. Combattè contro i francesi nei primi anni delle guerre europee di Napoleone. Nel 1808 fu nominato generale di brigata. Nel 1813 fu insignito del titolo nobiliare per le vittorie riportate a Mòckern, Luckau, Grossbeeren e Dennewitz. Successivamente si distinse in Westfalia, Olanda e Belgio, contribuendo sostanzialmente (come riconobbe calorosamente anche Wellington) [120] all'epilogo vittorioso della battaglia di Waterloo, nella quale comandò la quarta divisione dell'esercito alleato.

Karl Marx
Scritto alla fine di marzo del 1858
Pubblicato in The New American Cyclopœdia, voi. IV, 1859

COEHORN

Coehorn, o Cohorn, Menno von, barone, generale olandese e ingegnere, nato in Frisia nel 1641, morto a L'Aia il 17 maggio 1704. All'età di 16 anni ricevette i gradi di capitano, si distinse all'assedio di Maastricht e successivamente nelle battaglie di Seneffe, Cassel, Saint Denis e Fleurus
[121]. Nei periodi di intervallo tra un servizio attivo e l'altro dedicò gran parte delle sue energie allo studio della tecnica di fortificazione, pensando di ristabilire quella parità tra assedianti e assediati che il nuovo sistema inventato dal suo contemporaneo Vauban aveva decisamente sbilanciato in favore dei secondi. Già in età relativamente giovane Coehorn si era guadagnato la fama di abile geniere e, quando ebbe raggiunto la mezza età, fu celebrato nell'esercito olandese come il miglior ufficiale di quella specialità. Il principe di Orange gli aveva promesso una promozione a colonnello, ma poiché tardava ad assolvere tale impegno, Coehorn si dimise sdegnosamente progettando di offrire i suoi servigi ai francesi. La moglie e gli otto figli furono allora arrestati per ordine del principe e tenuti in ostaggio per assicurarsi il suo ritorno, cosa che avvenne immediatamente; a quel punto egli ricevette la promozione promessa e fu successivamente nominato generale d'artiglieria, direttore generale delle fortificazioni e governatore delle Fiandre.

Per tutta la vita Coehorn lavorò alle opere di difesa dei Paesi Bassi. All'assedio di Grave, nel 1674, inventò e sperimentò per la prima volta un piccolo mortaio, chiamato cohorn, adatto al lancio di granate, e l'anno successivo raccolse il plauso di Vauban per aver attraversato con successo la Mosa ed espugnato un bastione che si riteneva protetto dal fiume. Dopo la pace di Nimega (1678) [122] si dedicò al rafforzamento di luoghi già molto solidi; Nimega, Breda, Mannheim (poi smantellata) e Bergen-op-Zoom testimoniano il valore dei suoi sistemi. Lui stesso considerava quest'ultima località come il suo capolavoro, anche se nel 1747 cadde dopo un lungo assedio nelle mani del maresciallo de Lowendal. Durante le campagne tra il 1688 e il 1691 [123], Coehorn

fu nuovamente in servizio attivo. L'assedio di Namur, nel 1692, gli offrì l'opportunità di mettere alla prova il suo sistema contro quello di Vauban, poiché i due grandi ingegneri si trovarono allora contrapposti: Coehorn difendeva una fortificazione da lui costruita per difendere la cittadella, e Vauban tentava di demolirla. Il primo oppose una strenua difesa, ma dopo essere stato gravemente ferito fu costretto ad arrendersi all'avversario, il quale riconobbe generosamente il suo coraggio e la sua abilità. Coehorn fu quindi impegnato nell'attacco a Trarbach, Limburg e Liegi e contribuì alla riconquista di Namur nel 1695. Nella Guerra di Successione spagnola pose l'assedio a Venlo, Stephensworth, Ruremonde e Liegi, e nel 1703 espugnò Bonn, lungo il Reno, dopo tre giorni di cannoneggiamento d'artiglieria pesante affiancato dal fuoco di granate lanciate da 500 cohorn. Passò quindi nelle Fiandre olandesi, dove riportò diverse vittorie sui francesi, e diresse l'assedio di Huy. Fu questa la sua ultima operazione, perché morì poco dopo per un colpo apoplettico mentre attendeva di conferire con il duca di Marlborough in merito ai progetti di una nuova campagna.

