Voci per la New American Cyclopœdia

Marx-Engels (1857-60)

Personaggi storici

 

Airey
Barclay De Tolly
Bem
Bennigsen
Beresford
Bernadotte
Berthier
Bessieres

AIREY

Airey, Sir Richard, K.C.B. [1], maggior-generale e, attualmente, generale del commissariato dell'esercito britannico, entrò in servizio nel 1821 con il grado di alfiere, fu promosso capitano nel 1825 e tenente colonnello nel 1851 [2]; con quest'ultimo grado assunse il comando di una brigata dell'armata d'Oriente nel 1854. Nel settembre del 1854, quando la spedizione per la Crimea si accingeva a salpare da Varna, fu nominato generale del commissariato delle forze di spedizione e, in quanto tale, fu tra i sei o otto ufficiali comandati da Lord Raglan accusati di aver distrutto l'esercito inglese con il loro modo ripetitivo e superficiale di adempiere al dovere e con la loro mancanza di buon senso e di energia. Ad Airey spettava di determinare la suddivisione tra i vari reggimenti dell'equipaggiamento da campo, di tende, giubbe, coperte e stiva li. Secondo la sua stessa ammissione (davanti alla commissione di inchiesta di Chelsea): «non capitò mai, dopo la prima settimana di dicembre del 1854, che a Balaklava mancasse una copiosa fornitura di indumenti caldi, ma allo stesso tempo c'erano reggimenti impegnati nelle trincee del fronte che soffrivano terribilmente a causa della mancanza di quegli stessi articoli che giacevano a loro disposizione a sette o otto miglia di distanza» [3]. Ciò, aggiunse Airey, non era colpa sua, non avendo egli mai sollevato la minima difficoltà ad approvare le richieste di tali articoli. Al contrario, riteneva di potersi attribuire il merito di aver abbreviato e semplificato quanto più possibile le procedure normalmente utilizzate per approvare, decurtare o respingere le richieste di forniture che gli giungevano dagli ufficiali di divisione o di reggimento.

Friedrich Engels Scritto prima del 24 luglio 1857
Pubblicato in The New American Cyclopœdia,

BARCLAY DE TOLLY

Barclay de Tolly, Michel, principe e feldmaresciallo russo, nato in Livonia nel 1759
[4], morto a Insterburg, Prussia orientale, il 25 maggio 1818. Nel 1769, quando non aveva neanche compiuto 11 anni, si arruolò nell'esercito russo, ove servì per 29 anni partecipando alle varie campagne contro turchi, svedesi e polacchi, eppure non arrivando ai gradi superiori prima del 1798. Si distinse quindi nella campagna del 1806. La sua fama militare ebbe inizio nel 1807, quando, a capo dell'avanguardia russa, difese valorosamente la cittadina prussiana di Eylau, tenendo a lungo le strade, la chiesa e il cimitero della città. Nel 1808 costrinse gli svedesi a ripiegare in Carelia e nel 1809, con il grado di generale di fanteria, ripetè, ma su scala molto più ampia, la celebre marcia di Carlo Gustavo sulle acque ghiacciate del Piccolo Belt, facendo sfilare 12.000 russi, con artiglieria, munizioni, viveri e approvvigionamenti, sulla superficie di ghiaccio che copriva il Golfo di Botnia. Conquistò Umea, favorì con il suo arrivo l'imminente rivoluzione contro Gustavo IV e costrinse gli svedesi a chiedere la pace [5]. Dopo il 1810 gli fu affidata la direzione del ministero della guerra russo.

Nel 1812 assunse il comando della Prima armata d'Occidente, i cui corpi principali — che egli decise di guidare personalmente e la cui consistenza era stata gonfiata dai rapporti ufficiali a 550.000 effettivi — in realtà si dimostrarono costituiti da soli 104.000 uomini, mentre il totale delle truppe, dalle coste del Baltico alle rive del Prut, non superava le 200.000 unità. Così, la ritirata dell'esercito russo, il cui progetto originale Napoleone erroneamente attribuì nel suo memoriale di Sant'Elena proprio a Barclay de Tolly, ma che già molto tempo prima della rottura tra Russia e Francia era stato elaborato dal generale prussiano Phull, e dopo la dichiarazione di guerra nuovamente sollecitata da Bernadotte ad Alessandro, divenne ora una questione non tanto di scelta, quanto di acuta necessità. Oltre ad avere il grande merito di resistere alle truppe così come ai quartieri generali russi che sconsideratamente reclamavano a gran voce lo scontro, Barclay de Tolly guidò la ritirata con notevole abilità, impegnando continuamente parte delle sue truppe, in modo da offrire al principe Bagration la possibilità di ricongiungersi con lui e all'ammiraglio Ciéagov l'opportunità di piombare sulle retrovie del nemico. Quando fu costretto a impegnare battaglia, come a Smolensk, si schierò in modo da evitare che lo scontro assumesse caratteri decisivi. Quando, non lontano da Mosca, ciò non fu più possibile, scelse la solida piazzaforte di Gzatsk, quasi impossibile da attaccare frontalmente e aggirabile solo compiendo giri lunghi e tortuosi. Aveva già schierato le sue truppe quando giunse Kutuzov, al quale era stato affidato il comando supremo grazie agli intrighi dei generali russi e ai mugugni dell'armata moscovita contro lo straniero che capeggiava la guerra santa. In spregio al piano di Barclay de Tolly, Kutuzov abbandonò la postazione di Gzatsk e, di conseguenza, l'esercito russo fu costretto ad accettare battaglia nella sfavorevole zona di Borodino. Nel corso dei combattimenti, il 26 agosto [6] Barclay, che comandava l'ala destra, fu l'unico generale che tenne la posizione e non si ritirò fino al giorno 27, coprendo in tal modo la ritirata dell'armata russa che, se non fosse stato per lui, sarebbe andata incontro alla più totale distruzione. A seguito della ritirata da Borodino fin oltre Mosca, fu nuovamente Barclay de Tolly a sventare ogni inutile tentativo di difendere la città santa.

Durante la campagna del 1813 Barclay conquistò la fortezza di Thorn (Torun) il 4 aprile, sconfisse Lauriston a Kònigswartha, coprì la ritirata degli alleati dopo la sconfitta di Bautzen dell'8 maggio, vinse la battaglia di Gòrlitz, contribuì alla capitolazione di Vandamme e si distinse personalmente nella battaglia di Lipsia. Nella campagna del 1814 non comandò singole unità militari e operò in ambito amministrativo e diplomatico, più che strettamente militare. Per la severa disciplina che imponeva alle truppe sotto il suo diretto comando si guadagnò anche la stima della popolazione francese. Al ritorno di Napoleone dall'Elba, Barclay giunse troppo tardi dalla Polonia per essere presente alla battaglia di Waterloo, ma partecipò comunque alla seconda invasione della Francia. Morì durante una gita alle terme di Carlsbad. Gli ultimi anni della sua vita furono amareggiati da una serie di voci calunniose. Tra i generali di Alessandro fu indubbiamente il migliore: modesto, tenace, risoluto e pieno di saggezza.

Karl Marx e Friedrich Engels
Scritto tra la fine di agosto e il 15 settembre 1857
Pubblicato in The New American Cyclopœdia, vol. II, 1858

BEM

Bem, Józef, generale polacco, nato a Tarnow, in Galizia, nel 1795
[7], morto il 10 dicembre 1850. La sua vita fu animata da una sola passione: l'odio verso la Russia. All'epoca in cui Napoleone, con le sue vittorie e i suoi proclami, ravvivò la fede nella resurrezione della Polonia, Bem si arruolò nel corpo dei cadetti di Varsavia e fu addestrato alla scuola di artiglieria comandata dal generale Pelletier. Terminato l'addestramento, fu promosso tenente di artiglieria a cavallo; con tale grado partecipò alla campagna del 1812 sotto il comando di Davout e Macdonald; fu insignito della croce della legion d'onore per la sua partecipazione alla difesa di Danzica; dopo la resa di questa fortezza [8] fece ritorno in Polonia. Poiché lo zar Alessandro, ostentando una grande predilezione per la nazione polacca, decise ora di riorganizzarne l'esercito, Bem vi si arruolò nel 1815 come ufficiale d'artiglieria, ma fu presto congedato per aver affrontato in duello un suo superiore. Fu però successivamente nominato istruttore militare alla scuola d'artiglieria di Varsavia e promosso al grado di capitano. Allora introdusse nell'esercito polacco l'impiego dei razzi Congreve, pubblicando i risultati degli esperimenti realizzati in quest'occasione in un volume originariamente edito in Francia e poi tradotto in tedesco [9]. Aveva un atteggiamento recri-minatorio e insubordinato e, tra il 1820 e il 1825, fu diverse volte portato davanti alla corte marziale, condannato alla detenzione, liberato e imprigionato di nuovo, infine spedito a Kock, uno sperduto villaggio polacco, a vegetare sotto la stretta sorveglianza della polizia. Non ottenne il congedo dall'esercito polacco fino alla morte di Alessandro, e dopo l'insurrezione di Pietroburgo [10] Costantino ne perse le tracce. Dopo aver lasciato la Polonia russa, Bem si ritirò a Lemberg, dove divenne caporeparto in una grande distilleria e scrisse un libro sull'uso del vapore applicato alla distillazione dell'alcol.

