Il signor Vogt

Karl Marx (1860)


Tradotto da T. G. in: Il signor Vogt: 1860 / Carlo Marx. - Roma: L. Mongini, 1910. - 278 p. ; 24 cm.

Testo trascritto da Vito Leli.


INDICE

    PREFAZIONE
    CAPITOLO I. La banda dello zolfo
    CAPΙTOLO II. I “Bürstenheimer„
    CAPITOLO III. Cose di polizia
      1. — Autoconfessione
      2. — Assemblea rivoluzionaria di Murten
      3. — Cherval
      4. — Il processo dei comunisti in Polonia.
      5. — Festa centrale delle Associazioni tedesche per la cultura operaia in Losanna (26 e 27 giugno 1859).
      6. — Varie
    CAPITOLO IV. La lettera del Techow
    CAPITOLO V. Reggente l’impero e conte palatino.
    CAPITOLO VI. Il Vogt e la “Neue Rheiuische Zeitung„.
    CAPITOLO VII. La campagna d’Augsburg.
    CAPITOLO VIII. Il “dada„ Vogt ed i suoi “Studi„
    CAPITOLO IX. Agenzia
    CAPITOLO X. Patroni e confarabutti.
    CAPITOLO XI. Un processo
    CAPITOLO XII. Appendici
      1. — Sfratto dello Schily dalla Svizzera.
      2. — Dieta rivoluzionaria di Murten.
      3. — Cherval.
      4. — Il processo dei comunisti in Polonia.
      5. — Calunnie
      6. — Batracomiomachia.
      7. — Polemica Palmerston.
      8. — Dichiarazione del signor A. Scherzer.
      9. — L’articolo del Blind nella “Free Press„ 27 maggie 1859.
      10. — Lettere del signor Orges
      11. — Circolare contro Carlo Blind.
      12. — L’affidavit del Voegele
      13. — L’affidavit del Wiehe.
      14. — Dalle carte processuali.
      15. — Opuscoli del Dentu.
      16. — Appendice.
        A) C. Vogt e la “Cimentàire„
        B) Kossuth.
        C) «La Prusse en 1860» di Edmondo About

PREFAZIONE. 1

In data “Londra, 6 febbraio 1860„ pubblicai nella Volkszeitung di Berlino, nella Reform di Amburgo e in altri fogli tedeschi una dichiarazione che comincia con le seguenti parole:

“Annuncio con la presente d’aver fatto i passi preparatorii per intentare una querela per diffamazione contro la Nationalzeitung di Berlino per gli articoli di fondo N. 37 e N. 41 sul libello del Vogt: “Il mio processo contro l’Allgemeine Zeitung„. Mi riserbo per più tardi una risposta letteraria ai Vogt„.

Perché risolvetti di rispondere a Carlo Vogt letterariamente, alla Nationalzeitung invece giudiziariamente, si rileverà dallo scritto che segue.

Nel corso del febbraio 1860 intentai la querela per diffamazione contro la Nationalzeitung. Dopoché il processo fu passato per quattro istanze preliminari, ricevetti il 23 ottobre c. a. l’ordinanza del R. Tribunale supremo prussiano, per la quale mi si toglieva in ultima istanza il diritto alla querela, quindi mi si sopprimeva il processo prima che giungesse alla discussione pubblica. Se quest’ultima, come avevo diritto d’aspettarmi, fosse veramente seguita, avrei risparmiato i due terzi di questo scritto. Sarebbe bastata una semplice ristampa d’una relazione stenografica del dibattito giudiziario, e sarei così sfuggito al lavoro oltremodo fastidioso di ribattere accuse contro la mia persona, quindi di dover parlare di me. Io, questo, io evitai sempre con tanta cura che il Vogt poteva attendersi qualche successo dalle sue bugiarderie. Tuttavia, sunt certi denique fines. Il tessuto d’invenzioni del Vogt, riassunto a modo suo dalla Nationalzeitung, mi rimproverava una serie di azioni infamanti, che ora, dopo che la confutazione pubblica giudiziaria mi è stata definitivamente negata, richiedono una confutazione letteraria. Ma, astrazion fatta da questo riguardo, che non lasciava altra scelta, avevo altre ragioni di trattare più diffusamente il Vogt e le sue fanfaronate su me e i miei compagni di partito, una volta che mi toccava entrare in merito: da una parte il quasi unanime grido di trionfo con cui la stampa cosiddetta “liberale„ tedesca salutava le sue pretese rivelazioni; dall’altra parte l’occasione, che l’analisi della bugiarda compilazione offriva per caratterizzare quell’individuo, il quale rappresenta tutto un indirizzo.

La risposta al Vogt mi ha costretto di scoprire qua e là qualche partie honteuse della storia dell’emigrazione. Del resto, all’emigrazione, eccettuate alcune poche persone, non può rimproverarsi altro che delle illusioni, più o meno giustificate dalle condizioni del tempo, e delle pazzie naturalmente scaturite dalle circostanze straordinarie nelle quali inaspettatamente essa s’era trovata. Qui, naturalmente, parlo solo dei primi anni dell’emigrazione. Un parallelo fra la storia dei governi e della società borghese dal 1849 al 1859 circa, e la contemporanea storia dell’emigrazione sarebbe la più splendida apologia che di quest’ultima potesse venire scritta.

So fin da ora che la stessa gente pratica, la quale all’apparire delle invenzioni del Vogt crollava gravemente il capo sull’importanza delle sue “rivelazioni„, adesso non riuscirà a capire com’io potessi sprecare il tempo a confutare simili fanciullaggini; mentre gli scribacchiatoli “liberali„ che con maligna fretta erano andati spacciando le piatte volgarità e le indegne menzogne del Vogt per la stampa tedesca, svizzera, francese ed americana, troveranno sacrilegamente scandalosa la mia maniera di sbrigarmi di loro stessi e del loro eroe. But never mind!

La parte politica nonché la giuridica di questo scritto non richiedono spiegazione. Ad evitare possibili malintesi osservo questo soltanto: da uomini che già prima del 1848 eran d’accordo nel voler sostenere l’indipendenza della Polonia, dell’Ungheria e dell’Italia, non solo come diritto di tali paesi ma come interesse della Germania e dell’Europa, furono propugnate opinioni ai tutto opposte quanto alla tattica che la Germania avesse da seguire in occasione della guerra italiana del 1859, di fronte a Luigi Bonaparte. Tale diversità d’opinioni nasceva da opposti giudizi su presupposizioni di fatto, il risolver le quali spetterà a un tempo più lontano. Quanto a me, in questo scritto non ho che vedere se non colle opinioni del Vogt e della sua cricca. Persino l’opinione che pretendeva rappresentare, e che nell’immaginazione d’una folla senza giudizio rappresentava, cade di fatto oltre i limiti della mia critica. Io tratto delle opinioni che sostenne davvero.

Finalmente dichiaro la mia sincera gratitudine per il volonteroso aiuto che, nella redazione di questo scritto, mi venne non solo da vecchi amici del partito, ma da molti membri dell’emigrazione nella Svizzera, in Francia e in Inghilterra, a me prima lontani e in parte ancora personalmente ignoti.

Londra, 17 novembre 1860

CARLO MARX.

I. — La banda dello zolfo.

Clarin: Malas pasfcilias gasta…
…hase untado
Con unguento de azufre.
(CALDERON).

La “natura arrotondata„, come l’avvocato Hermann, dinanzi al Tribunale distrettuale d’Augusta, delicatamente definiva il suo sferico cliente, il castellano ereditario di Castel del Nulla; la “natura arrotondata„ così principia la sua odierna compilazione storica di Naupeng:

“Sotto il nome di Banda dello zolfo, come pure sotto quello non meno caratteristico di Bürstenheimer, era nota, tra i profughi del 1849, una quantità di persone che, dapprima sparse per la Svizzera, la Francia e l’Inghilterra, si raccolsero a poco a poco a Londra, dove veneravano qual capo visibile il signor Marx. Il principio politico di tali compagni era la dittatura del proletariato„, ecc. (pag. 136, “Il mio processo contro l’Allgemeine Zeitung, di Carlo Vogt„. Ginevra, dicembre 1859).

Il “Libro principale„, ove trovasi questa impudente comunicazione, comparve nel dicembre 1859. Otto mesi prima, però, nel maggio 1859, la “natura arrotondata„ aveva pubblicato nello Handels- courìer di Biel un articolo, che deve considerarsi come base della seguente compilazione storica. Sentiamo il testo originale:

“Dopo il rovescio della rivoluzione del 1849 — così illustra il commesso viaggiatore di Biel — si è accolta a poco a poco a Londra una cricca di profughi, i cui membri fra l’emigrazione svizzera a suo tempo eran noti sotto il nome di “Bürstenheimer„, o “Banda dello zolfo„. Loro capo è Marx, già redattore della Rheinische Zeitung in Colonia — loro parola d’ordine: Repubblica sociale, dittatura operaia — loro occupazione: macchinar relazioni e cospirazioni„ (Ristampato nel “Libro principale„, sezione III. Documenti n. I, pag. 31-32).

La cricca di fuggiaschi, che, “fra l’emigrazione svizzera„ era nota come “Banda dello zolfo„ si trasforma dopo otto mesi, di fronte ad un pubblico maggiore, in una massa “disseminata per la Svizzera, la Francia e l’Inghilterra„, che “tra i profughi„ in generale era nota come “Banda dello zolfo„. È la vecchia storia dei tralicci in Kendal-Green, così allegramente narrata dal prototipo di Carlo Vogt, l’immortale sir John Falstaff, che in una risurrezione zoologica per certo non ci ha rimesso in fatto di materia. Dal testo originale del commesso viaggiatore di Biel risulta che le “Bande dello zolfo„ come i “Bürstenheimer„ erano frutti locali svizzeri. Vediamo la loro storia naturale.

Informato da amici che nell’anno 1849-50 fioriva realmente in Ginevra una compagnia di profughi sotto il nome di “Banda dello zolfo„, e che il signor S. L. Borkheim, agiato negoziante nella City di Londra, era in grado di darci maggiori schiarimenti sull’origine, lo sviluppo e la decadenza di quella geniale Società, mi rivolsi per iscritto, nel febbraio 1865, a quel signore a me allora ignoto, ed ottenni, di fatti, dopo un incontro personale, il seguente bozzetto, che ristampo tale e quale:

Londra, 12 febbraio 1860,
15 Union Grove, Wandsworth Road.

Egregio Signore, Sebbene, nonostante un soggiorno di nove anni nel medesimo paese, e generalmente nella stessa città, non ci conoscessimo, sino a pochi giorni fa, personalmente, Ella non ha avuto torto a supporre che non le avrei, come a compagno d’esilio, rifiutato le informazioni richieste.

Dunque alla “Banda dello zolfo„.

Nell’anno 1849, poco dopo che da Baden avevano mandato fuori dalle tasche noi sovversivi, si ritrovavano a Ginevra, in parte destinativi dalle autorità svizzere, in parte per libera scelta del soggiorno, alcuni giovanotti che, studenti, soldati o commercianti, erano già stati amici in Germania prima del 1848, o si erano conosciuti durante la rivoluzione.

L’unione tra i profughi non era rosea. I cosiddetti capi politici si rinfacciavano a vicenda la colpa dell’insuccesso, i capi militari criticavano l’un all’altro i movimenti d’offensiva, le marce di fianco e le ritirata offensive che non avevano avuto luogo; si cominciava a darsi del repubblicano borghese, del socialista e del comunista; piovevano i libelli, che certo non servivano a pacificare gli animi; dappertutto si fiutavano le apie, e, oltre a tutto, i vestiti della maggioranza venivano trasformandosi in stracci e su molti visi si leggeva la fame. In tale afflizione i già mentovati giovanotti mantenevano salda l’amicizia. Essi erano:

Edoardo Rosenblum, nato in Odessa, figlio di tedeschi; aveva studiato medicina a Lipsia, a Berlino ed a Parigi:

Max Cohnheim, di Fraustadt; era stato commesso di negozio, ed allo scoppio della rivoluzione volontario d’un anno nell’artiglieria della guardia;

Korn, chimico e farmacista di Berlino;

Becker, ingegnere, delle provincie renane; ed io stesso, che, dopo l’esame di licenza dato nel 1844 al Liceo Werder di Berlino, ero stato a Breslavia, Greifswalde e Berlino per i miei studi, e che la rivoluzione del 48 trovò cannoniere nella città nativa (Glogau).

Nessun di noi aveva, credo, più di 24 anni. Abitavamo uno vicino all’altro, anzi un tempo persino nel Grand prè, tutti nella stessa casa. La nostra principale preoccupazione in quel piccolo paese, che dava così poca occasione a guadagnar quattrini, era di non lasciarci abbattere e scoraggiare dalla generale miseria dÈ profughi e dalla stanchezza politica. Il clima, la natura erano stupendi — e noi non rinnegammo i nostri antecedenti della Marca e trovammo “die Jegend jottvoll„ (il sito divino). Ciò che l’un di noi possedeva, l’aveva l’altro; e, quando tutti insieme non avevamo nulla, si trovava qualche buon oste o altra cara gente che la godevano a farci credito sulla sicurtà delle nostre faccio giovani e gioviali. Dovevamo aver tutti un aspetto ben onesto e matto! Sia qui menzionato con gratitudine il Cafetier Bertin (Café de l’Europe) che “allattava„ senza tregua, nel vero significato della parola, non solo noi, ma molti altri ancora esiliati tedeschi e francesi2 . Nel 1856, dopo un’assenza di sei anni, visitai Ginevra, al ritorno dalla Crimea, unicamente per pagare i miei debiti, colla pietà d’un bene intenzionato “Michelaccio„. Il buono, rotondo, grasso Bertin ne fu stupito, m’assicurò ch’ero io il primo a fargli un simile piacere, ma che ciò nonostante non deplorava affatto di avere dai 10 ai 20 mila franchi allo scoperto presso gli esiliati, che da un pezzo erano dispersi per tutto il mondo. S’informò, a parte i debiti, con particolare cordialità, anche dei miei amici più intimi. Purtroppo non seppi rispondergli gran che.

Chiusa la parentesi, torno all’anno 1849,

Si beveva allegramente, e giocondamente si cantava. Mi rammento d’aver veduto alla nostra tavola profughi d’ogni diversa sfumatura politica, anche francesi ed italiani. Le liete serate così passate in tale dulci jubilo parevano a tutti oasi nel deserto, invero miserevole per tutto il resto, dell’esilio. Anche degli amici, che erano allora gran consiglieri ginevrini, o più tardi divennero tali, a volte, per ricrearsi, venivano ai nostri conviti.

Liebknecht, che adesso è qui, e che in nove anni ho visto solo tre o quattro volte, trovandolo sempre per caso per istrada, non di rado faceva parte della compagnia. Studenti, dottori, antichi compagni di liceo o d’università, consumavano spesso con noi molti bicchieri di birra e più d’ima bottiglia del buon Macon, così poco costoso. Certe volte per giorni interi, anzi per settimane, ce la passavamo sul lago di Ginevra, senza mai scendere a terra, cantando canzoni d’amore e facendo la corte, colla chitarra in mano, davanti alle finestre delle ville dalla parte di Savoia e della Svizzera.

Non mi perito a confessare che il nostro sangue studentesco si sfogava a volte in scappate contrarie ai regolamenti. Quel caro, ora estinto, Albert Galeer, avversario non trascurabile del Fazy nella cittadinanza ginevrina, usava allora di sermonizzarci nel tono più amabile. “Siete dei mattacchioni — ci diceva — però è vero che per essere di quest’umore in mezzo alle vostre miserie d’esilio non bisogna esser deboli né di corpo né d’animo; ci vuole una bella elasticità„. Al buon uomo rincresceva trattarci più duramente. Era gran consigliere del Cantón di Ginevra.

Di duelli, ch’io sappia, ne seguì allora uno solo, alla pistola, tra me e un certo signor R.... La causa però non era affatto d’indole politica. Il mio secondo era un artigliere ginevrino il quale non parlava che il francese, e il giudice di campo il giovane Oscar Galeer, fratello del consigliere, troppo presto poi, ancora studente, morto di febbre nervosa a Monaco. Un secondo duello, del quale pure la causa non era politica, doveva aver luogo tra il Rosenblum e un tenente esiliato dal Badén, v. F….g, che poco dopo ritornò in patria, e, credo, rientrò nel rigenerato esercito badese. La questione però fu amichevolmente composta, prima che si venisse agli estremi, la mattina stessa del duello, per intervento del signor Engels — suppongo sia lo stesso che ora dev’essere a Manchester e che da allora non rividi più. Questo signor Engels si trovava a Ginevra di passaggio, e bevemmo delle bottiglie non poche nella sua esilarante compagnia. L’incontrarci con lui ci venne, se ben ricordo, specialmente gradito, perché potevamo permettere alla sua cassa di tenere il comando.

Non ci affiliammo né ai capiparte così detti repubblicani azzurri, né ai rossi, né ai socialisti, né ai comunisti. Ci permettevamo di giudicare liberamente e indipendentemente — non dico sempre giustamente — l’azione politica dei reggenti l’impero, dei membri del Parlamento di Francoforte e d’altri parlatori, dei generali della rivoluzione o dei caporali o Dalai-Lama del comunismo: anzi a questi e ad altri scopi per noi divertenti fondammo un periodico settimanale intitolato: Rummeltipuff, organo della bubocrazia pidocchiosa3. Questo foglio non raggiunse che due numeri. Quando, più tardi, mi arrestarono in Francia per mandarmi qui, la polizia mi sequestrò le mie carte e i miei giornali, dimodoché non mi ricordo più se il foglio fosse condotto a sepoltura dalla miseria o dal superiore divieto.

I “filistei„ appartenevano ai cosiddetti repubblicani borghesi ed anche alle file dei cosiddetti operai comunisti, e c’indicavano col nome di “Banda dello zolfo„. A volte mi sembra che noi stessi ci apponessimo tal nome. Ad ogni modo caratterizzava la Società solo nel senso bonario tedesco della parola. Io ho contatti amichevolissimi con dei compagni d’esilio amici del signor Vogt, e di altri ch’erano amici suoi e probabilmente tali sono ancora. Ma mi rallegro di non aver mai trovato da nessuna parte che si parli con disprezzo dei membri della “Banda dello zolfo„ da me indicata, sia al riguardo politico sia al privato.

Tale “Banda dello zolfo„ è la sola la cui esistenza mi sia nota. Esisteva, tra il 1849 e il 1850, a Ginevra. A mezzo il 1850 i pochi membri di questa pericolosa Società, appartenendo alla categoria di profughi da esiliare, furono obbligati a lasciare la Svizzera, ad eccezione di Korn. Così la vita di questa “Banda dello zolfo» aveva raggiunto il suo termine. Di altre “Bande dello zolfo„, se in altro luogo e dove ed a che fine esistessero, non so nulla.

Il Korn restò, credo, nella Svizzera, e deve essere quivi domiciliato in qualità di farmacista. Il Cohnheim e il Bosenblum andarono entrambi nell’Holstein prima della battaglia di Idstedt. Credo che vi partecipassero entrambi. Più tardi, nel 1851, se n’andarono in America. Il Rosenblum tornò già alla fine dello stesso anno in Inghilterra e parti nel 1852 per l’Australia, d’onde dal 1855 non ne seppi altro. Il Cohnheim dev’essere già da alcun tempo redattore dell’Umorista di Nuova York. Il Becker si recò in America sin dal 1850. Che cosa ne sia accaduto, purtroppo non saprei dirlo con certezza.

Io stesso mi trattenni nell’inverno 1850-51 a Parigi ed a Strasburgo, e fui dalla polizia francese, come già accennai, mandato forzatamente in Inghilterra; durante tre mesi mi trascinarono per 25 prigioni, e per lo più, durante la marcia, in pesanti catene di ferro. Qui vivo, dopo aver adoperato il primo anno a rendermi padrone della lingua, dedicato agli affari, non senza un continuo e vivo interesse per gli avvenimenti politici della patria, ma sempre libero da qualunque azione delle cricche dei rifugiati politici. Ora me la passo abbastanza bene, o, come dicono gl'inglesi: Very well, sir, thank you. — È poi tutta colpa Sua se le toccherà sorbirsi questa lunga storia, certo non molto importante.

Resto con stima il devotissimo suo

SIGISMONDO L. BORKHEIM.

Sin qui la lettera del signor Borkheim. Nel presentimento della sua importanza storica la “Banda dello zolfo„ prese la precauzione di incastrare il proprio registro di stato civile nel libro della storia mediante incisioni in legno. Il primo numero del Rummeltipuff, infatti, è ornato dei ritratti dÈ suoi fondatori.

I geniali signori della “Banda dello zolfo„ avevano partecipato al “subbuglio„ repubblicano dello Struve nel settembre 1848, poi erano stati nel carcere di Bruchsal sino al maggio 1849, finalmente avevano combattuto come soldati nella campagna della costituzione dell’Impero, che li gettò oltre il confine svizzero. Nel corso del 1850 due pezzi grossi della medesima, Cohnheim e Rosenblum, giunsero a Londra, dove si raccolsero intorno al signor Gustavo Struve. Non ebbi l’onore di conoscerli personalmente. Politicamente vennero in contatto con me, cercando di costituire, contro il Comitato dei profughi londinese, allora diretto da me, dall’Engels, dal Willich e da altri, un Controcomitato, il cui pronunciamento a noi ostile, firmato dallo Struve, dal Rosenheim, dal Cohnheim, dal Bobzien, dal Grunich e dall’Osvald, comparve, fra altro, anche nelle Berliner Abendpost.

Nel fiorire della Santa Alleanza, i Carbonari offrivano una ricca miniera per l’attività della polizia e della fantasia degli aristocratici. Pensò il nostro Gorgellantua dell'Impero di sfruttare la “Banda dello zolfo„ alla guisa dei Carbonari, a profitto e gloria dell’alemanna cittadinanza? La banda del salnitro completerebbe la trinità poliziesca. Forse anche Carlo Vogt è nemico dello zolfo, perché non può fiutare la polvere. Ovvero, ha egli, come altri infermi, il suo specifico? Com’è noto, il medico di malattie segrete, Rodemacher, classifica le malattie secondo i loro specifici. Sotto la “malattia dello zolfo„ cadrebbe quindi quel che l’avvocato Hermann chiamava, ai tribunale distrettuale di Augusta, “la natura arrotondata„ del suo cliente, che il Rodemacher definisce “il peritoneo disteso a guisa di tamburo e l’ancor più celebre dottor Fischart “l’arcuato ventre di Francia„. Tutte le nature alla Falstaff soffersero in più d'un senso della malattia dello zolfo. O avrebbe la sua coscienza zoologica ricordato al Vogt che lo zolfo è la morte dell’acaro, quindi tutt’affatto contrario agli acari che cangiarono pelle più volte? Poiché, come han dimostrato recenti indagini, solo l’acaro spellato è capace di generazione e quindi penetrato dall'autocoscienza. Bel contrapposto, da una parte lo zolfo, dall'altra l’acaro spellato! Ad ogni modo il Vogt doveva al suo “Imperatore e al popolo liberale tedesco la prova che tutti i malanni„ dopo il rovescio della rivoluzione del 1849 provengono dalla “Banda dello zolfo„ di Ginevra, e non dalla “Banda decembrina„ di Parigi.

Quanto a me personalmente, dovette innalzarmi a capo della “Banda dello zolfo„ da lui vilipesa e a me ignota sino all’apparire del Libro principale, e ciò in punizione del mio oltraggio, per anni continuato, contro al capo e ai membri della “Banda del 10 dicembre„. Per rendere comprensibile il giusto sdegno dei “simpatico compagno„, cito qui alcuni passi relativi alla “Banda decembrina„ del mio scritto: Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte, Nuova York, 1852 (V. ivi, pag. 21-82 e 61-62).

“Tale banda data dal 1849. Sotto il pretesto di fondare una Società di beneficenza, il proletariato degli straccioni di Parigi era stato organizzato in sezioni segrete, ognuna guidata da agenti bonapartisti, a capo di tutto un generale bonapartista. Accanto ai roués rovinati dell’aristocrazia, dai mezzi di sussistenza ambigui e dall’ambigua origine, accanto a miserabili ed avventurieri della borghesia, vagabondi, soldati licenziati, discoli usciti da case di correzione, galeotti scappati, bari, ciarlatani, lazzaroni, borsaioli, prestidigitatori, giuocatori, maquereau padroni di casini, facchini, braccianti, suonatori d’organetto, cenciaiuoli arrotini, calderai ambulanti, accattoni, insomma tutta l’indefinita, dissoluta massa, gettata or qua or là, che i Francesi chiamano la bohème; con questo elemento a lui affine il Bonaparte formò il grosso della “Banda del 10 dicembre„, Società di beneficenza, in quanto tutti i membri, come il Bonaparte, sentivano il bisogno di beneficarsi a spese della nazione lavoratrice.

“Questo Bonaparte che si costituisce capo del proletariato degli straccioni, che solo qui ritrova gl’interessi da lui personalmente perseguiti, che in questo rifiuto, cascame, avanzo di tutte le classi riconosce l’unica classe su cui può incondizionatamente appoggiarsi, è bene il Bonaparte vero, il Bonaparte sans phrasè; da non disconoscersi anche allorquando più tardi, onnipotente, paga il suo debito verso una parte dei suoi antichi congiurati mandandoli coi rivoluzionari a Caienna. Vecchio, astuto rouè, egli considera la vita storica dei popoli e le azioni principali e statali dei medesimi come una commedia nel peggior senso, come una mascherata, ove i costumi, le parole e gli atteggiamenti magnifici non coprono che la furfanteria più meschina. Così nel suo viaggio a Strasburgo, ove un avvoltoio ammaestrato rappresentava l’aquila napoleonica. Per la sua invasione di Boulogne caccia in uniformi francesi alcuni lacchè di Londra. Rappresentano l’esercito. Nella sua “Banda del 10 dicembre„ raccoglie 10,000 straccioni che debbono rappresentare la nazione come Klaus Zettel il leone….

“Ciò che per gli operai socialisti erano le officine nazionali, ciò che per i repubblicani borghesi le Gardes mobiles, fu per il Bonaparte la “Banda del 10 dicembre„ la forza combattente di partito a lui particolare. Durante i suoi viaggi, le sezioni di essa, imballate per ferrovia dovevano improvvisargli un pubblico, eccitare il pubblico entusiasmo, strillare Vive l’empereur, insultare e battere i repubblicani, naturalmente sotto la protezione della polizia. Al suo ritorno a Parigi avevano a formare l'avanguardia, a prevenire controdimostrazioni e disperderle. La “Banda del 10 dicembre„ apparteneva a lui, era opera sua, il suo più intimo pensiero. Il resto di quanto si attribuisce gli viene dalla potenza delle circostanze: quel che fa, del resto, lo fan per lui le circostanze, ovvero egli si contenta di copiare le azioni altrui; ma, egli, con i discorsi ufficiali dell’ordine, della religione, della famiglia, della proprietà, tenuti in pubblico innanzi ai cittadini, e dietro a lui la società segreta dei furfantelli e dei ciurmadori, la società del disordine, della prostituzione e del furto, questo è ben Bonaparte stesso, autore originale, e la storia della “Banda del 10 dicembre„ è la sua propria storia….

“Il Bonaparte vorrebbe apparire come benefattore patriarcale di tutte le classi. Ma non può dare a nessuna senza togliere alle altre. Come si diceva al tempo della Fronda del duca di Guisa, esser questo l’uomo più obbligante della Francia perché aveva convertito tutti i suoi beni in obbligazioni dei suoi partigiani a suo favore, così il Bonaparte vorrebbe essere l’uomo più obbligante della Francia e convertire tutta la proprietà, tutto il lavoro della Francia in un’obbligazione personale a suo nome. Vorrebbe rubare tutta la Francia, per ridonarla alla Francia, o meglio per ricomprare tutta la Francia con danaro francese, poiché come capo della “Banda del 10 dicembre„ deve comprare quanto deve appartenergli. E in istituti di compra si convertono tutti gl'istituti dello Stato, il Senato, il Consiglio di Stato, il Corpo legislativo, i tribunali, la Legión d’onore, la medaglia militare, le lavanderie, i lavori pubblici, le strade ferrate, lo stato maggiore della guardia nazionale senza soldati semplici, i beni confiscati di casa Orléans. In mezzo di compra si converte ogni posto dell’esercito e della macchina governativa.

“Ma il più importante in questo processo, mercè il quale si prende la Francia, per donarla alla Francia, sono le percentuali, che durante lo smercio toccano al capo ed ai membri della “Banda del 10 dicembre„. La freddura con cui la contessa L., amante del signor di Morny, caratterizzò la confisca dei beni degli Orléans: C’est le premier vol de l'aigle, si adatta ad ogni volo di quest’aquila, che è piuttosto un corvo. Egli stesso ed i suoi seguaci si ammoniscono giornalmente come quel certosino italiano faceva all’avaro, il quale vantandosi, enumerava i beni che per anni ed anni aveva da consumare ancora: “Tu fai il conto sopra i beni. Bisogna prima fare il conto sopra gli anni„. Per non sbagliarsi negli anni, contano per minuti.

“A Corte, ai ministeri, a capo dell’Amministrazione e dell’esercito si affolla una serqua di gente, di cui il meglio che può dirsi è che non si sa d'onde venga, una bohème rumorosa, sospetta, vogliosa di preda, che entra nei vestiti gallonati con la stessa dignità grottesca dei gran dignitari di Soulouque. Ci si può rappresentare questo strato superiore della banda considerando che Vernon Crevel è il suo apostolo dei costumi, e Granier de Cassagnac il suo pensatore. Quando il Guizot, al tempo del suo ministero, adoperava questo Granier in un foglio clandestino contro l’opposizione dinastica, usava elogiarlo con questa frase: C’est le roi des dróles. Si avrebbe torto, a proposito della Corte e di Luigi Bonaparte, di rievocare la Reggenza o Luigi XV. Poiché spesso la Francia subì un governo di mantenute, ma ancor mai un governo di hommes entretenus.

“Cacciato dalle esigenze contraddittorie della sua situazione, e nello stesso tempo, come un prestidigitatore, nella necessità di tener attenti su sè gli occhi del pubblico, quale sostituto di Napoleone, quindi di compiere ogni giorno un colpo di Stato in miniatura, il Bonaparte porta lo scompiglio in tutta l'Amministrazione borghese, tocca tutto quanto alla rivoluzione del ’48 parve intangibile, rende gli uni desiderosi, gli altri impazienti della rivoluzione e produce l’anarchia stessa in nome dell'ordine, mentre insieme toglie a tutta la macchina dello Stato l’apparenza di santità, la profana, la rende insieme schifosa e ridicola. Il culto del Santo Abito in Treviri egli lo ripetè Parigi come culto del manto imperiale napoleonico. Ma se il manto imperiale cade finalmente sulle spalle di Luigi Bonaparte, la bronzea statua di Napoleone cadrà dall'altezza della colonna Vendome„.

II. — I “Bürstenheimer„.

«But, sirrah, there’s no room for faith,
truth nor honesty, in this bosom of thine,
it is all filled up wifch guts and midriff» 4.
(SHAKESPEARE).

“Bürstenheimer„ o “Banda dello zolfo„, dice il Protoevangelo di Biel (pag. 31 del Libro principale. Documenti). Di “Banda dello zolfo„ o anche “Bürstenheimer„ discorre il Libro principale (pag. 37).

Secondo le due lezioni, la “Banda dello zolfo„ e i “Bürstenheimer„ sono la stessa identica banda. La “Banda dello zolfo„ come vedemmo, era morta e sepolta, a mezzo il 1850. Dunque anche i “Bürstenheimer„? La “natura arrotondata„ è il civilizzatore addetto alla banda decembrina, e la civiltà, come nota il Fourier, si distingue dalla barbarie in questo, che scaccia la bugia semplice mediante la bugia composta.

Il “composto„ Falstaff dell’impero ci racconta come un certo Abt sia “il più volgare tra i volgari„. Modestia meravigliosa, per la quale il Vogt mette sé stesso al grado positivo, il suo Abt invece al superlativo, lo elegge in certo modo a suo maresciallo Ney. Allorché il Protoevangelo del Vogt comparve nel Commis voyageur di Biel, pregai la redazione del Volk di ristampare senz’altro commento la pappolata originale. La redazione peraltro fece seguire alla ristampa quest’osservazione: “Il precedente scartabello proviene da un soggetto sfaccendato di nome Abt, che otto anni fa, a Ginevra, fu da un giurì d’onore di esuli tedeschi ritenuto all’unanimità colpevole di varie azioni disonoranti„ (N. 6 del Volk, 11 giugno 1859).

La redazione del Volk riteneva l’Abt autore del libello del Vogt; essa dimenticava che la Svizzera aveva due Richmond in campo, accanto ad un Abt un Vogt.

Il “più volgare tra i volgari„, dunque, inventò nella primavera del 1851 i “Bürstenheimer„, che il Vogt, nell’autunno 1859, porta via al suo maresciallo. La dolce abitudine del plagio lo segue instintivamente dalle invenzioni di storia naturale a quelle poliziesche. La società operaia di Ginevra fu per un certo tempo presieduta dallo spazzolalo Sauernheimer. L’Abt dimezza il nome e la condizione5 del Sauernheimer, l'uno davanti, l’altro di dietro, e delle due metà compone spiritosamente l'intero “Bürstenheimer„. Con tale titolo indicava da principio, oltre il Sauernheimer, i suoi compagni più intimi, il Kamm di Bonn e il Manichei di Brugen, commessi legatori. Il Sauernheimer lo nominò generale, il Ranickel aiutante dei Bürstenheimer, e il Kamm Bürstenheimer sans phrase. Più tardi, quando due esuli appartenenti all’Associazione, ginevrina, l’Imandt (ora professore al seminario di Dundee) e lo Schily (già avvocato a Treviri, ora a Parigi) ottennero l’espulsione dell’Abt mediante un giury d'onore dell’Associazione stessa, il detto Abt pubblicò un libello, in cui elevava al grado di “Bürstenheimer„ l’intera Associazione operaia ginevrina. Si vede perciò che c’erano dei Bürstenheimer in generale e dei Bürstenheimer in particolare. I “Bürstenheimer„ in generale comprendevano l’Associazione operaia ginevrina, la medesima associazione dalla quale il Vogt, messo alle strette, astutamente estorse un testimonium paupertatis pubblicato nella Allgemeine Zeitung, e davanti alla quale era a pancia a terra durante i festeggiamenti in onore dello Schiller e di Roberto Blum (1859).

“Bürstenheimer„ in particolare erano, come già ho detto, il Sauernheimer, a me del tutto ignoto, che non è mai venuto a Londra; il Kamm che, espulso da Ginevra, andò negli Stati Uniti passando per Londra, dove cercò non di me, ma del Rinkel; finalmente il Ranickel, che, in qualità di aiutante dei Bürstenheimer, seguitò a rimanere a Ginevra, ove si “radunava„ intorno alla “natura arrotondata„. Infatti rappresenta nella persona propria il proletariato Vogt. Giacché più tardi ho da tornare sul Ranickel, ecco alcuni preliminari sul mostro. Il Ranickel apparteneva alla caserma di fuggiaschi in Besançon comandata dal Willich dopo l’infelice spedizione dell’Hecker. Sotto di lui partecipò alla campagna per la costituzione e più tardi seco riparò in Svizzera. Il Willich era il suo Maometto comunista, che con ferro e fuoco doveva fondare il millennio. Melodrammatico, vano, chiacchierone, bellimbusto, il Ranickel ipertirannizzava il tiranno. A Ginevra s’infuriava in rabbia rossa contro i “parlamentari„ in generale, e in particolare minacciava, nuovo Teli, di strangolare il “Vogt (bali) del paese„. Quando però dal Vallot, transfuga del ’30 e amico di gioventù del Vogt, fu a quest'ultimo presentato, le opinioni sanguinarie del Ranickel si invertirono nel milk of human kindness. “Il birbante fu del Vogt (balì)„ come dice Schiller.

L’aiutante dei Bürstenheimer diventò aiutante del generale Vogt, la cui fama marziale mancò solamente perchè Plon-Plon ritenne abbastanza cattivo, per il compito che il suo Corps de touristes aveva da eseguire nella campagna d’Italia, il capitano napoletano Ulloa (anche generale “by courtesy„), ma tenne in riserva per la grande avventura col “tamburo perduto„ che si svolgerà sul Reno, il suo Parolles. Nell’anno 1859 il Vogt trasferì il suo Ranickel dallo stato proletario a quello borghese, gli ottenne un negozio (cose d’arte, legatoria, oggetti di cancelleria) e in fine gli procurò la clientela del governo, di Ginevra. L’aiutante dei Bürstenheimer diventò il maid of all work del Vogt, il suo cicisbeo, l’amico di casa, il Leporello, il confidente, il corrispondente, l’emissario, il reporter, e specialmente anche, dopo la caduta del pingue Jack, la sua spia e l’arrolatore bonapartista fra gli operai. Un foglio svizzero annunziava tempo fa la scoperta d’una nuova specie d’istrice, dell’istrice del Rati o del Reno, che riunirebbe la natura dell’istrice-cane e dell’istrice-porco, e sarebbe stata trovata in un nido sull’Arve, nella tenuta del Vogt Humboldt. Che questo Ronistrice fosse inteso pel nostro Ranickel?

Nota bene: l'unico esule in Ginevra col quale io ero in rapporto, il dott. Ernesto Dronke, prima conredattore della Neue Rheinische Zeitung, ora negoziante in Liverpool, si manteneva ostile alla “Bürstenheimeria„.

Alle seguenti lettere dell’Imandt e dello Schily premetterò solamente che l’Imandt allo scoppio della rivoluzione lasciò l’università, per partecipare come volontario alla guerra nello Schleswig-Holstein. Nel 1849, lo Schily e l’Imandt guidarono l’assalto all’arsenale di Prum, da dove entrambi, con le armi conquistate e i loro uomini, si fecero strada verso il Palatinato, per entrar quivi nelle file dell’esercito costituzionale.

A principio dell’estate 1852, cacciati dalla Svizzera, vennero a Londra.

Dundee, 5 febbraio 1860.

Caro Marx,

“Non capisco come il Vogt ti possa mettere in relazione con gli affari di Ginevra. Era noto tra gli esuli di colà, che di noi tutti il solo Dronke era teco in rapporto. La “Banda dello zolfo„ esisteva prima dei miei tempi, e l’unico nome che vi apparteneva, di cui io mi ricordi, era il Bokheim.

“I “Bürstenheimer„ erano l’Associazione operaia di Ginevra. Il nome deve la sua origine all’Abt. L’associazione stessa era allora un seminario della lega segreta del Willich, nella quale io fungevo da presidente. Allorché l’Abt, su mia proposta, fu dichiarato, come infame, indegno del commercio cogli esuli, cogli operai, pubblicò poco dopo una pasquinata, in cui accusava lo Schily e me dei più assurdi delitti, In seguito a ciò riportammo tutta la faccenda in un altro locale e davanti a tutt’altre persone. Richiesto di provare le calunnie da lui scritte, si rifiuta alla nostra pretesa, e senza che nè io nè Schilly avessimo bisogno di pronunziar una parola a nostra difesa, il Dentzer fece la proposta di dichiarare l’Abt come calunniatore infame, La proposta fu, per la seconda volta, accolta all’unanimità, questa volta in un’assemblea d’esuli, consistente quasi esclusivamente di parlamentari. Mi rincresce che la mia relazione riesca così misera, ma è la prima volta, da 8 anni, che ripenso a quel fango. Non vorrei esser condannato a scrivere in proposito, e mi stupirei immensamente se a te riuscisse di ficcar la mano in una simile salsa.

“Addio.

“Tuo: Imadt„.

Un noto scrittore russo, molto amico del signor Vogt durante il suo soggiorno in Ginevra, mi scrisse, nel senso di queste ultime righe, la seguente lettera:

Mon cher Marx!

“J'ai appris avec la plus vive indignation les calomnies qui ont été répandues sur votre compte et dont j’ai eu connaissance par un article de la Revue contemporaine, signé Edouard Simon. Ce qui m’a particulièrement étonné c'est que Vogt, que je ne croyais ni bête, ni méchant, ait pu tomber dans rabaissement moral que sa brochure révèle. Je n’avais besoin d’aucun témoignage pour être assuré que vous étiez incapable de basses et sales intrigues, et il m'a été d’autant plus pénible de lire ces diffamations que dans le moment même où on les imprimait, vous donniez au monde savant la première partie du beau travail qui doit renouveler la science économique et la fonder sur des nouvelles et plus solides bases… Mon cher Marx, ne vous occupez plus de toutes ces misères; tous les hommes sérieux, tous les hommes consciencieux sont pour vous, mais ils attendent de vous autre chose que des polémiques stériles; ils voudraient pouvoir étudier le plus tôt possible la continuation de votre belle oeuvre. Votre succès est immense parmi les hommes pensants, et s’il vous peut être agréable d’apprendre le retentissement que vos doctrines trouvent en Russie, je vous dirai qu’au commencement de cette année le professeur… a fait à Moscovie un cours public d’économie politique dont la première leçon n'a pas été autre chose que la paraphrase de votre récente publication. Je vous adresse un numéro de la Gazette du Nord, où vous verrez combien votre nom est estimé dans mon pays. Adieu, mon cher Marx, conservezvous en bonne santé et travaillez, comme par le passé, à éclairer le monde, sans vous préoccuper des petites bêtises et des petites lâchetés. Croyez à l’amitié de votre devoué…„.

Anche il Szamere, l’ex ministro ungherese, mi scrisse:

“Y’aut-il la peine que vous vous occupiez de toutes ces bavardises?„.

Perchè, nonostante queste e simili dissuasioni, ficcassi — a dirla colle energiche espressioni dell'Imandt — la mia mano nella salsa del Vogt, si vede brevemente accennato nella prefazione.

Dunque torniamo ai Bürstenheimer. Ristampo letteralmente la lettera che segue, dello Schily, anche in ciò che non si riferisce al nostro discorso. Tuttavia Tho già accorciata delle notizie prelevate dal Borkheim sulla “Banda dello zolfo„, e serbati altri punti per altro luogo, poiché debbo trattare in certo modo artisticamente il mio piacevole argomento„, nè quindi ho da spifferare a un tratto tutti i segreti.

Parigi, 8 febbraio 1860 (46, rue Lafayette).