Lo scritto più famoso di Coehorn, Nieuwe Vestingbouw, fu pubblicato in folio a Leeuwarden nel 1685 e successivamente tradotto in diverse lingue straniere. I suoi progetti sono per lo più adatti alle fortezze olandesi o a quelle che sono slmilmente costruite su un terreno a pochi piedi sul livello del mare. Ovunque fosse possibile egli circondava le sue opere con un doppio fossato; quello esterno era riempito d'acqua, mentre quello interno, solitamente ampio circa 125 piedi, rimaneva asciutto e serviva come piace d'armes per gli assediati o, in alcuni casi, per i distaccamenti di cavalleria. Il principio teorico su cui si basava il suo sistema, sia d'attacco sia di difesa, era la superiorità di una massa compatta rispetto al fuoco isolato. Sul piano professionale, Coehorn fu accusato di eccessivo spreco di vite umane e rispetto a ciò il confronto con Vauban, che era noto per limitare al massimo le perdite, lo vide battuto. Per quanto riguarda i tratti personali, era un uomo schietto, onesto, coraggioso e nemico dell'adulazione. Rifiutò molte offerte allettanti di vari governi stranieri. Carlo II d'Inghilterra lo insignì del titolo di Cavaliere. Fu sepolto a Wijkel, nei pressi di Sneek in Frisia, dove fu eretto un monumento in sua memoria.

Friedrich Engels
Scritto probabilmente prima del 18 febbraio 1858
Pubblicato in The New American Cyclopeedia, vol. V, 1859

NOTE

57. Citato da Meyer's Conversations-Lexicon, vol. IV, 1845.

58. L'intervento prussiano in Olanda nel 1787, appoggiato e finanziato dal governo britannico, aveva come obiettivo la restaurazione del potere di Guglielmo V d'Orange. L'esercito prussiano non incontrò alcuna seria resistenza militare.

59. G.L. Blücher, Kampagne-Joumal der Jahre I793 und 1794.

60. «La sua ritirata su Lubecca e la sua resistenza sino all'ultimo sono uno dei pochi
onorevoli episodi in questa campagna, sebbene le sue manovre strategiche durante la stessa fossero spesso alla ussara, e la sua cattura finale non fu per sua colpa, perché lui era stato tagliato fuori come tutto l'esercito prussiano e per di più aveva da fare il giro più lungo intorno alla arrièregarde.» Engels a Marx, 22 settembre 1857.

61. Tugendbund ("unione di virtù"), società patriottica fondata in Prussia dopo la sconfitta
subita a opera della Francia napoleonica nel 1806-07.

62. Muffling, Passages from My Life; together with Memoirs of the Campaign of 1813 and 1814.

63. La Confederazione del Reno {Rheinbund) era un'unione di 16 Stati della Germania meridionale e occidentale (tra gli altri, Baviera, Wùrttemberg, Baden) creata nel luglio 1806 sotto l'egida di Napoleone. Successivamente vi aderirono altri 20 Stati di tutte le regioni tedesche. La Confederazione fu dissolta nel 1813 dopo la sconfitta militare francese.

64. I negoziati di pace di Chàtillon tra i rappresentanti delle potenze alleate, membri della sesta coalizione, e quelli di Napoleone, si svolsero dal 4 febbraio al 19 marzo 1814; furono interrotti perché Napoleone rifiutò la condizione di rinunciare a tutte le conquiste territoriali e di tornare ai confini francesi del 1792.

65. La Giovane Guardia era il nome dei reggimenti della guardia imperiale di Napoleone creati dal 1807 in poi; si distinguevano così dai reggimenti della cosiddetta Vecchia Guardia.

66. Giorgio, poi Giorgio IV.

67. L'Associazione Schiller e l'Associazione degli autori tedeschi di Lipsia riunivano gli scrittori tedeschi che negli anni Quaranta lottavano per la libertà di stampa e altri diritti.

68. II cattolicesimo tedesco era un movimento religioso nato in vari Stati tedeschi nel 1844 che non riconosceva la supremazia del papa e rifiutava molti dogmi e riti della chiesa cattolica romana.

69. Le truppe sassoni avevano aperto il fuoco contro una dimostrazione popolare che protestava per le persecuzioni ai danni del movimento dei "cattolici tedeschi".

70. II parlamento preliminare, che si riunì a Francoforte sul Meno dal 31 marzo al 4 aprile 1848, era formato da rappresentanti degli Stati tedeschi, in gran parte costituzionalisti monarchici. Dopo che fu rifiutata la proposta di creare una repubblica federale e di tra sformare il parlamento preliminare in organo costituente, un gruppo di repubblicani abbandonò l'assemblea.