Quando nel 1830 scoppiò la rivolta di Varsavia, Bem vi partecipò; dopo qualche mese fu elevato al grado di maggiore d'artiglieria e nel maggio del 1831 [11] combattè alla battaglia di Ostrolenka, nella quale si distinse per l'abilità e la tenacia con cui si oppose alle superiori batterie russe. Dopo che furono definitivamente respinti gli attacchi dell'esercito polacco contro i russi che avevano attraversato il Narew, Bem protesse la ritirata facendo audacemente avanzare tutti i suoi cannoni. Fu promosso quindi colonnello e poco dopo generale, quindi destinato al comando supremo dell'artiglieria polacca. Quando i russi assaltarono Varsavia, egli si battè coraggiosamente, ma, nel suo ruolo di comandante, commise l'errore di non impiegare i suoi 40 cannoni, permettendo così al nemico di conquistare l'importante postazione difensiva di Vola. Dopo la caduta di Varsavia emigrò in Prussia con il resto dell'armata, convinse i suoi uomini a non consegnare le armi ai prussiani causando così un inutile spargimento di sangue in quella che all'epoca fu chiamata la battaglia di Fischau. Bem abbandonò l'esercito e organizzò in Germania dei comitati di sostegno agli emigrati polacchi, dopo di che se ne andò a Parigi.

Il suo carattere straordinario, in cui a una laboriosa passione per le scienze esatte si univa un'irrefrenabile spinta all'azione, lo spingeva a gettarsi in imprese avventurose il cui fallimento tornava spesso a vantaggio dei nemici. Così, nel 1833, essendosi reso responsabile di un vano tentativo per creare una legione polacca favorevole a Don Pedro [12], fu denunciato per tradimento e un suo deluso compatriota attentò alla sua vita a Bourges, dove egli si era recato ad arruolare uomini per la legione. Tra il 1834 e il 1848 fu assorbito dai continui viaggi in Portogallo, Spagna, Olanda, Belgio e Francia.

Nel 1848, al primo manifestarsi dei sintomi rivoluzionari nella Polonia austriaca, Bem accorse a Lemberg e di qui, il 14 ottobre, a Vienna, dove ogni opera di rafforzamento delle costruzioni difensive e di organizzazione dei contingenti rivoluzionari fu dovuta esclusivamente al suo impegno. La fuga disordinata con cui il 25 ottobre si concluse una sortita della guardia mobile viennese [13], capeggiata dallo stesso Bem, lo indusse a esprimere severe parole di riprovazione alle quali fu replicato con fragorose accuse di tradimento che, nonostante la loro assurdità, guadagnarono una tale influenza che Bem evitò la corte marziale solo perché c'era il timore di un'insurrezione della   legione polacca. Dopo l'eccezionale difesa da lui operata, il 28 ottobre, della grande barricata costruita nella Jàgernzeile, e dopo l'apertura dei negoziati tra i magistrati di Vienna e il principe Windìschgràtz, scomparve dalla scena. Il sospetto, rinfocolato dalla sua misteriosa fuga, lo inseguì da Vienna a Pest, dove, avendo prudentemente consigliato al governo ungherese di non consentire la formazione di una speciale legione polacca, un polacco di nome Kòlodjecki, ritenendolo un traditore, gli sparò un colpo di pistola e lo ferì gravemente.

La guerra in Transilvania, il cui comando il governo ungherese affidò a Bem, lasciando tuttavia alla sua iniziativa il reperimento delle truppe necessarie a combatterla, rappresenta il momento più importante della sua carriera militare, capace di gettare grande luce sul carattere particolare delle sue capacità di comando. Aprendo la prima campagna, verso la fine di dicembre del 1848, con un esercito di 8.000 uomini male armato, radunato in fretta e composto di elementi estremamente eterogenei — coscritti magiari poco addestrati, honved [14], profughi viennesi e un esiguo manipolo di polacchi —, una banda variegata successivamente rinforzata, durante l'avanzata in Transilvania, da contingenti di szekler [15], sassoni, slavi e rumeni, circa due mesi dopo Bem aveva concluso le operazioni, annientato Puchner e la sua armata austriaca di 20.000 uomini, Engelhardt con i suoi reparti ausiliari di 6.000 russi e Urban con i suoi filibustieri. Costretti i primi due a ritirarsi in Valacchia e il terzo a rifugiarsi in Bucovina, Bem occupò tutta la Transilvania a parte la piccola fortezza di Karlsburg. Coraggiose operazioni di sorpresa, manovre audaci, marce forzate, unitamente alla grande fiducia che sapeva infondere nella truppa grazie all'esempio personale, all'abile scelta di postazioni riparate e al sostegno dell'artiglieria portato sempre al momento decisivo, ne fecero un generale di prim'ordine per la guerra partigiana e collinare di questa prima campagna. Bem si dimostrò inoltre maestro nell'arte di creare dal nulla un esercito e di dargli una disciplina; tuttavia, limitandosi ai minimi rudimenti organizzativi e trascurando di creare un nucleo di truppe scelte, che è invece materia di prima necessità, il suo esercito estemporaneo era destinato a dissolversi come un sogno al primo serio inconveniente.

Torna a suo merito di aver impedito, durante l'occupazione della Transilvania, le inutili e impopolari crudeltà che erano nelle intenzioni dei commis-sari magiari. La politica di conciliazione tra le varie nazionalità antagoniste gli consentì in pochi mesi di aumentare le sue truppe da 40.000 a 50.000 uomini, con buoni contingenti di cavalleria e artiglieria. Se, nonostante alcune

manovre pregevoli, la spedizione nel Banato [16], che Bem intraprese con quest'armata numericamente ragguardevole, non produsse effetti duraturi, occorre tenere presente che egli aveva le mani legate a causa della presenza al suo fianco dell'incapace comandante ungherese.

L'ingresso in Transilvania di consistenti truppe russe e le conseguenti sconfitte subite dai magiari richiamarono Bem sul teatro della sua prima campagna. Dopo aver effettuato un vano tentativo di creare un diversivo alle spalle del nemico invadendo la Moldavia, egli rientrò in Transilvania, dove fu definitivamente battuto, il 31 luglio a Schàssburg, da forze russe tre volte superiori al comando di Lùders, sfuggendo alla cattura saltando in un fosso dal quale fu casualmente recuperato da un gruppo di ussari magiari dispersi. Essendo riuscito a riunire ciò che era rimasto delle sue truppe, assaltò per la seconda volta Hermannstadt il 5 agosto, ma dovette lasciarla immediatamente per mancanza di rinforzi; dopo uno sfortunato scontro il 7 agosto, ripercorse la strada per l'Ungheria, dove arrivò in tempo per assistere alla sconfitta nella decisiva battaglia di Temesvàr [17]. Dopo un ulteriore inutile tentativo di organizzare la resistenza delle rimanenti truppe magiare a Lugos, Bem tornò in Transilvania, e qui si attestò cercando di contrastare le preponderanti forze avversarie finché, il 19 agosto, fu costretto a rifugiarsi in territorio turco.

Con l'intento di aprire nuove possibilità alle sue attività antirusse, Bem abbracciò la fede musulmana e il sultano lo innalzò alla carica di pascià con il nome di Amurath, affidandogli un comando nell'esercito turco; tuttavia, a seguito delle proteste delle potenze europee, fu relegato ad Aleppo. Qui riuscì a reprimere alcuni eccessi sanguinali commessi dalla popolazione musulmana a danno dei residenti cristiani nel novembre del 1850, e morì circa un mese dopo, colpito da una violenta febbre per la quale rifiutò ogni cura medica.

Karl Marx e Friedrich Engels
Scritto nel settembre (al più tardi il 29) del 1857
Pubblicato in The New American Cyclopœdia, vol. III, 1858

BENNIGSEN

Bennigsen, Levin August Teophil, conte, generale russo, nato il io febbraio 1745 a Brunswick, dove il padre era colonnello della guardia, morto il 3 ottobre 1826. Fu per cinque anni paggio alla corte di Giorgio II di Hannover; si arruolò nell'esercito dell'Hannover e, promosso ai gradi di capitano della guardia appiedata, partecipò all'ultima campagna della Guerra dei Sette Anni. La sua grande passione per il gentil sesso suscitò all'epoca più scalpore delle sue imprese militari. Per sposare la figlia del barone di Steinberg, ministro dell'Hannover presso la corte di Vienna, Bennigsen lasciò l'esercito, si ritirò nella sua tenuta hannoveriana di Banteln e, a forza di generose spese, si indebitò irrimediabilmente decidendo infine, dopo la morte della moglie, di rimettere in sesto le sue fortune entrando nell'esercito russo. Nominato tenente colonnello da Caterina II, servì dapprima contro i turchi al comando di Romanzov e successivamente, al comando di Suvarov, contro il ribelle Pugacév. Approfittò di una licenza per tornare nell'Hannover e conquistarsi i favori della signorina von Schwiehelt, donna di famosa bellezza. Al suo ritorno in Russia, grazie alla protezione di Romanzov e Potémkin ottenne il comando di un reggimento. Essendosi distinto nell'assedio di Ochakov [18] nel 1788, fu nominato generale di brigata. Durante la campagna di Polonia del 1793-94 fu a capo di un reparto di truppe leggere; fu promosso generale dopo gli eventi di Oszmiana e Solli; determinò la vittoria di Vilna [19] aprendo con la cavalleria un varco nel centro dello schieramento polacco e, in conseguenza di una serie di audaci operazioni di sorpresa portate felicemente a termine sulle rive del basso Niemen, Caterina II gli dimostrò la sua gratitudine insignendolo dell'ordine di San Vladimiro, assegnandogli la sciabola d'onore e un appannaggio di 200 servi della gleba. Nella campagna di Polonia Bennigsen dimostrò di possedere le qualità di un buon ufficiale di cavalleria — precisione di fuoco, audacia e rapidità — ma non i massimi talenti indispensabili per diventare comandante di un esercito. Dopo questa campagna fu spedito presso l'armata in Persia, dove, con un bombardamento durato 1 o giorni, costrinse alla resa Derbent, sul mar Caspio [20]. La croce di terza classe de Fordine di San Giorgio fu l'ultimo dono che ricevette da Caterina, il cui successore [21] lo richiamò in Russia ma lo privò della propria protezione.