'' Caro Marx

" Mi fece gran piacere d’avere, mediante la tua del 31 corrente, un diretto segno di vita da parte tua, e tanto più pronto mi trovi a darti le chieste informazioni sulle ginevrate in questione, inquantochè te ne volevo scrivere motu proprio. Che il Vogt ti metta insieme, come scrivi, con cose a te del tutto ignote, fu infatti la prima riflessione non solo mia, ma di tutti i conoscenti ginevrini di qui, allorché occasionalmente ce ne consultammo, e quindi, a tributo della verità, m’assunsi di comunicarti le opportune notizie su “Bürstenheimer “Banda dello zolfo„, ecc. Comprenderai quindi che la tua duplice domanda 1°) Chi erano i “Bürstenheimer„, che facevano? 2°). Chi era la “Banda dello zolfo„, di che elementi si componeva, che faceva? — mi veniva giusto a proposito. Prima però debbo avvertirti d’un’offesa all’ordine cronologico, poiché in virtù di essa la priorità spetta alla “Banda dello zolfo„. Se il Vogt voleva dipingere il diavolo al filisteo tedesco, anzi bruciarglielo sul capo a forza di zolfo, e nello stesso tempo “pigliarsi piacere„ , avrebbe davvero dovuto prendere a tipi delle figure più diaboliche che non quegl’innocenti, allegri geni da bettola, che noi seniori dell’emigrazione in Ginevra chiamavamo per ischerzo, e senza nessun secondo pensiero maligno, sotto il nome di “Banda dello zolfo„, e che accettavano tale designazione con la stessa bonarietà. Erano lieti figli delle Muse, che avevan passato i loro esamina ed exercitia praetim nelle varie piccole rivolte della Germania meridionale, e in ultimo nella campagna dell'impero, e ora andavano irrobustendosi, per la subita bocciatura, con i loro esaminatori e maestri d'esercizi in rosso a Ginevra, per una futura riassunzione dell’affare... Naturalmente poi va escluso dalla Banda chi o non venne a Ginevra affatto o ci venne dopo il suo scioglimento. La medesima non era che una fioritura locale ed effimera (veramente quindi il sublimato, avrebbe a chiamarsi fiori di golfo); però, e probabilmente per quel suo Rummeltipuff che sapeva di rivoluzionario, era d’odor troppo acuto per i nervi dei confederati, poiché il Druey soffiò, e il fiore si disperse a tutti i venti. Solo un pezzo dopo arrivò a Ginevra l’Abt, ed alcuni anni più tardi il Cherval, ove olezzarono “ognuno a suo modo„, ma non davvero, come afferma il Vogt, in quel mazzo da tempo strappato, da tempo svanito, da tempo dimenticato.

“L’opera della banda si riassume press’a poco in questi termini: lavorare nella vigna del Signore. Insieme mandavano avanti la redazione del Rummeltipuff, col motto: “Resta nel paese e nutriti di rosso„, nel qual foglio, spiritosamente ed umoristicamente, se la ridevano di Dio e del mondo, segnalavano i falsi profeti, sferzavano i parlamentari (inde irae), e con tuttociò non risparmiavano nè se nè noi ospiti, ma con lina coscienziosità ed imparzialità degna d’encomio mettevano in caricatura tutto e tutti, amici ed avversari.

“Che non istavano con te in nessuna comunicazione, che non portavano la tua scarpa attillata, non occorre che te lo dica io. Però non posso nasconderti che tale calzatura non sarebbe stata di loro gusto. Lanzichenecchi della rivoluzione, bighellonavano intanto nelle pantofole dell’armistizio, in attesa che quella li riattirasse e fornisse del suo proprio coturno (stivali a sette miglia del progresso assoluto), e sarebbe capitato male chi avesse loro turbata la siesta con reeonomia politica marxista, con la dittatura operaia, eccetera! Buon dio! Il lavoro che sbrigavano loro, richiedeva tutt'al più un presidente di bettola, e i loro studi economici si volgevano intorno al pot e al suo riempimento rossastro. “Il diritto del lavoro — diceva una volta l’uditore Baeklisch, un onesto maniscalco dell’Odenwald — andava benissimo, ma che lo lasciassero in pace col dovere del lavoro ...

“Lasciamo dunque ricadere la pietra sepolcrale della “Banda dello zolfo„ sacrilegamente alzata. Veramente un Hafis avrebbe da cantare il Requiescat in pace a scongiuro d’ogni futura profanazione. In mancanza di ciò ricevi con la presente pro viatico et epitaphio il grido: “Loro tutti bari sentito l’odor della polvere„ mentre il loro sacrilego storiografo non è arrivato che a fiutar dello zolfo.

“I Bürstenheimer spuntarono appena quando i banditi dello zolfo non vivevano ormai che per tradizione nella leggenda, nei registri dei filistei e nei cuori delle belle di Ginevra. Il Sauernheimer spazzolaio e legatore, il Kamm, il Ranickel, ecc., vennero in lite con Abt; e avendo preso vivamente parte per essi rimandi e io, fummo anche da lui osteggiati. L’Abt fu di conseguenza citato dinanzi un'assemblea generale in cui s’era riunita l’emigrazione e la società operaia quali cour des pairs, rispettivamente haute cour de justice, ove infatti comparve, e non solo non mantenne le accuse lanciate contro gli uni e gli altri, ma dichiarò nettamente d’averle campate in aria, come rappresaglia contro le accuse dei suoi avversari, costituite dei medesimi elementi. “Salsiccia per salsiccia, le rappresaglie son quelle che tengono insieme il mondo!„ pensava egli. Dopoché ebbe valorosamente sostenuto questo sistema di salsiccia, e persuaso della sua praticità gli altri soci, in seguito a che furon portate le prove delle accuse lanciate contro lui, fu dichiarato confesso di calunnia intenzionale, confesso degli altri misfatti a lui imputati, e quindi cacciato in fondo e scomunicato. En revanche si mise a chiamare gli alti pari, in origine solo i soci di cui sopra. “Bürstenheimer come vedi una felice combinazione del nome e dello stato del primo fra essi, che quindi devi venerare come capostipite di quei di Bürstenheim, senza però poterti arruolare od aggregare a tale stirpe, sia che comprenda in sè le maestranze o la paria; poiché sappi che quelli tra loro che s’occuparono di “organizzazione della rivoluzione„ lo fecero non già come tuoi seguaci, ma come tuoi avversari; adorando il Villich come loro Dio-Padre o almeno loro Papa, e anatemizzando te come anticristo o antipapa, tantoché il Dronke, che passava nella diocesi di Ginevra come solo tuo partigiano e legatus a latere, fu tenuto lontano da tutti i concilii, salvo Fenologico, ov’era primus inter pares. Ma, anche la “Bürstenheimerei„ era, come la “Banda dello zolfo„, una pura effemeride, e si disperse dinanzi al potente soffiò del Druey.

“Ora, che un discepolo di Agassiz andasse a incappare in questi profili dell’emigrazione ginevrina e a cavarne fuori così favolose storie naturali come quelle imbandite nel suo opuscolo, deve in relazione alle “species Bürstenheimerana„ meravigliare tanto più, in quanto appunto di queste aveva a disposizione uno stupendo specimen in forma di mastodonte dell’ordine dei ruminanti in persona del proto-Bürstenheimer Raniekel nel proprio gabinetto zoologico. Pare quindi che la ruminazione non siasi compiuta bene o non sia stata giustamente studiata da detto discepolo…

“Eccoti dunque tutto quanto chiedevi e au delà. Ora, però, vorrei chieder qualcosa anche a te, cioè la tua opinione still’intròduzione di una quota di successione prò patria, vulgo lo Stato, come principale fonte finanziaria, togliendo le imposte che gravano sulle classi non abbienti, e diretta naturalmente solo contro le successioni importanti…

“Accanto a questa tassa di successione mi occupano ancora due istituti tedeschi, “Aggregazione dei fondi„ e “Assicurazione ipotecaria„ che vorrei rendere intelligibili qui, cosa che manca del tutto, come in genere, fatte poche eccezioni, i Francesi non vedono di là dal Reno che nebulose e sauerkraut. Un’eccezione la fece tempo fa l’Univers, allorché, lamentando eccessivamente lo sminuzzamento della proprietà fondiaria, giustamente soggiungeva: “Il serait désirable qu’on appliquât immédiatement les remèdes énergiques dont une partie de l’Allemagne s’est servie avec avantage: le remaniement obligatoire des propriétés partout où les 7/10 des propriétaires d’une commune réclament cette mesure. La nouvelle répartition facilitera le drainage, l’irrigation, la culture naturelle et la voirie des propriétés„. A ciò fa seguito il Siècle, già un po’ noioso in generale, ma quando si tratta di considerare le condizioni germaniche orbo addirittura, grazie al suo chauvinisme contento di sè, messo in mostra alla Diogene col vestito a brandelli, pasto che, quotidianamente riscaldato, serve ai propri abbonati per patriottismo. Questo chauvin dunque, dopo aver pòrto all’Univers, la sua bète noire, l’obbligatorio saluto mattinale, soggiunge: “Propriétaires ruraux, suivez ce conseil: empressez-vous de réclamer le remaniement obligatoire des propriétés; dépouillez les petits au profit des grands. O fortunatos nimium agricolas — trop heureux habitants des campagnes — sua si bona — s’ils connaissaient l’avantage à remanier obligatoirement la propriété!„. Come se, in una votazione dei proprietari per teste, i grandi prevalessero sui piccoli.

“Del resto, lascia che l’acqua vada per la sua china, dà a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel eh’è di Dio, rispettivamente persino la “parte del diavolo„, e resto, così, in antica amicizia.

Il tuo: SCHILY

Dalle precedenti comunicazioni risulta che, se a Ginevra tra il 1849-50 esisteva una “Banda dello zolfo„, nel 1851-52 dei “Bürstenheimer„ due società che nulla avevano in comune tra di loro nè con me, per contro l’esistenza svelata, dal nostro pagliaccio parlamentare, della “Banda dello zolfo„ o “Bürstenheimer„ è materia, della sua materia, una bugia alla seconda potenza, “grossa come il padre che la generò„. S’immagini uno storico che avesse la sfacciataggine di riferire; “Al tempo della prima rivoluzione era noto un numero di persone sotto il nome di “Cercle social„, o anche sotto quello non meno caratteristico di “giacobini„.

Quanto a vita e gesta delle da lui confuse “Banda dello zolfo„ o “Bürstenheimer„ il nostro censore burlone evita ogni sfoggio di spese di produzione. Voglio riferire un unico esempio:

“Una delle occupazioni principali della “Banda dello zolfo„ — narra l’arrotondato al suo stupito pubblico filisteo — era di compromettere talmente della gente nella rispettiva patria che non dovessero più resistere ai tentativi di ricatto e sborsare danaro (anche un bel modo “non dovevano più resistere ai tentativi di ricatto„) acciocché la Banda conservasse il segreto della loro compromissione. Non una, centinaia di lettere furono da questa gente (cioè dagli homunculis vogtiani) scritte in Germania, contenenti l’aperta minaccia che si denuncerebbe la partecipazione a questo o a quell’atto della rivoluzione, se entro un dato termine non giungesse a un designato indirizzo una data somma„ (pag. 139 del Libro principale).

Perchè il Vogt non fece stampare una di tali lettere? Giacché la “Banda dello zolfo„ ne scrisse “centinaia„. Se le lettere minatorie fossero a buon prezzo come le more, il Vogt giurerebbe che non dobbiamo averne. Se domani fosse citato davanti a un giurì d'onore del “Grütli-Verein„ per dare schiarimenti sulle “centinaia„ di “lettere minatorie„, tirerebbe fuori, invece (Pana lettera, una bottiglia, schioccherebbe la lingua, beverebbe un sorsetto, ed esclamerebbe, con un riso da Sileno da scuoterne i precordi: “Salsiccia per salsiccia, le rappresaglie tengono su il mondo„.

III. — Cose di polizia.

«Che inaudita novità il Vogt ha immaginata!». SCHILLER6.

“Lo dico apertamente — dice il Vogt, e assume il suo più serio atteggiamento da buffone — lo dico apertamente: tutti quelli che in qualsiasi maniera s’impigliano in mene politiche col Marx o i suoi compagni, tosto o tardi cadono nelle mani della polizia; tali mene sono sin dal principio tradite e note alla polizia, e vengono dalla medesima dischiuse appena l’epoca appare opportuna (pare che queste mene sieno uova e la polizia una chioccia che le covi). Gl’istigatori Marx e C. naturalmente se ne stanno irraggiungibili a Londra (mentre la polizia sta sulle uova). Non sono in impaccio per dimostrare tale affermazione„ (V. pag. 166-167 del Libro principale).

Il Vogt non è in impaccio. Falstaff non era mai in impaccio. “Bugiardi„ quanto volete, ma “in impaccio?„. Dunque le tue “prove„ Jack, le tue “prove„.

1. — Autoconfessione

“Il Marx stesso dice nel suo opuscolo pubblicato nel 1853: Rivelazione sul processo dei comunisti a Colonia, a pag. 77: “Al partito proletario dopo il 1849, come prima del 1848, stava aperta una via sola: la via dell’associazione segreta. Indi, dal 1849, sul continente tutta una serie di associazioni proletarie segrete, scoperte dalla polizia, condannate dai tribunali, spezzate dalle prigioni, e dalle circostanze sempre ripristinate„. Eufemisticamente (dice il Vogt) il Marx richiama qui una “circostanza„ (V. pag. 167 del Libro principale).

Il Marx dunque dice “che dal 1849 la polizia ha scoperto tutta una serie di associazioni segrete„ che le circostanze hanno ripristinate. Il Vogt dice che il Marx, non le circostanze, hanno ripristinate le associazioni segrete. Quindi il Vogt ha fornito la prova che, ogniqualvolta la polizia di Badinguet ha scoperto la Marianna, il Marx, d'accordo con Pietri, tornò a intesserla.

“Lo stesso Marx dice! In proposito voglio ora citare quel che dice lo stesso Marx:

“Dopo la disfatta della rivoluzione del 1848-49, il partito proletario perdette sul continente quanto durante tale periodo eccezionalmente possedeva: la stampa, la libertà di parola e il diritto d’associazione, vale a dire i mezzi legali dell’organizzazione di parte. Il partito borghese liberale, come pure quello democratico della piccola borghesia, trovarono nella posizione sociale delle classi che rappresentano, nonostante la reazione, le condizioni per mantenersi in una forma o nell’altra, per far valere più o meno i comuni interessi. ÀI partito proletario, dòpo il 1849, come prima dei 1848, era aperta una via sola, la via dell’associazione segreta. Indi dal 1849, sul continente, tutta una serie di associazioni segrete proletarie, scoperte dalla polizia, condannate dai tribunali, spezzate dalla prigione, dalle circostanze sempre ripristinate. Una parte di queste società segrete aveva per line diretto di rovesciare il potere statale costituito. Ciò era giustificato in Francia…Un'altra parte delle società segrete mirava alla formazione in partito del proletariato, senza curarsi dei governi costituiti. Era ciò necessario in paesi come la Germania… Niun dubbio che anche qui i membri del partito proletario parteciperebbero nuovamente ad una rivoluzione contro lo statu quo, ma non apparteneva al loro compito di preparare tale rivoluzione, di agitare, cospirare, congiurare per essa… Il fascio dei comunisti non era pertanto una società cospiratrice...„ (V. pagine 62-63 Rivelazioni, ecc., edizione di Boston).

Ma anche questa semplice “propaganda„ è dal crudele Vogt dell'Impero segnata dal marchio del delitto, naturalmente con eccezione della propaganda guidata dal Pietri e dal Laity. Il Vogt dell’Impero permette persino di agitare, cospirare, congiurare, ma solo quando la sua sede sia nel Palais Royai, presso l’amico del cuore, l'Eliogabalo Plon-Plon. Ma la “propaganda„ fra i proletari! Vergogna!

Nelle Rivelazioni proseguo, dopo il passo su citato e così sensatamente mutilato dai giudice istruttore Vogt, in tal modo:

“Si capisce che una simile società segreta (coma la Lega dei comunisti) poteva aver poca attrattiva per individui che da una parte volevano gonfiare la propria nullità personale sotto il manto teatrale di cospirazioni, dall’altra parte soddisfare la meschina loro ambizione alla luce della prossima rivoluzione, e soprattutto poi parere immediatamente importanti, partecipare alla preda della demagogia ed essere acclamati dai ciarlatani democratici. Dalla Lega dei comunisti si staccò pertanto, o fu staccata come si vuole, una frazione, che, se non la vera cospirazione, domandava però l’apparenza della cospirazione e perciò la diretta alleanza coi democratici eroi del giorno — la frazione Willich-Schapper. È caratteristico per la medesima che il Willich figurava insieme e accanto ai Kinkel come impresario dell’affare del prestito rivoluzionario tedesco-americano„ (pag. 67-68). E come traduce il Vogt questo passo nel suo gergo poliziesco “eufemistico„? Udite: “Fintantoché ambedue (i partiti) agivano ancora di conserva, lavoravano, come dice lo stesso Marx, alla produzione di società segrete e alla compromissione di società e di singoli sul continente„ (pag. 171). Solo il pingue birbante dimentica di citare la pagina delle Rivelazioni, dove “lo stesso Marx„ dice questo. “Egli è bugiardo e padre di menzogna„.

2. — Assemblea rivoluzionaria di Murten.

“Carlo il Temerario„, il “temerario Carlo„, valgo Carlo Vogt, fornisce ora la disfatta di Murten:

“Degli operai e dei fuggiaschi in gran numero, furono talmente lavorati a forza di ciance — vale a dire dal Liebknecht — che fu finalmente indetta un’assemblea rivoluzionaria a Murten. Ivi dovevano segretamente recarsi i delegati delle associazioni affiliate, ivi si doveva consultarsi circa l’ultima organizzazione della Lega e circa l’epoca definitiva della levata di scudi. Tutti i preparativi erano stati temiti segretissimi, e la convocazione s’era effettuata solo mediante confidenti del signor Liebknecht e suoi corrispondenti. I delegati convennero da ogni parte a Murten a piedi, per nave, in legno, e furono immediatamente presi in consegna dei gendarmi, che sapevano in precedenza il che, il come e il d’ondé. Tutta la Società in tal modo sciolta fu per un certo tempo rinchiusa nel convento agostiniano di Friburgo, e quindi trasportata in Inghilterra e in America. Il signor Liebknecht fu trattato con riguardo tutto speciale„. (pag. 168, Libro principale).

“Il signor Liebknecht„ aveva partecipato alla rivolta del settembre 1848. dello Struve, stette quindi nelle prigioni badesi fin dopo metà maggio 1849, fu liberato in seguito alla insurrezione militare badese, entrò come gregario nell’artiglieria popolare badese, fu nuovamente dall’amico del Vogt, Brentano, gettato come ribelle nelle casematte di Rostatt, si aggregò dopo una ulteriore liberazione, durante la campagna per la costituzione dell’Impero, alla divisione di truppa comandata da Giovan Filippo Becker, e varcò finalmente, con lo Struve, il Cohnheim, il Korn e il Rosenblum, il confine francese, d’onde si recarono in Isvizzera.

A me allora “il signor Liebknecht„ e le sue “assemblee rivoluzionarie„ svizzere erano ancora più ignoti che le assemblee bevitorie presso l’oste Beng nella Kesslerstrasse in Berna, ove la Tavola Retonda dei parlamentari andava ripetendosi da sè con gran piacere i discorsi dalla medesima tenuti nella chiesa di San Paolo, distribuiva tra i propri membri, numerate, le future cariche dell’Impero, e abbreviava la dura notte dell’esilio mediante le bugie, i lazzi, le sconcezze e le smargiassate di Carlo il Temerario, che non senza una tinta di humour e un’allusione a una leggenda tedesca, si rilasciava allora di propria mano la patente di “beone dell’Impero„.

La “Mähr„ (leggenda) comincia con queste parole:

Swaz ich trinken’s hàn-gesehen
Daz ist gar von Rinden geschëhen:
ich han eìnen swëlch gesehen,
dem wil ich meisterschefte jehen.
Den duhten becher gar entwiht
ër wolde näpf noch Rophe niht
ër tranc uz grözen kannen
ër ist vor allen mannen
ein vorlauf allen swëlhen
von uren und von ëlhen
wart solcher slünd nie nit getän.

Ma torniamo all’ “assemblea rivoluzionaria„ di Murten. “Assemblea rivoluzionaria! “Ultima organizzazione della Lega! -, “Epoca della levata di scudi!„, “Preparativi segretissimi!„, “Segretissimo convegno da ogni parte a piedi, per nave, per legno„. Evidentemente “il temerario Carlo„ non per nulla ha studiato il metodo Stieber svelato nelle mie “Rivelazioni„.

Lo stato dei fatti è semplicemente questo: il Liebknecht era — a principio del 1850 — presidente della Società operaia di Ginevra. Egli propose una riunione tra le Società operaie tedesche in Svizzera, allora tutte prive di legame. La proposta fu approvata. Fu quindi stabilito di diramare a 24 diverse Società operaie una circolare, che le invitava a Murten, per discutere ivi l’organizzazione a cui si mirava, e la fondazione d'un organo comune. Le discussioni nella Società operaia di Ginevra, la circolare, le discussioni ad essa relative nelle rimanenti 24 Società operaie, tutto fu trattato pubblicamente, e pubblicamente indetto il Congresso di Murten. Se le autorità svizzere volevano proibirlo, potevano farlo quattro settimane prima della sua adunanza. Ma un colpo di scena poliziesco era nei piani del liberale signor Druey, in cerca di chi potesse ingoiare, per pacificare Tallora minacciosa Santa Alleanza, II. Liebknecbt, che come presidente della Società operaia aveva firmato l’invito al Congresso, godette gli onori di un caporivolta. Separato dagli altri delegati, si ebbe libero alloggio nella torricella più alta della torre di Friburgo, potè rallegrarsi d'un’ampia veduta all’aperto e fruì persino del privilegio di passeggiare un’ora al giorno in cima alla torre. L’unica originalità del suo trattamento si fu la segregazione. La sua ripetuta istanza di venir rinchiuso con gli altri fu ripetutamente respinta. Il Vogt però sa che: la polizia non isola i propri irìoutons, anzi li mischia come a piacevoli compagni tra il gros.

Due mesi dopo, il Liebknecht, con un certo Gebert, fu spedito dal questore di Friburgo a Besando», ove, come il suo compagno, ottenne un passaporto coattivo francése per Londra, con l’ammonimento che sé scartassero dalla strada prevista verrebbero trasportati nell’Algeria. In seguito a questo viaggio imprevisto, il Liebkneeht perdette la maggior parte dei suoi effetti, che si trovavano e Ginevra. Del resto ai signori Castella, Schaller e agli altri dei membri allora in carica del governo friburghese va dovuta l’osservazione che Liebkneeht, non meno di tutti i prigionieri di Murten, fu trattato affatto umanamente. Quei signori si rammentavano ch’essi medesimi, qualche anno prima, erano ancora prigioni o esuli, e dichiararono apertamente il loro orrore del servizio di birri a loro affidato dal Gran cotto Druey. I fuggiaschi imprigionati non furono trattati come se l’aspettavano i parlamentari fuggitivi. Un giovane tuttora residente in Isvizzera, un certo H…, compagno dei parlamentari, si trovò quindi indotto a pubblicare un libello, in cui denunciava i prigionieri in generale e il prigioniero Liebkneeht in particolare per idee “rivoluzionarie„ oltre i limiti della ragion parlamentare. E “Carlo il Temerario„ pare ancora inconsolabile del “riguardo tutto speciale„ con cui fu trattato il Liebknecht.

Il plagio caratterizza il nostro “Temerario„ in tutta quanta la sua fabbricazione libraria. Così nel nostro caso. I liberali svizzeri, infatti, usavano di “liberalizzare„ regolarmente le loro pedate d’espulsione mediante un epilogo della moucharderie contro le proprie vittime. Dopoché il Fazy ebbe espulso lo Struve, lo denunciò pubblicamente per “spia russa„. Così il Druey qualificò il Boichot di mouchard francese. Similmente il Tourte contra Schily, dopoché l’ebbe fatto improvvisamente agguantare per la strada a Ginevra, per spedirlo alla Tour des Prisons in Berna. “Le commissaire maire federal Monsieur Rem exige votre expulsión„ rispose il potentissimo Tourte alla domanda dello Schily sulle cause della brutalità perpetrata a suo danno. Schily: “Alors mettez-moi en prèsence de Monsieur Rem„. Tourte ‘‘Non, nous ne voulons pas que Monsieur le commissaire federai fasse sa pólice à Genève„. La logica di tale risposta era in tutto degna della penetrazione con cui il medesimo Tourte, essendo ministro svizzero a Torino, nel tempo in cui la cessione di Nizza e della Savoia era ormai un fatto compiuto, scriveva al suo presidente federale che il Cavour lavorava con mani e piedi contro tale cessione. Ma forse allora certe circostanze ferroviarie diplomatiche avevano diminuito la misura normale di penetrazione del Tourte. Appena lo Schily fu nel più duro secret a Berna, il Tourte cominciò a “liberalizzare„ la sua brutalità poliziesca, mormorando all’orecchio degli esuli tedeschi, per esempio del dott. Fink. “che lo Schily s’era trovato in relazione segreta col Rem, che gli aveva denunciato dei profughi a Ginevra -, ecc. Lo stesso Independant di Ginevra contava allora tra i notori peccati del governo di Ginevra “la sistematica denigrazione degli esuli, elevata a massima di governo„. (Vedi Appendice 1a).

Subito dopo i primi reclami della polizia tedesca il liberalismo svizzero offese il diritto di asilo — ed aveva concesso il diritto d’asilo sotto condizione che il resto dell’esercito rivoluzionario combattesse l’ultima sua battaglia su terreno badese — cacciando i cosiddetti “capi„. Più tardi toccò ai “sedotti„. Migliaia di soldati badesi ottennero, sotto falsi miraggi, dei passaporti per la patina, ove furono immediatamente presi in consegna dai gendarmi, che sapevano in precedenza il che, il d’onde e il come. Poi vennero le minacce della Santa Alleanza, e con essa la farsa poliziesca di Murten. Tuttavia il “liberale„ Consiglio federale non osò andar tanto innanzi come il “Temerario Carlo„. Nulla d’una “assemblea rivoluzionaria “ultima organizzazione della Lega„, “periodo definitivo della levata di scudi„. L’istruttoria, che s’era dovuta, per decenza, iniziare, andò in fumo.

“Minacce di guerra„ dall’estero, e “tendenze politico-propagandiste„ ecco tutto quanto l'impacciato “Consiglio federale balbettò a sua scusa in un documento ufficiale„ (Vedi Appendice 2a). I magnanimi atti polizieschi del “liberalismo svizzero„ non raggiunsero per nulla il loro termine con l’“assemblea rivoluzionaria„ di Murten. Il 25 giugno 1861 il mio amico Guglielmo Wolf (il “lupo del Parlamento„ come l’avevano battezzato le “pecore parlamentari„ 7 ) mi scriveva da Zurigo:

“Il Consiglio federale, mediante le sue misure sinora prese, ha ridotto il numero degli esuli da 11,000 a 500, e non avrà tregua, fintantoché non saranno messi fuori, a forza di angherie, tutti quelli che non possiedono precisamente una fortuna considerevole o concessioni speciali„.

I profughi che avevano agito per la rivoluzione stavano in naturale contrapposto con i chiesaiuoli di San Paolo, che avevano uccisa la rivoluzione a forza di ciance. Questi ultimi non si preoccupavano punto di far capitare nelle mani della polizia svizzera i loro avversari.

Il fedele del Vogt, il mostro Ranikel stesso, scriveva allo Schily, dopo l’arrivo di costui a Londra: “Tenti di avere aperte alcune colonne dilli qualche giornale belga per le sue dichiarazioni, e non trascuri di amareggiare il soggiorno americano ai cattivi cani tedeschi (i parlamentari) che si sono venduti per strumenti al gozzuto diplomatico (Druey).

Ora si capisce che cosa intende “Carlo il Temerario„ con le parole: “Lavoro con tutte le mie forze affine di limitare il bighellonaggio rivoluzionario, e di procurare ai profughi un ricetto sia sul continente, sia oltre l’Oceano„. Già nel N. 297 della Neue Reinische Zeitung si legge sotto la data:

Heidelberg, 12 marzo 1849: “Il nostro amico Vogt, propugnatore della sinistra, umorista dell’Impero del presente, dell’Impero in avvenire, il “fido ammonitore„ della rivoluzione, egli si unisce — con alcuni compagni d’opinione? mai più! con alcuni reazionari della più bell’acqua. K a quale scopo? per promuovere, o meglio deportare in America, i “figuri„ che s'indugiano a Strasburgo, a Besançon o in altri punti del confine tedesco… Ciò che il reggimento seiabolesco del Cavaignac stabilisce per pena, questi signori lo vogliono in nome dell’amor cristiano. L’amnistia è morta, viva la deportazione! Naturalmente in tutto ciò non doveva mancare la pia fraus, nel senso che i profughi stessi avevano espresso il desiderio di emigrare, ecc. Ora però si scrive da Strasburgo al Giornale marittimo che tali desideri di deportazione sollevarono fra tutti i profughi una vera tempesta d’indignazione, e cosi via. Tutti quanti sperano di tornare presto in Germania, e fosse pure col pericolo, come così convenientemente nota il signor Vogt, di doversi associare ad “un’impresa pazzesca„.

Ma basti del “Congresso rivoluzionario di Murten„ e di “Carlo il Temerario„.  

3. — Cherval.

«The virtue of this jest will be the incomprehensible lies
that this same fat rogue will tell us» 8.

Nelle mie Rivelazioni sul processo dei comunisti a Colonia uno speciale capitolo tratta della congiura Cherval. In essa dimostro come lo Stieber col Cherval (pseudonimo di Kremer) per istrumento, col Sarlier, col Greif e col Fleurv per ostetrici, mise alla luce la cosiddetta congiura settembrina franco-tedesca a Parigi, per sopperire alla mancanza lamentata dal “Senato accusatore a Colonia„, d’uno stato di fatti aggettivo„ per l’accusa contro i “detenuti in Colonia„ 9.

Le prove, che fornii alla difesa durante il processo di Colonia, circa il nessun rapporto tra lo Cherval da una parte, e me e gli accusati di Colonia dall’altra, erano così evidenti che lo stesso Stieber, che ancora il 18 ottobre (1852) aveva giurato sul suo Cherval, il 23 ottobre 1852 (Vedi pag. 29 delle Rivelazioni) lo sconfessava già. Messo alle strette, rinunziò al tentativo di identificare con noi lo Cherval e la sua congiura. Lo Stieber era lo Stieber, ma non era ancora il Vogt.

Ritengo del tutto inutile ripetere qui le mie spiegazioni sulla cosiddetta congiura di Settembre, da me date nelle Rivelazioni. Ai primi di maggio 1852 lo Cherval ritornò a Londra, d’onde a principio dell’estate 1850 erasi traslocato a Parigi per ragioni di commercio. La polizia di Parigi lo fece scappare pochi mesi dopo la sua condanna del febbraio 1852. A Londra fu sulle prime salutato martire politico dall’Associazione tedesca per la cultura operaia, da cui io ed i miei amici eravamo usciti sin dalla metà dei settembre del 1850. Senonchè l'illusione non durò a lungo. Ben presto si chiarirono i suoi eroismi parigini, e ancora nel corso dello stesso mese di maggio fu espulso dall’Associazione in seduta pubblica, come infame. Gli accusati di Colonia, incarcerati sin dai primi del maggio 1851, erano tuttora in carcere preventivo. Da una notizia che la spia Berkmann aveva da Parigi inviata al suo organo, la Kölnische Zeitung, rilevai come la polizia prussiana cercasse a posteriori di formare un legame tra lo Cherval, la sua congiura e gli accusati di Colonia. Mi misi quindi alla ricerca di notizie sullo Cherval. Accadde che quest’ultimo, nel luglio 1852, si offerse al signor di R…, già ministro sotto Luigi Filippo e noto filosofo eclettico, come agente orleanista. Le relazioni, che il signor di R… manteneva colla Prefettura di polizia di Parigi, lo misero in grado di ottenere da lì gli estratti del dossier Cherval. Nelle relazioni di polizia francese lo Cherval veniva designato come “Cherval nommé Frank, dont le veritable nom est Kremer„. Risultava come avesse lungo tempo funzionato quale agente dei duca di Hatzfeldt, ambasciatore prussiano a Parigi; come fosse il traditore del complot franco-allemand e ora contemporaneamente spia francese, ecc. Durante i dibattimenti del processo di Colonia, comunicai tali notizie a uno dei difensori, l’avv. Schneider II, e lo autorizzai a nominare, in caso di bisogno, la fonte onde le traevo. Allorché lo Stieber, nella seduta del 18 ottobre, giurò che l’irlandese Cherval, di cui egli stesso dichiarava che nel 1845 era stato prigione in Aquisgrana per saldo di cambiali, si trovava tuttavia in carcere a Parigi, il signor Schneider II, a volta di corriere, gli comunicò come il prussiano del Reno Kremer, sotto il pseudonimo Cherval, forse “tuttora„ a Londra, comunicasse giornalmente col luogotenente di polizia prussiano Greif, e come delinquente prussiano condannato sarebbe subito estradato dall’Inghilterra su reclamo del governo prussiano. Il suo trasporto come testimonio a Colonia avrebbe ìovesciato tutto il sistema Stieber.

Messo alle strette dallo Schneider II, allo Stieber parve finalmente, il 23 ottobre, d’aver sentito come il Cherval fosse fuggito da Parigi, ma giurò e spergiurò di non aver notizie del luogo di soggiorno dell’irlandese, nonché della sua alleanza colla polizia prussiana. Effettivamente lo Cherval era allora addetto al Greif in Londra mediante un assegno settimanale fisso. I dibattimenti provocati dalle mie notizie nella Corte d’Àssise di Colonia sul “mistero Cherval„ cacciarono quest’ultimo da Londra. Sentii che aveva iniziato un viaggio di missione poliziesca a Jersey. L’avevo poi perduto di vista da un pezzo, quando a caso rilevai da una corrispondenza ginevrina della Repubblica dei lavoratori, pubblicata a Nuova York, che nel marzo 1853 il Cherval, sotto il nome di Nugent, era rientrato a Ginevra, e uscitone di nuovo nell’estate 1854. Si trovò dunque a Ginevra presso il Vogt, alcune settimane dopo che a Basilea, dallo Schahelsitz, erano comparse le mie Rivelazioni, che lo compromettevano.

Ora torniamo al pasticcio storico di Falstaff.

Il Vogt fa comparire lo Cherval addirittura a Ginevra, dopo la finta fuga da Parigi, e dopoché lo aveva fatto “spedire„ da Londra a Parigi, “pochi mesi„ prima della scoperta della congiura di settembre, a mezzo della Lega segreta comunista (pag. 172 l. e.). Se lo spazio tra il maggio 1852 e il marzo 1853 scompare per tal modo affatto, quello tra il giugno 1850 e il settembre 1851 si riduce a “pochi mesi„. Che cosa non avrebbe dato lo Stieber per un Vogt, che alle assise di Colonia gli avesse giurato che la '“Lega comunista segreta di Londra„ aveva, nel giugno 1850, mandato lo Cherval a Parigi, e che cosa non avrei dato io, a vedere il Vogt a sudare sul banco dei testimoni accanto al suo Stieber! Piacevole compagnia il giuratore Stieber, col suo uccello Grifone10, il suo Wermuth, il suo grillo11 e il suo Bettelvogt12. A Ginevra il vogtiano Cherval portò “raccomandazioni a tutti i conoscenti di Marx e C., dei quali il signor Nugent fu ben presto inseparabile„ (pag. 173). Egli alloggia presso la famiglia d’un corrispondente dell'Allgemeine Zeitung, e trova, probabilmente in seguito alle raccomandazioni da me ottenute (le Rivelazioni), accesso presso il Vogt, che lo impiega come litografo (pag. 173 l. c.) ed in certo modo entra secciai, come prima coll’arciduca Giovanni e poi con Plon-Plon, '“in rapporto scientifico„. Un giorno, occupato nel “gabinetto„ del reggente l’Impero, il “Nugent„ viene da un “conoscente„ riconosciuto per Cherval e designato agent provocateur. Infatti il Nugent a Ginevra non si occupava solamente del Vogt, ma anche della “fondazione d’una società segreta„.

“Il Cherval-Nugent presiedeva, teneva i protocolli e la corrispondenza con Londra (pag. 175 l. c.). Aveva tratto nel segreto alcuni operai meno intelligenti, bravi del resto„ (ib.), ma “tra i membri trovavasi ancoro un affiliato della cricca marxista, che tutti designavano come un inviato sospetto delie polizie tedesche„ (l. c.).

“Tutti i conoscenti„ di Marx, da cui il Nugent-Cherval era “inseparabile„ si trasformano ad un tratto in “un affiliato„, il quale unico affiliato da parte sua si scompone poi negli “affiliati del Marx rimasti a Ginevra„ (pag. 176) coi quali il Nugent poi non solo “mantiene corrispondenza da Parigi„ ma, come magnete, li “attira nuovamente seco„ a Parigi.

Quindi eccoci di bel nuovo al prediletto “cambiamento di forma„ della stoffa inamidata di Kendal-Green!

Quello che lo Cherval aveva per fine colla sua società era la fabbricazione in massa di biglietti di banca e di cedole del tesoro falsi, per minare, mediante la loro emissione, il credito dei depositi e rovinarne le finanze (pag. 175 l. c.).

Lo Cherval, a quanto pare, emulava il celebre Pitt, il quale, coni e noto, durante la guerra antigiacobina, aveva impiantato una fabbrica di falsi assegnati francesi, non lungi da Londra. “Già il Nugent stesso aveva a tal fine incise alcune tavole di pietra e di rame, già erano destinati i creduli membri della lega segreta che con pacchi di queste — tavole di pietra o di rame? — no, dì queste false cedole di banca (naturalmente i biglietti di banca venivano impaccati prima di essere fabbricati) — dovevano recarsi in Francia, in Svizzera e in Germania„ (pag. 175), ma già il Vogt-Cicerone stava eolia spada snudata dietro al Catilina-Cherval. È una caratteristica propria di tutte le nature alla Falstaff, che non solo sono gonfi, ma si gonfiano. Si vede come il nostro Rodomonte, che aveva già limitato il “bighellonaggio rivoluzionario„ nella Svizzera, e procurato a interi carichi di profughi un ricetto oltre l’Oceano, si vede come si mette in scena, come si melodrammatizza, come rende infinita l’avventura del pugilato parigino dello Stieber (vedi Rivelazioni) col Cherval! Così stava in guardia, così menava il brando!

“Il piano di tutta questa congiura (pag. 176 l. c.) era preparato nel modo più perfido„.

Infatti a tutte le Società operaie dovevasi attribuire il progetto del Cherval Già “s’erano avute domande confidenziali da parte di ambasciate estere„, già si voleva “compromettere la Svizzera, e segnatamente il cantone di Ginevra„. Ma il Vogt del paese vegliava. Egli compì la sua prima salvazione della Svizzera, esperimento che ripetè poi varie volte e sempre con crescente successo. “Non nego — esclama il grave uomo — non nego che ho contribuito, per quanto era in me, a sventare queste diavolerie; non nego che a tale scopo ho impegnato la polizia della repubblica di Ginevra; deploro ancora oggi (Cicerone inconsolabile) che lo zelo di alcuni illusi servisse d’ammonimento all’astuto istigatore, dimodoché potè darsela a gambe prima della sua cattura Ad ogni modo però il signor Vogt-Cicerone aveva sventata la catilinaria congiura, salvata la Svizzera e “contribuito„ per quanto era in lui.

Dopo poche settimane, secondo il suo racconto, lo Cherval rispuntò a Parigi, “ove non si nascondeva affatto, ma viveva pubblicamente come un qualsiasi cittadino„ (pag. 176 l. c.). Si sa quanto pubblicamente vivano i cittadini (citoyens) del contraffatto empire.

Mentre lo Cherval se ne va così “pubblicamente„ per Parigi, bisogna che poor Vogt si nasconda, in tutte le sue gite parigine, nel Palais Royal, sotto la tavola di Plon-Plon.

Ora io deploro davvero di dover far seguire alla potente smargiassata del Vogt la lettera infrascritta di Giovan Filippo Becker, L’attività rivoluzionaria di Giovan Filippo Becker, il veterano dell’emigrazione tedesca, dalla festa d’Hambacher alla campagna per la costituzione dell’Impero, durante la quale combattè come capo del 5° corpo d’esercito (una voce al certo non parziale, quella della Berliner Milìtair Wochenschrift, contiene una testimonianza del suo operato militare) è troppo universalmente nota perchè occorra da parte mia una parola sull’autore della lettera. Noto quindi solamente che il suo scritto era diretto all’amico mio negoziante signor R… in Londra; che Giovan Filippo Becker mi è personalmente ignoto nè fu mai meco in relazione politica; finalmente che sopprimo l’introduzione della lettera, contenente cose d’affari, come pure la maggior parte di quanto si riferisce alla “Banda dello zolfo„ ed ai “Bürstenheimer„, già noti per le precedenti pubblicazioni (L’originale della lettera giace in Berlino con i miei atti processuali).

«Parigi, 20 marzo 1860.

“… questi giorni mi capitò fra mani l’opuscolo di Vogt contro Marx. Tale scritto mi ha addolorato, tanto più in quanto vedo la storia della cosiddetta “Banda dello zolfo„ e il famigerato Cherval, che per il mio soggiorno a Ginevra in quel tempo conosco esattamente, totalmente svisata e in ingiusta maniera messa in relazione con l’attività politica dell’economista Marx. Questo signor Marx nè lo conosco personalmente nè ebbi con lui alcun contatto; per contro già da venti anni conosco il signor Vogt e la di lui famiglia, sicché mi trovo, per relazioni amichevoli, ben più vicino a quest’ultimo; tuttavia debbo amaramente lamentare e condannare nel modo più reciso la leggerezza e la poca coscienza con cui il Vogt scende in questa lotta. Valersi come mezzo di guerra di fatti snaturati o persino finti, è indegno d’un uomo. Fa proprio pena vedere come il Vogt, nella sua improntitudine, distrugge, quasi suicida, una più bella attività, fa sfigurare e compromette posizione e riputazione, e ciò anche quando fosse da assolvere completamente delle accuse d’essere ai servigi napoleonici. Quanto volentieri invece gli avrei augurato tutti i mezzi onesti per liberarsi splendidamente da così gravi accuse! In considerazione di quanto sinora fu fatto in questa poco edificante storia, sento davvero il bisogno di comunicarle una volta tanto, come sta la faccenda di questa “Banda dello zolfo„ e del pulito signor Cherval, acciocché lei stesso possa giudicare sino a che punto il Marx può avere una qualsiasi responsabilità della loro esistenza ed attività.

“Dunque una parola sul sorgere e tramontare della “Banda dello zolfo„ della quale è difficile altri possa dare migliori informazioni di me. Durante il mio soggiorno a Ginevra in quell’epoca, non solo per la mia posizione avevo a priori ogni occasione di vedere gli atti e fatti dell’emigrazione; ma, già attempato, con l’intento fisso alla cosa pubblica, avevo anche uno speciale interesse di seguirne attentamente tutti i movimenti, per prevenire ed impedire possibilmente, ove del caso, tutte le imprese insensate, tanto perdonabili per lo stato degli animi così eccitati, talmente disperati per la sventura. Sapevo bene, dopo una esperienza di trent’anni, qual ricca dote d'illusioni reca seco ogni emigrazione.

(Ciò che qui segue è sostanzialmente anticipato nelle lettere del Borkheim e del Schily).