71. II parlamento di Francoforte, o Assemblea nazionale tedesca, si apri il 18 maggio 1848 nella chiesa di San Paolo con il compito di unificare il paese e redigere una Costituzione.

La maggioranza liberale si impantanò in sterili discussioni costituzionali e nella primavera del 1849 abbandonò l'Assemblea dopo che il governo prussiano aveva respinto la Costituzione imperiale redatta dal parlamento. Il resto dell'Assemblea si trasferì a Stoccarda e fu poi dispersa dalle autorità il 18 giugno 1849. Robert Blum fu uno dei capi della minoranza di sinistra, composta da moderati e radicali.

72. L'insurrezione di Vienna del 6-7 ottobre 1848 fu una risposta alla decisione del governo austriaco di inviare truppe contro l'Ungheria. Gli insorti impedirono la partenza della guarnigione e presero il controllo della città dopo un'accanita lotta. Il 1° novembre la loro resistenza fu però spezzata dai soldati di Windischgràtz. Il corpo studentesco (o legione accademica) di cui si parla più avanti era un'organizzazione armata fondata dopo la rivoluzione del marzo 1848 in Austria.

73. II 19 aprile 1810 a Caracas fu rovesciato il regime coloniale e creato un nuovo governo. Il 5 luglio 1811 si tenne il congresso di fondazione della repubblica venezuelana indipendente, che però cadde nel luglio 1812. La seconda repubblica venezuelana (agosto 1813-luglio 1814) fu creata durante un periodo di aspre lotte che si chiusero con un temporaneo ritorno degli spagnoli al potere nelle ex colonie.

74. Citato dalle Memoirs of GeneralMiller, voi. 2.

75. Citato da Ducoudray Holstein, Memoirs of Simon Bolivar, voi.

76. La repubblica di Nuova Granada fu proclamata nel 1813 in seguito alle rivolte antispagnole in numerose città e province. Essa unificava le regioni insorte con un trattato federale e riconosceva l'autorità del Congresso di Nuova Granada. La repubblica cadde nel 1816.

77. Riferimento alla repubblica di Haiti, creata dopo le rivolte di neri e mulatti sull'isola di Hispaniola (la parte occidentale apparteneva alla Francia, quella orientale alla Spagna, che dovette però cederla alla Francia nel 1795). Nel 1804 fu proclamata l'indipendenza dell'isola che riprese il suo vecchio nome indiano, appunto Haiti.

78. La citazione del proclama di Bolivar del 6 luglio 1816 ("Agli abitanti del Venezuela")
è tratta dal citato libro di Ducoudray Holstein.

79. Citazione sempre dal libro di Ducoudray Holstein.

80. Proclama del 7 febbraio 1818, citato dal libro di Ducoudray Holstein.

81. Dicembre 1819. Nel 1822 si aggiunse Quito (Ecuador).

82. Rivolta contro il regime assolutista in Spagna, organizzata nel gennaio 1820 da ufficiali dell'esercito, aveva come obiettivo il ripristino della Costituzione del 1812 abrogata da Ferdinando VII nel 1814. I capi della rivolta fecero leva sullo scontento delle truppe dell'armata di spedizione che, concentrata a Cadice, doveva partire per l'America Latina.
Questo episodio innescò una seconda rivoluzione borghese in Spagna (1820-23) che
fu infine soffocata anche grazie all'intervento francese.

83. I Haneros, in prevalenza indios dei llanos, le vaste pianure nel Nord del continente latino-americano, si unirono all'esercito di liberazione di Bolivar nel 1816.

84. Nel 1821 alcuni paesi del Centro America rovesciarono la dominazione spagnola, proclamarono la loro indipendenza e nel 1823 crearono una federazione, gli Stati Uniti dell'America Centrale. Nel 1839 la federazione si divise in cinque repubbliche (Guatemala, Honduras, Salvador, Nicaragua e Costa Rica). Panama, invece, fu incorporata nella repubblica della Grande Colombia dopo la rivolta del 1821.

85. Sono i principali termini del trattato di pace tra Perù e Colombia stipulato nel settembre 1829. La Grande Colombia si disintegrò con il distacco di Perù (1827), Bolivia (1828), Venezuela (1829) ed Ecuador (1830).