Il conte Pahlen, governatore militare di San Pietroburgo, stava all'epoca organizzando la congiura che avrebbe portato alla morte Paolo I. Pahlen, conoscendo il carattere irruente di Bennigsen, lo coinvolse nel piano segreto e gli assegnò il ruolo centrale, quello di guidare i cospiratori negli appartamenti dell'imperatore. Fu proprio Bennigsen che stanò Paolo dal camino dove si era nascosto; e quando i suoi compagni, al rifiuto del sovrano di abdicare, diedero segni di esitazione, egli esclamò: «Ha parlato abbastanza!», si tolse la fascia, si avventò su di lui e, dopo una colluttazione in cui gli altri lo aiutarono, riuscì a strangolare la sua vittima. Per sveltire le operazioni Bennigsen colpì Paolo alla testa con una pesante tabacchiera d'argento. Subito dopo l'ascesa al trono di Alessandro I, gli fu assegnato un comando militare in Lituania.

All'inizio della campagna del 1806-07 Bennigsen comandava un corpo della prima armata, quella di Kamenski (la seconda era guidata da Buxhòvden); cercò invano di proteggere Varsavia dall'attacco dei francesi, fu costretto a ritirarsi a Pultusk sul Narew, dove, il 26 dicembre 1806, avendo a disposizione forze molto superiori, giacché Napoleone e il grosso dell'esercito francese stavano marciando contro la seconda armata russa, riuscì a respingere un assalto di Lannes e Bernadotte. Bennigsen inviò rapporti vanagloriosi all'imperatore Alessandro e, a forza di ordire intrighi contro Kamenski e Buxhòvden, ottenne in poco tempo il comando supremo dell'armata destinata a operare contro Napoleone. Alla fine di gennaio del 1807 effettuò un tentativo offensivo contro l'acquartieramento invernale francese e riuscì per puro caso a sfuggire alla trappola che Napoleone aveva predisposto per lui; quindi combattè alla battaglia di Eylau. Essendo caduta Eylau il giorno 7, lo scontro principale che Bennigsen fu costretto ad accettare al fine di bloccare il violento inseguimento di Napoleone avvenne l'8 febbraio. La tenacia delle truppe russe, l'arrivo dei prussiani al comando di L'Estocq e la lentezza con cui il corpo d'armata francese apparve sul teatro delle azioni resero incerto l'esito della battaglia. Entrambi i contendenti reclamarono la vittoria e, in ogni caso, il campo di Eylau — come affermò lo stesso Napoleone — fu il più sanguinoso tra tutti quelli su cui aveva combattuto. Per Bennigsen furono cantati i Te Deurn, lo zar lo insignì di un ordine russo, lo gratificò di una pensione di 12.000 rubli e di una lettera di congratulazioni che lo definiva «il vincitore dell'indomito capitano».

In primavera Bennigsen si attestò tra le trincee di Heilsberg ed evitò di attaccare Napoleone quando parte dell'esercito francese era ancora impegnata nell'assedio di Danzica; ma dopo la caduta della città, e dopo il ricongiungimento dell'esercito francese, ritenne che fosse giunto il momento dell'attacco. Bennigsen fu dapprima ritardato dall'avanguardia napoleonica, che aveva radunato solo un terzo dei propri effettivi, e successivamente costretto dalle manovre francesi ad arretrare e a rientrare nel suo accampamento trincerato. Qui Napoleone lo attaccò inutilmente il 10 giugno con solo due corpi e qualche battaglione della guardia, ma il giorno seguente lo indusse ad abbandonare

l'accampamento e a battere in ritirata. All'improvviso, però, e senza aspettare un corpo di 28.000 uomini che aveva già raggiunto Tilsit, Bennigsen tornò all'offensiva, occupò Friedland e lì radunò le sue truppe, volgendo le spalle al fiume Alle e tenendo il ponte di Friedland come unica via per la ritirata. Invece di avanzare rapidamente, prima che Napoleone potesse concentrare le sue forze, si lasciò distrarre da Lannes e Morder per cinque o sei ore finché, verso le ore 5 pomeridiane, Napoleone fu pronto e ordinò l'attacco. I russi furono spinti violentemente contro il fiume, Friedland fu presa e il ponte distrutto dagli stessi russi, nonostante tutta la loro ala destra fosse ancora sulla sponda opposta. Così, il 14 giugno, la battaglia di Friedland fu persa, costando all'esercito russo più di 20.000 uomini. Si disse che Bennigsen risentisse allora dell'influenza della moglie polacca. Tuttavia, durante l'intera campagna, egli commise un errore dopo l'altro e tutta la sua condotta fu contrassegnata da una strana combinazione di sconsiderata imprudenza e irresoluta debolezza.

Nella campagna del 1812 svolse la sua attività principale al quartier generale dell'imperatore Alessandro, tessendo intrighi contro Barclay de Tolly al fine di prenderne il posto. Nella campagna del 1813 comandò un'armata della riserva russa e, sul campo di battaglia di Lipsia, Alessandro lo elevò alla dignità di conte. Avendo poi ricevuto l'ordine di cacciare Davout da Amburgo, pose l'assedio alla città finché, nell'aprile del 1814, l'abdicazione di Napoleone pose fine alle ostilità. Per la pacifica occupazione di Amburgo, che allora si decise a effettuare, Bennigsen pretese e ricevette nuovi onori ed emolumenti. Dopo essere stato a capo dell'armata del Sud in Bessarabia dal 1814al 1818, si ritirò infine nella sua tenuta nell'Hannover, dove morì, avendo sperperato gran parte della sua fortuna e lasciando i figli in miseria al servizio dell'esercito russo.

Karl Marx e Friedrich Engels
Scritto nel settembre (al più tardi il 22) del 1857
Pubblicato in The New American Cyclopœdia, vol. III, 1858

BERESFORD

Beresford, William Carr, visconte, generale britannico, nato in Irlanda il 2 ottobre 1768, morto nel Kent l'8 gennaio 1854. Figlio illegittimo di Giorgio, primo marchese di Waterford, si arruolò nell'esercito all'età di 16 anni e servì in Nuova Scozia fino al 1790. In questo periodo perse un occhio a causa di un colpo sparatogli accidentalmente da un ufficiale suo compagno d'armi. Fu poi a Tolone, in Corsica, nelle Indie Occidentali (al comando di Abercromby), nelle Indie Orientali e in Egitto con Baird. Al suo ritorno gli fu assegnata la carica onoraria di colonnello. Fu poi inviato in Irlanda, partecipò alla conquista del Capo di Buona Speranza, e quindi, con il grado di generale di brigata, all'attacco contro Buenos Aires nel 1806, quando fu costretto ad arrendersi e riuscì infine a sfuggire alla cattura. Nel 1807 comandò le truppe che conquistarono Madeira e fu nominato governatore dell'isola
[22]. Nel 1808 divenne general-maggiore e, al suo arrivo in Portogallo con i reparti inglesi, fu incaricato dell'organizzazione dell'intero esercito portoghese, inclusa la milizia. Fu membro della commissione per la definizione dei termini della famosa convenzione di Cintra; partecipò alla ritirata e alla battaglia della Coruna, dove protesse l'imbarco delle truppe di Sir John Moore; nel marzo del 1809 fu nominato maresciallo e generalissimo dell'esercito portoghese, ben presto da lui trasformato in un'eccellente forza d'attacco e di difesa. Combattè tutta la Guerra Peninsulare fino alla fine, nel 1814, sostenendo vigorosamente Wellington. Tuttavia, nell'unica occasione davvero importante nella quale ebbe il comando in capo, ossia alla battaglia di Albuera del 1811, dimostrò scarse capacità di guida e, se non fosse stato per un suo subalterno che agì disobbedendo ai suoi ordini, la giornata sarebbe terminata con una sconfitta. Beresford partecipò alle vittorie di Salamanca (1812), Viteria e Bayonne (1813), Orthez e Tolosa (1814). Per i servizi resi fu nominato feldmaresciallo del Portogallo, duca di Elvas e marchese di Santo Campo. Nel 1810 gli fu conferito l'ufficio di deputato al Parlamento per la contea di Waterford (non occupò mai il suo seggio) e nel 1814 divenne barone di Albuera e Dungannon; nel 1823 fu elevato alla dignità di visconte.

Nel 1814 si recò in missione diplomatica in Brasile, dove nel 1817 represse una congiura [23]. Al ritorno in patria fu nominato luogotenente generale dell'approvvigionamento militare, poi generale dell'esercito e, dal 1828 al 1830, generale in capo dell'approvvigionamento. Avendo prestato aiuto a Don Miguel nel 1823 [24], fu privato del bastone di feldmaresciallo del Portogallo. Nella sfera politica fu attivamente, seppure silenziosamente, un convinto tory. Il suo successo militare fu essenzialmente la riorganizzazione dell'esercito portoghese che, con grande capacità e instancabile tenacia, rese talmente saldo e disciplinato da poter affrontare perfino i francesi. Nel 1832 Beresford sposò la cugina Louisa, figlia dell'arcivescovo di Tuam e vedova di Thomas Hope, il banchiere milionario e autore di Anastasius. Non lasciò figli e il titolo si estinse con la sua morte.