“... Ora per ischerzo e per ischerno chiamavano quella società, essenzialmente di bighellonaggio, la “Banda dello zolfo„. Era questa una riunione di gente accozzata a caso, improvvisata, senza presidente nè programma nè statuto nè dogma. Di lega segreta, come in genere d’un qualsiasi fine politico o altro da seguirsi sistematicamente non c'era neppur l’idea; anzi pubblicamente, e con una schiettezza e lealtà esagerata, miravano all’effetto sino all’eccesso. Ancor meno erano in qualsiasi relazione col Marx, che da parte sua non poteva certo saper nulla della loro esistenza, e col quale, di più, divergevano grandemente nei concetti politico-sociali. Anche quei ragazzi mostravano allora un bisogno d’indipendenza spinto sino alla presunzione, dimodoché difficilmente si sarebbero subordinati a qualsiasi autorità, sia in teoria sia in pratica; avrebbero messo in burletta i paterni ammonimenti del Vogt e schernito le istruzioni tendenziose del Marx. Io ero tanto più esattamente informato di tutto quanto accadeva nel loro Circolo, inquantochè mio figlio maggiore aveva quotidiano contatto coi loro caporioni.... Del resto, tutto il giuoco della banda sbandata non durò oltre l’inverno 1849-50; la forza delle circostanze sparpagliò i nostri eroi in tutte le direzioni.

“Chi avrebbe potuto supporre che la “Banda dello zolfo„ da un pezzo caduta in oblio, sarebbe stata risuscitata dal signor prof. Vogt dopo un decenne sonno, per diffondere su supposti avversari cattivo odore, che dei giornalisti compiacenti avrebbero poi con voluttà trasportato, quasi conduttori elettro-magneto-simpatici? Persino il signor von Vineke, liberale per eccellenza, in occasione della questione italiana, si è empita la bocca della “Banda dello zolfo„ e ne ha edotta la modesta Camera prussiana. E la cittadinanza di Breslavia, del resto tanto riputata, o non ha, in sancta semplicìtas, celebrata una carnevalata in onore della “Banda dello zolfo„, affumicando la città con tizzoni intrisi di zolfo, per simbolo della sua gagliardia di pensamenti?

Povera, innocente “Banda dello zolfo„! che dovevi dopo la tua beata fine, crescere nolens volens alle dimensioni d’un vulcano, farla da spauracchio per cacciare i sudditi timidi nelle braccia della polizia, vulcanizzare le teste bislacche di tutto il mondo, carbonizzare fino allessa ogni cervello bruciato, così che il Vogt stesso, se non erro, se n’è per sempre scottata la bocca.

E adesso veniamo al Kremer, vulgo Cherval. Questo farabutto comune e politico-sociale venne a Ginevra nel 1858, e precisamente in qualità d’inglese, sotto il nome di Nugent. Era questo il casato della sua sedicente moglie, che l’accompagnava ed è davvero inglese. Egli parla correntemente l’inglese ed il francese, ed evitò per un pezzo di parlar tedesco, parendo premergli immensamente di passare per un inglese puro sangue. Da abile litografo e cromografo, introdusse, così si vanta, quest’ultima arte a Ginevra. Nel tratto è abile, sa farsi valere e presentarsi con vantaggio. Ben presto trovò occupazione sufficiente presso professori dell’Accademia per disegni di soggetti di storia naturale e d’antichità. Dapprincipio visse molto ritirato, dopo cercò relazioni quasi esclusivamente tra i profughi francesi ed italiani. Io fondai allora un Office de renseignements e un giornale, Le Messager du Léman, ed avevo per collaboratore un profugo badese di nome Stecher, prima direttore d’una scuola tecnica. Aveva costui uno speciale talento pel disegno, e, tentò, per migliorare i suoi proventi, di perfezionarsi nella cromografìa; trovò infatti il maestro nell’inglese Nugent. Lo Stecher mi raccontava spesso le più belle cose dell'abile, cortese e generoso inglese, e della piacevole, graziosa sua compagna. Inoltre lo Stecher era maestro di canto nella Società di coltura operaia e occasionalmente vi portava il suo maestro Nugent, ove ebbi il piacere di fare la sua conoscenza, e ove si degnò di parlare tedesco, anzi cosi correntemente colla parlata del Basso Meno che io gli dissi: “Ma lei non è inglese neppur per sogno„. Egli tuttavia v'insistette, dichiarando che i suoi genitori l’avevano mandato giovanissimo in un convitto di Bonn, ove era rimasto fino a 18 anni, appropriandosi quel dialetto. Lo Stecher, che fino all’ultimo rimase entusiasta di quel “caro„ uomo, lo aiutò pure a farsi credere inglese. In quanto a me, invece, quel procedere mi rese assai diffidente verso il sedicente figlio d’Albione, e consigliai prudenza in seno alla Società. Più tardi trovai l’inglese in compagnia di profughi francesi, e capitai per l’appunto mentre si vantava delle sue gesta durante le sollevazioni parigine. Fu questa la prima volta in cui vidi che si occupava anche di politica. Ciò me lo rese ancor più sospetto, ed io misi in canzonella il coraggio da leone con cui si vantava d’aver combattuto, per dargli occasione di affermarlo anche di fronte a me in cospetto dei francesi; ma, poiché pigliava il mio scherno mordace piuttosto con un coraggio da cane, mi divenne anche spregevole.

Da allora mi evitava, potendo, completamente. Intanto, con l'aiuto dello Stecher, organizzava delle feste da ballo in seno alla Società operaia tedesca, aggregandosi gratis anche alcuni dilettanti di musica, un italiano, uno svizzero ed un francese. In questi balli ritrovai l’inglese da vero maître de plaisir nuovamente e completamente nel sito elemento; perchè divertirsi pazzamente e piacere alle signore era più affare suo che il valore leonino. Nella Società operaia però non faceva politica; non faceva che ballare e saltare, che ridere, bere e cantare. Intanto seppi dal lavorante orefice Fritz del Würtemberg, che l’ “inglese arcirivoluzionario„ aveva fondato una lega consistente di lui (Fritz), un altro tedesco, diversi italiani e francesi, in tutto circa 7 membri. Scongiurai il Fritz di non mischiarsi in cose serie con quel funambolo politico, d’uscir subito dalla lega e di indurre i consoci a fare altrettanto. Qualche tempo dopo, il mio libraio mi mandò un opuscolo dei Marx sul processo dei comunisti in Colonia, ove lo Cherval era fortemente tratteggiato nella sua qualità di Kremer, e duramente bistrattato come furfante e traditore. Subito mi venne il sospetto che il Nugent fosse Cherval, specialmente perchè in quello scritto risultava del Reno, il che corrispondeva al suo dialetto, e che convivesse con una inglese, cosa che concordava ugualmente. Comunicai subito il mio sospetto allo Stecher, al Fritz e ad altri, e feci a tal uopo circolare l’opuscolo. La diffidenza verso il Nugent si propagò rapidamente; lo scritto del Marx fece il suo effetto. Il Fritz venne ben presto a dichiararmi ch’era uscito dalla “leghetta„ e che gli altri eran per seguire il suo esempio. Mi rivelò anche il fine segreto della medesima. L’ “inglese„ voleva, mediante la riproduzione di biglietti dello Stato, rovinare il credito degli Stati, e, col danaro in tal modo ricavato, mettere in opera una rivoluzione europea, ecc. Verso lo stesso tempo un certo signor Laya, profugo francese, già avvocato a Parigi, teneva delle conferenze sul socialismo. Il Nugent le frequentava; il Laya, suo difensore nel processo di Parigi, lo riconobbe per Cherval, e glielo dichiarò senz'altro, il Nugent pregò caldamente che non lo tradissero. Seppi questa circostanza da un esiliato francese, amico del Lava, e ne feci subito ovunque la comunicazione. Il Nugent ebbe la sfacciataggine di venire ancora una volta alla Società operaia, ove fu smascherato per Kremer tedesco e Cherval francese e scacciato. Dicono che il Ranickel dì Bingen lo investisse in tal congiuntura con speciale violenza. La polizia dì Ginevra voleva per soprammercato dargli addosso per la “leghetta„ senonchè il fabbricante dei biglietti di Stato era scomparso senza lasciar traccia.

In Parigi, egli stesso, si occupa dì decorazioni in porcellana, e siccome qui mi occupo anch’io di tal ramo, c’incontrammo in commercio. Però trovai nuovamente in lui il medesimo leggero, incorreggibile, fanfarone.

Come però il Vogt potesse osare di mettere in relazione l’attività di questo farabutto a Ginevra con gli sforzi di un Marx, di designarlo come suo socio o strumento, mi riesce davvero inconcepibile; tanto più che si tratta d’un periodo in cui il Marx con quello scritto menzionato aggrediva così recisamente quel bel tipo. È appunto con questo scritto che il Marx lo smascherò e lo cacciò da Ginevra, dove, secondo il Vogt, agiva per lo stesso Marx.

Se penso come fu possibile che il naturalista Vogt potesse prendere simili cantonate, non mi ci raccapezzo. Non è deplorevole di veder distrutta così leggermente, infruttuosamente, da sperperatoli, la bella influenza che il Vogt, per il cospirare casuale delle circostanze, aveva riunita in sè? Vi sarebbe forse da stupirsi se, dopo tali esperienze, tutti accogliessero con sfiducia e sospettassero gli studi naturalistici del Vogt, nel dubbio che le sue conclusioni scientifiche siano fondate, con la stessa leggerezza, con la stessa mancanza, di coscienza, su false ipotesi, anziché su fatti coscienziosamente studiati?

Per far l’uomo di Stato e lo scienziato ci vuol più che l’ambizione, altrimenti anche un Kremer potrebb’essere l’uno e l’altro. Purtroppo, colla sua “Banda dello zolfo„ e il suo Cherval, lo stesso Vogt è disceso a una specie di Cherval. E veramente ambedue hanno un'intima somiglianza per il potentissimo bisogno di vita comoda, di sicurezza personale, di socievole giovialità e di scherzo leggero in cose serie… in attesa di sue pronte cortesi notizie, la saluta con cordiale devozione il suo

G. F. BECKER.

P. S. — Ho or ora riguardato lo scritto del Vogt e vedo con ulteriore stupore che anche ai “Burstenheimer„ son resi tutti gli onori.

In breve le spiegherò ancora come va la faccenda di questa banda…

Inoltre ho ancora visto nell’opuscolo com’egli affermi che il Nugent- Cherval-Kreme sia venuto a Ginevra per incarico dei Marx. Debbo quindi aggiungere come il medesimo, che sino all’ultimo momento del suo soggiorno in Ginevra mantenne la parte dell’inglese, non fece mai lontanamente capire d’essere mai ovechessia stato in rapporto con un profugo tedesco, come infatti non gli avrebbe fatto comodo pel suo incognito. Perfino qui adesso, mentre in fondo può premergliene meno che lì allora, non vuol passar per tale, e rinnega qualsiasi anteriore conoscenza di tedeschi.

Finora credetti sempre che il Vogt si fosse lasciato solamente, alla leggera, mistificare da altri, ma ora la sua condotta mi appare sempre più come una maligna perfidia. Per lui me ne dispiace anche meno, solo che mi fa pena il suo buon padre, vecchio e onesto, cui questa storia per certo procurerà ancora delle ore amare.

L’autorizzo non solo, ma la prego, nell’interesse della verità e della buona causa, di far uso delle mie comunicazioni nella cerchia dei suoi conoscenti.

Sempre cordialmente suo

G. F. BECKER (Vedi Appendice 3a).

4. — Il processo dei comunisti in Polonia.

Dal “Gabinetto„ di reggenza dell’Impero a Ginevra, alla R. Corte d’Assise prussiana in Colonia.

“Nel processo di Colonia il Marx ebbe una parte prominente„.

“In Colonia furono giudicati i suoi collegati„.

Siamo d’accordo.

Il carcere preventivo degli accusati di Colonia era durato un anno e mezzo.

La polizia e l’ambasciata prussiana, lo Hinkeldey con tutta la sua coorte, la Corte e la magistratura, i Ministeri dell’interno e della giustizia, tutti avevano, durante quest’anno e mezzo, fatto gli sforzi più enormi per partorire un corpus delicti.

Qui dunque, nel suo esame del mio “operare„, il Vogt disponeva in certo modo dei mezzi dello Stato prussiano, e possedeva persino un materiale autentico nelle mie Rivelazioni sul processo dei comunisti a Colonia (Basilea, 1853), di cui trovò una copia nella Società operaia di Ginevra, che tolse a prestito e “studiò„.

Questa volta dunque il fanciullo Carlo non mancherà di diventare terribile per me!

Ma no! Questa volta il Vogt si trova “impacciato„, spara un paio delle sue genuine palle a fumo e a puzza13, e balbetta poi, frettoloso di battere in ritirata:

“Il processo di Colonia non ha per noi speciale importanza„ (pagina 172 del Libro principale).

Nelle rivelazioni non poteva evitare di attaccare, tra altri, anche il signor A. Willich. Il Willich nel Giornale criminale di Nuova York, 28 ottobre 185814 comincia la sua autodifesa caratterizzando il mio scritto come “una magistrale critica del Forrido procedere della polizia centrale della Confederazione germanica J. Sehatelitz tìglio, editore dell’opuscolo, mi scrisse dopo ricevuto il mio manoscritto, in data 11 dicembre 1852: “Le sue rivelazioni sulle infamie poliziesche sono insuperabili. Ella ha posto all’odierno regime in Prussia un monumento perenne„. Egli aggiunge che il suo giudizio veniva condiviso da persone competenti, e a capo di questi “competenti„ stava un attuale amico ginevrino del signor Carlo Vogt.

Sette anni dopo la pubblicazione, lo stesso scritto indusse il signor Eichhoff di Berlino, a me totalmente ignoto — il quale Eichhoff com'è noto, si trovava in giudizio, imputato di calunnie contro lo Sticher — alla seguente dichiarazione durante il dibattito: “Che avendo fatto profondi studi sui processo dei comunisti in Colonia, doveva non solo mantenere completamente l’anteriore sua affermazione aver prestato lo Stieber un falso giuramento, ma estenderla nel senso che tutta la deposizione dello stesso Stieber era falsa… La condanna degl'imputati di Colonia essere seguita solo in conseguenza delle deposizioni dello Stieber… Tutta la deposizione dello Stieber essere uno spergiuro logicamente eseguito„ (Appendice l° della Berliner Vossische Zeitung, 10 maggio 1860).

Il Vogt medesimo confessa: “Egli (il Marx) si dette tutta la pena immaginabile per trasmettere ai difensori degl'imputati materiali ed istruzioni per la condotta del processo… Com’è noto, ivi (a Co-lonia) si produssero dagli agenti Stieber, Fleury, ecc., dei documenti falsi, composti da loro, come “prove„, e in genere si scoperse tra questa marmaglia poliziesca un abisso di corruzione da far rabbrivi-dire„ (pag. 169, 170 del Libro principale).

Se il Vogt dimostra il proprio odio contro il colpo di Stato mediante la propaganda a favore del bonapartismo, perchè non dovrei io dimostrare “il mio accordo„ con la polizia segreta mediante rivelazione della sua sconfinata corruzione? Se la polizia avesse posseduto delle prove autentiche, perchè fabbricarne di false?

Ma, insegna il prof. Vogt, “ciononostante il colpo ferì solo i collegati marxisti in Colonia, solo il partito Marx„.

In verità, Polonio! Non aveva quel colpo ferito prima un altro partito a Parigi, non ne ferì poi un altro ancora a Berlino (processo Ladendorff) e uri altro ancora a Brema (Lega dei morti), ecc. ecc.?

Per quanto riguarda la condanna degl’imputati, di Colonia, voglio citare un passo relativo delle mie Rivelazioni:

“In origine era stato necessario il miracoloso intervento della polizia, per nascondere il carattere puramente persecutorio del processo. Le presenti rivelazioni — così Saedt (procuratore del re) aperse la discussione — dimostreranno loro, signori giurati, che il processo non è di persecuzione a una tendenza. Ora (alla fine delle discussioni) rileva questo carattere di processo a una tendenza per far dimenticare le rivelazioni della polizia. Dopo l’istruttoria, durata un anno e mezzo, i giurati avevano bisogno d'uno stato oggettivo di fatti per giustificarsi davanti all’opinione pubblica.

Dopo la commedia poliziesca di ben cinque settimane avevano bisogno della “tendenza pura„ per salvarsi dal fango dei fatti. Il Saedt perciò non si limita al solo materiale, che indusse il senato accusatore al suo giudizio: “Non c’è uno stato di fatto oggettivo Egli va oltre. Cerca di dimostrare che la legge contro il complotto non richiede affatto uno stato di fatto, ina è una legge puramente di persecuzione: quindi la categoria del complotto non sarebbe che un pretesto per bruciare gli eretici politici sotto le forme del diritto. Il suo tentativo prometteva maggior successo per l’applicazione del nuovo codice penale, promulgato dopo la cattura degli imputati. Botto il pretesto che il codice conteneva delle disposizioni mitigatici, il servile tribunale poteva consentirne l’applicazione retroattiva. Ma se il processo era un puro processo a una tendenza, perchè l’istruttoria d’un anno e mezzo? Sempre per tendenza„ (pag. 71-72 l. e.).

“Colla rivelazione del libro protocollo fatta dalla stessa polizia prussiana e da questa sostituito, il processo entrava in un nuovo stadio. I giurati non erano più liberi di trovare gli imputati colpevoli o no; bisognava ora dichiarare colpevoli gl’imputati — o il governo.

“Assolvere gl’imputati significava condannare il governo„ (pagina 70 l. c.).

Che il governo prussiano del tempo considerasse la situazione in modo affatto conforme, lo dimostrò una lettera dello Hinkeldey da lui diretta, durante le discussioni di Colonia, all’ambasciatore prussiano in Londra, e ov’era detto che “dalla decisione di questo processo dipende tutta resistenza della polizia politica„. Occorreva quindi una persona che potesse rappresentare dinanzi alla Corte il testimonio R., fuggiasco, e che doveva ricevere per tale rappresentazione un compenso di 1000 talleri. La persona s’era infatti già trovata, allorché giunse una nuova lettera dello Hinkeldey: “Il procuratore del re, data la felice composizione della giuria, sperava di poter ottenere la colpabilità anche senza ulteriori mezzi straordinari, ed egli (Hinkeldey) pregava quindi di non fare altri sforzi„ (Vedi Appendice 4a).

Fu infatti questa felice composizione della giuria di Colonia che iniziò in Prussia il regime Hinkeldey-Stieber. “A Berlino ci sarebbe un contraccolpo se quei di Colonia fossero condannati„; questo la marmaglia poliziesca addetta all’ambasciata prussiana in Londra lo sapeva fin dall’ottobre 1852, sebbene la mina poliziesca a Berlino (congiura Ladendorff) non scoppiasse che alla fine del marzo 1853 (Vedi Appendice 4a).

Gli schiamazzi postumi liberali su un’epoca di reazione son sempre tanto più alti quanto più smisurata fu la vigliaccheria liberale che alla reazione lasciò per anni il campo senza contesa. Così al tempo del processo di Colonia naufragarono tutti i miei tentativi di svelare, nella stampa liberale prussiana, il sistema di falsi dello Stieber. Essa aveva scritto a grossi caratteri sulla propria bandiera: La sicurezza è il primo dovere del cittadino, e sotto questo segno — vivrai.

5. — Festa centrale delle Associazioni tedesche per la cultura operaia in Losanna (26 e 27 giugno 1859).

Il nostro eroe si rifugia con sempre rinnovato piacere nell’...Arcadia. Noi lo ritroviamo in un “angolo remoto della Svizzera„, a Losanna, alla “Festa centrale„ di alcune Società tedesche per la cultura operaia, che fu celebrata alla fine di giugno. Quivi il signor Vogt compì il suo secondo salvamento della Svizzera. Mentre Catalina sta a Londra, il Cicerone dalla variopinta giacca tuona a Losanna: “Jam jam intelligis me acrius vigilare ad salutem, quam te ad perniciem reipublicae„.

Per caso esiste un rendiconto autentico della detta festa, e sulle gesta durante la medesima compiute dalla “natura arrotondata„. Il titolo del rendiconto, compilato dal signor G. Soramel, con la cooperazione del Vogt, è il seguente: La festa centrale delle Associazioni tedesche per la coltura operaia nella Svizzera occidentale (Losanna, 1859) Ginevra, 1859, Markus Vaney, rue de la Croix d’or. — Confrontiamo il rendiconto autentico con il Libro principale, uscito cinque mesi dopo. Il primo contiene l’orazione tenuta dallo stesso Vogt-Cicerone, nella cui introduzione egli svela il segreto dei suo comparire in tale occasione. Egli compare tra gli operai, li arringa, perchè in quest’ultimo tempo sono comparse a suo carico gravi accuse, che, se vere, dovrebbero scuotere completamente la fiducia a suo riguardo, e seppellire completamente la sua attività politica. “Vengo — continua — vengo perciò qui per pronunciare un’aperta parola contro le (suddette) coperte insinuazioni„ (pag. 67 del Rendiconto). Egli è accusato di mene bonapartiste, ha da salvare la sua propria attività politica, e, costante alla propria abitudine, salva la pelle mediante la lingua. Dopo una vuota pappolata d’un’ora e mezzo, si rammenta il monito di Demostene: “l’azione, l'azione, e nuovamente l’azione esser l’anima dell’eloquenza„.

In America c’è una bestiolina chiamata shunk, che nel momento del massimo pericolo possiede una difesa sola: il suo odore offensivo. Se aggredito, sprizza da certe parti del corpo una materia, la cui umidità condanna irremissilmente al rogo le vostre vesti, e se giunge a toccarvi la pelle vi esilia per alcun tempo dal consorzio d’ogni creatura umana. Così visibilmente offensivo è quell’odore, che i cacciatori, appena i loro cani han per caso scovato uno shunk, se la danno a gambe con più impetuosa fretta e con più gran paura che se avessero alle calcagne il lupo o la tigre. Contro il lupo e la tigre ti difendono polvere e piombo, ma per l’a posteriori, dello shunk non c’è cristi.

Quest’è l’azione, dice l’oratore naturalizzato nel “regno animale„ e, schizza il seguente prodotto “schunkiano„ sui suoi supposti persecutori:

“Contro una cosa poi vi metto sull’avviso nel modo più insistente, ed è un piccolo gruppo di scellerati, il cui intento è tutto volto a distogliere l’operaio dalla propria professione, a implicarlo in congiure e -mene comunistiche, e finalmente, dopoché han vissuto dÈ suoi sudori, a gettarlo freddamente (cioè quando il sudore gli sia passato) nella mina. Anche adesso questo gruppetto cerca nuovamente in tutti i modi possibili (in generale quand’è possibile) di tirare nelle sue false reti le Società operaie. Cosa che possano dire (delle mene bonapartiste del Vogt) siate persuasi che ad altro non mirano che a sfruttare l’operaio pei loro fini egoistici e ad abbandonarlo finalmente al proprio destino„ (pagina 18 del Rendiconto, vedi Appendice). La sfacciataggine dello shunk di far vivere me ed i miei amici, che rappresentammo sempre gratis e con sacrificio dei nostri interessi privati gl’interessi della classe operaia, “dei sudori dell’operaio„, non è nemmeno originale. Non solo i mouchards decembrini hanno urlato simili denigrazioni dietro Louis Blanc, il Blanqui, il Raspai!, ecc., ma in tutti i tempi e in ogni luogo i sicofanti della classe dominante han Sempre calunniato in tal modo infame i propugnatori letterari e politici delle classi oppresse (Vedi Appendice 5°).

Dopo questa azione, del resto, la nostra “natura arrotondata„ non riesce più oltre a mantenere il suo sérìeux. Il buffone paragona i suoi “persecutori„ liberi ai “russi prigionieri a Zorndorff„, e se stesso — indovinate! — con Federico il Grande. Il Vogt-Falstaff si ricordò che Federico il Grande fuggì alla prima battaglia cui assisteva. Quanto più grande, dunque, lui, che fuggì senza assistere a veruna battaglia (1) .

Sin qui l’avventura della festa di Losanna, secondo il rendiconto autentico. E dopo “si prenda visione (per parlare col Fischart) della piccicosa, ghiottamente gnoccosa broda e del pasticcio„, il quale pastone eulenspiegeliano-poliziesco egli cinque mesi dopo servì allo spigolistrume tedesco.

“Si voleva ad ogni costo provocare una complicazione in Svizzera; la politica della neutralità doveva ad ogni modo ricevere un colpo.

Fui informato che volevano servirsi della festa centrale delle Associazioni per la coltura operaia per formare un Comitato segreto, che doveva mettersi in relazione con gente delle medesime opinioni in Germania, e prendere Dio sa quali (il Vogt, sebbene informato, non lo sa) misure. Circolavano dicerie sorde e comunicazioni misteriose di intervento attivo degli operai nella politica patria tedesca. Io stabilii immediatamente di opporrai a tali mene, per esortare nuovamente gli operai di non prestare orecchio a ninna proposta di tal genere. Pronunciai pubblicamente alla fine del mio discorso il monito, ecc. (pag. 180 del Libro principale).

Il Vogt-Cicerone dimentica che al principio del discorso ha apertamente spiattellato che cosa lo spinse alla festa: non la neutralità della Svizzera, ma il salvataggio della propria pelle. Non una sillaba, nel suo discorso, sul progettato attentato contro la Svizzera, dei capricci cospiratorii alla festa, del Comitato segreto, dell’attivo intervento degli operai nella politica tedesca, di proposte di questa “o di qualsiasi altra specie„. Nulla di tutte queste stieberate. Il suo monito finale non era che il monito del galantuomo Sykés, che al tribunale di Old Bailey ammoniva i giurati di non prestare orecchio ai “depravati„ detectives che avevano scoperto il suo furto.

“Gli eventi immediatamente susseguenti — dice il Vogt-Falstaff (pag. 181 del Libro principale) — confermano i miei presentimenti„

Come, presentimenti! Ma il Falstaff dimentica di nuovo che qualche riga prima non “presentiva„, ma era stato “informato„ dei piani dei congiurati, e con tutti i particolari! E quali, o angelo presenziente, furono gli eventi immediatamente susseguenti? “Un articolo della Allgemeine Zeitung attribuì alla festa e alla vita degli operai tendenze a cui questi (cioè la festa e la vita) non pensavano neppur lontanamente (Precisamente come il Vogt al Congresso di Murten e in genere alle Associazioni operaie). “In base a tale articolo ed alla sua ristampa nel Frankfurter Journal, seguì una richiesta confidenziale del ministro d’uno Stato della Germania meridionale, in cui alla festa si attribuiva quel significato — che gli aveva appioppato l’articolo della Allgemeine Zeitung e la ristampa del Frankfurter Journal—No, vivaddio! — che secondo le frustrate intenzioni della Banda dello zolfo avrebbe dovuto avere„. Sissignori! Avrebbe dovuto avere!

Benché il confronto superficiale tra il Libro principale e il rendiconto autentico della festa basta per lo scoprimento della seconda salvazione della Svizzera da parte del Vogt-Cicerone, desiderai però d’appurare se mai un qualche fatto — per quanto svisato — gli avesse offerto la materia al suo sviluppo d’energia. Mi rivolsi quindi per iscritto al redattore del rendiconto autentico, signor G. Lommel, in Ginevra. Il signor Lommel deve aver vissuto col Vogt in relazioni amichevoli, poiché non solo redasse col suo ausilio il rendiconto delle feste di Losanna, ma anche in un posteriore opuscolo sulla commemorazione di Schiller e di Roberto Blum, a Ginevra, mascherò il fiasco quivi fatto dal Vogt. In una sua lettera di risposta del 13 aprile 1860, pertanto, il signor Lommel, a me totalmente ignoto, mi scrive: “Il racconto del Vogt di avere sventata a Losanna una pericolosa congiura, è la più pura favola o bugia; egli in Losanna non cercava che un locale per poter parlare e poi far stampare il discorso. In tale discorso che durò un’ora e mezzo, si difese dall’accusa d'essere un bonapartista assoldato. Il manoscritto è presso me in buona custodia„. Un francese che vive a Ginevra, richiesto della medesima congiura vogtiana, rispose brevemente: “Il faut cannaitre cet individu (cioè il Vogt), surtout le faiseur, l’homme importante toujours hors de la nature et de la vérité„.

Il Vogt stesso dice a pagina 99 dei suoi cosiddetti Studi, di non essersi “mai vantato di qualità profetiche„. Ma si vede dall’Antico Testamento che l’asino vide ciò che non aveva visto il profeta. E così si spiega come il Vogt vide la congiura, di cui nel novembre 1859 presenti d’averla “sventata„ nel giugno 1859.  

6. Varie.

“Se la memoria non mi tradisce — dice il Pagliaccio parlamentare — la circolare (cioè una supposta circolare londinese ai proletari in data 1850) era infatti redatta da un partigiano del Marx, il cosiddetto Lupo (Wolf) del Parlamento, e fu fatta capitare nelle mani della polizia. Anche adesso tal Canale rispunta nella storia della circolare “degli amici della patria„ a quei di Gotha„ (pag. 144 del Libro principale).

Un canale che spunta! Prolapsus ani, forse, buffone naturalistico?

Per quanto riguarda il Lupo parlamentare lo vedremo più tardi, perchè il Lupo parlamentare sta come un incubo nella memoria del Pagliaccio parlamentare; egli pubblicò nella Berliner Volkszeitung, nella Allgemeine Zeitung e nella Hamburger Reform la seguente dichiarazione:

«Manchester, 6 febbraio 1860.

“Rilevo dalla lettera d’un amico che la National Zeitung (N. 41, corrente anno) in un articolo di fondo basato su un opuscolo del Vogt, ha portato dinanzi al pubblico il passo seguente:

|“Nel 1850 un altro dispaccio-circolare da Londra, come al Vogt pare di ricordarsi, fu redatto da Wolf del Parlamento, alias Wolf delle Casematte, spedito ai proletari in Germania e contemporaneamente fatto capitare alla polizia annoverese„|.

“Non ho preso visione nè del numero della National Zeitung nè dell’opuscolo del Vogt, e rispondo, quindi, semplicemente riguardo al passo citato:
1°. Nel 1850 vivevo a Zurigo e non a Londra, ove mi trasferii appena nell’estate 1851.
2°. In tutta la vita non ho mai redatto alcuna circolare, nè a “proletari„ nè ad altri.
3°. Per quanto riguarda l’insinuazione circa la polizia annoverese, ricaccio sdegnosamente al suo autore quest’imputazione sfrontatamente inventata. Se il resto del libello del Vogt è ugualmente fetido e bugiardo, come il passo che a me si riferisce, può mettersi degnamente a lato delle falsificazioni d’un Chenu, d’un De la Hodde e consorti.

W. WOLFF„.

Si vede: come Cuvier l’intero scheletro d’un animale da un singolo osso, così il Wolff aveva giustamente ricostruito tutto l’edificio di menzogne del Vogt da una citazione staccata. Invero Carlo Vogt appare tra lo Chenu e il De la Hodde quale primus inter pares.

L’ultima “prova„ del non impacciato Vogt della mia entente cordiale colla polizia segreta in generale, e “le mie relazioni col partito della Kreuzzeitung in particolare„, consiste nel fatto che mia moglie è sorella del ministro prussiano signor di Westphalen (pag. 194 del Libro principale). Or come parare la vigliacca finta del pingue Falstaff? Porse il pagliaccio, perdona a mia moglie il cognato ministro prussiano, quando sente che uno dÈ suoi agnati scozzesi fu decapitato sul mercato d’Edimburgo quale ribelle nella guerra di libertà contro Giacomo II. Il Vogt stesso, com’è noto, porta ancor seco la propria testa grazie solamente ad un errore. Alla, commemorazione di Roberto Blum dell'Associazione tedesca per la coltura operaia in Ginevra (13 novembre 1859) egli infatti narrò “come la sinistra del Parlamento di Francoforte fosse gran tempo indecisa chi dovesse mandare a Vienna, se il Blum o lui. Finalmente la sorte, una pagliuzza tirata, decise per, o meglio, contro il Blum„ (pag. 28, 29 della Commemorazione schilleriana a Ginevra, ecc., Ginevra, 1859). Il 13 ottobre Roberto Blum si recava da Francoforte a Vienna. Il 23 o 24 ottobre una deputazione della estrema sinistra di Francoforte, diretta al Congresso democratico di Berlino, capitò a Colonia. Io vidi quei signori, tra cui si trovavano alcuni parlamentari più intimamente legati colla Neue Reinische Zeitung. Questi ultimi, di cui uno fu poi fucilato per la legge stataria durante la campagna per la Costituzione, l'altro morì in esilio, il terzo vive tuttora, mi mormorano all’orecchio storie sinistramente strane sulle mene del Vogt relativamente alla missione viennese del Blum. Tuttavia

Fa ch’io non parli, fa ch’io taccia,
Poi che il segreto è dovere per me!

La summenzionata commemorazione di Roberto Blum (novembre 1859) a Ginevra fu infausta alla “natura arrotondata„. Allorché entrò nel locale della festa, servilmente, silenescamente circuendo il suo patrono James Fazy, un operaio gridò: “Ecco Heinz e dietro lui Falstaff„. Quando con quel suo bell’aneddoto si rivelò quale alter ego di Roberto Blum, si riuscì solo a fatica a impedire che alcuni operai riscaldati si slanciassero, tempestando, alla tribuna. Quando, finalmente, dimentico come ancora in giugno aveva impedito la rivoluzione, chiamò egli stesso “un’altra volta alle barricate„ (pag. 29 della Commemorazione schilleriana) un'eco ironica ripetè: “Barricate-focacce!„. Però tanto giustamente si sanno apprezzare all’estero le fanfaronate rivolu-zionarie del Vogt, che questa volta mancò l’altrimenti inevitabile “domanda confidenziale d’un ministro della Germania meridionale„, nè comparvero articoli nella Allgemeine Zeitung,

L’intera stieberiata del Vogt, dalla “Banda dello zolfo„ sino al “Ministro A. D.„ rivela quella sorta di maestri cantori di cui Dante scrive:

Ed egli avea del cul fatto trombetta.

IV. — La lettera del Techow.

Che cos’altro cava la “natura arrotondata„ dal

.........................triste sacco
Che merde fa di quel che si trangugia.
DANTE.

Una lettera del Techow, in data: Londra, 24 agosto 1850.

“Non posso far di meglio per caratterizzare le loro mene (cioè della “Banda dello zolfo„) che comunicare qui la lettera d’un uomo che, chiunque l’abbia conosciuto, riconoscerà per galantuomo, e che posso permettermi di pubblicare per la ragione che era (il galantuomo o la lettera?) espressamente destinata ad esser comunicata (a chi?), nè più bau ragione d’essere quei riguardi (da parte di chi?) che prima s’opponevano alla pubblicazione„ (pag. 141 Libro principale).

Il Techow venne a Londra, proveniente dalla Svizzera, alla fine di agosto del 1850. La sua lettera è diretta all’ex-tenente prussiano Schimmelpfennig (allora a Berna) “per esser comunicata agli amici„, cioè i membri della “Centralizzazione„ società segreta che morta da quasi un decennio, era stata fondata in Svizzera da profughi tedeschi, composta in modo vario e fortemente commista ad elementi parlamentari. Il Techow apparteneva a tale Società, non così il Vogt e i suoi amici. Come dunque viene il Vogt in possesso di tal lettera e chi gli conferisce l’autorità di pubblicarla?

Il Techow stesso mi scrive dall’Australia il 17 aprile 1860:

“Ad ogni modo, non ebbi mai occasione di dare al signor Vogt qualsiasi autorizzazione in questa faccenda„.

Degli amici del Techow, cui la lettera doveva comunicarsi, non se ne trovano più in Isvizzera che due. Lasciamoli parlare entrambi:

“E a Schiltf, 20 aprila 1800.
Engaclina Superiore, Cantone dei Grigioni.

“All’apparire dell’opuscolo vogtiano Il mio processo contro l’Allgemeine Zeitung, nel quale è ristampata una lettera del Techow ai suoi amici della Svizzera in data 26 agosto 1860, stabilimmo, noialtri amici, del Techow ancora residenti in Svizzera, di esprimere la nostra disapprovazione di tale non autorizzata pubblicazione della lettera stessa in una missiva al Vogt. La lettera del Techow era diretta allo Schimmelpfennig in Berna e andava comunicata in copia agli amici. Mi rallegro che non c’ingannammo, inquantochè nessuno degli amici del Techow, nessuno che avesse diritto alla sua lettera del 26 agosto, ne ha fatto l’uso che ne fece il casuale possessore della stessa.

“Il 22 gennaio si scrisse al Vogt, disapprovando rinautorizzata pubblicazione della lettera del Techow, protestando contro qualsiasi ulteriore abuso della medesima e richiedendo la lettera stessa. Il 27 gennaio il Vogt rispose “che la lettera del Techow era destinata ad essere comunicata agli amici, che Lamico che l’aveva avuta tra mani gliel’aveva consegnata apposta per la pubblicazione e che restituirebbe la lettera a quello solo da cui l’aveva avuta„.

B. a Schilg, Zurigo, t maggia 1800.

“La lettera al Vogt fu scritta da me, previa intesa con E. — R. non apparteneva agli amici a cui la lettera del Techow era da comunicarsi; dal contenuto della lettera, per altro, il Vogt sapeva che questa era condiretta a me, però s’è ben guardato di chiedere la mia autorizzazione per la pubblicazione„.

Per la soluzione dell’enigma ho risparmiato un passo della lettera, sopra comunicata, dello Schily. Eccolo:

“Debbo parlare di questo Rauicieh perchè per mezzo suo la let-tera del Techow dev’essere passata nelle inani del Vogt, un punto della tua richiesta che a momenti mi sfuggiva. Tale lettera, infatti, era stata diretta dal Techow ai suoi amici con cui aveva vissuto a Zurigo, lo Schimmelpfennig, B., E. Come amico di questi amici e dello stesso Techow l’ebbi più tardi io pure. Nella mia espulsione brutalmente sommaria dalla Svizzera (fui infatti arrestato, senza previa espulsione, nelle vie di Ginevra, e senz’altro portato via) non m’era stato concesso di tornare ancora una volta a casa per riordinare le cose mie. Dalla prigione di Berna scrissi allora a una persona di Muda in Ginevra, il capocalzolaio Thum, perchè pregasse l’uno o l’altro dei miei amici di colà (giacché non sapevo quale di essi fosse eventualmente stato cacciato via insieme a me) di imballare le mie cose e di mandarmene le migliori a Berna, prendendo intanto in temporanea custodia il resto; e raccomandavo l’accurata revisione delle carte, acciocché nella spedizione non mi si inviasse nulla che fosse incapace di resistere al transito per la Francia. Così avvenne, e la lettera del Techow non vi fu unita. Tra quelle carte si trovavano parecchi manoscritti relativi all’opposizione parlamentare d’allora contro il Comitato locale ginevrino per la distribuzione dei denari dell’emigrazione (il Comitato constava di tre cittadini di Ginevra, fra cui il Thum, e di due profughi, il Becker e me) e che il Ranickel, sostenendo egli il Comitato contro i parlamentari, esattamente conosceva. Così avevo pregato il Thum, come cassiere ed archivista del Comitato, di farsi cercare quei manoscritti, frammezzo alle mie carte, dal Ranickel. Pare ora che a quest'ultimo, per tal modo legittimato all’assistenza nella visione delle mie carte, sia capitata in mano la lettera del Techow, in un modo o nell’altro, fors’anche per comunicazione d’uno dei revisori; certamente non impugno il passaggio di possesso, da distinguersi bene dal passaggio di proprietà, da me a lui, ma questo lo sostengo recisamente. Scrissi poi presto da Londra al Ranickel che mi mandasse la lettera; ma egli non lo fece, Da allora data quindi la sua culpa manifesta, dapprima soltanto lieve, ma poi crescente, secondo il grado della sua complicità nella non autorizzata pubblicazione della lettera, a magna o maxima culpa, o perfino al dolo. Che questa pubblicazione non sia autorizzata da nessuno dei destinatari, non ne dubito un momento; del resto, per un di più, ne scriverò ad E. Che Ranickel prestò una mano alla pubblicazione neppur si può mettere in dubbio, data la sua notoria intimità col Vogt; e, se pur non voglia menomamente criticare tale intimità per sè stessa, non posso però fare a meno di notare il suo contrasto coi precedenti. Il Ranickel, infatti, era non solo uno dei più grandi mangiaparlamenti in generale, ma manifestava riguardo al Reggente l’Impero in ispecie gli appetiti più sanguinari. “Bisogna che lo strozzi, quel tipo — gridava — e dovessi per questo esser portato a Berna„; e bisognava, a così dire, mettergli la camicia di forza, per distoglierlo da questo proposito regicida. Ora però che la benda sembra essergli caduta dagli occhi e che di Saulo è diventato Paulo, sono già ansioso di vedere come se la caverà per un altro rispetto, cioè come vendicatore dell’Europa. Ho combattuto una dura lotta — diceva in quei giorni nei quali pencolava tra l’America e l’Europa — ora però è passata: resto e mi vendico!! Trema Bisanzio!

Sin qui la lettera dello Schily.

Il Ranickel, dunque, scava la lettera del Techow di tra la roba lasciata dal profugo Sehily. Nonostante i reclami londinesi di quest’ultimo, la trattiene. La lettera, cosi trafugata, 1’ “amico„ Eanickel la consegna all’ “amico„ Vogt, e F “amico„ Vogt, colla delicatezza di coscienza a lui propria, si dichiara autorizzato alla pubblicazione della lettera, giacché il Vogt e il Ranickél sono “amici„. Chi dunque scrive una lettera da “comunicarsi ad amici„ la scrive di necessità “per gli amici„ Vogt e Ranickél — arcades ambo.

Deploro che questa singolare giurisprudenza mi riconduca a storie mezzo dimenticate e da tempo spente; ma il Ranickél ha cominciato ed io debbo seguirlo.

La “Lega dei comunisti„ fu fondata nel 1836 a Parigi, in origine sotto altro nome. L’organizzazione, come venne gradatamente a formarsi, era la seguente. Un certo numero d’individui formavano un “Comune„ diversi Comuni della stessa città un “Circolo„, un maggiore o minor numero di Circoli si aggruppava intorno ad un “Circolo dirigente„ a capo di tutto stava il “Comitato centrale„, eletto in un congresso di deputati dei singoli Circoli, ma autorizzato a completarsi da sé e ad eleggere provvisoriamente, in casi urgenti, i propri successori. Il Comitato centrale trova vasi prima a Parigi, poi, dal 1840 al principio del 1848, a Londra. I presidenti dei Comuni e dei Circoli, come del Comitato centrale stesso, erano tutti eletti. Tale costituzione democratica, affatto inadatta a società segrete di cospirazione, non era almeno inconciliabile col compito d’una società di propaganda. L’attività della Lega consisteva anzitutto nella fondazione di Associazioni pubbliche tedesche per la cultura operaia, e la maggior parte delle società di tal genere ancora esistenti nella Svizzera, in Inghilterra, nel Belgio e negli Stati Uniti, furono, o direttamente fondate dalla Lega, o suscitate da antichi membri di essa. La costituzione di tali società operaie è quindi dappertutto la medesima. Un giorno della settimana fu destinato alla discussione, un altro a passatempi sociali (canto, declamazione, ecc.). Dappertutto furono fondate biblioteche.