86. II 20 gennaio 1830.

87. L'elenco delle fonti fu aggiunto da Marx al testo dell'articolo su richiesta di Charles Dana. Il libro di Ducoudray Holstein è citato nella versione francese del 1831, mentre gli appunti di Marx dimostrano che egli utilizzò l'edizione inglese in due volumi del 1830. Riguardo alla seconda fonte (pubblicata in due volumi a Londra nel 1828-29), non ne era autore John Miller, bensì suo fratello, il generale William Miller. «... Dana fa delle difficoltà per una voce piuttosto lunga su Bolivar, perché sarebbe scritta inpariisanstyle [con spirito di parte], e chiede le mie authorities [fonti]... Per quel che riguarda Apartisanstyle, è vero che mi sono un po' allontanato dal tono generale dell'enciclopedia. Veder celebrato come un Napoleone I il più vile, il più volgare e il più miserabile straccione, era un po' troppo. Bolivar è il vero Soulouque.» Marx a Engels, 14 febbraio 1858.

88. Vedi la voce corrispondente, a p. 23.

89. Vedi la voce "Algeria".

90. Riferimento alla guerra di Crimea del 1853-56.

91. La battaglia di Balaklava si svolse il 25 ottobre 1854. Alcune unità russe cercarono di isolare dalla base di Balaklava le truppe britanniche e turche che assediavano Sebastopoli. Soprattutto la cavalleria britannica subì pesanti perdite, ma i russi non riuscirono nel loro intento.

92. La battaglia di Bosworth (Leicestershire, Inghilterra) del 22 agosto 1485 fu combattuta tra le truppe di Enrico Tudor, lontano parente della casa Lancaster (rosa rossa) e quelle di Riccardo III di York (rosa bianca). Sconfitto quest’ultimo, Enrico divenne re come Enrico VII. La battaglia pose fine alla Guerra delle due rose (1455-85).

93. Riferimento all'assalto alle fortificazioni di Sebastopoli eseguito dalle truppe francesi e britanniche l'8 settembre 1855, grazie al quale i francesi riuscirono a conquistare il bastione di Malakhov che costituiva il perno della difesa russa. Dopo undici mesi la guarnigione russa abbandonava Sebastopoli, ritenendo ormai vano ogni ulteriore tentativo di difesa.

94. II 20 giugno 1792 si svolse a Parigi, di fronte all'Assemblea legislativa e al palazzo reale delle Tuileries, una manifestazione che chiedeva, tra l'altro, il ritorno dei capi girondini alle loro cariche ministeriali.

95. Gli inglesi bombardarono Copenhagen nel settembre del 1807 per impedire alla Danimarca di aderire al blocco continentale deciso da Napoleone.

96. Durante la fase finale della guerra anglo-americana del 1812-14. Nell'agosto del 1814 un distaccamento inglese di 4.000 uomini sbarcò nella baia di Chesapeake, per poi procedere verso Washington. Dopo aver appiccato fuoco al Campidoglio, alla Casa Bianca e ad altri edifici governativi, gli inglesi tornarono rapidamente alle loro navi.

97. L'assalto a questo bastione {redan in francese) fu uno degli scontri più importanti dell'assedio di Sebastopoli, conclusosi con la sconfitta degli alleati.

98. II club dei cordiglieri, fondato a Parigi nel luglio 1790, durante la rivoluzione francese, prese nome dall'ex convento dei frati minori francescani in cui si riunivano i suoi membri.

99. La manifestazione antimonarchica degli artigiani e operai parigini del Campo di Marte
si svolse il 17 luglio 1791 e fu guidata dai capi del club dei cordiglieri.

100. II 2-5 settembre 1792 Parigi fu teatro di sanguinosi disordini popolari.

101. II 12-13 Vendemmiaio (4-5 ottobre) 1795, le truppe governative guidate dal generale Bonaparte soffocarono una rivolta realista a Parigi.

102. Nel maggio 1796 erano stati arrestati Babeuf e altri cospiratori che avevano dato vita a un tentativo di rovesciamento del regime. Nell'autunno dello stesso anno i babuvisti cercarono di liberare i loro compagni e di sollevare una rivolta nel campo militare di "Grenelle con la parola d'ordine del ritorno alla Costituzione giacobina del 1793.

103. Alla fine di agosto del 1799 truppe anglo-russe sbarcarono a Helder, nel Nord dell'Olanda, allo scopo di dissolvere la repubblica batava filofrancese. Ma in ottobre gli alleati subirono una pesante sconfitta a opera di un'armata franco-olandese comandata da Brune. Il 18 ottobre il duca di York dovette firmare la resa di Alkmar.