Karl Marx e Friedrich Engels
Scritto tra l'i 1 marzo e il 9 aprile 1858
Pubblicato in The New American Cyclopœdia, vol. III, 1858

BERNADOTTE

Bernadotte, Jean Baptiste Jules, maresciallo dell'impero francese, principe di Fonte Corvo e, con il nome di Carlo XIV Giovanni, re di Svezia e di Norvegia, nato il 26 gennaio 1764 a Pau, dipartimento dei Bassi Pirenei, morto l'8 marzo 1844 nel palazzo reale di Stoccolma. Figlio di un avvocato, studiò per seguire le orme del padre, ma la sua vocazione militare lo indusse ad arruolarsi segretamente, nel 1780, nella reale fanteria di marina, nei cui ranghi era avanzato fino al grado di sergente quando scoppiò la rivoluzione francese. Di qui in poi la sua carriera fu rapida. Nel 1792 servì come colonnello nell'armata di Custine; nel 1793 fu al comando di una demì-brigade; nello stesso anno, grazie alla protezione di Kléber, fu promosso generale di brigata e contribuì, come generale di divisione nell'armata di Sambre e Meuse, al comando di Kléber e Jourdan, alla vittoria di Fleurus, il 26 giugno del 1794, al successo di Jùlich e alla capitolazione di Maastricht. Si distinse poi nella campagna del 1795-96 contro i generali austriaci Clerfayt e Kray, e contro l'arciduca Carlo. All'inizio del 1797 il Direttorio gli ordinò di marciare con 20.000 uomini per portare rinforzi all'armata italiana e il suo primo incontro con Napoleone in Italia fu decisivo per i loro futuri rapporti. Nonostante la sua naturale grandezza, Napoleone nutriva una gelosia piccina e sospettosa per l'armata del Reno e i suoi generali. Capì immediatamente che Bernadotte aspirava a una carriera personale. Quest'ultimo, da parte sua, era troppo guascone per apprezzare a pieno la distanza esistente tra un genio come Bonaparte e un uomo abile qual era lui stesso. Di qui l'origine della reciproca avversione. Durante l'invasione dell'Istria, Bernadotte si distinse al passaggio del Tagliamento, dove guidava l'avanguardia, e alla conquista della fortezza di Gradisca, il 19 marzo 1797.

Dopo la cosiddetta rivoluzione del 18 Fruttidoro, Bonaparte ordinò ai suoi generali di raccogliere nelle loro rispettive divisioni una serie di dichiarazioni favorevoli a quel coup d'État, Bernadotte prima protestò, poi manifestò tutta la sua riluttanza a eseguire l'ordine, infine inviò al Direttorio un indirizzo completamente opposto a quello richiesto, e senza inoltrarlo tramite le mani di Napoleone. Questi, mentre era in viaggio per Parigi, dove si stava dirigendo per sottoporre al Direttorio il trattato di Campoformio, fece una visita di cortesia a Bernadotte presso il suo quartier generale di Udine, ma il giorno seguente, con un ordine spedito da Milano, lo privò di metà della sua divisione dell'armataci Reno e gli impose di tornare in Francia con l'altra metà. Dopo molte rimostranze, compromessi e nuove discussioni, Bernadotte alla fine dovette accettare l'incarico di ambasciatore a Vienna. Qui, agendo secondo le istruzioni di Talleyrand, assunse un atteggiamento conciliatorio che i giornali di Parigi, ispirati da Bonaparte e dai suoi fratelli, definirono pienamente improntato da tendenze realiste, dilungandosi, a sostegno delle loro accuse, sulla rimozione del vessillo tricolore all'ingresso dell'albergo dove Bernadotte risiedeva o della coccarda repubblicana dai berretti degli uomini del suo seguito. Avendo ricevuto un severo rimprovero dal Direttorio per queste ragioni, il 13 aprile 1798, in occasione di una manifestazione viennese antigiacobina, Bernadotte fece esporre il tricolore con la scritta "Libertà, uguaglianza, fraternità", con la conseguenza che il suo albergo fu assaltato dalla folla, la bandiera fu data alle fiamme e la sua stessa vita fu messa in pericolo. Il governo austriaco rifiutò di presentare le scuse richieste e allora Bernadotte si ritirò a Rastatt con tutta la legazione; tuttavia, su consiglio di Bonaparte, il quale era stato strumento di provocazione dello scandalo, il Direttorio mise a tacere la faccenda e rinunciò ai suoi rappresentanti.

Il rapporto tra Bernadotte e la famiglia Bonaparte, dopo il suo matrimonio, nell'agosto del 1798, con la signorina Désirée Clary, figlia di un mercante di Marsiglia e cognata di Giuseppe Bonaparte, sembrò confermare la sua avversione per Napoleone. Nel 1799, come comandante dell'armata di ricognizione sul corso superiore del Reno, Bernadotte si dimostrò inadatto all'incarico e così comprovò anticipatamente il giudizio che Napoleone avrebbe espresso ; a Sant'Elena, ossia che fosse migliore come luogotenente che come comandante in capo [25]. Alla guida del ministero per la guerra dopo la rivolta del 30 Pratile interna al Direttorio, i suoi piani operativi furono meno rilevanti dei suoi intrighi con i giacobini, dei quali cercò di sfruttare la rinnovata influenza per crearsi un seguito personale nell'esercito. Ma un mattino, il 15 settembre 1799, prima che potesse rendersi conto dell'accaduto, Bernadotte vide annunciate sul Monìteurìe sue dimissioni [26]. Il tiro gli era stato giocato da Sieyès e da Roger Ducos, i membri del Direttorio alleati di Bonaparte [27].

Quando fu comandante dell'armata d'Occidente, Bernadotte soffocò le ultime scintille della guerra vandeana [28]. Dopo la proclamazione dell'impero [29], in occasione della quale fu nominato maresciallo, gli fu affidato il comando dell'armata dell'Hannover. In questa veste, come anche durante il suo successivo comando dell'armata della Germania settentrionale, si adoperò per guadagnarsi tra le genti del Nord una reputazione di indipendenza, moderazione e capacità amministrativa. Alla guida del corpo stanziato nell'Hannover, che costituiva il primo corpo della Grande Armata, partecipò alla campagna del 1805 contro gli austriaci e i russi. Napoleone lo inviò a Iglau per osservare i movimenti dell'arciduca Ferdinando in Boemia; quindi, richiamato a Brunn, fu schierato con il suo corpo alla battaglia di Austerlitz, nel centro, tra Soult e Lannes, e contribuì a sventare il tentativo di aggiramento dell'esercito francese operato dall'ala destra dell'esercito alleato. Il 5 giugno 1806 fu insignito del titolo di principe di Pontecorvo. Nella campagna del 1806-07 contro la Prussia fu al comando del primo corps d'armée. Ricevette da Napoleone l'ordine di dirigere da Naumburg su Dornburg, mentre Davout, anch'egli attestato a Naumburg, doveva marciare su Apolda; l'ordine consegnato a Davout aggiungeva che, nel caso in cui Bernadotte avesse già effettuato il ricongiungimento con le sue truppe, i due potevano muovere insieme verso Apolda. Avendo effettuato una ricognizione dei movimenti prussiani, ed essendosi accertato che non si sarebbero incontrati nemici in direzione di Dornburg, Davout propose a Bernadotte di marciare insieme su Apolda, dichiarandosi disponibile finanche ad accettare il suo comando. Bernadotte, invece, aderendo a un'interpretazione letterale delle istruzioni di Napoleone, partì verso Dornburg e non avvistò neanche un nemico per tutta la giornata, mentre Davout dovette sostenere da solo l'urto della battaglia di Auerstedt che, a causa dell'assenza di Bernadotte, terminò con una vittoria non decisiva. Solo il ricongiungimento dei fuggiaschi di Auerstedt con quelli di Jena e le manovre strategiche di Napoleone riuscirono a controbilanciare le conseguenze del deliberato e grossolano errore di Bernadotte. Napoleone firmò un ordine che deferiva Bernadotte alla corte marziale, ma, sulla base di ulteriori considerazioni, lo revocò. Dopo la battaglia di Jena, Bernadotte, insieme a Soult e Murat, sconfisse i prussiani a Halle il 17 ottobre, inseguì il generale prussiano fino a Lubecca e contribuì alla sua capitolazione a Ratekau, il 7 novembre 1806. Battè poi i russi nella piana di Mohrungen, non lontano da Thorn, il 25 gennaio 1807.

A seguito della pace di Tilsit, ai sensi dell'alleanza conclusa tra Napoleone e la Danimarca, le truppe francesi dovevano occupare le isole danesi e di qui agire contro la Svezia [30]. Di conseguenza, il 23 marzo 1808, lo stesso giorno in cui i russi invasero la Finlandia, Bernadotte ricevette l'ordine di spostarsi in Selandia per penetrare insieme ai danesi in Svezia, detronizzare il locale sovrano [31] e spartire il paese tra Danimarca e Russia: una singolare missione, per l'uomo che di lì a poco era destinato a regnare a Stoccolma! Egli attraversò il Belt e giunse in Selandia alla testa di 32.000 uomini, tra francesi, olandesi e spagnoli; 10.000 di questi ultimi, tuttavia, riuscirono, con l'aiuto di un'unità navale inglese, ad abbandonare il campo con il generale de la Romana. Durante la sua permanenza in Selandia, Bernadotte non intraprese né portò a termine alcuna operazione. Richiamato in Germania per partecipare alla nuova guerra tra Francia e Austria, gli fu assegnato il comando del IX corpo, composto principalmente da sassoni.