“Inoltre il Willich era così poco accorto da lodare sempre, all’appello, i suoi vecchi seguaci, abbassando invece i nuovi, il che procurava continue liti; anzi una volta disse persino, all'appello, che i prussiani erano assai superiori ai tedeschi meridionali per testa, cuore e corpo, o, com’egli si espresse, per forza fisica, morale ed intellettuale. I meridionali invece avevano la bonarietà; voleva dire stupidaggine, ma gliene mancò la forza. Con ciò il Willich amareggiò terribilmente i tedeschi meridionali, ossia la gran maggioranza. Per ultimo la più grossa.

“Allorché, quindici giorni fa, la 7a compagnia consentì ancora per una notte il quartiere nella camerata ad un membro dal Willich di sua autorità espulso dalla caserma, di nome Baroggio, e lo tenne quivi nonostante la proibizione di lui, mantenendo tale disposizione contro i partigiani del Willich, dei sarti fanatici, il Willich comandò che si portassero delle funi e si legassero i ribelli. Le funi furono infatti portate. Ma, per eseguire interamente il comando, sin qui ci arrivava bene la volontà, non la potenza del Willich… Son queste le ragioni della presente uscita.

“Non per accusare il Willich abbiamo scritto quanto sopra. Poiché il suo carattere e le sue intenzioni son buone, e molti di noi lo stimano; ma il modo con cui tenta di giungere ai suoi fini e i mezzi che adopera non ci piacquero tutti. Il Willich ha ottime intenzioni. Ma considera sé stesso come la sapienza e l'ultima ratio, e tutti quelli che gli resistono, sia pure in piccolezze, come sciocchi o traditori. Insomma, egli non riconosce alcuna opinione, fuorché la sua. È un aristocratico intellettuale e un despota, allorché qualcosa gli par buona; e in tal caso difficilmente retrocede da alcun mezzo. Ma di ciò basti: ora lo conosciamo. Ne conosciamo i lati forti e i deboli, e perciò non siamo più a Besançon. Inoltre tutti, lasciando Besançon, dichiarammo di separarci dal Willich, ma di non uscire dall’Unione d'armi tedesca “Aiutati!„.

“Ugualmente quei di Vesoul…

“Coi sensi della nostra perfetta considerazione chiudiamo, inviando il saluto fraterno e la stretta di mano della Colonna di Nancy.

“Approvato nell’assemblea generale del 13 novembre 1848.

“Nancy, 14 novembre 1848.
“In nome e per incarico della Colonna

Il Segretario: V.....„.

Ora torniamo alla lettera del Techow. Il veleno della sua lettera, come di altri rettili, è nella coda, cioè nel poscritto del 3 settembre (1850). Tratta di un duello di un mio amico, troppo presto mancato, Corrado Sehramm, col signor Willich. Nel suo duello, che seguì al prindipio del settembre 1850, in Anversa, il Techow e il francese Barthélemy figuravano da padrini. Il Techow scrive allo Sehiminelpfennig “per comunicarsi agli amici„: “Coloro (cioè il Marx e il suo seguito) hanno scatenato il loro campione Sehramm contro il Willich, che lo ha (il Techow vuol dire “che n’è stato„) attaccato con le ingiurie più plebee, e finalmente sfidato a duello„ (pag. 156-157 del Libro principale).

La mia confutazione di questo stupido pettegolezzo sta stampata da sette anni nel su citato opuscolo: Il cavaliere dal generoso sentire, Nuova York, 1853.

Allora lo Sehramm viveva ancora. Si trovava, come il Willich, negli Stati Uniti.

Il padrino del Willich, Barthélemy, non era ancora impiccato; il padrino dello Sehramm, il bravo ufficiale polacco Miskowski, non era ancora arso, e il signor Techow non poteva aver dimenticata la sua circolare “da comunicarsi agli amici„.

Nel suddetto opuscolo trovasi una lettera dell’amico mio Federico Engels, in data: Manchester, 23 novembre 1853, che alla fine dice:

“Nella seduta del Comitato centrale, che finì con la sfida fra lo Schramm e il Willich, avrei io (l’Engels, a detta del Willich) commesso il reato, di aver “abbandonato la «ala„ poco prima di quella scena, quindi di aver preparata tutta quanta la scena, Prima era il Marx (secondo il Willich) che avrebbe “aizzato„ lo Schramm; adesso, per cambiare scena, sarei stato io. Un duello tra un vecchio tenente prussiano pratico di pistole, e un commerciante, che forse non aveva mai tenuto una pistola in mano, era davvero una misura stupenda per “toglier di mezzo„ il tenente. Ciò nonostante, l’amico Willich raccontava dappertutto che volevano farlo ammazzare… Lo Schramm era semplicemente furioso della spudorata condotta del Willich, e con grande sorpresa di noi tutti lo sforzò al duello. Egli stesso, qualche minuto prima, non aveva idea che si arrivasse a questo. Mai un’azione fu più spontanea… Lo Schramm si allontanò (dall’aula) per le esortazioni personali del Marx, che voleva impedire ulteriori scandali„.

F. ENGELS (pag. 9 del Cavaliere, ecc.).

Quanto da parte mia fossi alieno dal supporre che il Techow si sarebbe prestato a far da tramite allo sciocco pettegolezzo, si vede dal seguente passo del suddetto opuscolo.

“Dapprima, come il Techow stesso raccontò a me e all’Engels, al suo ritorno in Londra, il Willich era fermamente persuaso che io intendevo, mediante lo Schramm, cacciare dal mondo la Generosità, e questa sua opinione la gridò sui tetti. Ripensandoci meglio, però, trovò che un tattico diabolico come me non era possibile che avesse l’idea di toglierlo di mezzo mediante un duello collo Schramm„ (pag. 9, l. c.).

Quel che il Techow spettegolò allo Schimmelpfennig per “comunicarlo agli amici„ lo spettegolò per averlo sentito dire. Carlo Schapper, il quale nella scissione, più tardi seguita entro la Lega, prese parte per il Willich e fu testimonio della scena di sfida, mi scrive in proposito:

“5 Percy Street, Bedford Square
27 settembre 1860.

Caro Marx!

“Riguardo allo scandalo tra lo Schramm e il Willich, eccoti quanto segue.

“Lo scandalo seguì durante una seduta del Comitato centrale, ed in seguito ad una violenta disputa, che sorse casualmente tra i due durante la discussione.

“Mi ricordo ancora benissimo che tu facesti il possibile per pàcificarli e metter la cosa in tacere, e che apparivi di questa improvvisa esplosione altrettanto stupito quanto io Stesso e gli altri mèmbri.

“Saluti.

Tuo: CARLO SCHAPPER„.

Finalmente voglio aggiungere ancora che lo Schramm medesimo, alcune settimane dopo il duello, mi accusava, in una lettera del 31 dicembre 1850, di parzialità verso il Willich. La disapprovazione che Engels ed io gli avevamo apertamente manifestata prima e dopo il duello, l’aveva momentaneamente messo di mal umore. Questa sua lettera, nonché, altre carte pervenutemi da lui e dal Miskowski riguardanti il duello, posso esibirle ai suoi congiunti. Non hanno niente a che fare con il pubblico.

Allorché Corrado Schramm, dopo il suo ritorno dagli Stati Uniti, alla metà del luglio 1857, mi ricercò nuovamente in Londra, la sua audace figura giovanile era schiantata sotto una tubercolosi inguaribile, la quale però non aveva fatto che sublimare il bel capo espressivo. Col suo umore caratteristico, che non lo abbandonava un momento, la prima cosa che mi comunicò ridendo fu il suo proprio annunzio di morte, che un amico indiscreto, fondandosi su una diceria, aveva di già pubblicato in un foglio tedesco di New-York. Per consiglio medico lo Schramm si recò a St. Hélier, a Jersey, dove l’Engels ed io lo vedemmo per l’ultima volta. Lo Schramm morì il 16 gennaio 1857. Al suo accompagno funebre, a cui partecipò l’intera cittadinanza liberale di St. Hélier e tutti gli emigrati quivi stabiliti, il discorso fu fatto da G. Julian Harney, uno dei migliori oratori popolari inglesi, già noto come capo dei cartisti, e amico dello Schramm durante il soggiorno di costui a Londra. La natura focosa, impetuosa, impaziente d’azione dello Schramm, che mai non si lasciò legare da interessi meschini, era imbevuta di senso critico, di potenza ragionatrice originale, di umore ironico e di simpatica ingenuità. Egli era il Percy Heissporn del nostro partito.

Ora torniamo alla lettera del signor Techow.

Alcuni giorni dopo il suo arrivo in Londra, egli ebbe, tardi, la sera, in un’osteria dove l’Engels, lo Schramm ed io lo trattammo, un incontro piuttosto lungo con noi. Tale incontro egli lo descrive nella sua lettera allo Schimmelpfennig del 26 agosto 1850 “da comunicarsi agli amici„. Io non l’avevo mai visto prima, e dopo lo vidi due volte solo, ma assai fugacemente. Tuttavia egli ci frugò subito, a me ed ai miei amici, la testa, il cuore e le reni, e si affrettò a mandare dietro le nostre spalle una lettera circolare psicologica in Svizzera, raccomandandone caldamente agli “amici„ la segreta moltiplicazione e diffusione.

Il Techow si dà molto da fare col mio “cuore„. Generosamente non lo seguo su questo campo. “Ne parlons pas moral„ come dice la Grisette parigina, quando il suo amico parla di politica.

Tratteniamoci un momento presso il destinatario della lettera del 26 agosto, l’ex-tenente prussiano Schimmelpfennig. Non conosco personalmente questo signore, nè l’ho mai conosciuto. Lo caratterizzo per due lettere. La prima, che cito solamente in sunto, fu a me diretta dal mio amico W. Steffen, ex-tenente prussiano ed insegnante alla scuola di Divisione, in data Chester, 23 novembre 1853. Quivi è detto:

“Il Willich una volta aveva mandato a Colonia un aiutante di nome Schimmelpfennig. Costui mi fece l’onore di farmi chiamare, ed era fermissimamente convinto di poter meglio giudicare a priori tutte le circostanze, che non uno che vedesse i fatti giorno per giórno. Egli si fece quindi un’opinione ben meschina di me allorché gli comunicai che gli ufficiali dell’esercito prussiano non si sarebbero considerati felici di militare sotto la bandiera sua e dèi Willich, anzi non erano affatto disposti a dichiarare citissime la repubblica del Willich stesso. Ancor più si adirò, allorché nessuno fu abbastanza insensato da voler moltiplicare il suo invito agli ufficiali, portato bello e fatto, di dichiararsi immediatamente per ciò ch’egli chiamava democrazia.

“Furibondo lasciò “quella colonia asservita dal Marx — come di me scriveva — ed ottenne la riproduzione di quella stupidaggine in altro luogo, la mandò ad una quantità di ufficiali; e così avvenne che il comico segreto di questo furbo metodo di convertire in repubblicani gli ufficiali prussiani fu prostituito dallo “spettatore„ della Kreuzzeitung„.

Al tempo di questa avventura lo Steffen, che venne solamente in Inghilterra nel 1853, mi era ancora affatto ignoto. In modo ancora più notevole si caratterizza lo Schimmelpfennig stesso a quel medesimo Hòrfel, che più tardi fu smascherato come agente di polizia francese, anima del comitato rivoluzionario fondato a Parigi alla fine del 1850 dallo Schimmelpfennig, dallo Schurz, dallo Hàfner e da altri amici di allora del Kinkel, ed intimissimo confidente dei due matàdori, Schurz e Schimmelpfennig.

Schimmelpfennig-Hörfel (Parigi, 1841).

“Qui (a Londra) accade ora quanto segue… Abbiamo scritto colà (in America) a tutti i nostri conoscenti influenti acciocché preparino il prestito (il prestito Kinkel), onde personalmente e nella stampa comincino a parlare per un certo tempo della potenza della cospirazione, e accennino come le buone forze non abbandoneranno il campo, nè dal lato tedesco e francese nè dall’italiano (Questa storia non ha dati?)… Ora il nostro lavoro procede benissimo. Non appena si lasciano andare le persone troppo ostinate, esse vengono a patti e accettano poi volentieri le condizioni poste. Domani quindi m'intenderò, dopo che il lavoro sarà assicurato e fermo, col Ruge e col Haug… La mia posizione sociale è, come la tua, assai opprimente. È necessario che il nostro affare presto s'infili meglio (cioè l’affare del prestito rivoluzionario del Kinkel).

Il tuo: SCHIMMELPFENNIG„.

Questa lettera dello Schimmlpfennig si trova nelle “rivelazioni„ pubblicate da H. Ruge nell’Araldo dell'Occidènte (Herold des Western) Louisville, l’11 settembre 1853. Lo Schimmelpfennig, che trova vasi negli Stati Uniti già al tempo di questa pubblicazione, non ha mai protestato contro l’autenticità di tale lettera.

Le rivelazioni del Ruge sono la ristampa di un documento “Dagli atti del presidio di polizia di Berlino„. Tale documento consiste in carte e chiose marginali dello Hinkeldey, le quali o furono foggiate dalla polizia francese presso lo Schimmelpfennig e lo Hòrfel a Parigi, o scovate presso il pastore Dulon a Brema, o finalmente affidate alla stampa tedesca o americana durante la batracomiomachia tra la Lega d’agitazione del Ruge e la lega di emigrazione del Kinkel da parte degli stessi fratelli nemici. È caratteristica l’ironia con cui lo Hinkeldey dice dello Schimmelpfennig che ha troncato il suo viaggio di missione pel prestito rivoluzionario del Kinkel attraverso la Prussia “perchè si credeva perseguitato dalla polizia!„. Nelle stesse rivelazioni trovasi una lettera di Carlo Schurz, rappresentante del comitato parigino (cioè Horfel, Hàfner, Schimmelpfennig e così via) in Londra, ove è scritto:

“Fu ieri stabilito di prendere a consiglio, degli emigrati qui presenti, il Bucher, il dottor Frank, il Retz di Vienna e il Techow che presto sarà qui. Al Techow, fino adesso, fin quando cioè non è qui, non è da comunicarsi nulla di questa decisione nè oralmente nè per iscritto„ (C. Schurz alla cara gente in Parigi. — Londra, 16 aprile 1851).

A uno di questa cara gente, cioè ai signor Schimmelpfennig, il Techow dirige la sua lettera del 26 agosto 1850 per la comunicazione agli amici. Anzitutto comunica al caro uomo delle teorie da me tenute severamente segrete, che però indovinò subito nell’unico nostro incontro in forza del proverbio: In vino veritas.

“Io — racconta il signor Techow al signor Schimmelpfennig, per la comunicazione agli amici — io… dichiarai finalmente che me li ero figurati (cioè il Marx, l’Engels, ecc.) sempre superiori alla insulsaggine d’uno stato di felicità comunistica uso Cabet„ (pag. 150 del Libro principale).

Immaginato! Il Techow quindi non conosceva neppure rabici delle nostre opinioni, ma aveva abbastanza generosità e degnazione per non immaginarsele addirittura come un’insulsaggine.

A non parlare dei lavori scientifici, se avesse letto solamente il Manifesto del partito comunista, che più tardi segnava come il mio catechismo dei proletari, ci avrebbe trovato un diffuso capitolo intitolato: “Letteratura socialista e comunista„ e alla fine di tale capitolo un paragrafo “Il socialismo e il comunismo critico, utopistico„ dove è detto:

“I sistemi propriamente socialisti e comunisti, i sistemi, cioè, del Saint-Simon, del Fourier, dell’Owen, ecc., spuntano nel primo poco evoluto periodo della lotta fra il proletariato e la borghesia che abbiamo sopra esposto. Gl’inventori di tali sistemi videro bensì il contrasto delle classi nonché l’efficacia degli elementi dissolutivi nella stessa società dominante. Ma non videro dalla parte del proletariato alcuna indipendenza storica, alcun motto politico a lui proprio. Poiché lo sviluppo del contrasto delle classi va di pari passo con lo sviluppo dell’industria, trovano altrettanto poco le condizioni materiali per la liberazione del proletariato, e cercano una scienza sociale e leggi sociali per creare tali condizioni. All'attività sociale deve sottentrare la loro attività personale inventiva; alle condizioni storiche della liberazione, delle condizioni fantastiche; alla organizzazione del proletariato come classe, che viene via via svolgendosi, una qualche cervellotica organizzazione della so-cietà. La storia universale avvenire si risolve per essi nella propaganda e nell’attuazione pratica dei loro piani sociali… Il significato del socialismo e del comunismo critico utopistico sta in ragione inversa al suo sviluppo storico… Se quindi i creatori di questi sistemi erano ancora per molti aspetti rivoluzionari, i loro discepoli formano costantemente delle sette reazionarie, e sognano ancora l’effettuazione spe-rimentale delle proprie utopie sociali, come l’istituzione di singoli falansteri, la fondazione di home-colonies, l’istituzione di una piccola Icaria, edizione in dodicesimo della nuova Gerusalemme„ (Manifesto del partito comunistico, 1848, pag. 21 e 22).

Nelle ultime parole l’Icaria del Gabet, o, come la chiama il Techow, il suo “scanno di beatitudine„ è esplicitamente designata come “edizione in dodicesimo della nuova Gerusalemme„.

La totale confessata mancanza di conoscenza, da parte del Techow, delle opinioni che l’Engels ed io, anni prima d’incontrarci con lui, avevamo rese note mediante la stampa, è una circostanza che chiarisce completamente il suo malinteso. Valgano alcuni esempi a caratterizzarlo:

“Egli (il Marx) ride degli sciòcchi che dietro a lui ripetono il suo catechismo proletario, come dei comunisti alla Villich, come anche dei borghesi. I soli che egli stima sono gli aristocratici, quei puri e che tali sono con coscienza. Per cacciarli dal governo ha bisogno di una forza che trova esclusivamente nel proletariato, perciò su essi ha tagliato il proprio sistema (pag. 152 del Libro principale).

Il Techow quindi “s’immagina„ ch’io abbia compilato un “catechismo proletario„. Egli intende il Manifesto, ove l’utopia socialistica e critica d’ogni specie viene criticata, e, se il Techow vuole, “derisa Solamente che questa “derisione„ non era tanto facile come egli se lo immagina, ma richiese un bel lavoro, come egli può rilevare dal mio scritto contro il Proudhon, Misere de la philosophie (1847). Il Techow s’immagina inoltre ch’io abbia “attagliato il mio sistema mentre, al contrario, anche nel Manifesto direttamente inteso per gli operai, rigettavo tutti i sistemi e sostituivo in loro luogo “l’intelligenza critica delle coedizioni del cammino e dei risultati generali del vero movimento sociale„. Tale intelligenza, per altro, nè si lascia ripetere, nè, come un modelllo di tasca, attagliare. Di rara ingenuità è la concessione sui rapporti tra l’aristocrazia, la borghesia e il proletariato, quali il Techow se l’immagina e me l’appioppa.

L’aristocrazia la “stimo„, della borghesia “rido„ e pei proletari “taglio un sistema„ per cacciare, mediante essi, dal governo l’aristocrazia.

Nella prima sezione del Manifesto, intitolata “Borghesi e proletari„ (Vedi Manifesto, pag. 11) si svolge esplicitamente il concetto che il dominio economico, e quindi anche nell’una o nell’altra forma, il dominio politico della borghesia, è la condizione fondamentale tanto per 1'esistenza del moderno proletariato, quanto per la creazione delle condizioni materiali della sua liberazione„. “Lo sviluppo del proletariato moderno (Vedi Rivista della Neue Rheinische Zeitung, gennaio 1850, pag. 13) è, in genere, condizionato dallo sviluppo della borghesia industriale. Sotto il suo dominio solamente acquista l’estesa esistenza nazionale, che può elevare la sua a rivoluzione nazionale, e crea esso medesimo i moderni mezzi di produzione, che diventano altrettanti mezzi della sua liberazione rivoluzionaria. Il suo dominio solamente sradica materialmente la società feudale, e spiana il terreno su cui solamente è possibile una rivoluzione proletaria Io quindi spiego nella stessa rivista ogni moto proletario a cui l’Inghilterra non partecipi come una tempesta in un bicchier d’acqua. L’Engels fin dal 1846 aveva svolto la medesima opinione nella sua Condizione delle classi lavoratrici in Inghilterra. Nei paesi pertanto in cui l’aristocrazia nel senso continentale — e in tal senso l’intendeva il Techow — deve ancora essere “scacciata dal dominio„, manca, a mio parere, il primo presupposto di una rivoluzione proletaria, cioè un proletariato industriale su scala nazionale.

La mia opinione sul rapporto che gli operai tedeschi in ispecial modo assumevano di fronte al movimento civile, il Techow la trova espressa in modo assai preciso nei Manifesto:

“In Germania il partito comunistico, non appena la borghesia insorge in modo rivoluzionario, combatte con la medesima contro la monarchia assoluta, là proprietà fondiaria feudale e la piccola borghesia. Esso però non trascura un momento di educare negli operai la chiara coscienza dell’ostilità tra la borghesia e il proletariato„, ecc. (pag. 23 del Manifesto).

Allorché mi trovai dinanzi ai giurati borghesi di Colonia, accusato di ribellione, dichiarai nel medesimo senso:

“Nella, moderna società borghese vi sono ancora delle classi, ma non più degli stati nel senso medioevàle. Il suo sviluppo consiste nella lotta di queste classi, ma queste sono riunite, di fronte agli stati di carattere medioevale ed al loro principato per grazia di Dio„ (pag. 55 di Bue processi politici discussi innanzi alle Assise nel febbraio 1849 in Colonia).

Che cos’altro aveva fatto la borghesia liberale nei suoi proclami al proletariato dal 1688 al 1848 se non “foggiare sistemi e frasi„ per cacciare di seggio l’aristocrazia mediante la sua forza? Il nocciolo di tutto che il signor Techow cava fuori dalla mia teoria segreta non sarebbe dunque che il più comune liberalismo borghese! Tant de bruii pour une omelette! Giacché, però, il Techow, d’altra parte, sapeva che il Marx non era un liberale borghese, non gli restò altro se non “riportare l’impressione che il suo dominio personale fosse lo scopo di tutto il suo lavorìo “Tutto il mio lavorio!„, Che espressione moderata pel mio unico colloquio col signor Techow!

Il Techow inoltre confida al suo ronzino “per la comunicazione agli amici„ aver io espresso la seguente mostruosa opinione:

“Infine poi è del tutto indifferente se questa miserabile Europa andasse in rovina, cosa che senza la rivoluzione sociale dovrebbe accadere in breve, e se poi l’America sfruttasse l’antico sistema a spese dell’Europa„ (pag. 148 del Libro principale).

Il mio colloquio col Techow ebbe luogo alla fine dell’agosto 1850. Nel fascicolo del febbraio 1850 della rivista Neue Rheinische Zeitung, quindi otto mesi prima che il Techow mi carpisse questo segreto, avevo tradito quanto segue al pubblico tedesco:

“Veniamo ora all’America. Il fatto più importante che quivi si è verificato, più importante della rivoluzione di febbraio, è la scoperta delie miniere aurifere della California. Già adesso, passati appena diciotto mesi, si può prevedere che tale scoperta avrà risultati più grandiosi della stessa scoperta dell’America… Per la seconda volta il commercio mondiale riceve un nuovo indirizzo. Poi l’Oceano Pacifico avrà la stessa funzione che ha adesso l’Oceano Atlantico, e nell’antichità e nel medio evo ebbe il Mediterraneo, la funzione della gran via acquea nel commercio mondiale; e l’Oceano Atlantico decadrà allo stato di mare interno, com’è adesso il Mediterraneo. L’unica ipotesi che i paesi civilizzati europei non vengano allora a cadere nella medesima dipendenza industriale, commerciale e politica, in cui adesso si trovano l’Italia, la Spagna e il Portogallo, sta in una rivoluzione sociale„, ecc. (pag. 77 della Rivista, fascicolo II, febbraio 1850).

Solamente che al signor Techow appartiene “la rovina in breve tempo„ della vecchia Europa e l’ascensione al soglio dell’America da seguire la mattina dopo. Come io parlassi allora chiaramente del prossimo avvenire dell'America risulta dal punto seguente della medesima rivista: “L’ultraspeculazione si svolgerà ben presto, e se anche vi prenderà parte in massa il capitale inglese, questa volta il centro di tutto l’imbroglio resta a Nuova York e come nel 1836 sopravviverà al proprio crollo„ (pag. 149 del fascicolo doppio della rivista, maggio-ottobre 1850). Tale prognostico, che nel 1850 avevo fatto per l’America, doveva avverarsi alla lettera nella gran crisi commerciale del 1857. Della “vecchia Europa dopo aver descritto la sua ascesa economica, dico all’incontro„. Con questa prosperità generale, in cui si sviluppano le forze produttive della società borghese così rigogliosamente, non può parlarsi d’una vera rivoluzione… I vari bisticci, a cui adesso si abbandonano i vari rappresentanti delle singole frazioni del partito d’ordine continentale, compromettendosi a vicenda, ben lungi dal dare appiglio ad una rivoluzione, sono all’incontro possibili solamente perchè la base stessa delle condizioni generali è momentaneamente tanto sicura e, quel che la reazione non sa, così borghese. Contro essa s’infrangeranno così tutti i tentativi di reazione intesi ad arrestare lo sviluppo borghese, come tutto lo sdegno morale e tutte le proclamazioni entusiastiche dei democratici. Una nuova rivoluzione è possibile soltanto in seguito ad una crisi„ (pag. 153, l. c.).

Infatti la storia d’Europa non assunse nuovamente un carattere acuto, e, se vuolsi, rivoluzionario, che dopo la crisi del 1857-58. Invero, proprio durante il periodo di reazione dal 1849 al 59, l’industria e il commercio sul continente si svolsero in misura sino allora impensata, e con essi si sviluppò il fondamento materiale del dominio politico della borghesia. Tanto è vero che, durante quell’epoca, ogni “sdegno morale ed ogni proclamazione della democrazia„ s’infransero di fronte alle condizioni economiche.

Se il Techow prese così in burla la parte seria della nostra conversazione, tanto più sul serio ne prese la parte burlevole. Con la piú solenne aria di necroforo comunica al suo Schimmelpfennig, da comunicarsi agli amici:

“Inoltre, disse il Marx: “Gli ufficiali, nelle rivoluzioni, sono sempre i più pericolosi; da Lafayette a Napoleone non è che una serie di traditori e di tradimenti Per essi bisogna sempre avere in pronto il pugnale e il veleno„ (pag. 153 del Libro principale).

Il luogo comune circa i tradimenti dei “signori dell'esercito„ non credo che il Techow vorrà appiopparmelo come pensiero originale. L'originalità starebbe nel pugnale e veleno da tenersi sempre in pronto. Ma non sapeva sin d'allora il Techow che i governi veramente rivoluzionari come, per esempio, il Comité du salut public, tenevano in pronto pei “signori dell’esercito„ dei mezzi, sebbene assai energici, meno melodrammatici? Ed il veleno ed il pugnale andavano bene tutt’al più tra i ferri del mestiere d’un'oligarchia veneziana. Se il Techow ristudia la sua propria lettera, vedrà a posteriori l’ironia di questo pugnale e veleno. Il suo compagno in furfanteria, il notorio bonapartista Mouchard Edouard Simon, traduce nella Revue contemporaine (XIII, Parigi, 1860, pag. 528, nel suo Le procès de M. Vogt, ecc.) l’ultima parte della lettera del Techow con una chiosa marginale: “Marx n'aime pas beaucoup voir des officiers dans sa bande. Les officiers sont trop dangereux dans les révolutions.

“Il faut toujours tenir prêts pour eux le poignard et le poison!

“Techow, qui est officier, se le tient pour dit; il se rembarque et retourne en Suisse„.

Edouard Simon fa che il povero Techow si spaventi cosi fortemente del pugnale e veleno da me preparato che senz'altro scappa, s’imbarca e ritorna in Svizzera. Il Vogt imperiale stampa in grassetto il passo contenente il pugnale e il veleno, per far paura ai filistei tedeschi. La medesima allegra persona tuttavia scrive nei suoi “cosiddetti studi„:

“Il coltello e il veleno dello spagnuolo splendono oggi di luce sublimata — si trattava infatti della indipendenza della nazione„ (pagina 79 l. c.).

Tra parentesi si osserva: le fonti storiche spagnuole ed inglesi del periodo 1807-1814 hanno da tempo confutai le fiabe d’avvelenamenti inventate dai Francesi. Ma pei politicanti, naturalmente, continuano indisturbate.

Vengo, finalmente, ai “pettegolezzi„ della lettera del Techow e dimostrerò con alcuni esempi la sua disinvoltura storica:

“In principio si parlò della concorrenza tra noi e loro, tra la Svizzera e Londra. Essi dicevano di dover difendere i diritti dell’antica Lega, che, naturalmente, a causa della sua determinata posizione di partito, non poteva amichevolmente tollerare sullo stesso campo (proletariato) un altro presso di sè„ (pag. 143 del Libro principale).

La Società di concorrenza in Svizzera, di cui qui parla il Techow e come rappresentante della quale in certo modo ci venne incontro, era la.già menzionata “Centralizzazione rivoluzionaria„. Il suo Comitato centrale risiedeva a Zurigo, ed a capo di essa era, qual presidente, un avvocato, già vicepresidente d’uno dei Pagamenti in dodicesimo del 1848 e membro di uno dei governi provvisori tedeschi del 1849. Nel luglio 1850 il Dronke venne a Zurigo, dove dal signor avvocato gli fu sottoposto, in qualità di membro della Lega londinese, una specie di contratto notarile perchè lo comunicasse a me. Quivi è detto, testualmente:

“Tra la Lega dei comunisti e la Centralizzazione rivoluzionaria — tenuto conto della necessità di un’unione fra tutti gli elementi veramente rivoluzionari, e dopo che tutti i membri del Comitato centrale rivoluzionario hanno riconosciuto il carattere della prossima rivoluzione essere proletario, sebbene non tutti siano in grado dì convertirsi senz’altro al programma proclamato in Londra (il Manifesto del 1848) — si è convenuto quanto segue:

“1°. Ambo le parti sono d’accordo di continuare a lavorare parallelamente — la Centralizzazione rivoluzionaria cercando di preparare la prossima rivoluzione mediante l’unione di tutti gli elementi rivoluzionari, e la Società londinese promuovendo il dominio del proletariato coll’organizzazione degli elementi di preferenza proletari;

“2°, la Centralizzazione rivoluzionaria dà istruzione ai propri agenti ed emissari nel senso che nella formazione di sezioni in Germania richiamino l’attenzione dei membri, che sembrino adatti ad entrare nell’Unione comunista, sull’esistenza di un’organizzazione istituita prin-cipalmente nell’interesse proletario;

“3°-4°, che la direzione per la Svizzera nel Comitato rivoluzionario centrale sia lasciata solamente ai veri seguaci del Manifesto di Londra, e che si debbano reciprocamente render conto della loro attività„.

Si vede da questo manoscritto, che è tuttavia in mio possesso, come non si trattava già di due società segrete sullo stesso campo (proletariato) bensì dell’alleanza di due società su diverso campo e di tendenze diverse. Inoltre si vede che la Centralizzazione rivoluzionaria si dichiarava pronta a formare oltre alla prosecuzione dei propri fini, una specie di succursale per l'“Unione dei comunisti„.

La proposta fu respinta essendo la sua accettazione inconciliabile col carattere della Lega inspirata a una “ragione di principio„.

“Ora venne la volta del Kinkel..... A questo risposero..... che non avevano mai cercato la popolarità a buon mercato, tutt’altro! Per quanto riguardava il Kinkel, avrebbero favorita la sua popolarità ben di cuore, purché fosse rimasto tranquillo. Dopo che però aveva pubblicato nella Berliner Abendpost quel suo discorso di Rastatt, la pace non era più stata possibile. Che tutti quanti avrebbero gridato, lo sapevano; che giocavano con ciò l’esistenza del presente loro foglio (la Rivista della Rheinische Zeitung) lo prevedevano chiaramente. Infatti i loro timori si erano avverati. Essi erano naufragati per quella quistione, avevano perduto tutti i loro abbonati nella provincia renana e dovevano quindi far finire il foglio. Ma di ciò a loro non importava niente„ (pag. 146-148 l. c.).

Ora, anzitutto, per rettificare i fatti: nè allora la rivista era tramontata — poiché ancor tre mesi dopo ne uscì un fascicolo doppio — nè allora avevamo perduto un unico abbonato nella provincia renana, come può testimoniare il mio vecchio amico J. Weydemeyer, già tenente dell’artiglieria prussiana, allora redattore della Neue Deutsche Zeitung in Francoforte, poiché era tanto gentile da ritirare per noi gli abbonamenti. Del resto il Techow, che conosceva solamente per sentita dire gli scritti miei e dell’Engels, doveva almeno aver letto la nostra critica, da lui medesimo criticata, del discorso del Kinkel. Perchè dunque la comunicazione confidenziale ai cari amici della Svizzera? Perchè svelare a loro quei che noi stessi già cinque mesi prima avevamo svelato al pubblico? La summenzionata critica dice testualmente:

“Sappiamo fin da ora che incontreremo lo sdegno generale degli imbroglioni sentimentali e dei declamatori democratici, denunciando questo discorso del “prigioniero„ Kinkel al nostro partito. Questo ci lascia perfettamente indifferenti. Nostro còmpito è la critica senza riguardi…e mantenendo, noi questa nostra posizione rinunziamo con piacere alla popolarità democratica a buon mercato. Noi col nostro attacco non peggioriamo affatto la posizione del signor Kinkel: lo denunciamo all’amnistia, confermando la sua confessione, non esser egli uomo per cui si pretende farlo passare, e dichiarandolo degno non solo d'esser amnistiato, ma di entrare al servizio di Stato prussiano. A tal fine è pubblicato il suo discorso„ (Pag. 70-71 della Rivista Neue Rheinische Zeitung, aprile 1850).

Il Techow dice che noi compromettiamo i petits grands hommes della rivoluzione. Egli però non intende questa compromissione nel senso poliziesco del signor Vogt. Egli, al contrario, attende all'operazione con cui a pecore che servon travestite in pelli di lupo rivoluzionari, strappammo l’involucro compromettente, salvandoli così dal destino del famoso trovatore provenzale sbranato dai cani che avevan creduto alla pelle di lupo nella quale egli andava a caccia.

Come esempio del sistema scandaloso dei nostri attacchi, il Techow designa specialmente la chiosa occasionale sul generale Siegel nella “Narrazione della campagna per la costituzione dell'“Impero„ dell’Engels„ (Vedi Rivista, marzo 1850, pag. 70-78).

Ora, si confronti questa critica dell’Engels documentata, con il seguente maligno e inconcludente pettegolezzo che circa un anno dopo del nostro incontro col Techow fu fatto stampare, contro lo stesso generale Siegel, dall'Associazione degli emigrati di Londra, diretta dal Techow, dal Kinkel, dal Willich, dal Schimmelpfennig, dal Schurz, da H. B. Hoppenheim, da Edoardo Meyen, ecc,; e ciò non per altra ragione se non perchè il Siegel teneva per la Società d’agitazione del Ruge anziché per l'Associazione d'emigrati del Kinkel.

Il 3 dicembre 1851 sotto il titolo “La Società d’agitazione in Londra„, Il Corrispondente di Baltimora, allora una specie di organo del Kinkel, pubblicò la seguente caratteristica del Siegel: “Vediamo in oltre chi siano queste serie persone a cui tutti gli altri appaiono quali politicanti immaturi: il comandante in capo Siegel. Se la musa della storia verrà un giorno richiesta come questa pallida mediocrità sia giunta al comando in capo, si troverà in maggiore imbarazzo che con quell’imbecille di Napoleone. Questi almeno è il nipote dello zio; il Siegel invece è unicamente il fratello di suo fratello. Suo fratello era diventato un ufficiale popolare per espressioni ostili al governo, provocate da parecchi arresti da lui scontati per banale scostumatezza. Il Siegel giovane tenne ciò come una ragione sufficiente per chiamarsi, nella prima confusione rivoluzionaria, comandante in capo, ministro della guerra. L'artiglieria badense, per la stessa dimostrata propria eccellenza, aveva abbastanza ufficiali più anziani e seri, davanti ai quali doveva nascondersi un giovane scolaretto, tenente Siegel, e che erano non poco sdegnati d’ubbidire a un giovinotto insignificante, privo d’esperienza quanto d’ingegno. Ma c'era un Brentano altrettanto sciocco quanto traditore da lasciar passare tutto ciò che poteva rovinare la rivoluzione. Sì, è un fatto ridicolo, ma un fatto che il Siegel stesso si creò comandante in capo, e il Brentano lo riconobbe in seguito.... È notevole, ad ogni modo, il tratto caratteristico per cui il Siegel lasciò in asso i soldati più valorosi dell’esercito rivoluzionario in un combattimento disperato a Rastatt e nella Selva nera, senza le truppe ausiliario promesse, mentre egli medesimo, colle spalline, scarrozzava nel legnetto del principe di Furstenberg in Zurigo, posando da generale interessante ed in-felice. Questa è la nota grandezza dell’uomo politico maturo, che nella legittima coscienza„ dei suoi atti eroici precedenti, s’impose per una seconda volta quale comandante in capo nella Società d’agitazione. E questi è la grande celebrità, il “fratello di suo fratello„.

L’imparzialità vuole che sentiamo per un momento anche l’Associazione per l’agitazione, del Kuge, in persona del suo oratore Tausenau. Il Tausenau in una lettera aperta in data 14 novembre 1851 “al cittadino Seidensticker„ osserva relativamente all’Associazione per l’emigrazione, diretta dal Kinkel, dal Techow ed altri, tra le altre cose:

“…Essi esprimono l’opinione che sia dovere e necessità patriottica Elulione di tutti nell’interesse della rivoluzione. L' “Associazione tedesca di agitazione„ partecipa a questa persuasione, ed i suoi membri hanno cercato con lunghi tentativi di unirsi al Kinkel ed ai suoi seguaci. Ogni fondamento di una cooperazione politica per altro veniva meno nel momento che pareva assicurato, e le nuove disillusioni seguivano le antiche. Atti d’autorità individuali in opposizione a quanto precedentemente era concordato, egoismi sotto la maschera delle solidarietà, il sistematico e non leale sforzo di guadagnare la maggioranza, il comparire di grandezze ignote in qualità di capi parte organizzanti, il tentativo d’imporre un Comitato segreto di finanze, e altri maneggi come possono chiamarsi tutti i tiri e gli espedienti poco leali con cui dei politicanti immaturi d’ogni tempo credettero di poter guidare dall'esilio le sorti della loro patria, mentre già la prima vampata delle rivoluzioni fa evaporare simili vanità.... Noi fummo apertamente ed ufficialmente denunciati dai seguaci del Kinkel: la stampa reazionaria tedesca, a noi inaccessibile„ era piena di corrispondenze a noi sfavorevoli e favorevoli al Kinkel, il quale finalmente se ne andò in America per dettarci quella ch’egli chiamava un’unione o, per meglio dire, una subordinazione e dipendenza, quale è intesa da qualsiasi autore di trasformismi finanziari, mediante il cosiddetto prestito tedesco da lui ivi iniziato. La partenza del Kinkel fu tenuta segreta così prudentemente che ce ne giunse la notizia mediante fogli americani, solamente con quella del suo arrivo a New-York.... Questi ed altri più furono — per dei rivoluzionari seri, che senza -troppo presumere di sè possono però, nella giusta coscienza di quanto da loro fu compiuto, affermare d’essere seguiti da parti ben dennite di popolo — dei motivi perentori per entrare in un’associazione che, a modo suo, cerca di promuovere gl’interessi della rivoluzione„. Il Kinkel viene inoltre accusato di far servire ad una cricca i fondi da lui raccolti, come “risulta da tutta la sua condotta qui (a Londra) ed in America„, non meno che dalla maggioranza dei garanti nominati dal Kinkel medesimo„.

Alla fine è detto:

“Noi non promettiamo ai nostri amici nè interessi nè rimborso delle loro spese patriottiche, ma sappiamo di poter giustificare la loro fiducia mediante un’azione positiva (un servizio reale?) ed una coscienziosa contabilità, e che un giorno, colla pubblicità dei loro nomi da parte nostra, verrà a loro la gratitudine della patria„ (La Sveglia, di Baltimora, (Baltimore Wecker) del 29 novembre 1851).

Era questa “l’attività letteraria„ che sviluppavano durante tre anni nella stampa tedesca ed americana gli eroi democratici dell’Associazione d'agitazione e dell’Associazione per l’emigrazione, a cui più tardi si unì ancora la Lega rivoluzionaria dei due mondi fondata dal Gogg (Vedi Appendice 6a).

Del resto lo scandalo degli emigrati nella stampa americana era già stato aperto mediante un torneo cartaceo tra i parlamentari Zitz e Rosler von Oels.

Ecco ancora un fatto caratteristico per la “cara gente„ del Techow. Lo Schimmelpfennig, il mandatario della lettera del Techow da comunicarsi agli amici, aveva, come già fu osservato, fondato, alla fine del 1850, un cosiddetto Comitato rivoluzionario, in Parigi, coll’Hdrfel, coll’Hàiner, col Gogg e con altri (K. Schurz vi si unì più tardi).

Alcuni anni fa mi si trasmise, per l’uso che credessi farne, uno scritto di un ex-membro del Comitato ad un emigrato politico di qui. Tale scritto trovasi ancora in mio possesso.

Ivi, tra altro, è detto:

“Tutto il Comitato era composto della Schurz e dello Schimmelpfennig. Quelli che si unirono come una specie di assistenti non vi stavano che per figura. Quei due signori credevano di poter presto portare a capo degli affari della Germania il loro Kinkel, che avevano formalmente appaltato. In special modo avevano in odio i sarcasmi del Ruge, nonché la critica e l’impeto demoniaco del Marx. In un incontro di tali signori con i loro assistenti ci fecero una vera descrizione interessante del Marx e ci dettero del pericolo pandemoniaco, da lui personificato, un’opinione per vero esagerata

Lo Schurz e lo Schimmelpfennig fecero la proposta di annientare il Marx. Come mezzi furono raccomandati i sospetti e l’intrigo e le più impudenti calunnie. Ebbe luogo una votazione favorevole ed una deliberazione, se così vuolsi chiamare quel giuoco puerile. Il passo più pros-simo per metterlo ad effetto fu il ritratto del Marx pubblicato nell’appendice dell’Hamburger Anzeiger in principio del 1851, in base alla suddetta descrizione di Schurz e Schimmelpfennig„.

Ad ogni modo si riscontra la più notevole affinità elettiva tra l’appendice dello Hàfner e lo scritto del Techow, sebbene nessuno dei due raggiunga la Lausiade del Vogt. Non bisogna confondere le lausiade con la Lousiade del Camoens. La lausiade primitiva è piuttosto un’epopea eroicomica di compar Pindaro.

V. — Reggente l’impero e conte palatino.

Vidi un col capo sì di merda lordo
Che non parea s’era laico o cherco.
Quei mi sgridò: Perchè sÈ tu sì ’ngordo
Di riguardar più me che gli altri brutti?
(DANTE).