104. II campo di Boulogne fu creato da Napoleone nel 1803-05 come base di una progettata invasione dell'Inghilterra attraverso la Manica.

105. Capitulation de l'isle de Rugen, en date du 7 Sept. 1807", in G.F. Martens, Recueil del prinàpaux Traités, I, vol. VIII.

106. Citato dall'articolo "Brune" pubblicato in Biographie unìverselk (Michaud) ancienne et moderne, vol. VI.

107. Riferimento alla legge con cui il senato francese depose Napoleone e restaurò la dina
stia dei Borbone, legge approvata dopo l'entrata a Parigi delle armate della sesta coalizione, il 31 marzo 1814.

108. Las Cases, Mémorial de Sainte-Hélène.

109. A.H. Jomini li, Vie politique et militaire de Napoléon, vol. II, cap. VII.

110. Durante la Guerra Peninsulare del 1808-14.

111. Emblema della casata dei Borbone.

112. L'invasione francese della Spagna fu intrapresa per decisione del congresso di Verona della Santa Alleanza allo scopo di reprimere la rivoluzione spagnola del 1820-23.

113. La rivolta repubblicana parigina contro la monarchia di luglio, il 13 e 14 aprile 1834, seguì l'imponente insurrezione che era scoppiata a Lione. Anche a Parigi la rivolta fu diretta dalla società segreta repubblicana degli Amici dei diritti dell'uomo e del cittadino.

114. II trattato di Tafna tra Bugeaud e Abd el-Kader fu firmato il 30 maggio 1837, dopo che nel 1835 i francesi avevano ripreso le operazioni militari contravvenendo al trattato di pace dell'anno precedente.

115. «... Era un mediocre generale, le cui vittorie ad Algeri e nel Marocco non possono significare gran che. Che abbia conquistato l'Algeria con 100.000 uomini, che abbia là adattato la condotta di guerra al terreno e al nemico e che abbia spezzato o piuttosto soffocato la resistenza degli arabi (non dei cabili), non gliene faccio gran merito, per ché non credo che abbia preparato lui i piani. Era un po' un sabreur e alla Tafna dimostrò di essere non solo un soldato corruttibile, ma anche indeciso nelle situazioni difficili. Con 100.000 uomini e dei capi in sottordine... formatisi attraverso una guerra di dieci anni, poteva fare qualcosa anche senza molto talento...» Engels a Marx, 22 settembre 1857.

116. Con la scusa che il sovrano del Marocco aveva dato ospitalità ad Abd el-Kader, Bugeaud invase il paese, sconfisse i marocchini alla battaglia di Isly e li portò a firmare il trattato di Tangeri il 1 o settembre. Tuttavia, la prospettiva di una reazione britannica lo convinse a ritirare le sue truppe dal Marocco.

117. Le divergenze tra Guizot e Bugeaud erano dovute al fatto che il secondo intendeva usare la repressione della rivolta algerina del 1845-47 per ulteriori conquiste in Nord Africa, mentre Guizot temeva un aggravamento delle già tese relazioni con la Gran Bretagna.

118. Citazione (come le successive) da D. Stern, Histoire de la révolution de 1848.

119. Th. R. Bugeaud, L'Algerie. Des mqyens de conserver et d'utiliser cette conquéte; De la colonisation , ecc.

120. A. Wellington, "To Bari Bathurst, Waterloo, June I9th, 1815", in Sekctions from . Dispatches and General Orders 0/Field Marshal thè Duke of Wellington.

121. II fallito assedio alla fortezza francese di Maastricht (nei Paesi Bassi) da parte degli olandesi guidati da Guglielmo III d'Orange, nel luglio e agosto del 1676, e le battaglie di Seneffe, Cassel, Saint Denis e Fleurus, si svolsero durante la guerra del 1672-79 combattuta dalla Francia (fino al 1674 alleata della Gran Bretagna, che poi si ritirò) contro i Paesi Bassi e gli Asburgo austriaci e spagnoli.

122. La pace di Nimega, conclusa da Luigi XIV con Olanda e Spagna nel 1678, e poi con gli Asburgo d'Austria nel 1679, pose fine alla guerra iniziata nel 1672 dalla Francia.

123. Riferimento alle campagne della guerra del 1688-97 (Guerra del Palatinato) tra la Francia e la cosiddetta Lega di Augusta, comprendente Olanda, Gran Bretagna, Spagna, impero austriaco, Savoia, Svezia e una serie di principi italiani e tedeschi.


Ultima modifica 24.12.2003