La battaglia di Wagram, il 5 e 6 luglio 1809, portò nuova legna al fuoco delle incomprensioni con Napoleone. Il primo giorno, Eugène Beauharnais, che era uscito allo scoperto in prossimità di Wagram e si era lanciato contro il centro della riserva nemica, non fu sufficientemente appoggiato da Bernadotte, il quale impegnò le sue truppe con troppo ritardo e con eccessiva fiacchezza. Attaccato di fronte e sul fianco, Eugène fu disordinatamente rigettato sulla guardia napoleonica e così il primo urto dell'assalto francese fu spezzato a causa dello scarso fervore di Bernadotte che, nel frattempo, aveva occupato il villaggio di Adlerklaa, posto in corrispondenza del centro dello schieramento francese, ma alquanto in avanti rispetto alle sue linee. Il giorno seguente, alle 6 del mattino, quando gli austriaci avanzarono per portare un attacco concentrico, invece di tenersi dietro alla postazione solidamente occupata del villaggio, Bernadotte si schierò davanti ad Adlerklaa. Giudicando, all'arrivo degli austriaci, che la sua posizione fosse troppo rischiosa, ripiegò su un pianoro alle spalle di Adlerklaa, abbandonando il villaggio che fu immediatamente occupato dalle truppe di Bellegarde. Il centro francese si trovò pertanto in pericolo e Masséna, che lo comandava, fece avanzare una sua divisione per riconquistare Adlerklaa, divisione che fu però a sua volta ricacciata dai granatieri di D'Aspre. In quel momento arrivò Napoleone, assunse il comando supremo, definì un nuovo piano di battaglia e sventò le manovre degli austriaci. Così, come ad Auerstedt, Bernadotte aveva ancora una volta messo a repentaglio il successo della giornata. Da parte sua, egli si lamentò perché, in violazione di ogni regola militare, Napoleone aveva ordinato al generale Dupas, la cui divisione francese faceva parte del corpo di Bernadotte, di agire indipendentemente dal suo comando. Le dimissioni da lui presentate furono accettate dopo che Napoleone venne a conoscenza di un ordine del giorno indirizzato da Bernadotte ai suoi sassoni in contrasto con il bollettino imperiale.

Poco dopo il suo arrivo a Parigi, dove iniziò a cospirare con Fouché, la spedizione di Walcheren (30 luglio 1809) indusse il ministro francese, data l'assenza dell'imperatore, ad affidare a Bernadotte la difesa di Anversa [32]. Gli errori marchiani degli inglesi resero ogni sua iniziativa superflua; tuttavia, non perse l'occasione per infilare in un proclama alle sue truppe l'accusa che Napoleone avesse trascurato di predisporre i mezzi idonei alla difesa della costa belga. Privato del comando, al suo ritorno a Parigi gli fu ingiunto di partire per il suo principato di Pontecorvo, cosa che egli rifiutò ottenendo un'immediata convocazione a Vienna. Dopo una serie di vivaci alterchi con Napoleone a Schònbrunn, accettò il governatorato generale degli Stati romani, una sorta di onorevole esilio.

Le circostanze che portarono all'elezione di Bernadotte a principe della corona svedese furono pienamente chiarite solo molto tempo dopo la sua morte. Carlo XIII, dopo aver adottato Carlo Augusto, duca di Augustenburg, rendendolo suo figlio ed erede al trono di Svezia, inviò a Parigi il conte Wrede per chiedere a nome del duca la mano della principessa Carlotta, figlia di Luciano Bonaparte. A seguito dell'improvvisa morte del duca di Augustenburg, il 18 maggio 1810, la Russia sollecitò Carlo XIII ad adottare il duca di Oldenburg [33], mentre Napoleone sosteneva le aspirazioni di Federico VI di Danimarca. Il vecchio sovrano offrì la successione al fratello [34] del defunto duca di Augustenburg e inviò il barone Moerner dal generale Wrede con istruzioni che imponevano a quest'ultimo di far accettare a Napoleone la reale scelta. Ma al suo arrivo a Parigi Moerner, un giovane appartenente al numeroso partito che in Svezia riteneva che la rinascita del proprio paese potesse venire solo grazie a una stretta alleanza con la Francia, assunse l'iniziativa, in collegamento con Lapie, un giovane ufficiale francese del genio, con il console generale svedese Seigneul e con lo stesso conte Wrede, di presentare Bernadotte come candidato al trono svedese, facendo tutti attenzione a nascondere le loro manovre al conte Lagerbjelke, il ministro svedese alle Tuileries, e tutti fermamente convinti da una serie di equivoci artatamente provocati da Bernadotte, che quest'ultimo fosse realmente il candidato di Napoleone. Il 29 giugno, pertanto, Wrede e Seigneul spedirono dei dispacci al ministro degli esteri svedese, entrambi annunciando che Napoleone avrebbe accolto con grande piacere l'offerta della successione al proprio luogotenente e congiunto. Nonostante il parere contrario di Carlo XIII, la Dieta degli Stati riunita a Orebro il 21 agosto 1810 elesse Bernadotte principe della corona svedese. Il re fu anche costretto ad adottarlo come figlio, con il nome di Carlo Giovanni. Con riluttanza e malagrazia Napoleone ordinò a Bernadotte di accettare la dignità che gli era stata offerta. Questi lasciò Parigi il 28 settembre 1810, giunse il 21 ottobre a Helsingborg, dove abiurò alla sua fede cattolica, entrò a Stoccolma l'i novembre, partecipò all'assemblea degli Stati il 5 novembre e da quel momento in poi si impadronì delle redini del governo. Dopo la disastrosa pace di Frederikshamm [35], l'idea dominante in Svezia era stata la riconquista della Finlandia, senza la quale si riteneva, come Napoleone scrisse ad Alessandro il 28 febbraio 1811, che «la Svezia aveva cessato di esistere», almeno come potenza indipendente dalla Russia [36]. Solo attraverso una stretta alleanza con Napoleone la Svezia avrebbe potuto sperare di riconquistare quella provincia. A questo convincimento Bernadotte dovette la sua elezione. Durante la malattia del re, che durò dal 17 marzo 1811 al 7 gennaio 1812, Carlo Giovanni fu nominato reggente; ma si trattò unicamente di una questione di etichetta, giacché egli aveva condotto tutti gli affari fin dal giorno del suo arrivo.

Napoleone, troppo parvenu egli stesso per aver riguardo per la suscettibilità del suo ex luogotenente, il 17 novembre 1810 lo costrinse, a dispetto di un precedente impegno, ad aderire al blocco continentale [37] e a dichiarare guerra all'Inghilterra. Abolì inoltre la rendita che gli era dovuta in quanto principe francese, rifiutò di ricevere i dispacci che Bernadotte gli inviava direttamente, poiché non provenivano da «un sovrano suo pari», e restituì l'ordine del Serafino che era stato conferito al neonato re di Roma [38] da Carlo Giovanni. Tutte queste meschine cavillosità fornirono a Bernadotte il destro per avviare un corso d'azione che aveva già da tempo deliberato. Si era appena insediato a Stoccolma quando ricevette in pubblica udienza il generale russo Suchtelen, inviso agli svedesi perché aveva corrotto il comandante di Sveaborg, e permise che un personaggio del genere fosse accreditato come ambasciatore alla corte svedese. Il 18 dicembre 18io ebbe un colloquio con Cernysev, durante il quale si dichiarò «ansioso di guadagnarsi la buona stima dello zar» e pronto a rinunciare per sempre alla Finlandia, a condizione che la Norvegia fosse separata dalla Danimarca e annessa alla Svezia. Tramite lo stesso Cernysev, inviò allo zar Alessandro una lettera dai toni estremamente adulatori. Mentre, così, egli si avvicinava sempre più alla Russia, i generali svedesi che avevano detronizzato Gustavo IV e appoggiato la sua elezione lo privarono del loro favore. La loro opposizione, che trovava eco nell'esercito e nella popolazione, minacciava di trasformarsi in un pericolo reale quando l'invasione della Pomerania svedese da parte di una divisione francese, il 17 gennaio 1812 — un'operazione effettuata da Napoleone a seguito di un avvertimento giunto segretamente da Stoccolma —, fornì finalmente a Carlo Giovanni un pretesto plausibile per dichiarare ufficialmente la neutralità della Svezia. Egli, tuttavia, in segreto e alle spalle della Dieta, concluse con Alessandro un'alleanza offensiva contro la Francia, firmata il 24 marzo [39] 1812 a San Pietroburgo, con la quale veniva anche stipulata l'annessione della Norvegia alla Svezia.