Il Vogt, rispazzolato a casa, sente un gran bisogno di dimostrare perchè proprio egli attirasse, come bestia nera, gli sguardi della “Banda dello zolfo„. Lo Cherval e la cospirazione sventata alla festa centrale di Losanna vengono quindi completati con un’avventura non meno avvenuta in realtà col “reggente volante dell’impero„. Il Vogt, per non dimenticarlo, era ai suoi tempi governatore dell’isola parlamentare di Barataría. Egli narra:

“Col cominciare dell’anno 1850 comparve la rivista mensile tedesca (Deutsche Monatschrift) del Kolatschek. Immediatamente dopo l’apparizione del primo fascicolo, la “Banda dello zolfo„ fece pubblicare da uno dei suoi affiliati, che partì poi subito per l’America, un libello dal titolo: Il reggente volante dell’impero, Vogt, col suo seguito, e la rivista mensile tedesca di Adolfo Kolatschek, il quale libello fu menzionato dalla Allgemeine Zeitung… Tutto il sistema della “Banda dello zolfo„ si mostra nuovamente in questo libello„ (pag. 136, l. c.).

Qui dunque si racconta per filo e per segno come in detto libello fosse appioppato al reggente volante dell’impero Vogt, un articolo anonimo intorno al Gagern, redatto dal prof. Hagen, e ciò perchè la “Banda dello zolfo„ sapeva

“che l’Hagen viveva allora in Germania, veniva sorvegliato dalla polizia tedesca e non poteva essere nominato senza venire esposto alle più spiacevoli vessazioni„ (pag. 163 l. c.).

Lo Schily nella sua lettera in data di Parigi, 6 febbraio, mi scrive: “Il fatto che il Greiner, che a quanto io sappia non è mai stato a Ginevra, sia stato implicato nella “Banda dello zolfo„ lo deve al suo appello al Reggente volante dell'impero, come autore del quale dalla parte del Parlamento passava il D’Ester, e, come tale, fu messo all’indice, sinché io non informai della verità un amico e collega di Vogt, scrivendogliene„.

Il Greiner era membro del governo provvisorio del Palatinato. Il governo del Greiner fu un “orrore„ (Vedi gli Studi dei Vogt, pag. 28) specialmente per il mio amico Engels, ch’egli, sotto falsi pretesti, fece arrestare a Kirhheirn. Tutto questo fatto tragicomico è stato diffusamente narrato dallo stesso Engels nella rivista della Neue Rheinische Zeitung (pag. 53 a 55 del fascicolo di febbraio 1850). Questo è tutto quanto mi è noto del signor Greiner. Che il “reggente volante dell’impero„ m’implichi, mentendo, nel suo conflitto col “conte palatino„ mostra di nuovo tutto il sistema con cui l’immaginoso uomo ha composto la vita e le opere della “Banda dello zolfo„.

Quello però che mi concilia è l’humour prettamente falstaffiano con cui fa “subito„ partire per l’America il conte palatino. Dopo che il conte palatino ebbe scagliato, come la freccia del Parto, il libello contro il “fuggitivo reggente dell’impero„, il Greiner si senti compreso d’orrore. Si sentiva spingere misteriosamente dalla Svizzera in Francia, dalla Francia in Inghilterra. Neppur dalla stessa Manica non si sentiva sufficientemente protetto, e volò ancora a Liverpool, sopra un vapore Canard, dove ansante gridò al capitano: “Via per l’Atlantico!„ e lo “stern mariner„ rispose:

Ben dalla possa dei Vogt io vi salvo!
Dalla tempesta vi aiuti un altro.

VI. — Il Vogt e la “Neue Rheiuische Zeitung„.

«Sin kumber was manecvalt».

Il Vogt stesso dichiara che nel suo Libro principale gli preme “la spiegazione della sua posizione personale di fronte a questa cricca„ (Marx e compagni, Vedi pag. 162 l. c.). Cosa strana, racconta solamente dei conflitti che non gli son mai capitati, e gliene capitarono solamente degli altri che non raccontò mai. Alle sue fandonie debbo quindi contrapporre un passo di storia autentica. Se si sfoglia l’annata della Neue Rheinische Zeitung (dai 1° giugno 1848 al 19 maggio 1849) si troverà che con una sola eccezione il nome del Vogt non figura né negli articoli di fondo né nelle corrispondenze di tale giornale. Esso si trova solamente nei resoconti quotidiani delle discussioni parlamentari, e il corrispondente di Francoforte non mancò mai, a maggior soddisfazione del signor Vogt, di registrare coscienziosamente le approvazioni estorte dai discorsi “tenuti da lui medesimo„. Vedemmo come, mentre la Destra a Francoforte disponeva delle forze unite di un arlecchino come il Lichnowskj e di un pagliaccio come il v. Winke, la sinistra dovesse contentarsi dei lazzi isolati dell’unico Vogt. Noi comprendemmo che aveva bisogno d’incoraggiamento

that important fellow,
the children’s wonder - signor Punchinello,

e quindi lasciavamo far tranquillamente il corrispondente di Francoforte, Solamente a metà settembre 1848 subentra un cambiamento nella coloritura dei resoconti.

Il Vogt, che nelle discussioni sull’armistizio di Malmò aveva provocato ad un’insurrezione mediante le sue rodomontate rivoluzionarie, impedì, per quanto fu in lui, nel momento della decisione l’accettazione delle deliberazioni prese dall’assemblea popolare nella riunione delle Pentecoste ed in parte approvate dalla Sinistra. Dopo che furono spazzate via le barricate, che Francoforte fu mutata in un campo aperto e fu proclamato lo stato d’assedio, il 19 settembre si dichiarò per l’urgenza della proposta del Zaeharià circa l’approvazione delle misure prese sino allora dal ministero imperiale e i ringraziamenti alle truppe imperiali. Prima che il Vogt montasse alla tribuna, lo stesso Venedey s’era opposto all’urgenza di tali proposte, definendo una simile dichiarazione, in un simile momento, contraria alla dignità dell’assemblea; ma il Vogt era al di sotto del Venedey. Per punirlo misi nel resoconto parlamentare la parola “chiacchierone„ dietro la parola “Vogt„ laconico cenno pel corrispondente di Francoforte.

Nel seguente ottobre il Vogt non solo trascurò di agitare il campanello del giullare, quello clip sarebbe stato suo ufficio, sulle teste della maggioranza, allora furiosamente reazionaria e prepotente, ma non osò neppure firmare la protesta che il Zimmermann, di Spandau, presentò in nome di circa 40 deputati contro la legge di protezione dell'Assemblea nazionale, il 10 ottobre. Questa legge, come giustamente osservava il Zimmermann, era la violazione più impudente dei diritti popolari acquisiti mediante la rivoluzione di marzo: diritto di riunione, di parola e di stampa. Perfino l’Eisermann presentò una protesta simile. Ma il Vogt era al disotto dello stesso Eisermann. Quando, finalmente, si fece piccin piccino mediante la fondazione dell’Associazione centrale di marzo, il-suo nome compare finalmente in un articolo della Neue Rheinische Zeitung (numero del 29 dicembre 1848) in cui la riunione di marzo viene designata quale strumento incosciente della controrivoluzione, il suo programma analizzato criticamente, e il Vogt rappresentato come metà di una figura doppia, di cui l’altra metà è formata dal Yinke. Più di 10 anni dopo, i due “ministri dell’avvenire„ hanno riconosciuto la loro parentela facendo della divisione della Germania il motto della propria unione.

Che noi avevamo ben capito la riunione di marzo, è stato dimostrato non solamente dalla sua posteriore “evoluzione„. L’Unione popolare di Heidelberg, l’Unione democratica di Breslavia e quella di Jena, ecc., rifiutarono con ischerno le sue importune dichiarazioni d’amore, e quei membri dell’estrema sinistra che si erano uniti a lui confermarono con la loro dichiarazione di uscita del 20 aprile 1849 la nostra critica del 29 dicembre 1848. Il Vogt però, con serena magnanimità, raccoglieva sul nostro capo dei carboni ardenti, come può vedersi dalla seguente citazione: N. 243 della Neue Rheinische Zeitung, Colonia 1° marzo 1849:

“La cosiddetta riunione di marzo di Francoforte della cosiddetta Assemblea nazionale ha l'impudenza di mandarci la seguente lettera litografata:

“L’associazione di marzo„ ha deliberato che si faccia una lista di tutti i fogli che hanno messo a nostra disposizione le loro colonne, e che a tutte le associazioni con cui siamo in relazione venga comunicato, onde detta Associazione agisca in modo che detti fogli vengano di preferenza forniti di annunzi uniformi. Mentre vi comunichiamo con la presente la lista in parola, crediamo non essere necessario di richiamare la vostra attenzione sull’importanza degli annunzi a pagamento come principal fonte di lucro di tutta l’impresa.

“Francoforte, fine di febbraio 1849.

La Direzione dell'Associazione centrale di marzo„.

“Sulla lista acclusa di tali fogli, che avevano messe le proprie colonne a disposizione dell’Associazione di marzo e a cui dovrebbero venire di preferenza forniti dai seguaci di tale associazione “confacenti annunzi„ si trova, per di più contrassegnata da un'onorifica stella, la Neue Rheinische Zeitung. Noi dichiariamo con la presente che alla cosiddetta Associazione di marzo non furono mai aperte le colonne del nostro giornale Se perciò tale associazione qualifica come uno dei suoi organi il nostro giornale, sia nei resoconti litografati come nei giornali che realmente le aprirono le loro colonne, è questa una semplice calunnia verso la Neue Rheinische Zeitung e una sperticata vanteria dell’Associazione di marzo.

Quanto alla sudicia insinuazione sui patrioti avidi di profitto e divorati dalla concorrenza circa l’importanza degli annunzi a pagamento d’un giornale quale fonte di guadagno di tutta l’impresa, non rispondiamo, naturalmente, neppure. La Neue Rheinische Zeitung, come sempre, si è distinta anche in ciò dai patrioti: che non ha mai considerato il movimento politico quale ramo di commercio dei cavalieri d’industria, nè quale fonte di guadagno„.

Poco dopo questo rude rifiuto della fonte di guadagno offerta, senza esserne richiesti, dal Vogt e consorti, la Neue Rheinische Zeitung, fu lagrimevolmente menzionata in un’assemblea dell’Associazione centrale del commercio quale modello “d’una disunione veramente tedesca„. Alla fine della nostra risposta a tal geremiade (N. 248 della Neue Rheinische Zeitung) il Vogt viene definito “uno schiamazzatore birraiuolo da Università di ultim’ordine e mancato avvocato dell’impero. È vero che allora (15 marzo) non aveva ancora mangiato l’aglio nella questione imperiale. Senonchè sapevamo ormai come giudicare il signor Vogt, e potevamo perciò trattare come fatto compiuto il futuro suo tradimento, che forse a lui stesso non era ancora chiaro.

Da allora in poi, del resto, lasciammo il signor Vogt e consorti al trattamento del giovane, altrettanto spiritoso quanto audace, Schlöffet, il quale al principio di marzo era giunto a Francoforte dall’Ungheria e che in seguito ci veniva rendendo conto delle tempeste del pantano imperiale.

Il Vogt era caduto così basso — naturalmente vi aveva contribuito più egli stesso che non la Neue Rheinische Zeitung — che perfino il Bassermann potè osare di stigmatizzarlo nella seduta del 26 aprile 1849 quale “apostata e rinnegato„.

In seguito alla propria partecipazione all’insurrezione di Elberfeld, un redattore della Neue Rheinische Zeitung, F. Engels, dovette fuggire, ed io stesso di lì a poco fui scacciato dalla Prussia, dopo che dei ripetuti tentativi di farmi acquetare mediante dei processi erano naufragati presso i giurati, e l’organo del ministero del colpo di Stato, la Neue Preussische Zeitung, ebbe ripetutamente denunciata la colossale arroganza (Chimborasso-Frechheit) della Neue Rheinische Zeitung, di fronte alla quale il Moniteur del 1793 appariva fiacco (Vedi N. 279 della Neue Rheinische Zeitung). Tale “colossale arroganza„ era op-portuna in una fortezza prussiana ed in un tempo in cui la controrivoluzione trionfante cercava d’imporsi con una svergognata brutalità.

Il 19 maggio 1849 comparve l’ultimo numero della Neue Rheinische Zeitung (il Numero rosso). Fintanto che essa aveva resistito, il Vogt aveva sopportato e taciuto. Se avveniva che un parlamentare reclamasse, era sempre in modo modesto, per esempio così:

Egregio signore — Nel suo foglio io stimo l’acuta critica; nulladimeno per il fatto che con uguale severità sorveglia tutti i partiti e tutte le persone…„ (Vedi N. 219, 11 febbraio 1849, reclamo del Wesendonk).

Una settimana dopo il tramonto della Neue Rheinische Zeitung, ai Vogt parve finalmente, sotto l’usbergo della intangibilità parlamentare, di afferrare per il ciuffo l’occasione per tanto tempo perduta e di potere sviluppare «a forza», «la materia» per lungo tempo accumulata nel più profondo del cuore. Infatti un redattore della Neue Rheinische Zeitung, Guglielmo Wolff, era entrato quale sostituto d’un parlamentare silesiano nell’assemblea di Francoforte “compresa in progressiva dissoluzione„.

Per comprendere la scena seguente durante la seduta parlamentare del 26 maggio 1849, bisogna ricordare che allora l’insurrezione di Dresda e i moti parziali della provincia renana erano oramai soppressi, che era imminente l’intervento regio nel Baden e nel Palatinato, che l’esercito principale russo veniva marciando sull’Ungheria, finalmente che il ministero imperiale aveva semplicemente cassato delle deliberazioni prese dall’assemblea. Erano all’ordine del giorno due “proclami al popolo tedesco„, il primo redatto dall’Uhland ed emanante dalla maggioranza, l’altro dai membri, appartenenti al centro, d’una Commissione di trenta. Presiedeva il Reh di Darmstadt, il quale diventò di poi una lepre15 e che a sua volta si sciolse “dalla assemblea in piena dissoluzione„. Cito dalla relazione ufficiale stenografica N. 228-229, Seduta nella Chiesa di S. Paolo:

Wolff di Breslavia. — Signori, mi sono inscritto contro il pro-clama al popolo, contro il proclama redatto dalla maggioranza e letto qui, perchò lo ritengo completamente inadeguato alle odierne circostanze, perchè mi pare troppo fiacco, atto solo a comparire quale articolo in quei giornali quotidiani che rappresentano il partito da cui tale proclama emana, ma non ad un proclama al popolo tedesco. Ora, poiché se ne è letto un secondo, osserverò, solo di volo, che contro di questo mi dichiarerei ancor molto di più, per motivi che qui non ho bisogno di addurre (Una voce nel centro: E perchè no?). Non parlo solamente del proclama della maggioranza, il quale per altro si è tenuto così moderato che persino il signor Buss non potrebbe molto osservarvi in contrario, ed è questa certamente la peggior raccomandazione per un proclama. No, signori miei, se volete ancora e in genere conservare una qualsiasi influenza sul popolo, non dovete parlargli come accadde in cotesto proclama; non dovete parlare di legalità, di terreno legale, ecc., bensì di illegalità, nello stesso modo come i governi, come i russi, e sotto russi intendo i persiani, gli austriaci i bavaresi, gli annoveriani (rumori e risate). Tutti questi sono riassunti nel nome collettivo di russi (Viva ilarità). Dovete dir loro: “Come vi mettete voi dal punto di vista della legalità, così vi ci mettiamo noi. È questo il punto di vista della forza, e tra parentesi si spieghi la legalità nel senso che ai cannoni dei russi si oppone la forza delle colonne di attacco bene organizzate. Se si deve lanciare un proclama, lanciatene uno in cui sin da principio si dichiara fuori legge il primo traditore del popolo, il reggente dell’impero (Grido: All’ordine! Vivissimi applausi nelle gallerie). Ugualmente tutti i ministri (Nuovi rumori). Oh, io non mi lascio disturbare; è lui il primo traditore del popolo

Presidente. — A me pare che il signor Vogt abbia trasgredita ed offesa ogni convenienza. Egli non può dinanzi a questa assemblea chiamare traditore del popolo l’arciduca reggente l'impero e debbo perciò richiamarlo all’ordine. Nello stesso tempo esorto per l’ultima volta le gallerie a non partecipare, nel modo sin qui seguito, al dibattito.

Wolff. — Io per parte mia accetto il richiamo all’ordine e di-chiaro di aver voluto trasgredire l'ordine perchè egli ed i suoi ministri sono traditori (Grida da tutte le parti della Camera: All’ordine, questa è una volgarità!).

Presidente. — Debbo toglierle la parola.

Wolff. — Va bene, io protesto; ho qui voluto parlare in nome del popolo e dire ciò che fra il popolo si pensa. Io protesto contro ogni proclama che non sia redatto in questo senso (Grande agitazione).

Presidente. — Signori, vogliano per un momento concedermi la parola. Signori miei, l’incidente che qui si è verificato è, posso dirlo, il primo dacché siede qui il Parlamento (Fu infatti il primo e runico incidente di quell’accademia). Nessun oratore aveva ancora qui dichiarato di avere di proposito voluto trasgredir l’ordine, base di quest’assemblea (Lo Schiòffel aveva a un simile richiamo all’ordine risposto, nella seduta del 25 aprile: “Accetto il richiamo all’ordine, e ciò tanto più volentieri in quanto spero che presto verrà il giorno in cui in altro luogo verrà richiamata all’ordine quest’assemblea„). Signori miei, bisogna ch'io profondamente lamenti che il signor Wolff, divenuto appena ora membro del Parlamento, esordisca in questo modo (il Reh considera la cosa dal punto di vista della commedia). Signori miei, io l'ho richiamato all’ordine per la grave offesa ch’egli si è permesso relativamente al rispetto ed al riguardo che dobbiamo alla persona del reggente l’impero„.

La seduta poi continuò; Hagen e Zachariä tengono lunghi discorsi, l’uno pro, l'altro contro il proclama della maggioranza. Finalmente si alza

Vogt von Giessen. — Signori, mi concedano alcune parole, non io tendo a stancarli. Che il Parlamento non sia più tale, quale si raccolse l’anno scorso, è un fatto perfettamente giusto e noi ringraziamo Iddio (il Vogt dalla “fede di carbonaro„ ringrazia Iddio!) che tale venga divenuto (sic, venga divenuto!) e che coloro che disperarono del proprio popolo, e che abbandonarono la causa del popolo nel momento decisivo, si siano separati dall’assemblea. Signori miei, mi sono iscritto a parlare (dunque le azioni di grazie non erano sin allora che una finta) per difendere la corrente cristallina fluita in questo proclama (difesa di correnti) da un’anima di poeta (il Vogt diventa sentimentale) contro il fango indegno che contro essa fu gettato o scagliato (ma se la corrente era già assorbita dal proclama) per difendere queste parole (la corrente si trasforma, come ogni altra cosa, presso il Vogt in parole) contro il fango che fu ammucchiato in quest’ultimo moto e che minaccia quivi d’inondare ed insudiciare, tutto. Sì, signori miei! Ciò (cioè il fango) è un fango ed è un sudiciume (il fango è un sudiciume!) che in tal modo (qual modo?) si scaglia contro tutto ciò che di più puro possa immaginarsi, ed io esprimo la mia più profonda indignazione (Vogt nella più profonda indignazione, qual tableau!) che una cosa simile (che cosa?) abbia potuto accadere„. E ciò che dice egli è fango.

Il Wolff non aveva pronunciato una sillaba circa la redazione del proclama da parte dell’Uhland. Egli, come il presidente aveva ripetutamente dichiarato, era stato richiamato all’ordine, aveva anzi provocata tutta la tempesta per aver dichiarato traditori del popolo il reggente e tutti i suoi ministri, ed esortato il Parlamento a dichiararli tali. Ma “l’arciduca reggente l’impero„, “il frusto asburghese (Vedi Studi del Vogt, pag. 28) e tutti i suoi ministri„ sono per il Vogt “quanto può immaginarsi di più puro„. Egli cantava con Gualtiero von der Vogelweide:

des fursten milte uz ostetriche
froït dem süezen rëgen geliche
beidin liute und ouch daz lant.

Forse che il Vogt si trovava già allora nelle “relazioni scientifiche„, da lui più tardi confessate, con l’arciduca Giovanni? (Vedi pag. 25 dei documenti, Libro principale).

Dieci anni dopo lo stesso Vogt dichiarava negli Studi (pag. 27): “Ciò almeno è sicuro, che l’Assemblea Nazionale in Francia ed i suoi capi disconoscevano a suo tempo la capacità di Luigi Napoleone, come i capi dell’Assemblea Nazionale di Francoforte quelle dell’arciduca Giovanni, e che ciascuno dei due volponi, nella propria sfera, fece poi largamente espiare tale colpa. Con tutto ciò siamo ben lontani di mettere tutti e due allo stesso livello. La terribile disinvoltura ecc. ecc. (di Luigi Bonaparte), tutto ciò lo fa apparire assai superiore al già vecchio e frusto asburghese„.

Ancora nella stessa seduta il Wolff fece sfidare il Vogt mediante il deputato Wùrth di Sigmaringen a un duello alla pistola, e quando il suddetto Vogt ebbe deciso di serbare la propria pelle all’impero16 gli fece minacciare una correzione corporale. Ma quando poi, all’uscita dalla chiesa di S, Paolo, il Wolff vide Carlo il Temerario fiancheggiato da due signore, proruppe in un’allegra risata e lo abbandonò al proprio destino. Sebbene un lupo (Wolff, in tedesco lupo), che ha denti e cuore di lupo, il Wolff è però un agnello verso il bel sesso. L’unica vendetta, ben inoffensiva, ch’egli si prese, fu un articolo nella rivista della Neue Rheinische Zeitung (fascicolo d’aprile 1850, pag. 73) intitolato “Cose postume dell’impero„ ove relativamente all’ex-reggente l’impero, si legge:

“In questi giorni critici, i marzaiuoli del centro furono ben attivi. Prima della partenza da Francoforte avevano già gridato, in un proclama, alle Associazioni di marzo e al popolo tedesco: “Concittadini, l’undecima ora è suonata!„. Da Stoccarda emanarono poi un nuovo proclama “al popolo tedesco„ per levare un esercito popolare, ed ecco che la lancetta dell’orologio dei marzaiuoli del centro se ne stava sempre allo stesso posto, oppure, come all’orologio della cattedrale di Friburgo, gli s’era rotto il N. XII. Fatto sta che nel proclama si dice di nuovo: “Concittadini, l’undecima ora è suonata!.„. O avesse un po’suonato prima e almeno quando l’eroe dei marzaiuoli del centro, Carlo Vogt, sventò17 , a maggior soddisfazione sua e dei chiassoni che lo festeggiavano, la rivoluzione franconica in Norimberga, e vi avesse un po’ picchiato sulla testa Nell’edificio governativo di Friburgo impiantò la reggenza i propri uffici. Il reggente Carlo Vogt, contemporaneamente ministro degli esteri e titolare di molti altri ministeri, anche colà, occasionalmente, si pigliava molto a cuore il bene del popolo tedesco. Dopo lungo studio diurno e notturno, aveva attuata una invenzione tutta consona allo spirito dei tempi: Passaporti della reggenza dell‘impero. Questi passaporti erano semplici, ben litografati e da aver gratis fin quanto uno ne avesse voglia. Avevano solo il piccolo difetto di essere validi e rispettati esclusivamente nell’ufficio del Vogt. Forse l’uno o l’altro esemplare troverà poi posto nella collezione di curiosità di qualche inglese„.

Il Wolff non seguì l’esempio del Greiner. Invece di “partir subito per l’America dopo comparsa la rivista„ aspettò ancora per un anno in Svizzera la vendetta del Vogt dell’impero.

VII. — La campagna d’Augsburg.

Poco dopo che il cittadino cantonale di Thurgau ebbe terminata la sua guerra contro l’Italia, il cittadino cantonale di Berna iniziò la sua campagna d’Augsburg.

“Quivi (a Londra) era sempre la cricca dei Marx che faceva la maggior parte delle corrispondenze (della Allgemeine Zeitung), e che sin dall’anno 1849 era in relazioni ininterrotte coll’Allgemeine Zeitung (pag. 194 Libro principale)„.

Sebbene il Marx medesimo fosse stabilito a Londra solamente dalla fine del 1849, cioè dopo il secondo suo sfratto dalla Francia, pare che la cricca del Marx fosse sempre annidata in Londra, e sebbene questa cricca del Marx provvedeva sempre la massima parte delle corrispondenze dell’Allgemeine Zeitung, era però colla medesima “in relazione ininterrotta solo dall’anno 1849„. Ad ogni modo la cronologia del Vogt si divide — e non c’è da stupirsene poiché l’uomo prima del 1848 “non pensava ancora ad occupazioni politiche„ (pag. 125 l. c.) — in due grandi periodi: cioè il periodo che dall’eternità va “fino al 1849„ e il periodo dal 1849 fino a “questo„ anno.

Io redigevo dal 1842-1843 la vecchia Rhein. Zeitung, che faceva alla Allgemeine Zeitung una guerra a morte. Dal 1848 al 1849 la Neue Rhein. Zeitung riaprì la polemica. Che cosa rimane dunque pel periodo “da prima fino al 1849„ salvo il fatto che il Marx combattè “sempre„ la Allgemeine Zeitung, mentre il Vogt dal 1844 al 47 ne era il “collaboratore fisso„ (Vedi pag. 225 Libro principale).

Veniamo ora al secondo periodo della storia universale del Vogt. Io da Londra ero in “relazione ininterrotta colla Allgemeine Zeitung„, ininterrotta dall’anno 1849, perchè dall’anno 1852 un certo Ohly fu corrispondente principale della Allgemeine Zeitung. Ora l’Ohly non era meco in nessuna relazione né prima né dopo il 1852. In vita mia non lo vidi mai. In quanto anzi figurava tra gli emigrati londinesi, era quale membro della Società d’emigrazione del Kinkel. Ciò però non cambia nulla affatto poiché

“Il primo oracolo del vecchio bavarese Althöfer, che aveva studiato l'inglese, fu il mio (del Vogt) stretto concittadino, il biondo Ohly, il quale da una base comunista cercava di guadagnar dei punti di vista più elevati e poetici in politica e in letteratura, e che prima in Zurigo, e dall’anno 1852 in Londra, fu il corrispondente principale della Allgemeine Zeitung, sin tanto che finì nel manicomio„ (pag. 195 del Libro principale).

Il Mouchard Eduard Simon infranciosa questa vogteide come segue:

“En voici d’abord un qui, de son point de départ communiste, avait cherché à s’élèver aux plus hautes conceptions de la politique (più elevati e poetici punti di vista nella politica “sorpassava le forze persino di un Edouard Simon„). A en croire à M. Vogt, cet adepte fut l’oracle de la Gazette d’Augsbourg jusqu’en 1852, époque où il mourut dans une maison de fous„ (pag. 529, Revue Contemporaine, tome XIII, Paris, 1860).

Operam et oleum perdidi, può esclamare il Vogt, del suo Libro principale e del suo Ohly. Mentre egli stesso fa corrispondere il suo più stretto concittadino dal 1852 in poi, e da Londra colla Allgemeine Zeitung sin tanto che finisce “nel manicomio„; Edouard Simon dice: “A credere al Vogt, l’Ohly sarebbe stato l’oracolo della Allgemeine Zeitung fino al 1852, nella quale epoca egli (che, tra parentesi, vive ancora) mori in un manicomio Ma Edouard Simon conosce il suo Carlo Vogt. Edouard sa che quando una volta ci si risolve a “prestar fede„ al nostro Carlo, è perfettamente indifferente ciò che gli si crede, cioè quel che dice o il contrario di quel che dice.

“Il signor Liebknecht, dice Carlo Vogt, lo sostituì, cioè l’Ohly, quale corrispondente dell’Allgemeine Zeitung. Solamente dopo che Liebknecht fu pubblicamente proclamato membro del partito marxista, fu accettato dalla Allgemeine Zeitung in qualità di corrispondente„ (pag. 69 l. c.).

Tale proclamazione seguì durante il processo dei comunisti in Colonia, quindi alla fine del 1852.

Il fatto è che Liebknecht nella primavera del 1851 diventò collaboratore del Morgenblatt, al quale mandava delle relazioni sull’esposizione industriale di Londra. Colla mediazione del Morgenblatt ottenne, nel settembre 1855, la corrispondenza per l’Allgemeine Zeitung.

“I suoi compagni (del Marx) non iscrivono una riga di cui il Marx non sia previamento avvertito„ (pag. 194 l. c.).

La dimostrazione nè è semplice:

“Egli (il Marx) domina incondizionatamente la sua gente„ (pag. 195),

mentre il Vogt obbedisce senz’altro al suo Fazy e consorti. Urtiamo qui in una particolarità della formazione mitica del Vogt. Dappertutto una proporzione pigmea da Giessen o da Ginevra, una cornice da città di provincia e un odor da bettola svizzera. Ingenuamente trasportando da Ginevra alla metropoli di Londra le abitudini paesane di una qualunque Roccacannuccia; dice che Liebknecht “non scriveva una riga„, nel Westend, di cui “non fossi previamente avvisato„ io, in Hampstead a quattro miglia di distanza. E lo stesso servizio da Laguerronière lo rendo quotidianamente ad una schiera di altri compagni sparsi per tutta Londra e corrispondenti in tutto il mondo. Che piacevole professione, e come rimunerativa!

Il mentore del Vogt, Edouard Simon, a cui sono note le condizioni, se non di Londra almeno di Parigi, dà, con un tocco da artista da non disconoscersi, un colorito da gran città al disegno del suo maldestro “amico di campagna„.

“Marx, comme chef de la société, ne tient pas lui-même la plume, mais ses fidèles n’ecrivent une ligne sans l’avoir consulté: La Gazette d’Augsbourg sera d’autant mieux servie„ (pag. 529 l. c.). Dunque “il Marx come capo della società non scrive egli stesso, ma i suoi fidi non gli scrivono una riga senza prima consultarlo. La Augshirger Zeitung è tanto meglio servita„. Comprende il Vogt tutta la finezza di tal correzione?

Io aveva da fare colla corrispondenza londinese del Liebknecht alla Allgemeine Zeitung, tale e quale come con la corrispondenza parigina dei Vogt alla medesima. Del resto, la corrispondenza del Liebknecht era assolutamente una lodevole esposizione critica della politica inglese che nella Allgemeine Zeitung descriveva precisamente come in contemporanee corrispondenze per fogli radicali tedesco-americani. Il Vogt medesimo, che ha compulsate ansiosamente delie intere annate della Allgemeine Zeitung per trovar che osservare nelle lettere del Liebknecht, limita la critica del loro contenuto al fatto che la sigla del Liebknecht erano “due linee sottili messe di traverso„ (pag. 196 Libro principale),

La posizione storta delle linee certamente dimostrava che la corrispondenza stessa andava per istorto; e che dire poi della sottigliezza! Se il Liebknecht invece di due linee sottili avesse almeno dipinto nel proprio stemma da corrispondente due rotondeggianti macchie di grasso! Se però la corrispondenza non ha altra macchia che due linee sottili messe per traverso, resta però il dubbio se realmente sia apparsa nella Allgemeine Zeitung. E perchè no nell’Allgemeine Zeitung? L’Allgemeine Zeitung, come è noto, concede posto ai più differenti punti di vista, almeno sul terreno neutrale come la politica inglese, ed è inoltre considerata all’estero come l’unico organo tedesco d’importanza più che locale.

Il Liebknecht poteva tranquillamente mandare le sue lettere da Londra al medesimo foglio per cui l’Heine aveva scritto le sue “Lettere da Parigi„, il Fallmerajer le sue “Lettere orientali„. Il Vogt nota che vi collaboravano anche persone sozze. Egli stesso, come è noto, fu il suo collaboratore dal 1844 al 1847.

Per quanto ora riguarda me stesso e Federico Engels — menziono l’Engels perchè noi due lavoravamo secondo un disegno comune e previo accordo — è vero che in qualche modo entrammo nel 1859 “in relazione„ coll’Allgemeine Zeitung. Io pubblicai, cioè, durante i mesi di gennaio, febbraio e marzo 1859 una serie di articoli nella New York Tribune, ove, tra le altre cose, era sottoposta a diffusa critica la “teoria della grande potenza vigente nell’Europa centrale„ della Allgemeine Zeitung, nonché la sua asserzione che la continuazione del dominio austriaco in Italia fosse un interesse tedesco. L’Engels poco prima dello scoppio della guerra, e d’accordo con me, pubblicò Il Po e il Reno (Berlino 1859), opuscolo diretto specialmente contro l’Allgemeine Zeitung, e che, per usare le parole dell’Engels (a pag. 4 del suo opuscolo Savoia, Nizza e il Reno, Berlino 1860), dimostrava da un punto di vista scientifico-militare “che la Germania non aveva bisogno di nessun lembo dell’Italia per la propria difesa e che la Francia, se dovessero valere delle ragioni semplicemente militari, aveva in verità dei diritti molto più forti sul Reno che non la Germania sul Mincio„. Tale polemica contro l’Allgemeine Zeitung e la sua teoria della necessità del dispotismo austriaco in Italia, andava però per noi parallela con la polemica contro la propaganda bonapartista. Io, per esempio, dimostrai largamente nella Tribune (Vedi, per esempio, febbraio 1859) che le condizioni finanziarie e politiche interne del “bas empire„ erano giunte ad un punto critico, in cui solo una guerra esterna poteva prolungare il governo del colpo di Stato in Francia e con esso quello della controrivoluzione in Europa. Io dimostravo che la liberazione bonapartista dell’Italia era un pretesto per tener soggiogata la Francia, per assoggettare l’Italia al colpo di Stato, per allargare “i confini naturali„ della Francia verso la Germania, per trasformare l’Austria in uno strumento della Russia e per obbligare i popoli ad una guerra della controrivoluzione legittima con l’illegittima. Tutto questo avvenne prima che l'ex-reggente l’impero desse a Ginevra fiato alle trombe.

Dopo l’articolo del Wolff nella rivista della Neue Rheinische Zeitung (1850) avevo completamente dimenticata la “natura arrotondata„. Fui nuovamente rammemorato di questo buffone nella primavera dei 1859, una sera di aprile, allorché il Freiligrath mi dette a leggere una lettera del Vogt con un accluso “programma„ politico. Non era ciò una indiscrezione, poiché la missiva del Vogt era “da comunicarsi agli amici„ non del Vogt ma del destinatario.

Alla domanda che cosa trovavasi nel programma, risposi; Chiacchiere. Riconobbi subito l’antico buffone nella sua domanda al Freiligrath d’impegnare il signor Bucher quale corrispondente politico per il foglio di propaganda da fondarsi a Ginevra. Il Bucher, com’era noto, sin dal gennaio 1859 aveva espresso delle opinioni assolutamente opposte al programma del Vogt nelle sue corrispondenze da Londra per la Berliner National Zeitung, ma per l’uomo dalla “immediatezza critica„ era tutt’uno.

Dopo questo fatto, che mi parve troppo poco importante per parlarne a qualcuno, ricevetti gli Studi sulla condizione presente dell’Europa, una lamentela che non mi lasciò nessun dubbio sulla sua relazione colla propaganda bonapartista.

La sera del 9 maggio 1859 mi trovavo sulla piattaforma di un pubblico meeting tenuto da Davide Urquhart in occasione della guerra d’Italia. Dopo ch’esso fu aperto, venne avanzandosi verso me una figura seria con fare solenne. Dall’aspetto da Amleto della sua fisonomia capii subito che c’era del marcio in Danimarca„. Era questo l’homme d’Etat Carlo Blind.

Dopo alcune frasi preliminari venne a parlare dei “maneggi„ del Vogt, e mi assicurò, scotendo enfaticamente la testa, che il Vogt riceveva per la sua propaganda dei sussidi bonapartisti; che a uno scrittore della Germania meridionale, che purtroppo non sapeva nominare, erano stati offerti dal Vogt, per corromperlo, trentamila fiorini — non mi rendevo ben conto quale scrittore della Germania meridionale valesse trentamila fiorini — che vi erano stati dei tentativi di corruzione a Londra; che già nel 1858 a Ginevra, in un incontro tra Plon-Plon, il Fazy e consorti si era combinata la guerra d’Italia e designato il granduca Costantino quale futuro re d’Ungheria; che il Vogt aveva esortato a collaborare alla propria propaganda anche lui (il Blind) e che egli possedeva delle prove dei maneggi traditori del Vogt. Il Blind ritornò poi al proprio posto, nell’altro angolo della piattaforma, presso il suo amico F. Fròbel; il meeting ebbe principio e D. Urquhart cercò di rappresentare, in un diffuso discorso, la guerra d’Italia come frutto dell’intrigo franco-russo18.

Verso la fine del meeting venne da me il dottor Faucher, redattore estero del Morning Star (organo della scuola di Manchester) e mi raccontò come fosse allora apparso un nuovo periodico settimanale tedesco-londinese, Il Popolo (Das Volk); che il foglio operaio Il nuovo tempo (Die Neue Zeit), edito dal signor A. Scherzer e redatto da Edgard Bauer, era morto in seguito ad un intrigo del Kinkel, editore dell’Hermann, e che, avvertito di ciò il Biskamp, sino allora corrispondente del Nuovo tempo, avesse lasciato il suo posto di maestro nell’Inghilterra meridionale per contrapporre in Londra Il popolo allo Hermann; che la Società tedesca per la cultura degli operai e qualche altro sodalizio in Londra sostenevano il foglio, che naturalmente, come tutti i simili giornali operai, era scritto e redatto gratis; ch’egli stesso, il Faucher, sebbene libero scambista, è come tale estraneo alla tendenza del Popolo, non voleva tollerare nessun monopolio nella stampa tedesca dì Londra, ed aveva quindi fondato, con altri conoscenti quivi, un comitato finanziario per sostenere il foglio. Che il Biskamp si era già rivolto epistolarmente per la collaborazione letteraria al Liebknecht, sino allora a lui sconosciuto, ecc. Finalmente il Faucher m’invitò a interessarmi del Popolo.

Sebbene il Biskamp abitasse in Inghilterra sin dal 1852, non ci eravamo fino allora conosciuti. Un giorno dopo il meeting dell’Urquhart, il Libknecht l’introdusse a casa mia. Non potei subito accettare l’invito di scrivere per il Popolo per mancanza di tempo, ma promisi di esortare i miei amici tedeschi in Inghilterra ad aiutarlo con abbonamenti, con sussidi in danaro e con la collaborazione letteraria. Nel corso della conversazione venimmo a parlare del comizio dell’Urquhart, il quale ci condusse a parlare del Vogt, i cui Stadi il Biskamp già conosceva e degnamente apprezzava. Io comunicai a lui e al Liebkneclit il contenuto del “programma„ del Vogt, nonché le rivelazioni del Blind, osservando però, relativamente a queste ultime, esser vezzo dei tedeschi meridionali di colorir fortemente le cose. À mia sorpresa, il n. 2 del Popolo (14 maggio) portava un articolo dal titolo “Il reggente l’impero come traditore dell’impero (Vedi Libro principale, pag. 17-18), nel quale il Biskamp accennava a due fatti enunciati dal Blind: i trentamila fiorini, ch’egli però riduceva a quattromila, e l’origine bonapartista dei danari d’operazione del Vogt. Del resto il suo articolo consisteva di scherzi alla maniera degli “Hornisse„, che nel 1848-49 aveva redatti in Cassel insieme col Heise. La Società londinese per la istruzione degli operai, come seppi molto tempo dopo la comparsa del Libro principale (Vedi Appendice 8a) aveva intanto incaricato uno dei suoi capi, il signor Seherzer di invitare le Società per la cultura degli operai in Svizzera, nel Belgio e negli Stati Uniti ad aiutare il Popolo ed a combattere la propaganda bonapartista. Il succitato articolo del Popolo del 14 maggio 1859 il Biskamp stesso lo mandò, a mezzo di posta, al Vogt, il quale contemporaneamente riceveva la circolare del signor A. Seherzer dal suo proprio Ranickel.

Il Vogt colla sua nota “immediatezza critica„ immaginò subito ch’io fossi il demiurgo di questa trama a lui ostile. Senz’ altro pubblicò quindi un sunto dei sno posteriore appiccicaticcio storico nel più volte citato “Supplemento straordinario al n. 150 del Corriere del Commercio Svizzero (Schwcizer Handels-Courier). Questo proto-evangelio, ove venivano per la prima volta svelati i misteri della “Banda dello zolfo„, dei “Burstenheimer„, dello Cherval, ecc., in data di Berna 25 maggio 1859 (quindi di data più recente che non l’evangelo dei Mormoni), portava il titolo Per avviso e si univa opportunatamente a un pezzo di traduzione da un opuscolo del famigerato E. About19 .

Il proto-evangelio anonimo del Vogt Per avviso fu a mia richiesta, come già sopra osservai, ristampato nel Popolo.

Al principio di giugno lasciai Londra per andare a trovare l’Engels a Manchester, ove si fece una sottoscrizione di circa 25 lire sterline per il Popolo. Federico Engels, W. Wolff, io, finalmente tre medici tedeschi a Manchester, i cui nomi figurano in un documento giudiziario da me spedito a Berlino, fornimmo tale contributo, la cui “natura„ dà occasione al “curioso„ Vogt di dare uno “sguardo di là dal canale„ ad Augusta ed a Vienna (pag. 21 Libro principale). Sulle collette londinesi del Comitato finanziario originario il Vogt può informarsi presso il dottor Faucher.

Il Vogt insegna a pag. 225 del Libro principale: “Da tempo immemorabile era un accorgimento dei reazionari il pretendere dai democratici che dovessero far tutto gratis, mentre essi medesimi (cioè non i democratici ma i reazionari), pretendevano per sé il privilegio di farsi pagare e d’esser pagati„. Che colpa da reazionari dunque da parte del Popolo di non essere solamente redatto e scritto gratis, ma di fare per di più ancor pagare i propri collaboratori! Se non è questa una prova della connessione tra il Popolo e la reazione, Carlo Vogt non ci capisce più nulla.

Durante il mio soggiorno a Manchester avvenne in Londra un fatto d’importanza decisiva. Il Liebknecht trovò, cioè, nella tipografia dello Hollinger (stampatore del Popolo) le bozze del foglio volante anonimo Per avviso diretto contro il Vogt; lo lesse alla svelta, riconobbe, subito le rivelazioni del Blind e seppe per di più dai tipografo A. Vögele che il Blind aveva consegnato per la stampa allo Hollinger il manoscritto steso di proprio pugno. Non meno di carattere del Blind erano le correzioni della copia. Due giorni dopo, il Liebknecht riceveva dallo Hollinger le bozze corrette, che mandò all'Allgemeine Zeitung. La composizione del foglio volante rimase interrotto e servì più tardi alla ristampa del medesimo nel n. 6 del Popolo (11 giugno 1859).

Colla pubblicazione dell’Avviso dell’Allgemeine Zeitung comincia la campagna ad Augsburg dell’ex-Vogt dell’impero. Egli querelò l’Allgemeine Zeitung per la ristampa del foglio volante.

Nel Libro principale (pag. 227-28) il Vogt traveste quello del Mullner: “Lo sono, lo sono, sono il brigante Jaromir„. Solamente che traduce dall’essere nell’avere: “Ho querelato perchè sapevo dapprincipio che tutta la vuotaggine, nullaggine e meschinità di quella redazione, la quale pretende d’essere la “rappresentante della alta cultura germanica„ doveva venire alla luce; ho querelato perchè sapevo fin dapprincipio che la connessione di questa lodevole redazione e della politica austriaca da lei levata alle stelle con la “Banda dello zolfo„ e la schiuma della rivoluzione, doveva esser resa di pubblica ragione e ancor quattro susseguenti “ho querelato il Vogt che ha querelato diventa sublime, o Longino ha ragione coll’opinione che non vi è nulla di più asciutto al mondo che un idropico. “La considerazione personale„ esclama la “natura arrotondata„, “fu il minimo motivo della mia querela„.

In verità, però, le cose stavano diversamente. Mai vitello recalcitrò più timorosamente dall’ammazzatoio di quel che Carlo Vogt facesse dal banco degli accusatori. Mentre i suoi più intimi amici, il Raniekel, il Reinach (già la raminga chronique scandaleuse contro il Vogt) e il chiacchierone parlamentare Mayer di Esslingen lo confermavano nella sua paura deiraecusa, gli venivano urgenti moniti da Zurigo di andare avanti, invece, colla querela. Nella festa operaia di Losanna il mercante pellicciaio Rooss gli dichiarò innanzi a testimoni che non avrebbe più potuto stimarlo qualora non procedesse. Il Vogt però teneva duro dichiarando che glie ne importava un fico secco della “Banda dello zolfo„, d’Àugsburg e di Londra e che tacerebbe. A un tratto però parlò. Diversi giornali portarono ravviso del processo e il Raniekel sentenziò “che quelli di Stoccarda non avrebbero lasciato in pace il Vogt, ma che il consenso suo (del Raniekel) non c’era.

Del resto giacche l’“arrotondato„ si trovava nell'impiccio, una querela contro l’Allgemeine Zeitung pareva senza dubbio la manovra più promettente. L’auto-apologia del Vogt contro un attacco di J. Venedey, che l’aveva accusato di maneggi bonapartisti, venne alla luce nei Corriere dì commercio di Biel del 16 giugno 1859, capitò quindi a Londra dopo la comparsa del foglio anonimo che finiva con questa minaccia: “Se però il Vogt, cosa che difficilmente potrà osare, dovesse negare tutto ciò, seguirà a queste rivelazioni un numero due„. Ora il Vogt aveva negato e ciò che non seguì fu la rivelazione numero due. Assicurato quindi da questa parte, poteva minacciarlo un guaio solamente da parte dei cari conoscenti, che conosceva troppo per contare sul vi-gliacco loro riguardo. Più si metteva in pubblico con una querela, e più poteva trarre cambiali sulla loro discrezione, poiché nél fuggitivo Vogt dell’impero era in certo modo alla berlina tutto l’abortito parla-mento.

Il parlamentare Jacopo Venedey così chiacchierava a pag. 27 e 28 del suo titolo in latino Pro domo et prò patrio contro Carlo Vogt, Hannover, 1860:

“Oltre alle lettere comunicate dal Vogt nell’esposizione del proprio processo, ho letto un’altra lettera del Vogt medesimo, che molto più chiaramente di quella diretta al dottor Löning dimostrava la posizione del Vogt quale aiuto di colorò che si davano pena a localizzare la guerra in Italia. Ho copiato da questa lettera per mia persuasione diversi passi che disgraziatamente non posso pubblicare, poiché la persona a cui la lettera era diretta me lì aveva comunicati a condizione di inni pubblicarli. I riguardi personali e di partito han cercato di coprire i maneggi del Vogt riguardo a questa faccenda in un modo che non mi pare giustificato nè di fronte al partito stesso, nè, per quel che riguarda il dovere umano, nei riguardi della patria. Tale riserva da parte di molti è causa che il Vogt osi ancora affermarsi impudentemente quale capoparte tedesco. A me però sembra che, appunto per questo, il partito, al quale il Vogt apparteneva, si renda per tal modo almeno parzialmente responsabile dei di lui maneggi„20.

Se, quindi, l’ardimento di una querela contro l’Allgemeine Zeitung non era, in massima, troppo grande, l’offensiva in questa direzione offriva d’altra parte al general Vogt la più favorevole base di operazione. Era l’Austria che diffamava il Vogt mediante l’Allgemeine Zei-tung, e l’Austria alleata coi comunisti. Per tal modo il Vogt dell’impero appariva come l'interessante vittima di una coalizione mostruosa tra i nemici del liberalismo borghese; e la stampa della Piccola Germania, già ben disposta verso il Vogt perchè egli è un fantolino dell’Impero, l'avrebbe, giubilando, levato sugli scudi!

In principio di luglio del 1859, poco dopo il mio ritorno da Manchester, il Blind venne a cercarmi in seguito ad una circostanza qui indifferente. Era accompagnato da Fidelio Holìingen e dal Liebknecht. In questo incontro espressi la mia persuasione ch’egli fosse l'autore del foglio volante Per avviso. Egli giurava il contrario. Io ripetei punto per punto le sue comunicazioni del 9 maggio, formanti in realtà tutto il contenuto del foglio. Tutto questo egli lo concesse, tuttavia sostenne di non esserne egli l'autore.

Circa un mese più tardi, nell’agosto 1859, il Liebknecht mi mostrò una lettera della redazione dell’Allgemeine Zeitung, in cui urgentemente lo si richiedeva delle prove per i punti d’accusa contenuti nel foglio volante Per avviso. A sua richiesta, mi risolsi di accompagnarlo a St. John’s Wood, alla casa di Blind, il quale, se anche non era l’autore del foglio, sapeva ad ogni modo in principio di maggio ciò che il loglio stesso rivelava in principio di giugno, e inoltre poteva provare ciò che sapeva. Il Blind si trovava in una stazione di bagni. Il Liebknecht lo informò quindi per iscritto dello scopo della nostra visita. Nessuna risposta. Il Liebknecht tornò a scrivere un’altra lettera. Finalmente giunse il seguente documento da uomo di Stato:

Caro signor Liebknecht,

“Le Sue due lettere, errate nell’indirizzo, mi raggiunsero quasi contemporaneamente. Com’Ella comprenderà, non desidero affatto d’immischiarmi nelle faccende d’un giornale a me del tutto estraneo. Nel caso presente poi tanto meno, non avendo avuto nessuna parte, come già osservai, nell’accennata questione. Quanto alle osservazioni occorse nel colloquio privato, da lei citate, furono evidentemente interpretate in modo tutto sbagliato, ed è in proposito un equivoco che mi riservo di chiarire poi a voce. Dolente ch’Ella abbia fatto inutilmente col Marx la gita sin da me, resto, con tutta stima, Suo

“St. Leonard, 18 settembre.

“C. BLIND„.

Questa nota diplomaticamente fredda, secondo la quale il Blind non aveva alcuna parte nella denuncia contro il Vogt, mi rammentava un articolo comparso anonimo il 27 maggio 1859 nella Free Press a Londra, e che tradotto suona press’a poco così:

Il granduca Costantino quale futuro re d’Ungheria. — Un corrispondente, che acclude la sua carta da visita, ci scrive:

“Signor mio, presente all’ultimo comizio 21 , nella Music-Hall, udii l’osservazione fatta riguardo al granduca Costantino. Sono in grado di comunicarle un’altra circostanza. Non più tardi dell’estate ultima, il principe Girolamo Napoleone spiegava particolareggiatamente ad alcuni dei suoi fidi in Ginevra un piano d’attacco contro l’Austria, nonché un rimaneggiamento della carta d’Europa, che si aveva in vista. Conosco il nome d’un senatore svizzero cui ha spiegato il tema. Il principe Girolamo dichiarava allora che, conformemente al piano disegnato, il granduca Costantino doveva diventare re d’Ungheria.

“Conosco inoltre dei tentativi fatti in principio del corrente anno per assicurare al piano russo-napoleonico alcuni esuli democratici tedeschi, nonché dei liberali influenti in Germania. Furono loro offerti per corromperli larghi mezzi pecuniali (large pecuniary advantages were held out to them as a bride). Son felice di dire che tali offerte furono sdegnosamente respinte„ (Vedi Appendice 9ª).

Quest’articolo nel quale il Vogt non è, è vero, nominato, ma indicato in modo non misconoscibile all'emigrazione tedesca in Londra, dà effettivamente il nocciolo del foglio più tardi uscito Per avviso. L'autore del “futuro re d’Ungheria„ cui lo zelo patriottico spingeva all’anonima denuncia dei Vogt, doveva naturalmente afferrare con avidità l’aurea occasione che gli offriva il processo di Augsburg, l’occasione cioè di svelare giudizialmente il tradimento agli occhi dell’Europa intera. E chi era l’autore del “Futuro re d’Ungheria„? Il cittadino Carlo Blind. Ciò mi era già stato rivelato sin dal maggio dalla forma e dal contenuto dell’articolo e mi fu ora ufficialmente confermato dal redattore della Free Press, signor Collet, non appena gli ebbi spiegata l’importanza della questione pendente e comunicata la nota diplomatica del Blind.

Al 17 settembre 1859 il compositore signor A. Vögele mi consegnò una dichiarazione scritta (ristampata nei Libro principale, documenti n. 30-81) in cui attesta non già essere il Blind l’autore del foglio volante Per avviso, bensì ch’egli medesimo (A. Vögele) ed il suo principale Fidelio Hollinger composero detto foglio nella tipografia dell’Hollinger stesso, che il manoscritto era scritto di carattere del Blind e che il Blind medesimo gli era stato occasionalmente designato dall’Hollinger quale autore del foglio.

Forte della dichiarazione del Vögele e del “Futuro re d’Ungheria„, il Liebknecht tornò, anche una volta, a scrivere ai Blind richiedendogli delle “prove„ dei fatti denunciati da questo statista nella Free Press, avvertendolo contemporaneamente che ormai esisteva un documento della sua partecipazione alla pubblicazione del foglio Per avviso. Invece di mandare una risposta al Liebknecht, il Blind mandò a me il signor Collet, acciocché mi esortasse, in suo nome, di non fare uso pubblico della mia conoscenza circa l’autore del noto articolo nella Free Press. Io risposi di non potermi impegnare a nulla, e che la mia discrezione sarebbe andata di pari passo col coraggio dei Blind.

Frattanto s’avvicinava il termine in cui doveva iniziarsi il processo in Augusta. Il Blind taceva. Il Vogt aveva tentato nelle diverse sue dichiarazioni pubbliche di addossare a me, quale a segreto istigatore, il foglio volante, nonché la prova per le indicazioni del medesimo. Per schivare tale manovra, per giustificare il Liebknecht, e per difendere l’Allgemeine Zeitung, che a mio parere aveva compiuto un’opera buona denunziando il Vogt, feci sapere mediante il Liebknecht alla redazione della medesima che ero pronto a trasmetterle uno scritto sulla origine del foglio Per avviso, qualora per iscritto me ne richiedesse. Così sorse 1’“animato carteggio che proprio ora il Marx conduce col signor Kolb„, come racconta il Vogt a pag. 194 del Libro principale 22 . Questo mio animato “carteggio col signor Kolb„ consisteva poi di due lettere del signor Orges a me, entrambe della stessa data, in cui mi richiede dello scritto promesso, che gli fu in seguito spedito con poche righe da parte mia23 .

Entrambe le lettere del signor Orges, anzi, meglio, la doppia edizione della medesima lettera, giunsero in Londra il 18 ottobre 1859, mentre il dibattito giudiziario in Augusta doveva aver luogo già il 24 ottobre. Scrissi quindi subito ai signor Vogete, per dargli, pel giorno seguente, un appuntamento nel locale dell’ufficio di polizia di Marlborough, dove avrebbe dovuto dare là forma legale di un affidavit 24 alle sue dichiarazioni sul foglio Per avviso. La mia lettera non gli giunse a tempo. Il 19 ottobre25 dovetti quindi, contrariamente alla mia prima intenzione, mandare alla Allgemeine Zeitung invece di un affidavit, la summenzionata dichiarazione scritta del 17 settembre26 .

Il dibattito al tribunale d'Augusta finì, come è noto, in una vera Commedia degli equivoci. Il corpo del delitto era il foglio volante Per avviso, ristampato dalla Allgemeine Zeitung e speditole da V. Liebknecht. L’editore e l’autore del foglio però facevano a mosca cieca; il Liebknecht non poteva portare dinanzi ad un tribunale d’Àugusta i suoi testi-moni che se ne stavano a Londra; i redattori dell’Allgemeine Zeitung nel loro imbarazzo giuridico peroravano in un gergo politicamente insulso, il dottor Hermann sballò le storielle della “natura arrotondata„ circa la “Banda dello zolfo„ la festa di Losanna, ecc., e la Corte finalmente respinse la querela del Vogt, perchè il querelante s’era sbagliato nell’adire la giurisdizione competente. La confusione raggiunse il massimo quando il processo fu chiuso in Augusta e ne giunse in Londra, con l’Allgemeine Zeitung, il resoconto. Il Blind, che aveva sin’allora ininterrottamente mantenuto il suo diplomatico silenzio, salta ora improvvisamente nell’arena della pubblicità, scovato dall’attestato da me prodotto del compositore Vögele. Il Vögele non aveva dichiarato che il Blind fosse l’autore del foglio volante, ma solamente che come tale era stato designato dallo Hollinger. Invece il Vögele dichiarava categoricamente che “il manoscritto del foglio stesso era scritto nel carattere, a lui noto, del Blind, e composto e stampato nella tipografia dello Hollinger„. Il Blind poteva essere l’autore del foglio, ancorché questo non fosse scritto di sua calligrafia, nè composto nella tipografia dello Hollinger. Viceversa poteva il foglio essere stato scritto dal Blind e stampato dallo Hollinger, sebbene il Blind medesimo non ne fosse l’autore.

Nel N. 313 della Allgemeine Zeitung, in data: Londra, 3 novembre (Vedi Libro principale, documenti 37-38), il cittadino ed uomo di Stato Blind dichiara di non essere Fautore del foglio, e come prova pubblica il seguente documento:

A) “Dichiaro con la presente che l’affermazione del compositore Vögele contenuta nel N. 300 dell’Allgemeine Zeitung, essere il foglio volante quivi menzionato Per avviso stato stampato nella mia tipografia, o esserne Fautore il signor Carlo Blind, è una maligna invenzione.

Londra, 2 novembre 1859 — 3 Litchfield Street, Soho.

FÌDELIO HOLLINGER„.

B) “Il sottoscritto, il quale da 11 mesi abita e lavora a Litchfield Street, Soho N. 3, attesta l’esattezza della dichiarazione del signor Hollinger.

Londra, 2 novembre 1859.

J. F. WIEHE„.

Il Vögele non aveva affermato in nessun posto essere Blind l’autore del foglio volante. Fidelio Hollinger cominciò quindi coll’inventare l’asserzione del Vögele per poi dichiararla “una maligna invenzione„. D’altra parte, se il foglio stesso non fu stampato nella tipografìa dello Hollinger, come sapeva questo medesimo Fidelio Hollinger che Carlo Blind non ne fosse l’autore?

E finalmente come può il fatto di “abitare e lavorare da 11 mesi (rimontando dal 1° novembre 1859)„ presso lo Hollinger, mettere in grado il tipografo Wiehe di attestare “l'esattezza delle dichiarazioni di Fidelio Hollinger?„.

La mia risposta a questa dichiarazione del Blind (N. 325 dell’Allgemeine Zeitung, Vedi Libro principale, documenti, pag. 39-40) si chiudeva con le parole: “Il trasferimento del processo da Augusta a Londra risolverebbe tutto il mystère Blind-Vogt„.

Il Blind, con tutta la morale indignazione d'una bell’anima ferita, ritornò all’attacco nel supplemento dell’Allgemeine Zeitung dell’11 dicembre 1859:

“Riferendomi ripetutamente (si ricordi bene questo) ai documenti firmati dal proprietario tipografo signor Hollinger, nonché dal compositore Wiehe, dichiaro per l’ultima volta che l’imputazione, ripetuta ormai non altrimenti che come insinuazione, essere io l’autore dello spesso menzionato foglio, è una pura e semplice bugia. Le altre indicazioni a mio riguardo contengono i più volgari svisamenti„.

In un poscritto a questa dichiarazione, la redazione dell’Allgemeine Zeitung osserva: “La discussione ormai non interessa più il pubblico in generale„, e prega quindi “i signori cui ciò interessa di rinunziare ad ulteriori repliche„, il che dalla “natura arrotondata„ è cosi commentato alla fine del Libro principale:

“In altri termini: la redazione dell’Allgemeine Zeitung esorta i signori Marx, Biscamp27 , Liebknecht, provati puri e semplici menzogneri, di non fare ulteriori cattive figure per sè e per l’Allgemeine Zeitung„.

Così finì per allora la campagna d’Augusta.

Ricadendo nel tono della sua lausiade, il Vogt fa rendere al compositore Vögele, dinanzi a me e al Liebknecht, una falsa testimonianza (pag. 195 del Libro principale). L’origine del foglio volante la spiega così: “Il Blind avrà magari immaginato dei sospetti e ne avrà chiacchierato. Su questo la banda dello zolfo fabbricò il pamphlet e i seguenti articoli, che appiopparono poi al Blind, messo alle strette„ (pag. 218 loco citato).

Se poi il Vogt dell'impero non riaprì, come ne fu invitato, in Londra la sua indecisa campagna, ciò accadde un po’ perchè Londra è “un buco„ (pag. 229 l. c.), un po’ perchè le parti relative “si accusano vicendevolmente di menzogna„ (l. c.).

L’ “immediatezza critica„ dell'uomo ritiene opportuno l’immischiarsi dei tribunali solamente quando le parti non contendono sulla verità.

Salto ora tre mesi per riprendere il filo della mia narrazione al principio di febbraio 1860. Il Libro principale del Vogt non era allora giunto peranco a Londra, bensì una fiorita della Gazzetta nazionale di Berlino (Berliner National Zeitung), ove, tra l'altro, è detto:

“Il partito Marx poteva ora assai facilmente appioppare al Blind la paternità del foglio appunto perchè e dopo che il medesimo si fu, nel colloquio col Marx e nell’articolo della Free Press, espresso in senso analogo, adoperando queste indicazioni e frasi del Blind, potè vasi fabbricare il libello in modo che paresse sua fattura„.

Il Blind — il quale, come il Falstaff considerava la discrezione quale la miglior parte del valore, così ritiene essere il tacere tutta l'arte della diplomazia — il Blind ricominciò di bel nuovo a tacere. E per sciogliergli la lingua pubblicai una circolare inglese da me firmata, in data Londra 4 febbraio 1860 (Vedi Appendice 11ª).

Questa circolare indirizzata al redattore della Free Press dice fra l’altro:

“Prima di muovere ulteriori passi bisogna che sveli i consorti che evidentemente fecero il giuoco del Vogt. Dichiaro quindi pubblicamente che la dichiarazione del Blind, del Wiehe e dello Hollinger, secondo cui il foglio volante anonimo non fu stampato nei locali del negozio Hollinger, 3 Litchfield, Soho, è una bugia infame„28 . Dopo aver addotto le prove, finisco con le parole:

“In conseguenza dichiaro nuovamente il sunnominato Carlo Blind per un bugiardo infame (deliberate liar). Se ho torto mi può facilmente confutare mediante un appello ad una Corte inglese„.

Il 6 febbraio 1860, un giornale quotidiano di Londra, Daily Telegraph (vi tornerò sopra più tardi), riproduceva sotto il titolo “The Journalistic Auxiliaries of Austria„ (gli ausiliari giornalisti dell'Austria) il sunto della Gazzetta nazionale. Io però iniziai una querela per diffamazione contro la Gazzetta nazionale, detti al Daily Telegraph notizia d’una simile querela e cominciai a raccogliere il materiale legale necessario.

In data 11 febbraio 1860, il compositore Vögele rilasciava un affidavit dinanzi alla polizia in Bow Street. Esso ripeteva in sostanza il contenuto della sua dichiarazione del 17 settembre 1859, cioè che il manoscritto del foglio era scritto di carattere del Blind e era stato composto nella tipografia dell’Hollinger, in parte da lui stesso (Vögele), in parte da F. Hollinger (Vedi Appendice 12ª).

Molto più importante fu l’affidavit del compositore Wiehe sulla cui testimonianza il Blind si era ripetutamente e con sicumera ognor crescente basato nella Allgemeine Zeitung.

Oltre l'originale (Vedi Appendice 13a) ne segue qui pertanto una traduzione letterale:

“Uno dei primi giorni del novembre ultimo scorso “non mi rammento più esattamente la data la sera, tra le nove e le dieci, fui destato dal letto dal signor F. Hollinger, nella cui casa allora abitavo, e dal quale ero impiegato in qualità di compositore. Egli mi consegnò un manoscritto il cui contenuto si era che io ero stato nei precedenti undici mesi ininterrottamente occupato da lui, e che durante tutto questo tempo un certo libello tedesco Per avviso non era stato composto e stampato nella tipografia del signor Hollinger, 3, Litchfield Street, Soho. Nel mio stato di confusione e senza conoscere l’importanza della transazione, adempii al suo desiderio, copiando e firmando il documento. Il signor Hollinger mi promise del denaro, ma non ne ricevetti. Durante questa transazione il signor Carlo Blind, come più tardi fui informato da mia moglie, aspettava nella camera del signor Hollinger. Alcuni giorni più tardi la signora Hollinger mi chiamò mentre mangiavo e m’introdusse nella camera di suo marito, dove trovai il signor Blind solo. Egli mi presentò lo stesso documento che il signor Hollinger mi aveva prima esibito, richiedendomi urgentemente (entreated me) di farne e firmarne una seconda copia, occorrendogliene due, una per sè e l’altra da pubblicarsi per le stampe. Aggiunse che mi si sarebbe dimostrato riconoscente. Nuovamente ricopiai e firmai lo scritto.

“Dichiaro con la presente la verità della sopra scritta dichiarazione, nonché:

1° - che durante gli 11 mesi fui per 6 settimane occupato non dal signor Hollinger ma da un certo Ermani;

2° - non lavoravo nella bottega del signor Hollinger proprio nel tempo in cui fu pubblicato il foglio Per avviso;

3° - sentii allora dal signor Vögele, che allora lavorava per il signor Hollinger, che egli (il Vögele), insieme con lo stesso signor Hollinger componeva il foglio in questione, e che il manoscritto era di carattere del Blind;

4° - la composizione del foglio volante esisteva ancora quando rientrai nel negozio del signor Hollinger. Io stesso la scomposi per la ristampa del foglio “per avviso„ nella gazzetta tedesca II Popolo (Das Volk) stampata dal signor Hollinger, 3 Litchfield Street, Soho. Tale foglio uscì nel N. 7 del Popolo, il 18 luglio 1859;

5° - io vidi come il signor Hollinger consegnò al signor Guglielmo Libknecht, abitante a Ohureh Street, Soho, 14, le bozze del libello Per avviso, sulle quali il signor Carlo Blind, di proprio pugno, aveva corretto uno o due errori. Il signor Hollinger era indeciso se consegnare o no tali bozze al Liebknecht, e non appena costui si fu allontanato, il Hollinger espresse a me e ài mio collaboratore Vögele il proprio rincrescimento d’aver dato via le bozze.

“GIOVANNI FEDERICO WIEHE„.

“Dichiarato e firmato dal predetto Federico Wiehe nel tribunale di polizia di Bow Street, questo giorno, 8 febbraio 1860, dinanzi a me J. Henry, giudice in detto tribunale (Police Court, Bow Street)„.

Con questi due affìdavit dei due compositori, Vögele e Wiehe, restava dimostrato che il manoscritto del foglio era scritto di carattere del Blind, ch'era stato composto nella tipografia dello Hollinger, e che il Blind stesso vi aveva apposta una correzione.

E l’uomo di Stato scriveva a Giulio Fröbel in data: Londra 4 luglio 1859: “Contro il Vogt è qui apparsa, non so per opera di chi, una violenta accusa di corruzione. Vi si trovano vari pretesi fatti di cui prima non avevamo sentito niente„. E lo stesso uomo di Stato scriveva al Liebknecht l’8 settembre 1859: “che non aveva nessuna parte in detta quistione„.

Non contento di queste prodezze, il cittadino e uomo di Stato, Blind, aveva per soprappiù fabbricato una falsa dichiarazione, per la quale, colla lusinga di promesse di danaro da parte di Fidelio Hollinger, della futura riconoscenza da parte sua, aveva carpito la firma dei compositore Wiehe.

Questa sua propria fattura colla firma carpita e la falsa testimonianza dell’Hollinger, non solo la mandò all’Allgemeine Zeitung, ma “ripetutamente si richiama a tali documenti„ in una seconda dichiarazione, e nella più morale indignazione mi getta in fronte una “pura e semplice menzogna„.

I due affidavit, dei Vögele e del Wiehe, li feci circolare, copiati, in diversi ritrovi, in seguito a che, nella casa del Blind, ebbe luogo un colloquio tra il Blind medesimo, Fidelio Hollinger e l’amico di casa del Blind, il signor I). M. Carlo Schaible, brava e tranquilla persona, che, nelle operazioni da uomo di Stato del Blind, fa in certo modo le parti dall’elefante addomesticato.

Nel N. 15 febbraio 1860 del Daily Telegraph comparve pertanto un paragrafo più tardi ristampato in giornali tedeschi e che nella traduzione suona così:

“Il libello vogtiano.

“All’editore del Daily Telegraph.

Egregio signore,

“In seguito a false indicazioni messe in giro, sento il dovere di dichiarare formalmente, tanto riguardo al signor Blind quanto al signor Marx, che nessuno dei due è l’autore del foglio volante tempo fa diretto contro il prof. Vogt in Ginevra. Tale opuscolo è mio, e mia ne è la responsabilità. Deploro, tanto nei riguardi del signor Marx quanto in quelli del signor Blind, che circostanze da me indipendenti m’abbiano impedito di fare prima questa dichiarazione.

«Londra, 14 febbraio 1860.

“CARLO SCHAIBLE, M. D.„.

Il signor Schaible mi inviò tale dichiarazione. Io contraccambiai la cortesia inviandogli, a volta di corriere, gli affidavit dei compositori Vögele e Wiehe, scrivendogli insieme che la sua dichiarazione nulla cambiava, nè alle false testimonianze mandate dal Blind all’Allgemeine Zeitung, nè alla conspiracy del Blind collo Hollinger per carpire la firma del Wiehe al falso ducumento fabbricato.

Il Blind sentiva che questa volta non si trovava sul sicuro terreno dell’Allgemeine Zeitung, bensì nella seria giurisdizione inglese; se voleva esautorare gli affìdavit e le “volgari ingiurie„ della mia circolare fondate sui medesimi, egli e lo Hollinger avrebbero dovuto prestare dei contro-affìdavit, ma colla fellonia non si scherza.

L’Eisele Blind non è l’autore del foglio, perchè il Beisele Schaible se ne dichiara pubblicamente l’autore. Il Blind ha semplicemente scritto il manoscritto del foglio, l’ha solamente fatto stampare dallo Hollinger, semplicemente ha corretto le bozze di propria mano, ed ha soltanto fabbricato con lo Hollinger e mandato all’Allgemeine Zeitung delle false testimonianze per confutar tali fatti. Tuttavia si tratta dell’innocenza calunniata, non essendo egli il redattore nè Fautore del foglio. Egli non funzionava che come lo scrìvano del Beisele Schaible. Appunto per ciò il 4 luglio 1859 egli non sapeva “da chi„ il libello era stato scagliato nel mondo, e l’8 settembre 1859 “non aveva nessuna parte in detta quistione„. Si tranquillizzi, dunque: il Beisele Schaible è l’autore del foglio nel senso letterario, ma l’Eisele Blind ne è l’autore nel senso tecnico della legge inglese e l'editore responsabile nel senso di qualsiasi legislazione civile.

Habeat sibi.

Al signor Beisele Schaible ancora una parola di congedo.

Il libello pubblicato dal Vogt nel Corriere commerciale di Biel contro di me, in data Berna, 25 maggio 1859, aveva il titolo: Per avviso. Il foglio volante redatto in principio di giugno 1859 dallo Schaible e scritto e pubblicato dal suo segretario Blind, nel quale il Vogt viene denunciato con certissimi particolari quale agente corruttore e corrotto di Luigi Bonaparte, ha ugualmente per titolo: Per avviso. Inolte è firmato X. Sebbene l’x nell’ algebra indichi l’incognita, è per combinazione anche l’ultima lettera del mio nome. Forse lo scopo del titolo e della firma era di far apparire il Per avviso dello Schaible quale replica mia al Per avviso del Vogt; lo Schaible aveva promesso una rivelazione numero due, non appena il Vogt osasse di smentire la rivelazione numero uno. Il Vogt non solo denegò, ma intentò una querela per diffamazione in base al Per avviso dello Schaible. E il numero due dei signor Schaible manca ancora adesso. Lo Schaible aveva stampate in testa al suo foglio le parole: per cortese diffusione. E quando Liebknecht fu così gentile di concedere tale diffusione mediante l’Allgemeine Zeitung, delle circostanze “indipendenti dalla sua volontà„ legarono la lingua al signor Schaible dal giugno 1859 fino al febbraio 1800, e non gli fu sciolta che dagli affìdavit della Corte di polizia in Bow Street.

Comunque stiano le cose, lo Schaible denunciente primo del Vogt, ha adesso assunto pubblicamente la responsabilità per le indicazioni del foglio volante. Anziché con la vittoria pel difensore Vogt, la campagna d’Augusta finisce quindi con l’entrata finalmente in lizza dell’offensore Schaible.

CAPITOLO VIII. Il «dada» Vogt ed i suoi «Studi».

“Sine studio„.

Circa un mese prima dello scoppio della guerra italiana comparvero i cosidetti Studi sulla condizione presente dell’Europa. Ginevra. 1859, del Vogt. Cui bono?

Il Vogt sapeva che l’Inghilterra nell’imminente guerra sarebbe rimasta neutrale (Studi, pag. 5). Egli sapeva che la Russia d’accordo con la Francia, si varrebbe di tutti i mezzi, all’infuori dell’inimicizia aperta: per nuocere all’Austria. (Studi, pag. 18). Egli sapeva che la Prussia - ma lasciamogli dire a lui stesso ciò che sa della Prussia: “Il più miope di noi ha dovuto veder chiaro che sussiste un accordo tra il governo prussiano e quello imperiale francese; che la Prussia non sfodererà la spada in difesa delle provincie non tedesche dell'Austria; che darà il suo consenso a tutte le misure relative alla difesa del territorio federale, ma fuori di quello impedirà qualsiasi partecipazione della federazione o dei singoli “suoi membri in favore dell’Austria, per ottenere poi nelle seguenti trattative per la pace il premio per questi suoi sforzi nelle pianure settentrionali tedesche„ (l. c., pag. 19).

Quindi, come risultato: “Nell’imminente crociata del Bonaparte contro l’Austria, l’Inghilterra resterà neutrale, la Russia agirà ostilmente contro l’Austria, la Prussia terrà a bada i membri della Federazione desiderosi d’azzuffarsi, e l’Europa localizzerà la guerra. Come prima la guerra russa, Luigi Bonaparte condurrà ora la guerra italiana col consenso della superiore autorità, in certo modo come generale segreto di una coalizione europea. Perchè allora l’opuscolo del Vogt? Giacché il Vogt sa che l’lnghilterra, la Russia e la Prussia agiscono contro l’Austria, che cosa lo obbliga a scrivere per Bonaparte? Ma sembra che oltre L’antica gallofobia “col rimbambito padre Arndt e l’ombra del sudicione Jahn alla testa„ (pag. 121 l. c.), una specie di moto nazionale abbia riscosso il “popolo tedesco„, trovandola sua eco in ogni specie di “camere e giornali, mentre i governi seguono esitando ed a malincuore la corrente che prevale„ (pag. 114 l. c.). Pare che l’“opinione„ di un imminente “pericolo„ abbia fatto risuonare un grido “invocante provvedimenti comuni„ (l. c.) nel Popolo tedesco. Il Moniteur francese (Vedi tra altro il numero del 10 marzo 1859) vedeva questo movimento tedesco con “rincrescimento„ e “stupore„.

Una specie di crociata contro la Francia, egli esclama, viene predicata nelle Camere e nella stampa da alcuni Stati del territorio tedesco. La si accusa di nutrire dei piani ambiziosi, ch’essa ha smentito, di preparare delle conquiste di cui non ha bisogno„, ecc.. Di fronte a queste calunnie„ il Moniteur dimostra che la condotta dell’impera tore nella quistione italiana deve, al contrario, inspirare al genio-tedesco la massima sicurezza che l’unità e la nazionalità tedesche sono in certo modo il cavai di battaglia della Francia decembrista, ecc. Il Moniteur però confessa (Vedi 10 aprile 1859) che certi timori tedeschi sembrano provocati da certi opuscoli parigini — opuscoli nei quali Luigi Bonaparte invita sé stesso urgentemente a dar al suo popolo “l’occasione da lungo tempo desiderata pour s’etendre majesteusement des Alpes au Rhin„ (per estendersi maestosamente dalle Alpi al Reno)„. “Ma, osserva il Moniteur, la Germania dimentica che la Francia si trova sotto l’egida d’nna legislazione che non permette una censura preventiva da parte del governo„. Queste e simili dichiarazioni del Moniteur provocarono, allorché furono comunicate al conte di Malmesbury (Vedi il Blue Book on the affairs of Italy. January to March 1859) proprio il contrario dell’effetto desiderato. Quello che non riuscì al Moniteur dovrebbe riuscire forse a Carlo Vogt. I suoi Studi non sono che una compilazione intedescata di articoli del Moniteur, di opuscoli del Dentu e di carte geografiche dell’avvenire decembriste.

Le ciance del Vogt sull’Inghilterra hanno un solo interesse: di mostrare la maniera dei suoi studi. Giusta le sue fonti originali francesi, egli trasforma l’ammiraglio inglese sir Charles Napier in un lord Napier (Studi, pag. 4); gli zuavi letterari addetti al regime decembrista sanno dal teatro della porta Saint-Martin che ogni inglese di qualità è almeno un lord.

“Coll’Austria — racconta il Vogt — l’Inghilterra non ha mai potuto andare d’accordo per molto tempo. Se una momentanea comunanza d'interessi le riunì per qualche tempo, sempre immediatamente le ridivise la necessità politica. Colla Prussia, invece, l’Inghilterra venne sempre in più stretta unione„, ecc. (pag. 21 l. c.).

Davvero! La comune lotta dell’Inghilterra e dell’Austria contro Luigi XIV dura, con brevi interruzioni, dal 1689 al 1718, cioè quasi un quarto di secolo. Nella guerra di successione d’Austria, l’Inghilterra combatte durante circa sei anni con l’Austria contro la Prussia e la Francia. Solo nella guerra dei sette anni l’Inghilterra si allea con la Prussia contro l'Austria e la Francia, ma già nel 1760 lord Bute pianta Federico il Grande per fare alternativamente al ministro russo Gallitzin e al ministro austriaco Kaunitz delle proposte per la spartizione della Prussia. Nell’anno 1790 l’Inghilterra stringe contro la Russia e l’Austria un trattato colla Prussia, che però sfuma l’anno stesso. Durante la guerra antigiacobina la Prussia„ nonostante i sussidi del Piti, si sottrae, mediante il trattato di Basilea, alla coalizione europea. L’Austria invece, aizzata dall’Inghilterra, guerreggia, con poche interruzioni, dal 1798 al 1809. Napoleone è appena messo da parte che già, durante il congresso di Vienna, l’Inghilterra stringe immediatamente un trattato segreto con l’Austria e la Francia (del 9 febbraio 1815) contro la Russia e la Prussia, Nell’anno 1821 il Mettermeli e il Castlereagh combinano in Hannover un nuovo accordo contro la Russia Mentre perciò gli Inglesi stessi, storiografi ed oratori parlamentari, par-lano dell’Austria precipuamente come dell'ancient ally (antica alleata), il Vogt scopre nei suoi opuscoli originali francesi, comparsi presso il Dentu, che l’Austria e l’Inghilterra, astrazion fatta da una “comunanza momentanea„, sempre si divisero, l’Inghilterra e la Prussia per contro si unirono, per la qual cosa probabilmente anche lord Lyndhurst, durante la guerra russa, esclamò rivolto alla Camera dei Lords, con riferenza alla Prussia: “Quem tu„ Romane, caveto!„. L’Inghilterra protestante prova antipatia verso l’Austria cattolica, l’Inghilterra liberale prova antipatia contro l’Austria conservatrice, llnghilterra libero-scambista antipatia contro l’Austria protezionista, l’Inghilterra capace di pagare contro l’Austria rovinata. Ma l’elemento patetico restò sempre estraneo alla storia inglese. Lord Palmerston, durante il suo governo trentenne dell’Inghilterra, ammanta bensì occasionalmente il suo vassallaggio verso la Russia coll’antipatia per l’Austria. Per antipatia contro l’Austria negò, per esempio, la mediazione dell’Inghilterra in Italia offerta dall’Austria ed accettata dal Piemonte e dalla Francia, per la quale l’Austria si sarebbe ritirata sino alla linea dell’Adige e Verona, la Lombardia, se così le fosse piaciuto, si sarebbe incorporata al Piemonte, Parma e Modena sarebbero toccati alla Lombardia, mentre la Venezia, sotto un arciduca austriaco, avrebbe formato uno Stato italiano indipendente, dandosi la propria costituzione (Vedi Blue Book on thè affairs of Italy, part II, july 1819, N. 377, 178). Queste condizioni erano ad ogni modo più favorevoli che non quelle della pace di Villafranca. Dopo che Radetzky ebbe battuto gli Italiani su tutti I punti, il Palmerston propose i patti da lui stesso rigettati. Non appena gli interessi della Russia richiesero una condotta opposta, durante la guerra della indipendenza ungherese, rifiutò invece, nonostante la sua “antipatia„ per l’Austria, l’aiuto a cui l’invitavano gli Ungheresi, basati sul trattato del 1711, e negò persino qualsiasi protesta contro l’intervento russo per “essere l’indipendenza e la libertà dell’Europa legate al mantenimento e alla integrità dell’Austria come a grande potenza europea„ (Seduta della Camera dei Comuni 21 luglio 1849).

Il Vogt racconta inoltre:

“Gli interessi del Regno Unito si oppongono dappertutto ostilmente a quelli dell’Austria„ (pag. 2 l. c.).

Questo “dappertutto„ si trasforma immediatamente nel Mediterraneo:

“L’Inghilterra vuol mantenere ad ogni costo la sua influenza nel Mediterraneo e sul suo litorale. Napoli e la Sicilia, Malta e le isole ionie, la Siria e l’Egitto sono punti di appoggio della sua politica, diretta verso l’india orientale; e su tutti questi punti l’Austria le ha frap-posto i più rivi ostacoli„ (l. c.).

Che cosa non crede il Vogt sulla fede degli opuscoli originali decembrista editi dal Dentu a Parigi! Gli Inglesi s'immaginavano finora di avere alternativamente combattuto con Russi e Francesi per Malta e le isole Jonie, ma non mai coll’Austria. La Francia, non l’Austria, essi credevano avesse già mandato una spedizione in Egitto, mentre in questo momento si pianta sull’istmo di Suez; che la Francia, non F Austria, avesse fatto delle conquiste sul litorale settentrionale dell’Africa, e, alleata colla Spagna, cercato di strappare Gibilterra agl’inglesi; che l’Inghilterra avesse steso il trattato di luglio del 1840 relativo all’Egitto ed alla Siria, contro la Francia ma con l’Austria; che nella “politica diretta verso l’India orientale„ l’Inghilterra incontri dappertutto i più vivi ostacoli da parte della Russia, non dell’Austria; che nell’unica questione seria tra l’Inghilterra e Napoli — la quistione dello zolfo del 1840 — fosse una Società francese e non austriaca quella il cui monopolio del commercio della zolfo siciliano aveva servito di pretesto all’attrito; finalmente che di là della Manica si parla bensì talvolta della trasformazione del Mediterraneo in un lac français, ma giammai della sua trasformazione in un lac autrichien. Tuttavia è qui da considerare una circostanza importante.

Nel corso dell’anno 1858 apparve, cioè, in Londra una carta d’Europa intitolata L’Europe en 1860. Tale carta, pubblicata dall’ambasciata francese e contenente vari accenni profetici pel 1858 — come per esempio il Lombardo-Veneto annesso al Piemonte e il Marocco alla Spagna — rifa tutta la geografia politica dell’Europa intera, coll’unica eccezione della Francia, che, a quanto pare, rimane entro i limiti dÈ suoi antichi confini. I territori ad essa riservati in pectore vengono, con dissimulata ironia, regalati a possessori impossibili. Così l’Egitto tocca all’Austria, e la chiosa marginale annessa alla carta dà la seguente indicazione: “François Joseph I, l’empereur d’Autriche et d’Egypte„ (Francesco Giuseppe I imperatore d’Austria e d’Egitto).

Il Vogt aveva dinanzi a sè, quale bussola decembrista, la carta di L’Europe en 1860. Da ciò il suo conflitto tra l’Inghilterra e l’Austria a causa dell’Egitto e della Siria. Il Vogt profetizza che> tale conflitto “finirebbe nella distruzione d'una delle potenze belligeranti„ se, come gli sovviene ancora a tempo, “se l’Austria fosse una potenza marittima„ (pag. 2 l. c.). Il colmo della particolare loro dottrina storica, gli Studi, per altro, lo raggiungono nel passo seguente:

“Allorché Napoleone I cercò una volta di far saltare la Banca inglese, questa si aiutò durante un giorno coll’espediente di contare le somme anziché pesarle, come sino allora era uso di fare; la cassa dello Stato austrìaco si trova durante 365 giorni all’anno in posizione simile, anzi peggiore„ (l. c. pag. 48).

I pagamenti in contanti della Banca d’Inghilterra (anche la “Banca inglese„ è uno dei fantasmi vogtiani) restarono sospesi, com’è noto, dal febbraio 1797 fino all’anno 1821, durante i quali 24 anni le banconote inglesi non erano in genere convertibili in metallo, sia pesato sia numerato. Allorché la sospensione cominciò, non esisteva ancora in Francia nessun Napoleone I (bensì un generale Bonaparte conduceva allora la sua prima campagna d’Italia), e allorché ripigliarono i pagamenti in contanti nella Threadnedle Street, Napoleone I aveva cessato di esistere in Europa. Tali Studi la vincono ancora sulla conquista dei Tirolo da parte dell’imperatore d’Austria, secondo narra il Laguerronière.

La signora di Krüdener, la madre della Santa Alleanza, distingueva tra il principio buono, “l’angelo bianco del Settentrione„ (Alessandro I) e il principio cattivo, “l'angelo nero del Mezzogiorno„ (Napoleone I). Il Vogt, padre adottivo della nuova Santa Alleanza, trasforma entrambi, Czar e Cesare, Alessandro II e Napoleone III, in angeli bianchi. Entrambi sono i predestinati liberatori dell’Europa.

Il Piemonte, dice il Vogt, “ha persino conquistata la stima della Russia„ (pag. 11, l. c.).