La dichiarazione di guerra di Napoleone alla Russia rese per un certo periodo Bernadotte l'arbitro dei destini dell'Europa. Napoleone gli offrì, a condizione che attaccasse la Russia con 40.000 svedesi, la Finlandia, il Meclemburgo, Stettino e tutto il territorio compreso tra Stettino e Wolgast. Bernadotte avrebbe potuto decidere la campagna e occupare San Pietroburgo prima dell'arrivo di Napoleone a Mosca. Ma egli preferì agire come il Lepido di un triumvirato formato con Inghilterra e Russia. Convincendo il sultano a ratificare la pace di Bucarest [40], consentì all'ammiraglio russo Cicagov di ritirare le sue truppe dalle rive del Danubio [41] e di operare sul fianco dell'esercito francese. Fu inoltre mediatore della pace di Òrebro, conclusa il 18 luglio 1812 tra Inghilterra da una parte, e Russia e Svezia dall'altra. Spaventato dai primi successi di Napoleone, Alessandro invitò Carlo Giovanni a colloquio, offrendogli anche il comando supremo delle armate russe. Sufficientemente prudente per declinare questa seconda proposta, egli comunque accettò di recarsi personalmente dallo zar. Il 27 agosto giunse ad Abo, dove trovò Alessandro alquanto demoralizzato e quasi convinto a chiedere la pace. Essendosi ormai spinto troppo avanti per tornare indietro, Bernadotte riuscì a rinsaldare lo spirito vacillante dello zar dimostrandogli che gli apparenti successi di Napoleone ne avrebbero sicuramente decretato la rovina. Da questo colloquio scaturì il cosiddetto trattato di Abo [42], al quale fu aggiunto un articolo segreto che dava all'alleanza il carattere di un patto familiare. In realtà Carlo Giovanni ottenne solo promesse, mentre la Russia, senza fare il minimo sacrificio, si assicurò l'alleanza della Svezia che aveva allora un valore inestimabile. In base ad alcuni documenti autentici si è recentemente potuto dimostrare che in quel momento la restituzione della Finlandia alla Svezia dipendeva unicamente da Bernadotte; ma il governante guascone, illuso dalla lusinga di Alessandro, che «un giorno la corona imperiale di Francia, caduta dalla fronte di Napoleone, sarebbe stata poggiata sul suo capo», già considerava la Svezia come un puro e semplice pis-alkr [43].

Dopo la ritirata francese da Mosca, Carlo Giovanni ruppe formalmente tutte le relazioni diplomatiche con la Francia e, quando l'Inghilterra gli garanti il possesso della Norvegia con il trattato del 3 marzo 1813, entrò nella coalizione. Ricevuti i sussidi finanziari dagli inglesi, nel maggio del 1813 sbarcò a Stralsund con circa 25.000 svedesi e avanzò verso l'Elba. Dopo l'armistizio del 5 giugno 1813 [44] ebbe un ruolo importante nella riunione di Trachenberg, durante la quale l'imperatore Alessandro lo presentò al re di Prussia e fu deciso il piano generale della nuova campagna. In qualità di comandante supremo dell'armata del Nord, composta da truppe svedesi, russe, prussiane, inglesi, anseatiche e tedesche settentrionali, Bernadotte intrattenne con l'esercito francese contatti molto equivoci, gestiti da un individuo che frequentava il suo quartier generale presentandosi come amico personale, e basati sulla presunzione che, se avesse dato prova di tolleranza e clemenza, i francesi lo avrebbero volentieri accettato come governante al posto di Napoleone. Di conseguenza, evitò ogni offensiva dei generali sotto il suo comando e quando, nonostante i suoi ordini, Bulow sgominò per due volte i francesi, a Grossbeeren e a Dennewitz, fermò l'inseguimento delle truppe sconfitte. Quando poi, per costringerlo all'azione, Blucher ebbe marciato sull'Elba ed effettuato il ricongiungimento delle rispettive truppe, Bernadotte fu convinto a muoversi solo dalla minaccia di Sir Charles Stewart, il commissario inglese presso il suo campo, di bloccare i rifornimenti. Tuttavia, gli svedesi fecero la loro comparsa sul campo di battaglia di Lipsia unicamente per salvare le apparenze e, nel corso dell'intera campagna, persero meno di 200 uomini in combattimento. Quando gli alleati entrarono in Francia, Carlo Giovanni arrestò l'armata svedese ai confini del paese. Dopo l'abdicazione di Napoleone si recò personalmente a Parigi per ricordare ad Alessandro le promesse che gli erano state fatte ad Abo. Talleyrand stroncò le sue puerili speranze dichiarando davanti al consiglio dei sovrani alleati che «non esisteva alternativa, o Bonaparte o i Borbone, ogni altra ipotesi essendo frutto di semplici intrighi» [45].

Poiché, dopo la battaglia di Lipsia, Carlo Giovanni aveva invaso i ducati di Holstein e Schleswig alla testa di un'armata formata da svedesi, tedeschi e russi, Federico VI di Danimarca fu costretto, di fronte a questa superiore presenza di truppe, a firmare la pace di Kiel il 14 gennaio 1814, ai sensi della quale la Norvegia veniva ceduta alla Svezia. I norvegesi, però, malcontenti di essere stati così sbrigativamente sistemati, proclamarono l'indipendenza del loro paese, in ciò patrocinati dal principe della corona danese, Cristiano Federico. I rappresentanti della nazione norvegese riuniti a Edisvold adottarono, il 17 maggio 1814, una costituzione che è ancora in vigore ed è la più democratica della moderna Europa. Carlo Giovanni, avendo mosso l'esercito e la flotta svedesi, e avendo conquistato la fortezza di Frederickstadt, dalla quale si domina l'ingresso a Cristiania, potè avviare i negoziati dichiarandosi disponibile a considerare la Norvegia come uno Stato indipendente e ad accettare la costituzione di Edisvold; egli ottenne così il beneplacito dello Storting [46] il 7 ottobre, e il io novembre 1814 arrivò a Cristiania per prestare giuramento sulla costituzione, a nome proprio e del sovrano.

Alla morte di Carlo XIII, il 5 febbraio 1818, Bernadotte fu riconosciuto dall'Europa re di Svezia e di Norvegia con il nome di Carlo XIV Giovanni. Egli cercò allora di modificare la costituzione norvegese, di restaurare l'abolita nobiltà, di assicurarsi il diritto di veto assoluto e quello di destituire tutti i funzionari civili e militari. Il suo tentativo causò l'insorgere di gravi conflitti che portarono, il 18 maggio 1828, perfino a una carica di cavalleria contro la popolazione di Cristiania che celebrava l'anniversario della costituzione. Sembrava imminente una violenta ribellione quando la rivoluzione del 1830 in Francia spinse il re ad assumere per il momento posizioni conciliatorie. Ma la Norvegia, per il cui possesso egli aveva sacrificato ogni cosa, restò una costante fonte di imbarazzo per tutta la durata del suo regno. Dopo le prime giornate della rivoluzione francese del 1830, ci fu un solo uomo in Europa che riteneva che il re di Svezia fosse un pretendente idoneo al trono di Francia, e quell'uomo era lo stesso Bernadotte. Più d'una volta chiese agli agenti diplomatici francesi a Stoccolma: «Come mai Laffitte non ha pensato a me?»

II mutato aspetto dell'Europa e, innanzi tutto, l'insurrezione polacca gli ispirarono temporaneamente l'idea di creare un fronte contro la Russia. Le sue profferte in tal senso a Lord Palmerston incontrarono un netto rifiuto e così egli dovette scontare il suo momentaneo progetto di indipendenza concludendo con l'imperatore Nicola, il 23 giugno 1834, un patto di alleanza che lo rendeva vassallo della Russia. Da quel momento in poi, la sua politica in Svezia fu contrassegnata da una serie di violazioni della libertà di stampa, di persecuzioni contro i reati di lèse-majesté e di resistenze verso ogni tipo di progresso, inclusa perfino l'emancipazione dell'industria dalle vecchie leggi delle gilde e delle corporazioni. Giocando sulle gelosie dei vari ordini che componevano la Dieta svedese riuscì per molto tempo a paralizzare ogni movimento, ma con le risoluzioni liberali approvate dalla Dieta del 1844 che, secondo la costituzione, dovevano essere convertite in leggi dalla Dieta del 1845, iniziò a profilarsi la definitiva sconfitta della sua politica, quando lo colse la morte.

Se durante il regno di Carlo XIV la Svezia visse una parziale ripresa dopo un ; secolo e mezzo di miserie e sventure, ciò non si dovette a Bernadotte, bensì esclusivamente alle energie indigene della nazione e agli effetti di un lungo periodo di pace.

Karl Marx
Scritto tra settembre e il 15 ottobre 1857
Pubblicato in The New American Cyclopœdia, vol. III, 1858

BERTHIER

Berthier, Louis Alexandre, maresciallo di Francia, principe e duca di Neuf-chàtele Valengin, principe di Wagram, nato a Versailles il 20 novembre 1753, assassinato a Bamberga l'1 giugno 1815. Il padre, capo del genio topografico durante il regno di Luigi XVI, gli impartì un'istruzione militare. Dall'ufficio reale di topografia passò al servizio attivo, prima come tenente nello stato maggiore generale e poi come capitano dei dragoni. Durante la Guerra d'Indipendenza americana servì sotto Lafayette. Nel 1789 Luigi XVI lo nominò general-maggiore della guardia nazionale di Versailles e, il 5 e 6 ottobre 1789, come anche il 19 febbraio 1791, egli servì fedelmente la famiglia reale
[47]. Tuttavia Berthier intuì che la rivoluzione stava aprendo un vasto campo di opportunità per il talento militare e così lo troviamo, successivamente, capo di stato maggiore con Lafayette, Luckner e Custine. Durante il periodo del Terrore scansò ogni sospetto impegnandosi con zelo nella guerra di Vandea. Il coraggio personale esibito nella difesa di Saumur, il 12 giugno 1793 [48], gli valse una menzione d'onore nei rapporti dei commissari della Convenzione. Dopo il 9 Termidoro fu nominato capo dello stato maggiore di Kellermann [49] e, riuscendo a far occupare all'esercito francese le linee di Borghetto, contribuì ad arrestare l'avanzata nemica. Così la sua fama di capo di stato maggiore si affermò ancor prima che lo stesso Bonaparte lo scegliesse per ricoprire quest’incarico. Nella campagna del 1796-97 si dimostrò anche un buon generale di divisione, partecipando alle battaglie di Mondovì (22 aprile 1796), Lodi (io maggio 1796), Codogno (9 maggio 1796) e Rivoli (14 gennaio 1797).

Di carattere debole, ma capace di tenace attivismo, costituzionalmente dotato di una forza erculea che gli consentiva di lavorare anche per otto notti consecutive e di una splendida memoria per qualsiasi dettaglio delle operazioni militari, come ad esempio i movimenti delle truppe, il numero degli effettivi, gli acquartieramenti e i comandanti; uomo di una prontezza sulla quale era sempre possibile fare affidamento, ordinato e preciso, esperto nell'uso di carte geografiche, capace di valutare con acutezza le particolarità del terreno, rappresentò il modello esemplare di ufficiale di stato maggiore per qualsiasi generale che volesse riservare per sé tutte le funzioni superiori. Nonostante le sue rimostranze, nel 1798 Napoleone lo pose a capo dell'armata destinata a occupare i Roma per proclamarvi la repubblica e fare prigioniero il papa. Incapace di evitare i saccheggi perpetrati a Roma dai generali, dai commissari e dai fornitori francesi, come anche di bloccare l'ammutinamento tra i ranghi del suo esercito, rassegnò il suo comando nelle mani di Masséna e si recò a Milano, dove si innamorò della bellissima Madame Visconti; la sua eccentrica e duratura passione per questa donna gli guadagnò, durante la spedizione in Egitto, l'appellativo di comandante della faction des amoureux [50], oltre a costargli gran parte dei 40 milioni di franchi che il suo signore imperiale successivamente gli elargì.

Al suo ritorno dall'Egitto, appoggiò le trame di Bonaparte il 18 e 19 Brumaio e fu nominato ministro della guerra, carica che ricoprì fino al 2 aprile 1800. Nuovamente in veste di capo di stato maggiore durante la seconda campagna d'Italia, contribuì in modo sostanziale, dando credito ai falsi rapporti sul percorso e la posizione dell'esercito austriaco, a determinare la posizione apparentemente sbagliata che Napoleone scelse di occupare a Marengo [51]. Dopo la vittoria, avendo concluso un armistizio con il generale Melas, gli furono affidate diverse missioni diplomatiche; quindi fu reinstallato al ministero della guerra, che diresse fino alla proclamazione dell'impero. Fu quindi totalmente affiancato alla persona dell'imperatore e, con la carica di general-maggiore della Grande Armata, lo accompagnò in tutte le sue successive campagne come capo di stato maggiore. Napoleone gli elargì un profluvio di titoli, onorificenze, emolumenti, appannaggi e donazioni. Il 19 maggio 1804 lo nominò maresciallo dell'impero e gran cacciatore di Francia, assegnandogli inoltre il cordone della legion d'onore. Il 17 ottobre 1805 Berthier ebbe l'onore di stipulare con Mack i termini della capitolazione di Ulm. Dalla campagna di Prussia del 1806 tornò con il titolo di principe sovrano di Neufchàtel e Valengin. Nel 1808 gli fu ordinato di sposare la principessa Elisabetta Maria di Baviera-Birkenfeld, nipote del re di Baviera, e divenne vice connestabile di Francia. Nel 1809 Napoleone lo nominò comandante in capo dell'esercito che dalla Baviera doveva muovere contro l'Austria. Il 6 aprile Berthier dichiarò guerra e il giorno 15 era già riuscito a compromettere la campagna. Aveva diviso l'esercito in tre parti, schierando Davout a Regensburg con metà delle truppe francesi, Masséna ad Augusta con l'altra metà, e i bavaresi nel mezzo ad Abensberg; in tal modo, con una veloce avanzata, l'arciduca Carlo avrebbe potuto sconfiggere separatamente i tre corpi. La lentezza degli austriaci e l'arrivo di Napoleone salvarono l'esercito francese. In funzioni a lui più congeniali, e sotto lo sguardo diretto del suo signore, Berthier rese invece un eccellente servizio durante la stessa campagna, aggiungendo al lungo elenco dei suoi titoli quello di principe di Wagram.

Nella campagna di Russia fallì anche come capo di stato maggiore. Dopo la conflagrazione di Mosca si dimostrò incapace perfino di interpretare gli ordini del suo comandante, ma, nonostante la sua pressante richiesta di poter tornare in Francia con Napoleone, quest'ultimo gli ordinò di rimanere in Russia con l'esercito. La ristrettezza delle sue vedute e il suo attaccamento alla routine balzarono allora in piena evidenza, nel mezzo delle tremende circostanze contro le quali i francesi si trovarono a lottare. Fedele alle sue tradizioni, Berthier impartiva a un battaglione, talvolta a una compagnia della retroguardia, gli stessi ordini che avrebbe assegnato a una retroguardia ancora composta da 30.000 uomini; assegnava postazioni a reggimenti e divisioni che non esistevano più da tempo; moltiplicava, per sopperire alla sua stessa mancanza di azione, i corrieri e le prescrizioni. Nel 1813 e 1814 lo ritroviamo nel suo consueto ruolo [52]. Dopo la deposizione di Napoleone da parte del senato, Berthier, adducendo una serie di scuse meschine, si sganciò dal suo mecenate e inviò la sua adesione al senato e al governo provvisorio ancor prima dell'abdicazione dell'imperatore, dirigendosi a Compiègne alla testa dei marescialli dell'impero per sottomettersi servilmente a Luigi XVIII. Il 4 giugno 1814 Luigi XVIII lo nominò pari di Francia e capitano di una compagnia della neocostituita guardia reale. Poi Berthier restituì al re di Prussia il principato di Neufchàtel in cambio di una pensione di 34.000 fiorini. Al ritorno di Napoleone dall'Elba seguì Luigi XVIII a Gand. Tuttavia, essendo caduto in disgrazia presso il re a causa dell'occultamento di una lettera ricevuta da Napoleone, si ritirò a Bamberga dove, l'i giugno 1815, fu assassinato da sei uomini mascherati che lo gettarono giù da una finestra del palazzo del suocero [53]. Le sue memorie furono pubblicate a Parigi nel 1826 [54].

Karl Marx
Scritto tra la fine di agosto e il 15 settembre 1857
Pubblicato in The New American Cyclopœdia, vol. III, 1858

BESSIERES

Bessières, Jean Baptiste, maresciallo dell'impero francese, nato a Prayssac, dipartimento del Lot, il 6 agosto 1768, caduto a Lùtzen l'1 maggio 1813. Si arruolò nella guardia costituzionale
[55] di Luigi XVI nel 1791, servì come sottufficiale nei cacciatori a cavallo dei Pirenei, divenendo poco dopo capitano. A seguito della vittoria di Rovereto, il 4 settembre 1796, Bonaparte lo promosse colonnello sul campo di battaglia. Capo degli esploratori [56] del comandante supremo durante la campagna d'Italia del 1796-97, colonnello di questo stesso corpo in Egitto, svolse il suo servizio presso tali unità per la maggior parte della sua vita. Nel 1802 gli fu conferito il grado di generale di divisione e nel 1804 quello di maresciallo dell'impero. Combattè nelle battaglie di Rovereto (1796), Rivoli (1797), San Giovanni d'Acri e Abukir (1799), Marengo (1800) — dove comandò l'ultima e decisiva carica di cavalleria —, Austerlitz (1805), Jena (1806), Eylau e Friedland (1807). Inviato nel 1808 in Spagna per assumere il comando di una divisione di 18.000 uomini nella provincia di Salamanca, al suo arrivo scoprì che il generale Cuesta aveva preso posizione tra Valladolid e Burgos, minacciando così di interrompere la linea di comunicazione tra Madrid e la Francia. Bessières lo attaccò e lo sconfisse a Medina de Rio Seco. Dopo il fallimento della spedizione inglese a Walcheren, Napoleone sostituì, al comando dell'armata belga, Bernadotte con Bessières. Nello stesso anno (1809) quest'ultimo fu nominato duca d'Istria. A capo di una divisione di cavalleria sbaragliò il generale austriaco Hohenzollern alla battaglia di Essling. Durante la spedizione in Russia fu comandante in capo della guardia a cavallo e, all'inizio della campagna del 1813 in Germania, comandante della cavalleria francese. Morì sul campo di battaglia mentre tentava l'assalto alla gola di Rippach, in Sassonia, alla vigilia della battaglia di Lùtzen. La grande popolarità di cui godeva presso i soldati semplici è facilmente desumibile dal fatto che si ritenne prudente non comunicare immediatamente all'esercito la notizia della sua morte.

Karl Marx
Scritto nel settembre, non dopo il 29, del 1857
Pubblicato in The New American Cyclopœdia, vol. III, 1858

NOTE

1. Knight Commander of the Order of the Bath [Cavaliere comandante dell'Ordine del Bagno].

2. Sir Richard Airey divenne tenente colonnello nel 1838; nel 1851 fu promosso colonnello.

3. “Opening Address of Major-General Sir Richard Airey, K.C.B”, p. 149.