Che dire di più di uno Stato se non che ha conquistato perfino la stima della Russia? Specialmente dopo che il Piemonte ha ceduto il porto di guerra di Villafranca alla Russia, e, come lo stesso Vogt ammonisce relativamente all’acquisto del seno di Jahde, da parte della Prussia: “un porto di guerra in territorio straniero senza riconnessione organica colla terra a cui appartiene, è una così ridicola sciocchezza che la sua esistenza può acquistare importanza solamente se in certo modo lo si considera come punto di mira di ulteriori sforzi, come la banderuola secondo cui si tirano le linee direttive (Studi, pag. 15). Caterina II, come è noto, aveva già cercato di acquistare per la Russia dei porti di mare nel Mediterraneo.

Un tenero riguardo verso il “bianco angelo„ del settentrione induce il Vogt ad offendere, goffamente esagerando, la “modestia della natura„ in quanto viene ancora serbata nelle sue fonti originali del Dentu. Nella Vraie question France-Italìe-Autriche, Paris, 1859 (presso il Dentu), egli leggeva a pag. 20:

“Con qual diritto, del resto, il governo austriaco invocherebbe l’inviolabilità dei trattati del 1815, esso che li ha offesi mediante la confisca di Cracovia, la cui indipendenza era dai trattati garantita? 29

Questo suo originale francese egli lo traduce in tedesco nel modo che segue:

“È strano di sentire un tale linguaggio in bocca dell’unico governo che sin’ora abbia impudentemente rotto i trattati, stendendo in piena pace e senza causa la mano sacrilega contro la repubblica di Cracovia, garantita dai trattati, incorporandola senz’altro all’impero„ (pagina 58 l. c.).

Nicolò naturalmente distrusse la costituzione e la indipendenza del regno di Polonia, garentite dai trattati del 1815, per “rispetto„ ai trattati medesimi. La Russia non rispettò meno l’integrità di Cracovia allorché nel 1831 occupò con truppe moscovite questa città libera. Nel 1836 Cracovia fu nuovamente occupata da Bussi, Austriaci e Prussiani, fu trattata tale quale come tèrra di conquista e, ancora, nel 1840, richiamandosi ai trattati del 1815, si appellava invano all’Inghilterra e alla Francia. Finalmente il 22 febbraio 1846, Russi, Austriaci e Prussiani occuparono nuovamente Cracovia per incorporarla all’Austria. La rottura dei trattati accadde per opera di tutte e tre le potenze nordiche, e la'confisca austriaca del 1846 non fu che l'ultima parola dell’incursione russa del 1831. Per riguardo verso il “bianco angelo del settentrione„ il Vogt dimentica la confisca della Polonia e falsifica la storia della confisca di Cracovia30.

La circostanza che la Russia è assolutamente “ostile all’Austria e piena di simpatie per la Francia fa sì che al Vogt non resti alcun dubbio sulle tendenze di Luigi Napoleone a liberare i popoli, nello stesso modo come la circostanza che la “sua politica (di Luigi Bonaparte) va oggi strettamente unita a quella della Russia„ (pag. 30) non gli lascia dubbio sulle tendenze di liberatore dei popoli di Alessandro II.

La santa Russia deve quindi considerarsi in Oriente ugualmente “amica degli sforzi in pro della libertà e dello sviluppo popolare e nazionale„, come la Francia decembrista nell’Occidente. Questa parola d’ordine fu sparsa fra tutti gli agenti del 2 dicembre. “La Russia — leggeva il Vogt nello scritto edito presso il Dentu: La foi des traités, les puissances signataires et l’emperear Napoleón III, Paris, 1859 — la Russia appartiene alla famiglia degli Slavi, razza eletta… Ci si è stupiti dell’accordo cavalleresco manifestato improvvisamente tra la Francia e la Russia. Nulla di più naturale: accordo di principii, unanimità circa lo scopo, sottomissione alla legge della santa alleanza dei governi e dei popoli, non per lusingare e per costringere, ma per guidare ed aiutare il divino cammino delle nazioni. Da questa perfettissima cordialità (tra Luigi Filippo e l’Inghilterra non regnava che l’entente cordiale, ma tra Luigi Bonaparte e la Russia regna la cord ialite la plus par- faite) sono usciti i più felici effetti: ferrovie, liberazione dei servi della gleba, stazioni commerciali del Mediterraneo, ecc31 .

Il Vogt coglie subito a volo la “liberazione dei servi della gleba„ ed accenna che “l’impulso ora dato pare voglia fare della Russia piuttosto un’alleata degli sforzi in pro della libertà anziché una nemica„ (l. c., pag. 10).

Egli, come il suo originale del Dentu, fa risalire l’impulso alla cosiddetta emancipazione russa dei servi della gleba a Luigi Bonaparte, ed a questo scopo trasforma la guerra anglo-turca-franco-russa, che questo impulso diede, in una “guerra francese„ (l. c., pag. 10).

Com’è noto, il grido per l’emancipazione dei servi della gleba risuonò per la prima volta alto e insistente sotto Alessandro I. Lo czar Nicolò si occupò durante tutta la vita dell’emancipazione dei servi creò a tale scopo uno speciale ministero dei domini, fece fare a questo ministero delle pratiche preparatorie nel 1843, e nel 1847 emanò persino delle leggi favorevoli ai contadini sull’alienazione dei terreni dei nobili, alla cui revoca fu poi indotto solamente dal timore della rivoluzione. Se quindi la questione dell’emancipazione dei servi ha assunto più ampie dimensioni sotto lo “czar bene intenzionato„, come familiarmente il Vogt chiama Alessandro II, pare che ciò si debba ad uno sviluppo di condizioni economiche che nemmeno uno czar può impedire. Del resto l’emancipazione dei servi nella mente del governo russo centuplicherebbe la forza aggressiva per la Russia. Essa ha semplicemente per iscopo il compimento dell’autocrazia coll’abbattere tutte le barriere che il grande autocrate trovò sinora nei molti piccoli autocrati della nobiltà russa appoggiati alla servitù della gleba, nonché nelle comunità, contadinesche autonome, il cui fondamento materiale, la proprietà comune, verrebbe distrutta dalla cosiddetta emancipazione.

Per caso i servi russi della gleba intendono l’emancipazione in un senso diverso dal governo, e ancora in un altro senso la intende la nobiltà russa. Il “beneintenzionato czar„ scoperse quindi essere una vera emancipazione dei servi inconciliabile con la sua autocrazia, precisamente come il beneintenzionato papa Pio IX scoperse a tempo essere l’emancipazione italiana inconciliabile con le condizioni d’esistenza del papato. Il “bene intenzionato czar„ vede quindi nella guerra di conquista e nella esecuzione della tradizionale politica estera della Russia che, come osservalo storico russo Karamsin, “è inalterabile„ l'unico mezzo per rimandare la rivoluzione all’interno.

Il principe Dolgoroukow nella sua opera La vèrite sur la Russie, 1860, ha criticamente distrutte le fiabe sin dal 1856 zelantemente diffuse per tutta l’Europa da penne mercenarie russe, altamente proclamate dai decembristi nel 1859 e ripetute dal Vogt nei suoi Studi.

Già prima dello scoppio della guerra italiana, secondo il Vogt, l’alleanza fondata apposta per la liberazione delle nazionalità tra lo czar bianco “e l’uomo del 2 dicembre„ s’era già manifestata nei principati danubiani, con l’unità d’indipendenza della nazionalità rumena mediante l'elezione del maggiore Couza a principe della Moldavia e Valachia. “L’Austria protesta con mani e piedi, la Francia e la Russia applaudono„ (pag. 65 l. c.).

In un memorandum (ristampato nel “Foglio settimanale prussiano [Preussisches Wochenblatt] 1859„) redatto dal Gabinetto russo nel 1837 per lo czar presente, si legge: “Alla Russia non piace d’incorporare senz’altro degli Stati con elementi estranei. Ad ogni modo appare più opportuno di fare restare per un certo tempo i paesi il cui acquisto è risoluto, sotto capi speciali ma interamente dipendenti, come l’abbiamo fatto nella Moldavia e Valachia, ecc. Prima che la Russia incorporasse la Crimea, ne aveva proclamata l’indipendenza.

In un proclama russo dell’11 dicembre 1814 è detto tra l’altro: “l’Imperatore Alessandro, vostro patrono, fa appello a voialtri polacchi. Armatevi per la difesa della vostra patria e il mantenimento della vostra indipendenza politica„.

E ora parliamo dei Principati danubiani! Dalla incursione di Pietro il Grande in questi principati, la Russia ha lavorato per la loro indipendenza. Al congresso di Niemorow (1737) la imperatrice Anna richiese al sultano l’indipendenza dei Principati danubiani sotto il protettorato russo. Caterina II, al congresso di Foksliani (1772), insistè sulla loro indipendenza sotto il protettorato europeo. Alessandro I continuò tali sforzi e li suggellò colla trasformazione della Bessarabia in provincia russa (Pace di Bucarest 1812). Nicolò, anzi, beatificò i Rumeni mediante Kisseleff col Règlement organique tuttora valido, che organizzava la più infame servitù della gleba tra gli applausi di tutta Europa per questo codice della libertà. Alessandro II non ha fatto che far procedere di un passo la politica una volta e mezzo secolare dei suoi predecessori colla quasi riunione dei principati sotto Couza. Il Vogt scopre che in seguito a questa riunione di principati sotto un vassallo della Russia, “i principati saranno una barriera contro l’espansione della Russia verso Mezzogiorno„ (pag. 64 l. c.).

Giacché la Russia applaude reiezione del Couza (pag. 65 l. c.), è chiaro come il sole che il “bene intenzionato czar„ si preclude da sé a viva forza la via verso il Mezzogiorno, sebbene “Costantinopoli resti l’eterna mira della politica russa„ (l. c., pag. 91).

Il decantare il nuovo atteggiamento della Russia quale patrona del liberalismo e delle tendenze nazionali, non è cosa nuova. Caterina II fu festeggiata da tutta una schiera d’illuminati francesi e tedeschi quale albera del progresso. Il “nobile„ Alessandro I (le Grec du bas Empire, come poco nobilmente lo chiamava Napoleone I) fece, a suo tempo, l’eroe del liberalismo in tutta Europa. Non letificò forse la Finlandia delle benedizioni della civiltà russa? Non largì alla Francia nella propria generosità, oltre che una costituzione, anche un primo ministro russo, il duca di Richelieu? Non era il capo segreto delle “etairie„, mentre contemporaneamente al congresso di Verona spingeva Luigi XVIII, per bocca del comprato Chateaubriand, alla campagna contro i ribelli spagnuoli? Non aizzò Ferdinando VII, a mezzo del di lui confessore, alla spedizione contro le ribelli colonie ispano-americane, mentre contemporaneamente concedeva al presidente degli Stati Uniti dell'America del Nord il proprio appoggio contro qualsiasi intervento delle 'potenze europee sul continente americano? Non aveva mandato l’Ipsilanti in Valacchia quale “capo delle schiere ellene„ e non aveva, mediante il medesimo Ipsilanti, tradito le schiere e fatto uccidere a tradimento il capo dei ribelli valacchi, il Wladimiresco? Anche Nicolò II fu salutato, prima del 1880, in ogni lingua, in prosa ed in verso, quale eroe liberatore della nazione. Allorché nel 1828-29 imprese ia guerra contro Mahmud II per la liberazione dei Greci, dopo che cioè Mahmud ebbe rifiutato l’ingresso ad un esercito russo per reprimere la ribellione greca, il Palmerston dichiarò al Parlamento inglese che i nemici della Russia liberatrice erano necessariamente gli amici dÈ massimi mostri del mondo, di Don Miguel, dell’Austria e del sultano. Non diede forse Nicolò ai Greci, con paterna sollecitudine, per presidente un generale russo, il conte Capo D’Istria? Solo che i Greci non erano francesi, ed assassinarono il nobile Capo D’Istria. Ora, sebbene Nicolò, dallo scoppio della rivoluzione di luglio in poi, fece la sua parte specialmente quale patrono della legittimità, non trascurò però un solo momento d’agire “per la liberazione delle nazioni„. Bastano pochi esempi. La rivoluzione costituzionale della Grecia nel settembre 1843 era guidata dal Katakasi, ministro russo in Atene, già sorvegliante responsabile dell’ammiraglio Heyden durante la catastrofe di Navarino. Il centro della ribellione bulgara, nel 1842 era il Consolato russo in Bucharest. Quivi il generale russo Duhamel nella primavera del 1842 ricevè una deputazione bulgara a cui propose i piani d’una insurrezione generale. Come riserva della medesima dovea servir la Serbia, trasmettendosi l’Hospodariato della Valacchia al generale russo Kisseieff. Durante l’insurrezione serba (1843), la Russia, mediante la propria Ambasciata in Costantinopoli, spingeva la Turchia a misure di rigore contro i Serbi per poi, sotto questo pretesto, far appello alla simpatia e al fanatismo dell’Europa contro la Turchia. Neppur l’Italia fu in alcun modo esclusa dai piani di liberazione dello czar Nicolò. La jeune Italie, per un certo tempo organo parigino del partito mazziniano, racconta in un numero del novembre 1843:

“I recenti disordini della Rumenia ed i moti in Grecia erano più o meno connessi… Il moto italiano andò a monte, perchè il partito veramente democratico aveva rifiutato di uninvisi. I repubblicani non volevano appoggiare un moto messo in opera dalla Russia. Tutto era pronto per una insurrezione generale in Italia. Il movimento doveva incominciare a Napoli, dove si aspettava che una parte dell’esercito vi si porrebbe a capo o farebbe immediatamente causa comune coi patrioti. Dopo lo scoppio di questa rivoluzione si sarebbero sollevate la Lombardia, il Piemonte e la Romagna; e si sarebbe fondato un regno d’Italia sotto il duca di Leuchtenberg, figlio di Eugenio Beauharnais e genero dello czar. La Giovane Italia sventò tale piano„.

Il Times del 20 novembre 1843 osserva, a proposito di questo comunicato della Jeune Italie:

“Se questo grande scopo — fondazione di un regno d'Italia con un principe russo alla testa — poteva ottenersi, tanto meglio; ma un altro più immediato, se anche non tanto importante vantaggio, era da ottenersi mediante qualunque scoppio in Italia: di causare dell’allarme all’Austria e di divergerne l’attenzione dai tremendi (fearful) disegni della Russia sul Danubio„.

Dopo che Nicolò si fu nel 1843 rivolto indarno alla “Giovane Italia„, mandò nel marzo 1844 a Roma il signor Boutenieff. Costui offri al papa in nome dello czar la cessione della Polonia russa all’Austria, in cambio della Lombardia, che doveva formare un regno d’Italia settentrionale sotto il Leuchtenberg. Il Tablet dell’aprile 1844, allora l’organo inglese della curia romana, osserva a proposito di tale proposta:

“L’esca per la Corte romana in questo bel piano si era di far passare la Polonia in mani cattoliche, mentre la Lombardia restava, come prima, sotto la dinastia cattolica. Ma i veterani diplomatici di Roma capirono che mentre l’Austria appena riesce a mantenere le proprie provincie e secondo ogni umana probabilità presto dovrà restituire le proprie provincie slave, una trasmissione «Iella Polonia all’Austria, posto anche che tale parte dell’offerta fosse seria, non sarebbe che un imprestito da pagarsi più tardi; mentre l’Italia settentrionale col principe di Leuehtenberg sarebbe di fatto sotto protezione russa, ed immancabilmente tra poco cadrebbe sotto lo scettro russo. Quindi questo piano vivamente raccomandato, fu, per ora, messo da parte„.

Sin qui il Tablet pel 1844.

L'unica circostanza che giustificò resistenza statale dell’Austria dalla metà del secolo XVIII in poi, la sria resistenza contro i progressi della Russia nell’Europa orientale — una resistenza imbelle, incongruente, vile ma tenace — induce il Vogt alla scoperta che “l’Austria è il focolare d'ogni discordia in Oriente„ (l. c., pag. 56). Con una certa “ingenuità„ che tanto bene s’addice alla sua grassa natura, egli spiega l’unione della Russia con la Francia contro l’Austria, oltre che per le tendenze liberatrici del bene intenzionato czar, anche per l’ingratitudine dell’Austria per i servigi ricevuti da Nicolò durante la rivoluzione ungherese.

“Nella guerra di Crimea stessa l’Austria arrivò fino all’ultimo limite della neutralità armata ed ostile. Si capisce da sè che tale condotta, la quale portava insieme le caratteristiche della falsità e della mala fede, doveva fortemente amareggiare il governo russo contro l’Austria, e quindi anche spingerlo verso la Francia„ (l. c., pag. 10-11).

La Russia segue, secondo il Vogt, una politica sentimentale. La gratitudine che l'Austria testimoniò allo czar, alle spese della Germania, durante il Congresso di Varsavia del 1850 e mediante la spedizione allo Schleswig-Holstein, non soddisfa ancora il riconoscente Vogt.

Il diplomatico russo Pozzo Di Borgo, nel suo celebre dispaccio in data di Parigi, dicembre 1825, dice, dopo previa enumerazione dei maneggi dell’Austria contro i piani d’intervento della Russia in Oriente: “La nostra politica ci impone pertanto di mostrarci a questo Stato (l’Austria) in aspetto terribile, e di convincerlo, mediante i nostri preparativi, che, se osa una mossa contro di noi, scoppierà sul suo capo la più fiera tempesta che mai gli sia toccata Dopo che il Pozzo minacciato dalla guerra all’esterno e dalla rivoluzione airinterno, ebbe indicato come soluzione passabilmente pacifica che l’Austria afferrasse le “provínole per essa convenienti„ della Turchia, e ebbe descritto poi la Prussia semplicemente come un alleato subordinato della Russia, continua: “Se la Corte di Vienna avesse ceduto ai nostri buoni fini ed intenzioni, il piano del gabinetto imperiale sarebbe da assai tempo adempiuto, un piano che si estende non solo alla conquista dei principati danubiani e di Costantinopoli, ma alla stessa cacciata dei Turchi dall’Europa„. Nell’anno 1830, com’è noto, fu stretto un accordo segreto tra Nicolò e Carlo X, e ivi si stipulava: la Francia permette alla Russia la conquista di Costantinopoli, e riceve in compenso le provincie renane e il Belgio; la Prussia viene indennizzata coll’Annover e la Sassonia; la Russia riceve una parte delle provincie turche sul Danubio. Lo stesso piano, a istigazione della Russia, fu, sotto Luigi Filippo, ripresentato dal Molé al gabinetto di Pietroburgo. Poco dopo il Brunnow se ne venne a Londra col documento, che fu ivi comunicato al governo inglese come prova del tradimento della Francia, e adoperato per la formazione della coalizione antifrancese del 1840.

Vediamo ora come la Russia doveva, d'accordo con la Francia, sfruttare la guerra d’Italia, secondo l'idea del Vogt, inspirato dalle sue fonti originali parigine. La composizione “nazionale„ della Russia, e in special modo la “nazionalità polacca„, potevano sembrare procurare qualche difficoltà ad un uomo la cui “stella polare è il principio della nazionalità„, ma il “principio della nazionalità„ lo teniamo alto, il principio della libera auto-determinazione più libero ancora„ (pag. 12 l. c.).

Allorché la Russia, mediante i trattati del 1815, annettè la parte di gran lunga maggiore della Polonia propriamente detta, ottenne una posizione così avanzata verso Occidente, si spinse tanto a modo dì cuneo non solo tra l’Austria e la Prussia, ma tra la Prussia orientale e la Silesia, che già allora degli ufficiali prussiani (per esempio il Gneisenau) richiamarono l'attenzione sulla insopportabilità di tali condizioni di frontiera verso un prepotente vicino. Ma quando il rovescio dei Polacchi, nel 1831, ne sottopose il territorio incondizionatamente alla Rustia, cominciò a svilupparsi il vero significato di quel cuneo.

Alle fortificazioni impiantate su amplissime basi presso Varsavia, Moctlin, Ivangorod, la sottomissione della Polonia non serviva che di pretesto. Il loro vero scopo era la padronanza strategica assoluta del territorio della Vistola, e il fondamento d'una base di attacco verso il Settentrione, il Mezzogiorno e l’Occidente. Persino lo Haxthausen, che è entusiasta dello czar ortodosso e di quanto è russo, vede qui un pericolo e una minaccia per la Germania. La posizione fortificata dei Russi sulla Vistola minaccia la Germania più di tutte le fortezze francesi prese insieme, specialmente dal momento in cui dovesse cessare la resistenza nazionale della Polonia e la Russia potesse disporre della forza bellica della Polonia come d’una forza aggressiva propria. Il Vogt quindi tranquillizza la Germania dicendo che la Polonia è russa per libera autodeterminazione.

“Senza dubbio — egli dice — senza dubbio in seguito agli sforzi del partito popolare russo, l’abisso che si stendeva tra la Polonia e la Russia è notevolmente diminuito, e forse basta una piccola spinta per colmarlo completamente„ (l. c., pag. 12).

Questa piccola spinta doveva darla la guerra d’Italia (Alessandro li si accorse però, durante la guerra, che la Polonia non era ancora all’altezza del Vogt). La Polonia, scioltasi nella Russia per libera autodeterminazione, avrebbe attirato per legge di gravità, come corpo centrale, le membra languenti e distaccate sotto il servaggio straniero del fu regno di Polonia. Acciocché questo processo di attrazione possa più facilmente effettuarsi, il Vogt consiglia alla Russia di cogliere il momento di disfarsi dell’“appendice slava„ (pag. 17 l. c.), cioè la Posnania (pag. 97 l. c.), e probabilmente anche la Prussia occidentale, riconoscendosi come “vero paese tedesco„ la sola Prussia orientale. Queste membra, distaccate dalla Prussia, ricadrebbero naturalmente nel corpo centrale, assorbito dalla Russia, trasformando il paese davvero tedesco, la Prussia orientale in una enclava russa. D'altra parte, per quel che riguarda la Gallizia, che anche nella carta L’ Europe en 1860 è incorporata alla Russia, il suo distacco dall’Austria era direttamente nei fini della guerra, di liberare la Germania dai possessi non germanici dell’Austria. Il Vogt si ricorda che “prima del 1848 si trovava in Gallizia più spesso il ritratto dello czar di Russia che non dell’imperatore di Russia„ (sic) (pag. 12 l. c.), e, colla straordinaria abilità che la Russia possiede nell'intavoìar tali maneggi, ci sarebbe qui una forte ragione di timore da parte dell’Austria„ (l. c.).

Si capisce però da sé che, per sbarazzarsi del “nemico interno„ la Germania deve permettere alla Russia di “spingere al confine le truppe„ (pag. 13) che appoggiano tali maneggi. Mentre la Prussia stessa separa da sé le proprie provincie polacche, la Russia, approfittando della guerra d’Italia, dovrebbe staccare la Gallizia dall’Austria, come ad Alessandro I, sin dal 1809, fu pagato il suo appoggio, semplicemente teatrale, a Napoleone I, con un pezzo della Gallizia. È noto che la Russia richiese con successo, in parte da Napoleone I, in parte dal Congresso di Vienna, una parte dei tratti della Polonia originariamente toccati all’Austria e alla Prussia. Nell’anno 1859, secondo il Vogt, era giunto il momento di riunire tutta la Polonia alla Russia. Invece dell’emancipazione della nazionalità polacca dai Russi, Austriaci e Prussiani, il Vogt chiede la dissoluzione e la sommersione nella Russia di tutto l’antico regno polacco. Finis Poloniae! Questa idea russa della ricostituzione della Polonia, che subito dopo la morte dello czar Nicolò percorse tutta l’Europa, si trova già nel marzo 1855 denunciata nell’opuscolo di Davide Urquhart The new hope of Poland (La nuova speranza della Polonia).

Ma il Vogt non ha fatto ancora abbastanza per la Russia.

“La cortesia straordinaria, dice questo amabile compagnone, anzi quasi la fraternità con cui i Russi trattavano i rivoluzionari ungheresi, contrastava troppo fortemente con la condotta degli Austriaci per non sortire il suo pieno effetto. Mentre la Russia abbatteva bensì il partito (nota bene: la Russia, secondo il Vogt, non abbattè l’Ungheria ma il partito) ma lo trattava con riguardo e cortesia, poneva la base di un modo di vedere che può esprimersi in certo modo così: doversi fra due mali scegliersi il minore, e non essere, dato il caso, il maggiore la Russia (pag. 12-13 l. c.).

Con quale straordinaria gentilezza, riguardo e cortesia, anzi quasi fratellanza, il Falstaff del Plon-Plon non guida in Ungheria i Russi, e non si fa canale delle illusioni a cui s’infranse la rivoluzione ungherese del 1849! Era il partito del Görgei, che allora diffondeva la fede in un principe russo quale futuro re d’Ungheria, e che con tal fede spezzò la forza di resistenza della rivoluzione ungherese32 .

Senza uno speciale appoggio a nessuna razza, gli asburghesi prima del 1848 fondavano il loro reggimento in Ungheria, naturalmente sulla nazionalità dominante — i Magiari. In genere, sia detto tra parentesi, il Mettermeli fu il più grande conservatore delle nazionalità. Egli ne abusava Runa contro l’altra, ma ne aveva bisogno per abusarne. Le mantenne quindi. Si confronti la Posnania e la Gallizia. Dopo la rivoluzione del 1848-49, la dinastia asburghese, che aveva battuto i Tedeschi e i Magiari mediante gli Slavi, cercò, imitando Giuseppe II, di portare violentemente la prevalenza in Ungheria dell’elemento tedesco. Per paura della Russia gli asburghesi non osarono di abbracciare i loro salvatori, gli Slavi. Tutta la loro reazione in Ungheria era ancor più diretta contro i loro salvatori, gli Slavi, che non contro i vinti, i Magiari. Nella lotta contro i propri salvatori la reazione austriaca respinse, come l'ha mostrato lo Szemere nel suo opuscolo: Hungary 1848-1860, London, 1860, gli Slavi sotto la bandiera dei Magiari. Il dominio austriaco sull’Ungheria, e il dominio dei Magiari in Ungheria, coincidettero, quindi, prima e dopo il 1848. Ben diversamente colia Russia, sia che domini in Ungheria direttamente, sia indirettamente. Sommando gli elementi affini per stirpe e per religione, la Russia dispone subito della maggioranza non magiara della popolazione. La razza magiara soggiace subito agli Slavi, affini per razza, ed ai Vaia celli, affini per religione. Il dominio russo in Ungheria è quindi equivalente col tramonto della nazionalità ungherese, cioè dell’Ungheria storicamente legata al dominio dei Magiari33.

Il Vogt, che fa dissolvere i Polacchi nella Russia per libera autodeterminazione, fa che gli Ungheresi tramontino, per opera del dominio russo, nella razza slava34.

Ma il Vogt non ha ancor con ciò fatto abbastanza per la Russia.

Fra le “province extra tedesche„ dell’Austria, per le quali la Confederazione germanica non deve impugnare la spada contro la Francia e la Russia “che è tutta dalla parte della Francia„, si trovano, non solo la Gallizia, l’Ungheria, l’Italia, ma specialmente anche la Boemia e la Moravia. La Russia, dice il Vogt, offre il punto fisso intorno a cui tentano, più o meno, di raggrupparsi le nazionalità slave (l. c., pag. 91).

La Boemia e la Moravia appartengono alle nazionalità slave. Come la Moscovia si sviluppò in Russia, così la Russia deve svilupparsi a Panslavia. Coi czechi a lato soggiaceremo a qualsiasi nemico (l. c., pag. 134). Noi, cioè la Germania, dobbiamo cercare di liberarci dei czechi, cioè della Boemia e della Moravia.

“Nessuna garanzia per possessi extra tedeschi dei sovrani„ (pag. 133 l. c.).

Nessuna provincia extra tedesca più nella lega (l. c.), ma solamente provincia tedesche in Francia! Bisogna quindi non solo lasciar fare l’impero francese attuale (intanto che non offende il territorio della Federazione germanica (pag. 9 della prefazione) ma bisogna lasciar fare anche alla Russia fintanto che offende solo le province extra tedesche nella Confederazione. La Russia aiuterà la Germania nell’evoluzione della sua “unità e nazionalità„ spingendo le truppe alle “appendici slave„ dell’Austria esposte ai suoi maneggi. Mentre l’Austria viene tenuta in scacco in Italia da Luigi Bonaparte, e la Russia ritiene nel fodero la spada tedesca, lo czar benevolo saprà, in segreto modo, sostenere delle rivoluzioni nella Moravia e nella Boemia con danaro, armi e munizioni„ (pag. 11 l. c.).

“E coi czechi a lato dovremmo soggiacere a qualsiasi nemico!„.

Come è quindi generoso il benevolo czar di liberarsi della Boemia e della Moravia con i loro czechi che, seguendo natura, debbono, come appendici slave, raggrupparsi intorno alla Russia!

Vediamo come il nostro Vogt dell’impero provveda, mediante il suo incorporamento della Boemia e della Moravia da parte della Russia, al confine orientale della Germania. La Boemia russa! Ma la Boemia sta in mezzo alla Germania, divisa con la Silesia dalla Polonia russa, e. colla Moravia russificata dal Vogt, dalla Gallizia e dall’Ungheria ugualmente russificate dal Vogt. Così la Russia ottiene un tratto di territorio della Confederazione germanica della lunghezza di 50 miglia te-desche e della larghezza da 25 a 35. Si trasporta la sua frontiera occidentale di ben 65 miglia tedesche più verso Ovest. Ora, poiché dallo Eger al Lauterburg, in Alsazia, in linea retta non c’è che 45 miglia tedesche, la Germania settentrionale verrebbe completamente separata dalla meridionale mediante il cuneo francese da una parte, e ancor più mediante quello russo dall’altra, sicché la divisione della Germania sarebbe compiuta. La via diretta da Vienna a Berlino passerebbe per la Russia, anzi persino la via diretta da Monaco a Berlino. Dresda, Norimberga, Regensburg, Linz sarebbero nostre città di confine verso la Russia; la nostra posizione di fronte agli Slavi sarebbe, nel Mezzogiorno, almeno la medesima che era prima di Carlo Magno (mentre il Vogt non ci permette di ritornare verso Occidente a Luigi XV) e potremmo cancellare mille anni dalla nostra storia.

A ciò cui servì la Polonia, allo stesso può servir ancor meglio la Boemia. Praga trasformata in campo fortificato e fortificazioni secondarie al confluente della Moldava e dell’Eger nell’Elba — e l’esercito russo in Boemia può tranquillamente aspettare l’esercito tedesco giungente a priori diviso dalla Baviera, dall’Austria, dal Brandeburgo, far cozzare i più forti contro le fortezze e battere singolarmente i più deboli.

Si guardi la carta glottologica dell’Europa centrale — prendiamo, per esempio, un’autorità slava, lo Slovansky zemévid dello Schafarik. Qui il confine della lingua slava si estende dalla costa della Pomerania presso Stolp per Zastrow a Sud di Chodziehen sulla Netze, e continua poi verso Occidente fino a Meseritz. Da qui però piega improvvisamente a Sud-ovest. Qui il massiccio cuneo tedesco della Silesia penetra profondamente tra la Polonia e la Boemia. Nella Moravia e nella Boemia poi la lingua slava risorge di nuovo verso l’Estremo occidente — corrosa, è vero, da tutte le parti dall’elemento tedesco prorompente, e intralciata da città ed isole etnografiche tedesche, come anche nel Settentrione tutta la Vistola inferiore e la miglior parte della Prussia e della Russia occidentale sono tedesche e si spingono, poco comodamente, verso la Polonia. Tra il punto più occidentale della lingua polacca e quello più settentrionale della boema si trova l’isola etnografica Lusatica-Venda, in mezzo a territorio glottologico tedesco, ma in un modo da quasi tagliar fuori la Silesia.

Per il panslavista russo Vogt, che ha a propria disposizione la Boemia, non può esservi dubbio sul dove si trovi il confine naturale del regno slavo. Essa si estende da Meseritz direttamente su Lieberose e Lùbbe, da qui verso Sud del passaggio dell’Elba tra le montagne di confine boeme e segue più in là il confine occidentale e meridionale della Boemia e della Moravia. Ciò che si trova più in là verso Oriente è slavo; i pochi cunei tedeschi ad altre intrusioni sul territorio slavo non possono più oltre opporsi allo sviluppo del gran tutto slavo. Già non hanno nemmeno diritto di esistere dove sono. “Questa condizione panslavista„ una volta stabilita, va da sé che anche verso Mezzogiorno occorre una simile rettificazione dei confini. Anche qui un importuno cuneo tedesco si è ficcato tra gli Stavi del Sud e quelli del Nord occupando la valle danubiana e le Alpi stiriane. Il Vogt non può sopportare tale cuneo. E quindi annette logicamente l’Austria, il Salisburgo, la Stiria e le parti tedesche della Carinzia alla Russia. Che in questa formazione del regno slavo russo secondo i principi più provati del “principio di nazionalità„ tocchino alla Russia anche quei pochi Magiari e Rumeni, nonché diversi Turchi (il benevolo czar lavora bene, coll’asservimento della Circassia e la decimazione dei Tartari della Crimea, al principio di nazionalità!) in pena dell’essersi ficcati tra gli Slavi del Nord e quelli del Sud, il Vogt l’ha già dimostrato a dispetto dell’Austria.

Noi Tedeschi non perdiamo con quest’operazione null’altro che la Prussia orientale ed occidentale, la Silesia, parte del Brandeburgo e della Sassonia, tutta la Boemia, la Moravia e il rimanente dell’Austria, salvo il Tirolo (dì cui una parte tocca al “principio di nazionalità„ italiano) — e la nostra esistenza nazionale per soprammercato!

Ma non fermiamoci che alla constatazione più prossima, per cui la Galizia, la Boemia e la Moravia sono russe!

In queste condizioni l’Austria tedesca, la Germania del Sud-Ovest e la Germania settentrionale non potrebbero cooperare mai, salvochè — e a ciò necessariamente si sarebbe ridotti — sotto guida russa.

Il Vogt fa cantare a noi Tedeschi ciò che cantavano i suoi parigini del 1815:

Vive Alexandre
Vive le roi des rois,
Sans rien prétendre,
Il nous donne des lois.

Il “principio di nazionalità„ del Vogt, che nel 1859 voleva realizzare mediante l’alleanza dell’“angelo bianco„ del Nord coll’“angelo bianco„ dei Sud, dovrebbe dunque, secondo il suo proprio modo di vedere, effettuarsi anzitutto col dissolvimento della nazionalità polacca, colla sommersione della nazionalità magiara, col tramonto della nazionalità tedesca, nel — russismo.

Io questa volta non ho menzionato i suoi opuscoli originali del Dentu, perchè mi riservavo un’unica, decisiva citazione, in prova che fra tutto ciò che qui per metà accenna, per metà, cianciando, svela, si obbedisce a una parola d’ordine emanata dalie Tuileries. Nel numero del Pensiero ed azione del 2-16 maggio 1859, ove il Mazzini predice fatti più tardi accaduti, egli osserva tra l’altro che nell’alleanza concretata tra Alessandro II e Luigi Bonaparte, la prima condizione diceva: “Abbandono assoluto della Polonia (abbandono assoluto della. Polonia dà parte della Francia, ciò che il Vogt traduce in “colmare completamente l’abisso che intercede tra la Polonia e la Russia„). Che la guerra si prolunghi ed assuma.... proporzioni europee, rinsurrezione delle provinole oggi turche preparata da lunga mano, e quelle dell’Ungheria, daranno campo all’Alleanza di rivelarsi… Principi russi governerebbero le province che sorgerebbero sulle rovine dell’impero turco e dell’Austria… Costantino di Russia è già proposto ai malcontenti Ungheresi„ (Vedi Pensiero ed azione del 2 maggio 1859).

La russofilia del Vogt peraltro non è che secondaria. Con essa egli non fa che seguire una parola d’ordine emanata dalle Tuileries, non fa che preparare la Germania a manovre accordate, per certe eventualità della guerra contro l’Austria, tra Luigi Bonaparte e Alessandro II, e di fatto non fa che riecheggiare servilmente la frase panslavista del suo pamphlet originale parigino. L’affare suo proprio è di cantare la canzone di Ludovico:

Einan kuning wèiz ih, hèizit hèr Hlùdowig
ther gérno Gode (i. e. den Nafcionafcitaten) dionót. 35

Udimmo poco fa come il Vogt lodi la Sardegna per il fatto “che ha meritato persino la stima della Russia„. Adesso il parallelo: “Dell’Austria — egli dice — non si discorre nelle dichiarazioni (della Prussia)… nel caso d’una guerra imminente tra l’America settentrionale e la Cocincina non si parlerebbe diversamente. Invece si appoggia con predilezione sulla missione germanica della Prussia, sui doveri tedeschi, sulla vecchia Prussia. La Francia (secondo la sua definizione della Francia, pag. 27: “La Francia si riassume ora unicamente nella persona del suo monarca„) dispensa in conseguenza le lodi per mezzo del Monìteur e dell’altra stampa. L’Austria è furente„ (Studien, pag. 18).

“Che la Prussia interpreta giustamente la sua “missione germanica„ segue dalle lodi tributatele da Luigi Bonaparte nel Moniteur e nell’altra stampa decembrista„. (Che fredda impertinenza! Si ricorda come il Vogt, per tenerezza verso “il bianco angelo del Settentrione„ fece infrangere i trattati del 1815 e confiscare Cracovia all'Austria sola. Un simile servizio d’onore lo rende ora all’“angelo bianco del Mezzogiorno„).

“Questo Stato della Chiesa, contro la cui repubblica (repubblica dello Stato della Chiesa!) il Cavaignac, rappresentante del partito repubblicano dottrinario, e contrapposto militare del Gagern (un parallelo anche questo!) perpetrò il vergognoso eccidio d’un popolo (perpetrare un eccidio di popolo contro la repubblica d’uno Stato!) che tuttavia non lo condusse al seggio presidenziale„ (l. c., pag. 63).

Quindi fu il Cavaignac e non Luigi Bonaparte che perpetrò “il vergognoso eccidio d’un popolo„ contro la repubblica romana! In verità, il Cavaignac mandò nel novembre del 1848 una flotta di guerra a Civitavecchia per la protezione personale del papa. Ma solo nell’anno seguente, solo dopoché il Cavaignac era stato allontanato da mesi dal seggio presidenziale, solo il 9 febbraio 1849 fu abolito il potere temporale del pontefice e proclamata la repubblica di Roma, e quindi il Cavaignac non potè assassinare una repubblica non ancora esistente all’epoca del suo governo. Luigi Bonaparte inviò il 22 aprile 1849 il generale Oudinot con 14,000 uomini a Civitavecchia, dopo aver carpito all’Assemblea nazionale i mezzi pecuniari necessari per la spedizione contro Roma, con la dichiarazione solennemente ripetuta di non mirare che alla resistenza contro un assalto degli Stati romani progettato dall’Austria. La catastrofe parigina del 18 luglio 1849 fu causata, com’è noto, dalla mozione di Ledru Rollin e della Montagna di vendicare “il vergognoso assassinio della repubblica romana„ (ch’era insieme “una vergognosa infrazione delta costituzione francese„, ponche “una ver-gognosa offesa al decreto dell’Assemblea nazionale„) nella persona di Luigi Bonaparte, mettendolo in istato d’accusa. Si vede come “vergognosamente„ il vile sicofante del colpo di Stato, come audacemente Carlo Vogt falsifica la storia, per elevare sopra ogni dubbio la vocazione del signor “Hlùdowìg„ alla liberazione delle nazionalità in genere e dell’Italia in ispecie.

Il Vogt si rammenta, per averlo letto nella Neue Rheinische Zeitung, come la classe dei contadini possessori di proprietà parcellari formi in Francia, insieme alla classe del proletariato degli straccioni, l’unica base sociale del bas empire, E la rabbercia come segue: “Il presente impero non ha nessun partito tra Ingente colta, nessun partito nella borghesia francese; a lui non appartengono che due masse, l’esercito e il proletariato rurale, che non sa nè leggere nè scrivere. Ma ciò somma ai nove decimi della popolazione, e comprende lo strumento possentemente organizzato con cui si può infrangere l’opposizione, e il gregge degl’iloti dell’ipoteca, che non posseggono che il proprio voto nell’urna„ (pag. 25 l. c.).

La popolazione non urbana della Francia, calcolando l’esercito, somma ai due terzi appena della popolazione totale. Il Vogt trasforma i due terzi in nove decimi. Tutta la popolazione rurale francese, di cui circa un quinto consta di agiati proprietari fondiari e un quinto ulteriore di gente senza terra e senza beni, la trasforma tutta quanta in contadini pareellisti, “gl’iloti dell'ipoteca Finalmente abolisce completamente il leggere e lo scrivere in tutta la Francia, fuori delle città. Come prima la storia, falsifica ora la statistica, per ingrandire il piedistallo del suo eroe. Ed ora su quel piedistallo vi colloca l’eroe medesimo.

“Quindi la Francia si riassume ora di fatto unicamente nella persona del suo monarca, di cui il Masson (anche lui una bella autorità!) disse che “possiede grandi qualità come uomo di Stato e come sovrano, una volontà incrollabile, un tatto sicuro, forte risoluzione, cuore gagliardo, mente alta e ardita, e una completa mancanza di riguardi„ (pag. 27 l. c.).

Wie sallecliche stat im an
allez daz, daz èr begàt!
wie gàr sin lip ze wunsche stat!
wie gènt im so geliche inein
die fìnen peiserliclien bein.
(Tristano).

Il Vogt toglie di mano il turibolo al suo Masson per agitarlo egli stesso. Al catalogo di virtù del Masson aggiunge «il freddo calcolo», la «potente combinazione», la «saviezza serpentina», la «tenace pazienza» (pag. 28) e balbetta poi, da Tacito d’anticamera: «L’origine di questa monarchia è un orrore», il che, ad ogni modo — è una sciocchezza. Egli deve anzi tutto melodrammizzare a grand’uomo la grottesca figura del suo eroe, e così il “Napoléon Petit» si trasforma in quest’ “uomo del destino„ (pag. 38 l.c.).

“Possano le attuali condizioni condurre al punto — esclama il Vogt — da cambiare il governo di costui (dell’uomo del destino — che espressione modesta: di cambiarlo!); certamente a ciò non difetterà il fervido nostro augurio, sebbene per ora non ci riesca di vedervi alcuna probabilità!„ (pag. 29 l. c,).

Come a questo fervido fratello stia a cuore l’augurio tenuto in pectore si vede da quanto segue:

“Le condizioni all’interno vanno perciò diventando a pace conti-nuata di giorno in giorno più insostenibili, perchè l’esercito francese è coi partiti colti in rapporti molto più intimi che non, per esempio, negli Stati tedeschi in Prussia e in Austria; — perchè tali partiti trovano un’eco specialmente tra gli ufficiali e così un bel giorno l’unico appoggio attivo della potenza, che l’imperatore abbia nelle mani, potrebbe sfuggirgli» (l. c., pag. 27).