4. In realtà Barclay de Tolly nacque nel 1761.

5. Durante la guerra russo-svedese del 1808-09, unità russe al comando di Barclay entrarono in territorio svedese dalla Finlandia (marzo 1808). Ciò diede impulso al piano dell'aristocrazia    svedese inteso a   limitare i poteri    del sovrano Gustavo    Adolfo. Quest'ultimo fu deposto nel marzo 1809 e subito dopo sostituito dallo zio (Carlo xiii).
Nel settembre la Svezia dovette firmare il trattato di pace di Frederikshamm con la Russia zarista.

6. Le date degli eventi militari citati seguono il vecchio calendario in uso in Russia.

7. Bem nacque in realtà nel 1794, ma la sua nascita fu registrata solo l'anno seguente.

8. II 2 gennaio 1814.

9. Erfahrungen iiber die Congrevschen Brand-Raketen bisum Jahre 1819 in der Konigl. Polnischen
Artilkrie gesammelt.

10. insurrezione della guarnigione di San Pietroburgo, il 14 dicembre 1825, fu organizzata dagli ufficiali della guardia imperiale russa, ì cosiddetti decabristi, contro il regime zarista. Il sollevamento fu tuttavia circoscritto e soffocato.

11. L'insurrezione polacca del novembre 1830-ottobre 1831 fu soffocata dalle truppe
russe con l'aiuto di Prussia e Austria. Nella battaglia di Ostrolenka del 26 maggio 1831 gli insorti polacchi furono sconfitti dall'esercito zarista. Il colpo finale alla rivolta si ebbe con la presa di Varsavia da parte dei russi nel settembre 1831.

12. Bem progettò vanamente di partecipare alla guerra civile in Portogallo (1828-34) combattuta tra gli assolutisti capeggiati da Don Miguel, che si era impadronito del trono nel 1828, e i costituzionalisti favorevoli alla reginaMaria da Gloria e al padre di lei, Don Pedro.

13. La guardia mobile viennese, composta prevalentemente da operai e artigiani, fu creata da Bem stesso.

14. Honved, alla lettera "difensori della patria", era il nome dei soldati dell'esercito rivoluzionario ungherese del 1848-49, creato per decisione del governo rivoluzionario ungherese il 7 maggio 1848.

15. Gli abitanti magiari della Transilvania.

16. La spedizione di Bem nel Banato (regione della Voivodina serba, allora parte dell'Ungheria) fu intrapresa nella primavera del 1849. All'inizio della rivoluzione del 1848 la Voivodina era stata teatro delle attività del movimento nazionale per l'autonomia, il quale fu tuttavia utilizzato dagli Asburgo contro la rivoluzione ungherese. Gli scontri militari tra i serbi di Voivodina e gli ungheresi iniziarono nel maggio 1848. . La situazione nel Banato era ulteriormente complicata dalla compresenza nella regione di ungheresi, tedeschi e rumeni, oltre naturalmente ai serbi.

17. Nella battaglia di Temesvàr (Timisoara), il 9 agosto 1849, gli austriaci sconfissero l'armata ungherese del Sud. Quattro giorni più tardi fu l'armata ungherese del Nord a capitolare davanti ai russi. La rivoluzione in Ungheria fu così definitivamente soffocata.

18. Piazzaforte turca assediata e conquistata dai russi durante la guerra del 1787-91.

19. Vittorie russe sui polacchi, rispettivamente nel giugno e nell'agosto 1794.

20. L'assedio e la presa della città di Derbent da parte dei russi nel 1796 furono una risposta
all'invasione della Geòrgia ordinata dallo scià di Persia nel 1795.

21. Paolo I.

22. Riferimento ad alcune spedizioni coloniali che videro la partecipazione di Beresford. Nel 1806, i britannici approfittarono della rivolta dei boeri contro gli olandesi e si impadronirono dei territori sudafricani intorno al Capo di Buona Speranza (Cape Colony). Nello stesso anno una spedizione britannica fu inviata a prendere possesso di Buenos Aires, che apparteneva alla Spagna, allora alleata di Napoleone. Le autorità spagnole non opposero resistenza, ma i britannici dovettero desistere dal loro tentativo a causa della reazione dei patrioti argentini. L'isola portoghese di Madeira fu conquistata dalle truppe di Beresford alla fine del 1807 e rimase in mano inglese fino al 1814.

23. Beresford contribuì a soffocare la rivolta contro il dominio portoghese iniziata in Brasile nel 1817.

24. Beresford appoggiò il partito degli assolutisti di Don Miguel, che soffocò la rivoluzione portoghese del 1820-23. Ma Don Miguel non riuscì a restare al potere e fu costretto all'esilio nel 1824. Nel 1828 si impadronì del trono portoghese dando inizio a una nuova guerra civile che durò fino al 1834

25. H. Jomini, Viepolitique et milìtaire de Napoléon, t.2.

26Gazette natìonak ou le monìteur universel, no. 359, 29 Fruttidoro anno 7 (1799).

27. «In generale, Bonaparte aveva fiutato che Bernadotte era "l'uomo politico" tra i suoi generali, che perseguiva i suoi "piani personali". Lui, e soprattutto i suoi fratelli, col 'loro meschino e miserevole intrigo contro Bernadotte lo misero in una posizione di maggior rilievo di quella che lui altrimenti avrebbe potuto rappresentare. Napoleone in generale era meschino contro tutti quelli in cui sospettava "mire personali"». Marx a Engels, 17 settembre 1857.
«Comunque Monsieur Bernadotte non fu grandissimo generale; non si è mai propriamente segnalato in nessun luogo, ed anche come politico si sentiva molto il gascon in lui: che bella idea quella di voler diventare imperatore dopo Napoleone!» Engels a Marx, 21 settembre 1857.

28. Insurrezione monarchica contro il regime rivoluzionario francese (1793-96).

29. Nel 1804.

30. L'alleanza militare tra Francia e Danimarca contro la Svezia fu conclusa il 31 ottobre 1807 a Fontainebleau. Le operazioni francesi contro la Svezia coincisero con la guerra russo-svedese del 1808-09.

31. Gustavo IV Adolfo.

32. Nel luglio del 1809 gli inglesi intrapresero una spedizione navale che li portò a impadronirsi dell'isola di Walcheren; essi tuttavia non riuscirono a trasformare l'isola in una testa di ponte per ulteriori operazioni contro Anversa e altre roccaforti francesi in Belgio. Walcheren fu evacuata nel dicembre del 1809.

33. Un principe della casata imperiale russa, gli Holstein-Gottorp-Romanov.

34. Federico Cristiano.

35. Trattato (settembre 1809) che concludeva la guerra russo svedese del 1808-09.

36. Probabile citazione da G. Lallerstedt, La Scandinavie, Parigi 1856.

37. Il sistema continentale, o blocco continentale, proclamato da Napoleone nel 1806, proibiva il commercio tra i paesi europei e la Gran Bretagna.

38. II figlio di Napoleone I.

39. 15 aprile (nuovo calendario).

40. Conclusa il 28 maggio 1812, pose fine alla guerra russo-turca del 1806-12.

41. In Romania.

42. Riferimento alla convenzione firmata da Russia e Svezia ad Abo (Turku) il 30 agosto 1812 che formalizzò l'alleanza militare tra i due paesi contro la Francia.

43. Ripiego temporaneo. Il resoconto dei colloqui tra Carlo Giovanni e Alessandro I è espresso dal già citato libro di Lallerstrend.

44. L’armistizio, concluso da Russia e Prussica con Napoleone, doveva durare fino al 20 luglio, ma fu prolungato fino al 10 agosto. Alessandro I, Federico Guglielmo III e Bernadotte si incontrarono al castello di Trachenoberg (Svezia) il 12 luglio.

45. Mémoires de M. de Bourrienne, t. X.

46. L’assemblea costituente norvegese.

47. Il 5 e 6 ottobre 1789, nel corso della rivoluzione francese, le masse accorse a Versailles da Parigi si scontrarono con la guardia reale. - II 19 febbraio 1791 Parigi fu teatro di dimostrazioni popolari causate dal tentativo di fuga all'estero di alcune parenti del re.

48. La Vandea (dipartimento della Francia occidentale) fu il centro della rivolta realista scoppiata nel marzo 1793. La rivolta fu soffocata nel 1796.

49. Dopo il 9 Termidoro Kellermann comandò le armate alpina e italiana della repubblica francese che dovevano difendere i confini meridionali contro la minaccia d'invasione da parte delle truppe austriache e piemontesi.

50. Partito degli amanti.

51. Convinto che gli austriaci stessero ritirandosi verso Genova, Napoleone aveva distaccato due divisioni al comando di Desaix per tagliare la presunta via di ritirata. Riuscì a richiamarle in tempo - a battaglia già iniziata - perché erano rimaste attardate nel loro movimento dalla piena di un fiume.

52. Capo di stato maggiore.

53. Le circostanze della morte di Berthier rimangono in realtà sconosciute. Non sono infatti da escludersi il suicidio o la caduta accidentale

54. Mèmoires du Maréchal Berthier.

55. Secondo la Costituzione adottata nel 1791, la guardia costituzionale aveva il compito di proteggere il re e la sua residenza. Creata a seguito dello sbando della guardia reale, fu disciolta dall'assemblea legislativa nel 1792.

56.  Gli esploratori, o guide, erano speciali unità con funzione di avanscoperta e riconoscimento delle posizioni avversarie, di tragitti, ecc. Nell'esercito francese delle guerre napoleoniche proteggevano il quartier generale di Napoleone e svolgevano funzioni di guardie del corpo.


Ultima modifica 15.12.2003