Dunque “le condizioni all’interno„ diventavano “di giorno in giorno più insostenibili„ a “pace continuata„. Perciò il Vogt doveva cercar di facilitare a Luigi Bonaparte la rottura della pace. L’esercito “l’unico sostegno attivo„ della sua potenza “minacciava di sfuggirgli». Perciò il “Vogt dimostrò il còmpito dell’Europa di riavvincere l’esercito„ francese a Luigi Bonaparte mediante una guerra “localizzata„ in Italia. La parte di Badinguet, come i parigini poco rispettosamente chiamavano il “nipote di suo zio„, parve infatti alla fine del 1858 voler avere una fine spaventosa. La crisi generale dell’industria tra il 1857 e il 1858 aveva paralizzata l’industria francese36 . Le manovre governative per impedire lo scoppio acuto delle crisi, resero il male cronico, sicché l'arresto del commercio francese si trascinò fino allo scoppio della guerra italiana. D’altra parte i prezzi del grano scesero tra il 1857 e il 1859 così in basso che in vari congressi agricoli si levò alto il lamento che si rendeva impossibile l’agricoltura francese tra i prezzi bassi e i gravi oneri che l’opprimevano. Il ridicolo tentativo di Luigi Bonaparte, di rialzare artificialmente i prezzi del grano mediante un ukase che doveva imporre ai fornai di tutta la Francia la fondazione di granai, non fece che tradire l’impotenza e l’impaccio del suo governo.

La politica estera del colpo di Stato non mostrava che una serie d’infelici tentativi di farla da Napoleone — mosse rumorose, sempre coronati da ritirate ufficiali. Così il suo intrigo contro gli Stati Uniti d’America, le manovre pel rinnovamento del commercio degli schiavi, le melodrammatiche minacce contro l’Inghilterra. Le impertinenze, che Luigi Bonaparte si permetteva allora contro la Svizzera, la Sardegna, il Portogallo e il Belgio — sebbene nel Belgio non riuscisse neppure ad impedire le fortificazioni d’Anversa — non facevano che porre in luce più visibilmente il suo fiasco di fronte alle grandi potenze. Nel parlamento inglese Napoléon le Petit„ era diventato una vera parola d’ordine, e il Times, negli articoli di fondo dell’anno 1858, prendeva in giro l’“uomo di ferro„ quale “uomo di guttaperca Intanto la bomba d’Orsini aveva balenato sulla situazione interna della Francia. Si vide che il regime di Luigi Bonaparte era tuttora così privo di base come nei primi giorni del colpo di Stato. Le lois de sûreté publique tradivano il completo suo isolamento. Doveva abdicare di fronte ai propri suoi generali. La Francia, fatto inaudito, fu divisa, secondo il costume spagnuolo, in cinque capitanerie generali. Coll’istituzione della reggenza il Pelissier fu riconosciuto di fatto per prima autorità della Francia. Inoltre il rinnovato terrore non incuteva spavento. Anziché spaventoso, il nipote olandese della battaglia d’Austerlitz non appariva che grottesco, se Montalembert poteva fare l’Hamden a Parigi, il Berryer e il Dufaure tradire nelle loro arringhe le speranze della borghesia, e il Proudhon proclamare a Bruxelles il luigifilippismo con un atto addizionale, mentre Luigi Bonaparte medesimo tradiva a tutta Europa la potenza estendentesi della Marianna. L’insurrezione di Châlons, durante la quale gli ufficiali, in seguito alla notizia della proclamazione della repubblica a Parigi, invece di caricare gl’insorti, s’informarono prudentemente presso la Prefettura se davvero la repubblica si fosse proclamata a Parigi, dimostrò lampantemente che persino l’esercito considerava il restaurato impero come una pantomima, la cui scena finale si avvicinasse. Duelli scandalosi degli ufficiali prepotenti a Parigi, contemporaneamente a scandalosi colpi di borsa, in cui andarono compromessi i più alti papaveri della banda del 10 dicembre!

La caduta del ministero Palmerston in Inghilterra a causa della sua alleanza con Luigi Bonaparte! Finalmente un erario, che poteva venir riempito solo in base a pretesti straordinari! Tale era lo stato del bas empire alla fine dei 1858; o cadeva l’impero “Brummagen„ oppure la ridicola farsa d’un impero napoleonico entro i limiti dei trattati del 1815 doveva finire. Ma a ciò occorreva una guerra localizzata. La semplice ipotesi d’una guerra coll’Europa avrebbe bastato in allora a provocare l’esplosione in Francia. Ogni fanciullo capiva quanto l’Horsman disse nel Parlamento inglese: “Noi sappiamo che la Francia sosterrà l’imperatore fintantoché il nostro tentennare permette dei successi prosperi alla di lui politica estera, ma abbiamo motivo di credere che l’abbandonerà non appena noi gli facciamo una risoluta opposizione„. Tutto dipendeva dal localizzare la guerra, ossia di condurla con l’alta approvazione dell’Europa. La Francia stessa doveva venir preparata alla guerra mediante una serie d’ipocrite trattative di pace e il conseguente loro insuccesso. Luigi Bonaparte anzi in questo punto s’era incocciato. Lord Cowley, ambasciatore inglese a Parigi, se n’era andato a Vienna con proposte abbozzate da Napoleone e approvate dal gabinetto inglese (Derby). A Vienna (Vedi il su citato Blue Book) sotto la pressione dell’Inghilterra, le proposte furono inaspettatamente accettate. Il Cowley era appunto tornato a Londra con la notizia della “soluzione pacifica quando improvvisamente vi giunse la nuova che Luigi Bonaparte aveva abbandonato le sue proprie proposte ed acceduto ad un congresso proposto dalla Bussia per la sistemazione dell’Austria. Solamente per l’intervento della Bussia fu possibile la guerra. Se la Bussia non avesse avuto ulteriore bisogno di Luigi Bonaparte per l’esecuzione dei suoi piani — sia per attuarli mediante la Francia, sia per trasformare l’Austria e la Prussia, a mezzo delle mosse francesi, in propri strumenti privi di volontà — Luigi Bonaparte sarebbe caduto allora. Ma, nonostante l’appoggio segreto della Russia, nonostante le promesse del Palmerston, che a Compiègne aveva approvato la congiura di Plombières, tutto dipendeva pur sempre dal contegno della Germania, perché da una parte il Ministero Tory era ancora al governo in Inghilterra, dall’altra parte la allor muta ribellione della Francia contro il regime bo-napartista sarebbe stata spinta allo scoppio mediante la prospettiva d’una guerra europea.

Che il Vogt non cantasse la sua Canzone di Ludovico nè per vivo interesse per l’Italia, nè per timore del dispotismo austriaco, timoroso, conservativo, ma altrettanto goffo quanto brutale, se lo lascia scappar di bocca lui stesso. Egli credeva invece che se l’Austria — che, si noti bene, fu forzata ad iniziare la guerra — vinceva anzitutto anche solo in Italia, “si scatenerebbe certamente la rivoluzione in Francia, si rovescerebbe l’impero e ne seguirebbe un nuovo avvenire„ (l. c., pag. 131). Egli credeva che “gli eserciti austriaci non potrebbero alla lunga resistere alla scatenata forza popolare della Francia„ (l. c.), che “le vittoriose armi austriache si creerebbero da sè, nelle rivoluzioni della Francia, dell’Italia, dell’Ungheria, l’avversario che le avrebbe soffocate„. Ma a lui non importava di liberar l'Italia dall’Austria, bensì di soggiogare la Francia a Luigi Bonaparte.

Si richiede ora un'ulteriore prova, dell'essere stato il Vogt non altro che uno dei numerosi portavoce, mediante i quali il ventriloquo grottesco delle Tuilieries si faceva sentire in lingue straniere?

Si ricorderà che nell’epoca in cui Luigi Bonaparte per la prima volta scoperse la propria missione di liberatore delle nazionalità in genere e dell'Italia in ispecie, la Francia offriva uno spettacolo inaudito nella storia. Tutta l’Europa stupì dell’ostinazione con cui rifiutava le idées napoléonniennes. L’entusiasmo con cui persino i chiens savants del Corpo legislativo plaudivano alle assicurazioni di pace del Moray; le note di malumore con cui il Moniteur catechizzava la nazione, ora a proposito del sommergersi che essa faceva negl’interessi materiali, ora sulla mancanza di tensione patriottica, e sui suoi dubbi circa l’ingegno strategico e la sapienza politica di Badinguet; i messaggi ufficiali tranquillizzanti a tutte le Camere di commercio della Francia, l’imperiale assicurazione che “étudier une question n’est pas la créer„ — sono ancora nella memoria universale. Allora la stampa inglese, meravigliata dello straordinario spettacolo, era repleta di benevole ciance sulla trasformazione pacifica che s’era verificata nell’indole dei francesi; la Borsa trattava la guerra “o non guerra„ come un duello tra Luigi Bonaparte, che la guerra voleva, e la nazione, che non voleva saperne, e si facevano scommesse su chi vincerebbe, la nazione o il “nipote dello zio„. Voglio, ad illustrazione della situazione d’allora, citare alcuni passi soltanto del London economist che, quale organo della City, propugnatore della guerra d’Italia, e proprietà dei Wilson (il cancelliere del Tesoro delle Indie recentemente defunto, e strumento del Palmerston) possedeva grande importanza:

“Allarmato del colossale eccitamento prodotto, il governo francese tenta ora il sistema della pacificazione„ (Economist 15 gennaio 1859).

Nel suo numero 22 gennaio 1859, in un articolo intitolato: “Limiti pratici della potenza imperiale in Francia„, l’Economist dice:

“Che i piani dell’imperatore per una guerra in Italia si attuino o no, sta di fatto che questi suoi piani hanno trovato una forte e probabilmente inaspettata resistenza nell’attitudine glaciale con cui furono accolti dall’umor popolare in Francia, e nella totale assenza di qualsiasi simpatia per il disegno imperiale… Egli propone la guerra, e il popolo francese non manifesta che allarme e malcontento, la carta di Stato è svalutata, il timore dell’esattore delle imposte spegne ogni scintilla d’entusiasmo politico e marziale, la parte commerciante della nazione è colpita da panico, i distretti rurali sono muti e scontenti, per la paura di nuove coscrizioni e di nuove tasse; i circoli politici che più fortemente appoggiarono il regime imperiale come un meno- peggio contro l’anarchia, si dichiarano contro la guerra appunto per la medesima ragione — certo è che Luigi Napoleone ha scoperto in tutte le classi un’estensione e profondità dell’opposizione contro la guerra, sia pure a favore dell’Italia, che era lungi dal supporre„37.

Di fronte a questa disposizione dell’opinione pubblica francese fu scatenata quella parte degli opuscoli originali del Dentu che “imponevano all’Imperatore di spingere finalmente la Francia alla sua maestosa estensione dalle Alpi al Reno„ e di non opporsi più a lungo all’“ardore bellico„, e “al desiderio della nazione di liberare le nazionalità„. Il Vogt dà fiato al medesimo corno dei prostituiti del dicembre. Nel momento medesimo che l’Europa si stupiva della tenace tendenza alla pace della Francia, il Vogt scopre che “oggidì il volubile popolo (francese) appare pieno di desideri bellici„ (l. c., pag. 29-30) e che il signor Hlüdowig non fà che seguire la “corrente dominante del tempo diretta appunto all’indipendenza delle nazionalità„ (pag. 31 l. c.). Naturalmente non credeva una sillaba di quanto scriveva. Nel suo “programma„, che chiamava i democratici alla collaborazione della propa-ganda democratica, riferisce esattissimamente essere la guerra d’Italia impopolare in Francia: “Per il principio non credo a nessun pericolo sul Reno; esso potrebbe però manifestarsi in seguito, e una guerra qui o in Inghilterra renderebbe Luigi Napoleone quasi popolare, mentre una guerra in Italia questo lato popolare non lo ha„ (pag. 34 del Libro principale, Documenti)38.

Se dunque una parte degli opuscoli originali del Dentu cercava di scuotere la nazione francese dal suo “pacifico letargo„ mediante i tradizionali fantasmi di conquista, e di mettere in bocca alla nazione i desideri privati di Luigi Bonaparte, l'altra parte, con a capo il Moniteur, aveva il compito di persuadere soprattutto la Germania dell’orrore dell’imperatore verso gli acquisti territoriali e della sua vocazione ideale di Messia liberatore delle nazioni. Le dimostrazioni, da una parte del disinteressamento della sua politica, dall’altra della sua tendenza ad essere liberatore delle nazioni, sono facili a tenersi a memoria, venendo continuamente ripetute, e aggirandosi perpetuamente intorno a due centri. Dimostrazione della disinteressata politica decembrina — la guerra di Crimea. Dimostrazione della tendenza a liberare le nazioni — il maggiore Couza e la nazione rumena. Qui il Moniteur dava direttamente il tono. Vedi il Moniteur del 15 marzo 1859 sulla guerra di Crimea. Il Moniteur del 10 aprile dice della nazionalità rumena: “In Germania, come in Italia, essa (la Francia) vuole che le nazionalità riconosciute dai trattati si mantengano, anzi si rafforzino. Nei Principati Danubiani egli (l’imperatore) si è sforzato di facilitare il trionfo dei legittimi desideri di queste provincie, per soddisfare anche in quella parte d’Europa all’ordine stabilito sugli interessi nazionali„ (Vedi anche l’opuscolo uscito presso il Dentu al principio del 1859: Napoléon III et la question roumaine). E riferendosi alla guerra di Crimea: “Quale compenso, in fin dei conti, ha chiesto la Francia per il sangue versato ed i milioni spesi in Oriente nell’interesse esclusivamente europeo?„ (pag. 13 La vrai question, Parigi, Dentu, 1859). Lo stesso tema suonato a Parigi in infinite variazioni, il Vogt lo germanizzò così bene che E. About, la gazza loquace del bonapartismo, sembra aver ritradotto in francese la versione tedesca del Vogt. Vedi La Prusse en 1800. Anche qui siamo nuovamente perseguitati dalla guerra di Crimea e la nazionalità rumena sotto il maggiore Couza.

Ma almeno “sappiamo questo — così il Vogt riecheggia il Moniteur e gli opuscoli originali del Dentu — che la Francia non conquistò nella Crimea nemmeno un piede di terra, e che lo zio non si sarebbe accontentato, dopo la campagna vittoriosa, del magro risultato della superiorità costituita nell’arte della guerra (Sturiien, pag. 33). Qui si vede una differenza sostanziale dall’antica politica napoleonica (l.c.) 39.

Come se il Vogt dovesse dimostrarci che Napoléon le Petit non è il vero Napoleone! Collo stesso diritto il Vogt avrebbe potuto profetizzare nel 1851 che il nipote, il quale non aveva nulla da contrapporre alla campagna d’Italia e alla spedizione d’Egitto fuorché l’avventura di Strasburgo, la spedizione di Boulogne e la rivista da burla di Satory, non avrebbe mai imitato il 18 brumaio; nè tanto meno si sarebbe posta sul capo la corona imperiale. Anche qui si vedeva “una differenza essenziale dall’antica politica napoleonica„. Fare la guerra contro una coalizione europea, e farla col consenso di una coalizione europea, era un’altra differenza.

La “gloriosa campagna di Crimea„, mercè la quale l’Inghilterra, la Francia, la Turchia e la Sardegna, unite, “conquistarono„, dopo due anni, la metà d’una fortezza russa, perdendo in compenso verso la Russia un’intera fortezza turca (Kars), e dovettero, conchiudendosi la pace al Congresso di Parigi, modestamente “chiedere il permesso„ al nemico di poter senza molestie imbarcar pel ritorno le proprie truppe, era effettivamente tutt’altro che napoleonica. Era gloriosa solamente nel romanzo del Bazancòurt. Ma la guerra di Crimea dimostrò una quantità di cose. Luigi Bonaparte tradì il presunto alleato (la Turchia) per acquistare l’alleanza del presunto nemico. Il primo successo della pace di Parigi fu il sacrificio della “nazionalità circassa„, e la distruzione, per parte dei Russi, dei Tartari della Crimea, nonché la rovina di tutte le speranze nazionali che Polacchi e Svedesi avevano fondato sulla crociata dell’Europa occidentale contro la Russia.

Un’altra morale della guerra di Crimea fu questa: Luigi Bonaparte non poteva fare una seconda guerra di Crimea, perdere un antico esercito ed acquistare un nuovo debito di Stato in cambio della coscienza che la Francia fosse ricca abbastanza de payer sa propre gioire, che il nome di Luigi Napoleone figurasse in un trattato europeo, che la “stampa conservativa e dinastica d’Europa, come tanto la vanta il Vogt (pag. 32 l. c.) riconoscesse unanime le virtù di governo, la saggezza e la moderazione dell’imperatore„, e che tutta l’Europa gli tributasse allora gli onori di un vero Napoleone, sotto l’espressa condizione che Luigi Napoleone si mantenesse, secondo l’esempio di Luigi Filippo, saggiamente “entro i limiti della ragione pratica cioè dei trattati del 1815, nè dimenticasse un momento la delicata linea di demarcazione che separa il buffone dall’eroe ch’egli rappresenta. Le combinazioni politiche, i potentati e le condizioni sociali che poterono rendere possibile al capo della banda decembrina di fare il Napoleone, prima in Francia, poi oltre i limiti del territorio francese, son propri per davvero dell’epoca sua, non degli annali della grande rivoluzione francese.

“Il fatto è almeno questo, che l’odierna politica francese in Oriente ha fatto ragione agli sforzi di una nazionalità (la rumena) diretti alla propria unione„ (Studi, pag. 34-35).

Il Couza, come fu già osservato, tiene aperto il posto o per un governatore russo, o per un vassallo russo. Nella carta L’Europe en 1860 figura, come vassallo, un granduca di Meclemburgo. La Russia naturalmente concedette a Luigi Bonaparte tutti gli onori di questa eman-cipazione rumena, mentre essa stessa ne incassava tutti i vantaggi. Alle sue ulteriori benevole intenzioni si frapponeva l’Austria, La guerra d’Italia doveva quindi trasformare l’Austria da ostacolo in istrumento.

Il ventriloquo delle Tuileries sin dal 1858 faceva recitare alle numerose sue bocche la “nazionalità rumena„. Un’autorità del Vogt, il signor Kossuth, poteva quindi sin dal 20 novembre 1858 rispondere, in occasione di una lettura a Glasgow: “La Valachia e la Moldavia ottengono una costituzione covata nella tana della diplomazia segreta… In realtà essa non è nè più nè meno che una carta concessa alla Russia acciocché possa liberamente disporre dei Principati„.

Il principio di nazionalità fu quindi abusato da Luigi Bonaparte nei Principati Danubiani per mascherare la loro dedizione alla Russia, come il governo austriaco del 1848-49 abusò del principio di nazionalità per soffocare la rivoluzione magiara e tedesca per mezzo dei Serbi, degli Schiavoni, dei Croati, dei Valacchi e così via.

Il popolo rumeno — e a ciò provvedono contemporaneamente il console russo a Bukarest e Pinteresse della marmaglia dei Mojari moldo valacchi, la cui maggioranza non è nemmeno rumena ma un mosaico variopinto d’avventurieri' raccolti da fuori, una specie di banda decembrista orientale — il popolo rumeno geme come prima sotto la più esosa servitù della gleba, come solo i Russi potevano organizzarla mediante un regolamento organico, e mantenerla ferma con un demi-monde orientale.

Il Vogt, per ornare di eloquenza propria la sapienza pescata alle fonti originali del Dentu, dice:

“L’Austria ne aveva già abbastanza d’un Piemonte nel Mezzogiorno; non abbisognava di un secondo in Oriente„ (l. c. pag. 64).

Il Piemonte annette territori italiani. Quindi i Principati Danubiani, il paese meno battagliero della Turchia, ne annetteranno di rumeni? Conquisteranno dunque la Bessarabia dalla Russia, Ziebenburgen, il banato di Temesvarg e la Bucovina dall’Austria? Il Vogt non dimentica sola-mente il “benevolo czar„. Egli dimentica che nel 1848-49 l’Ungheria non sembrava affatto disposta di staccare da sè questi paesi più o meno rumeni, che rispose al loro “grido di dolore„ con la spada sguainata, e che fu piuttosto l’Austria a scatenare contro l’Ungheria, una simile propaganda del principio nazionale.

Nella più piena luce tuttavia rifulge la dottrina storica degli Studi allorché il Vogt, in semi-reminiscenza d’un opuscolo d’occasione sfogliato in fretta, e colla massima calma, fa derivare k la misera condizione dei Principati... dal veleno dissolvente dei Greci e dei Fanarioti„ (l.c., pag. 63).

Egli non supponeva che i Fanarioti (così chiamati da un quartiere di Costantinopoli) sono proprio gli stessi identici Greci, che sin dal principio del diciottesimo secolo hanno abitato i Principati Danubiani sotto la protezione russa. Sono in parte i discendenti di questi Limondji (venditori di limonate) di Costantinopoli, che adesso per incarico della Russia recitano di bel nuovo la parte della nazionalità rumena.

Or mentre l’angelo bianco del Nord vien procedendo dall’Oriente e distruggendo le nazionalità in onore della razza slava, e l’angelo bianco del Mezzogiorno va avanzando dalla parte opposta quale alfiere del principio nazionale, e “bisogna attendere sin che la liberazione delle nazioni avvenga mediante quest'uomo fatale„ (Studi pag. 36); durante queste operazioni combinate nella più stretta unione dei due angeli “entrambi massimi nemici esterni dell’unità germanica, (Studi seconda edizione, Appendice pag. 154) quale parte viene assegnata alla Germania dal Vogt dell'impero, che viceversa non è un “accrescitore dell’impero„?

“Al più miope — dice il Vogt — dev’essere ormai evidente che sussiste un’intesa tra il governo prussiano e il governo imperiale della Francia; che la Prussia non impugnerà la spada per la difesa delle provinole extra tedesche dell’Austria (comprese, naturalmente, la Boemia e la Moravia); che darà il suo consenso a tutte le misure riguardanti la difesa del territorio della Confederazione (escluse le sue provincie extra tedesche), ma che dèi resto impedirà qualsiasi parteggiare della Confederazione o di singoli membri di essa a favore dell’Austria, per poi ottenere il suo premio per questi sforzi nelle pianure germaniche settentrionali in occasione dei futuri trattati di pace„ (Studi, prima edizione, pag. 18-19).

Mentre il Vogt bandiva già prima del vero scoppio della guerra contro l’Austria il segreto affidatogli dalle Tuileries, che la Prussia, cioè, agisse in “segreta intesa„ col “nemico esterno della Germania,„ che per premio lo pagherebbe nelle pianure della Germania settentrionale, rendeva naturalmente alla Prussia il maggior servizio pel raggiungimento dei suoi presunti fini. Egli richiamava il sospetto dei rimanenti governi tedeschi, tanto contro gli sforzi neutralizzati della Prussia in principio, come contro i suoi armamenti militari e le sue pretese al comando supremo durante la continuazione della guerra. “Quale si sia la via — dice il Vogt — che la Germania, debba seguire nella presente crisi, non può esservi quistione sul fatto che, considerata come un tutto, debba seguire con energia una data via, mentre adesso la malaugurata Dieta, ecc.» (l. c. pag. 96). La diffusione dell’opinione che la Prussia se ne andasse a braccetto col nemico esterno per la via conducente al pasto delle pianure settentrionali, era proprio opportuno per dare l’unità che mancava alla Dieta. La Sassonia in special modo viene avvisata averle la Prussia cagionata già una volta “la perdita d’alcune delle sue più belle province„ (l.c., pag. 92). Si denunzia “la compra del golfo di Jahde„ (l.c., pag. 15). “L’Holstein doveva formare il prezzo della partecipazione prussiana (nella guerra turca) allorché il famigerato furto dei telegrammi dette alle trattative un altro indirizzo„ (l. c., pag. 15). “Il Meclemburgo, l’Hannover, l’Oldemburgo, l’Holstein e tutti gli annessi e connessi… questi Stati fratelli tedeschi costituiscono Fesca a cui la Prussia abbocca avidamente„ — e, si noti, “in ogni occasione„ (l. c., pag. 14-15) e a cui, come rivela il Vogt, in questa occasione fu proprio presa all’amo da Luigi Bonaparte. In una pagina la Prussia raggiungerà e deve raggiungere, in segreta intesa con Luigi Bonaparte e a spese dei suoi fratelli tedeschi, le spiagge del mar del Nord e del Baltico (l. c., pag. 14). Nell’altra pagina la Prussia otterrà dei contini naturali solo allorquando lo spartiacque dell’Erz-Gebirge e del Fichtel-Gebirge venga proseguita per il Meno bianco e la linea del Meno fino a Magonza (l. c., pag. 93). Confini naturali in mezzo alla Germania! e per di più formati da uno spartiacque che corre per un fiume! Sono simili scoperte nel campo della geografìa fisica, a cui anche appartiene il canale emergente (Vedi Libro principale), che mettono la “natura arrotondata„ impari linea con A. v. Humboldt. Mentre in questa guisa predicava alla Lega germanica la fiducia nella guida della Prussia, il Vogt, insoddisfatto dell’“antica rivalità della Prussia verso l’Austria su territorio germanico„ inventava contemporaneamente una rivalità fra le due che “si è tante volte manifestata su territorio extra europeo, (l. c. pag. 20). Tale territorio extra europeo probabilmente è situato nella luna.

Effettivamente il Vogt non fa che esprimere in parole la carta, L’Europe en 1800 pubblicata dal governo francese nel 1858. Su questa carta l’Hannover, il Meclemburgo, il Brunswick, l’Holstein, il Granducato d’Assia, oltre i vari Waldeck, Anhalt, Lickpe, ecc., sono annessi alla Prussia, mentre “l’empereur des francais conserve ses (!) limites actuelles„. “La Prussia fino al Meno„ è insieme la parola d’ordine della diplomazia russa (Vedi, per esempio, il già menzionato memorandum del 1837). A una Germania settentrionale prussiana si contrapporrebbe una Germania meridionale austriaca, divisa per confini naturali, tradizione, confessione, dialetto e differenze etniche: la divisione della Germania sarebbe compiuta mediante la semplificazione dei suoi contrasti, e la guerra dei trent’anni dichiarata in permanenza.

Secondo la prima edizione degli Studi dunque la Prussia doveva ottenere questo “premio„ per gli “sforzi„ con cui durante la guerra faceva ringuainare la spada della Confederazione germanica. Negli Studi del Vogt, come nella carta francese L'Europa nel 1800, non è Luigi Bonaparte, ma la Prussia, che cerca e trova aumento di territorio e confini naturali colla guerra francese contro l’Austria.

Tuttavia solamente nell’Appendice alla seconda edizione degli Studi, che comparvero durante la guerra franco-austriaca, il Vogt svela il vero còmpito della Prussia. Essa deve cominciare una guerra civile (Vedi 2a edizione, pag. 152) per fondare una “potenza centrale unitaria„ (l. c., pag. 158) per l'incorporazione della Germania nella monarchia prussiana. Mentre la Russia procede in Oriente e l’Austria viene paralizzata in Italia da Luigi Bonaparte, la Prussia deve iniziare in Germania una guerra civile dinastica. Il Vogt garantisce al principe reggente che “la guerra ora accesa in Italia occuperà almeno l’anno 1859, mentre l’unità della Germania eseguita rapidamente e risolutamente, non importerebbe tante settimane quanti mesi importa la campagna d’Italia„ (l. c. pag. 255). La guerra civile in Germania non costerebbe che delle settimane! Oltre le truppe austriache che, con o senza guerra in Italia, avrebbero marciato contro la Prussia, questa, come narra il Vogt medesimo, troverebbe resistenza nella Baviera… “completamente sottoposta all’influenza austriaca„ (Studi, 1a edizione, pag. 90); nella Sassonia, che sarebbe minacciata prima di tutto, nè avrebbe ulteriori ragioni per far violenza alla propria simpatia verso l’Austria (l. c., pag. 93); nel Würtemberg,. nell’Assia Darmstadt e nell’Hannover (l.c., pag. 94), insomma nei nove decimi (l. c., pag. 16) dei governi, tedeschi. E tali governi, come ancora dimostra il Vogt, non sarebbero davvero rimasti nell’indecisione in una simile guerra civile dinastica, tanto più poi se impresa dalla Prussia in un momento in cui la Germania era minacciata dai due “massimi nemici esterni„. “La Corte (nel Baden), dice il Vogt, va colla Prussia, ma il popolo, e su ciò non può esservi dubbio, non si associa davvero a queste simpatie della famiglia regnante. La Breisgau, come la Svevia superiore, anzi mediante i vincoli della simpatia e della confessione, e per altri ricordi dell’Austria anteriore cui un tempo apparteneva, è legata all’impero e allo stato imperiale ancor più fortemente di quanto si supporrebbe dopo così lunga separazione (l. c. pag. 93-94). “Coll’esclusione del Meclemburgo e forse dell’elettorato d’Assia, domina la sfiducia contro la teoria dell’assorbimento, e un’obbedienza recalcitrante nella Germania settentrionale di fronte alla Prussia. L’istintivo sentimento dell’antipatia, anzi dell’odio che la Germania meridionale nutre contro la Prussia … anche questo sentimento non si è potuto distruggere nè togliere a forza di declamazioni da tutte le unanimi grida del partito imperiale. Esso vive nel popolo, e nessun governo, neppure il badense, può resistervi a lungo. La Prussia pertanto non conta vere simpatie nè tra il popolo tedesco, nè tra i governi della Confederazione germanica„ (l.c., pag. 21). Così, dice il Vogt, e appunto per ciò, secondo il medesimo Vogt, una guerra civile dinastica iniziata dalla Prussia, coll’intesa segreta dei due massimi nemici esterni della Germania, non avrebbe costato che delle settimane. Ma non basta.

“La vecchia Prussia va col governo — le Provincie Renane, la Vestfalia coll’Austria cattolica. Se al moto popolare ivi non riesce di spingerne il governo verso l'Austria, la conseguenza immediata sarà un novello spalancarsi dell’abisso fra le due parti della monarchia„ (l. c., pag. 20).

Se, quindi, secondo il Vogt, già il semplice fatto che la Prussia non parteggiasse per l’Austria doveva di nuovo spalancare l’abisso tra le Provincie Renane, la Vestfalia e l’antica Prussia, natu-ralmente, secondo il medesimo Vogt, una guerra civile impresa dalla Prussia per l’esclusione dell’Austria dalla Germania, doveva staccare completamente dalla Prussia stessa le Provincie Renane e la Vestfalia. Ma che cosa importa della Germania a questi papisti? (l. c., pag. 119). O, come veramente egli intende, che cosa importa alla Germania di questi papisti? Le Provincie Renane, la Vestfalia, sono paesi ultramontani, romano-cattolici, ma non “veramente tedeschi„. Debbono quindi venire esclusi dal territorio della Lega non meno della Boemia e della Moravia. E questo processo di segregazione doveva venire affrettato dalla guerra civile dinastica consigliata dal Vogt. Di fatto il governo francese aveva nella carta da lui pubblicata nel 1858, L’Europe en 1860, che al Vogt servì di bussola pei suoi Studi, annesso, come l’Egitto all’Austria, così le Provincie Renane, quali paesi di “nazionalità cattolica„ al Belgio — formola ironica per l’annessione del Belgio e delle Province Renane alla Francia. Che il Vogt vada più avanti che la carta di governo francese e comprenda nel contratto la cattolica Vestfalia, si spiega per le “relazioni scientifiche„ del fuggitivo reggente l’impero con Plon-Plon, figlio dell’ex-re di Vestfalia.

Quindi, riassumendo: su una pagina, Luigi Bonaparte permetterà alla Russia di stendere le braccia dalla Posnania alla Boemia e, attraverso all’Ungheria, verso la Turchia; sull’altra pagina egli stesso fonderà, colla forza delle armi, al confine della Francia un’Italia una e indipendente, e tutto ciò — pour le roi de Prusse; tutto ciò perchè la Prussia abbia occasione di costringere sotto il proprio dominio la Germania mediante una guerra civile, e d’assicurare per sempre le Province Renane contro la Francia (l. c., pag. 121).

“Ma, si dice, il territorio federale è in pericolo, il nemico secolare minaccia, il vero suo scopo è il Reno. Si difenda dunque questo e si difenda il territorio federale„ (l. c., pag. 105),

e cioè si difenda il territorio federale cedendo la Boemia e la Moravia alla Russia, e si difenda il Reno incominciando una guerra civile tedesca che fra le altre cose è destinata a strappare via dalla Prussia le Province Penane e la Vestfalia.

“Ma, si dice, Luigi Napoleone vuole in qualche modo soddisfare la napoleonica sete di conquista! Questo non lo crediamo, avendo avanti l'esempio della campagna di Crimea!„ (l. c., pag. 129).

Oltre al suo scetticismo quanto alla sete di conquista napoleonica, e alla sua fede nella campagna di Crimea, il Vogt ha tuttavia in petto un altro argomento. Gli Austriaci e i Francesi, sull’esempio dei gatti di Kilkenny, si batteranno in Italia sintanto che ad entrambi non resteranno che le code.

“Sarà una guerra terribilmente sanguinosa, ostinata, forse indecisa, (l. c. pag. 127-128)

“Solamente facendo i massimi sforzi la Francia col Piemonte potrà ottenere la vittoria, e passeranno dei decenni prima che possa rifarsi di questo sforzo esauriente (l. c. pag. 129).

Questa prospettiva sulla durata della guerra d’Italia batte i suoi contradittori. Ora questo metodo, con cui il Vogt prolunga la resistenza del-l’Austria contro le armi francesi in Italia, e paralizza la forza aggressiva della Francia, è davvero abbastanza originale. Da una parte i Francesi ottengono carta bianca in Italia; dall’altra parte al “benevolo czar„ si concede di mantenere (mediante manovre nella Galizia, nell’Ungheria, nella Moravia e nella Boemia, con maneggi rivoluzionari nell’interno e dimostrazioni militari ai confini) una buona parte delle forze combattenti austriache in quelle parti della monarchia che sono esposte all’attacco russo o accessibili ai maneggi russi„ (l. c. pag. 111). E finalmente, mediante una guerra civile dinastica, contemporaneamente iniziata dalla Prussia in Germania, l’Austria viene obbligata a ritirare dall’Italia il nucleo delle proprie forze pel mantenimento dei suoi possessi tedeschi. In queste circostanze naturalmente, Francesco Giuseppe e Luigi Bonaparte non conchiuderanno una pace di Campofonnio, ma — “si dissangueranno in Italia„.

L’Austria nè farà al “benevolo czar„ delle concessioni in Oriente accettando l’indennità da lungo tempo offerta in Serbia e in Bosnia, nè garantirà le Provincie Renane alla Francia, attaccando la Prussia in unione con quella e con la Russia. Mai più! Insisterà per dissanguarsi in Italia. A ogni modo poi, l’uomo fatale del Vogt rifiuterebbe con morale indignazione tale indennità sul Reno. Il Vogt sa che la politica estera dell’odierno impero non lui che un principio, quello di mantenersi (l. c., pag. 31). Egli sa che Luigi Bonaparte “non prosegue che un’unica idea, di mantenersi in questa signoria (sulla Francia) (l. c., pag. 29). Egli sa che “la guerra in Italia non lo fa popolare in Francia, mentre l’acquisto delle Province Renane renderebbe popolare lui e la sua dinastia. Egli dice: “Le province Renane sono realmente un desiderio prediletto del chauvin francese e forse, se si andasse al fondo delle cose, non si troverebbe che una piccola minoranza della nazione che non porti in cuore questo desiderio (l. c. pag. 121). D’altra parte “le persone di buon senso in Francia„ e quindi probabilmente anche il suo uomo fatale colla saviezza serpentina sanno “che c’è speranza per attuare ciò (cioè l’acquisto da parte della Francia del contine naturale renano) solo fin tanto che la Germania possegga trentaquattro governi diversi, Fate che esista una vera Germania con interessi unitari e una forte organizzazione, e il confine renano sarà assicurato per sempre„ (l, c., pag. 121). Appunto per questo Luigi Bonaparte, che a Villafranca offrì all’imperatore d’Austria la Lombardia in cambio della garanzia delle Province Renane (Vedi la dichiarazione del Kinglake nella Camera dei Comuni, 12 luglio 1860) avrebbe sdegnosamente rifiutato l’offerta delle Province Renane fatta da parte dell’Austria per l’aiuto francese contro la Prussia.

Anche le fonti originali del Dentu, a cui il Vogt attinge, non si contentavano dei poetici sentimenti per l'unione della Germania sotto la Prussia40 , ma respingevano specialmente ogni allusione agli appe-titi circa le Provincie Renane con l’enfasi della virtù. “Il Reno…! Che cosa è il Reno? Un confine. Presto i confini saranno anacronismi„ (pag. 86, La fot dvs traités, Paris, 1859)41 . Chi parlerà del confine renano, anzi dei confini in genere nell’impero millennario da fondarsi da Badinguet sulla base del principio nazionale? “Stipula forse la Francia delle indennità per i sacrifici che essa è pronta a fare per un fine d’equità, di giusta influènza, e nell'interesse dell’equilibrio europeo? Domanda forse la riva sinistra del Reno? Accampa pur delle pretese sulja Savoia e sulla contea di Nizza? (La vraie question, ecc., Paris, 1859, pag. 13)42 . La rinunzia della Francia alla Savoia e Nizza come prova della rinunzia della Francia al Reno! Questo il Vogt non l’ha tradotto. Prima che principiasse la guerra era di necessità essenziale per Luigi Bonaparte, se anche non poteva adescare ad un’intesa la Prussia, di far però credere alla Confederazione germanica d’averla adescata. Il Vogt cerca di diffondere quest’opinione nella prima edizione dei suoi Studi. Durante la guerra diventava ancor più importante per Luigi Bonaparte l’indurre la Prussia a passi che fornissero all’Austria la prova o il simulacro della prova di quest'intesa. In una seconda edizione degli Studi pertanto, comparsa durante la guerra, il Vogt, in un'apposita appendice, esorta la Prussia alla conquista della Germania e al principio di una guerra civile dinastica, di cui nel testo del libro dimostra che sarebbe “sanguinosa, ostinata, forse indecisa„, costando per lo meno le Provincie Renane e la Vestfalia, mentre nell’appendice al medesimo libro giura che non “costerebbe che delle settimane. Ora la voce del Vogt non è proprio una voce da sirena. Luigi Bonaparte, sostenuto nel suo tiro furfantesco dal Bottle-holder Palmerston, dovette quindi proporre a Francesco Giuseppe a Villafranca le proposte prussiane fatturate da lui medesimo; che l’Austria dovesse prendere le modeste pretese della Prussia circa la guida militare della Germania a pretesto di un trattato di pace43 , che Luigi Bonaparte doveva scusare di fronte alla Francia col fatto che la guerra d’Italia minacciava di cambiarsi in una guerra generale, la quale “creerebbe l'unità germanica, eseguendo per tal modo un’opera, l’impedir la quale era stato lo scopo costante della politica francese da Francesco I44.

Dopo che la Francia, mediante la guerra d’Italia, ebbe acquistata la Savoia e Nizza, e con esse una posizione, che nel caso di una guerra renana conta più di un esercito, l’“unità germanica sotto l’egemonia prussiana„ e “la cessione della riva del Reno alla Francia„ diventarono delle grandezze convertibili nel calcolo di probabilità del 2 dicembre. La carta L’Europe en 1860, pubblicata nel 1858, venne interpretata dalla carta pubblicata nel 1860, L' Europe paciphie (l’Europa pacificata)?, nella quale l’Egitto non viene più assegnato all'Austria e le province Renane insieme al Belgio sono annesse alla Francia in compenso alle “pianure settentrionali„ assegnate alla Russia45.

Finalmente a Etienne il Persigny46 dichiarò ufficialmente che già nell’“interesse dell’equilibrio europeo„ qualsiasi ulteriore centralizzazione della Germania avrebbe per condizione l’avanzarsi della Francia sul Reno. Ma nè prima nè dopo la guerra d’Italia il grottesco ventriloquo delle Tuileries ha parlato più sfacciatamente che per bocca dell’esule reggente dell’impero.

Il Vogt, il “neo-svizzero, il cittadino cantonale di Berna e consigliere di classe di Ginevra„ (l. c., prefazione), apre la parte svizzera dei suoi Studi mediante un prologo (l. c., pag. 37 a 39) in cui la Svizzera viene invitata a uno scoppio di gioia per la sostituzione di Luigi Filippo con la persona di Luigi Bonaparte. È vero che Luigi Bonaparte ha chiesto al Consiglio federale delle “misure sulla stampa„, ma “pare che i napoleonidi abbiano, sotto questo rispetto, la pelle estremamente sensibile„ (l. c., pag. 36). Una semplice malattia cutanea quindi, congenita alla famiglia, sì da ereditarsi non solamente mediante il sangue, ma anche — teste Luigi Bonaparte — mediante il solo nome di famiglia. È vero che “la persecuzione di innocenti in Ginevra, perpetrata dal Consiglio federale su ordine imperiale contro poveri diavoli che non avevano altro delitto che d’essere italiani; la costituzione dei Consolati; le angherie alla stampa; le insensate misure poliziesche d’ogni genere, e finalmente le trattative per la cessione della valle della Dappe, hanno contribuito sensibilmente a cancellare in Svizzera la memoria dei servizi che l’imperatore ha realmente resi nell’affare di Neuenburg, e rese specialmente a quel partito che adesso più violentemente gli si rivolta contro„ (l. c., pag. 37-38). Generoso imperatore, ingrato partito! Quel che l’imperatóre voleva nell’affare di Neuenburg non era davvero un precedente per l’offesa dei trattati del 1815, l’umiliazione della Prussia e il protettorato della Svizzera. A lui premeva di rendere dei “veri servizi„ alla Svizzera nella sua qualità di “neo-svizzero, cittadino federale di Turgovia e capitano di artiglieria di Oberstrasse„. L’ingratitudine che il Vogt, nel marzo 1859, rimprovera al partito antibonapartista nella Svizzera, un altro servitore dell’imperatore, il signor di Thouvenel, la rimprovera nel 1860 alla Svizzera intera. Si legge infatti nel Times 30 giugno 1860:

“Giorni fa al ministero degli esteri a Parigi ebbe luogo un incontro tra il dottor Kerm e il signor di Thouvenel, in presenza di lord Cowley. Il Thouvenel dichiarò all’onorando rappresentante della Svizzera che i dubbi e le proteste del governo federale erano offensivi in quanto che sembrassero implicare sfiducia nel governo di S. M. Tale condotta era manifesta ingratitudine di fronte ai servizi che l'imperatore Napoleone aveva reso alla Confederazione in varie occasioni, ma specialmente per il commercio di Neuenburg. Comunque fosse, giacché la Svizzera era stata così cieca da diffidare del proprio benefattore, doveva portarne le conseguenze„.

Eppure sin dal marzo 1859 il Vogt aveva cercato di fare l’operazione della cataratta al cieco partito antibonapartista della Svizzera. In una pagina rammenta gli “effettivi servizi„ resi dall’imperatore. Sull’altra pagina le “angherie imperiali scompaiono completamente„ di fronte alle angherie regie sotto Luigi Filippo (l. e., pag 39). Così, per esempio, nel 1858 il Consiglio federale scaccia “per ordine imperiale dei poveri diavoli, che non avevano altro delitto che essere italiani„ (pag. 37): nel 1838, nonostante le minaceie di Luigi Filippo, rifiuta di scacciare Luigi Bonaparte, che non aveva altro delitto che di cospirare dalla Svizzera contro la corona di Luigi Filippo. Nel 1846 la Svizzera, nonostante lo “spettacolo guerresco„ di Luigi Filippo, osa di far la guerra del Sonderbund, poiché di fronte al re pacifico il motto era: “Le minaccie non giovano nel 1858 mostra appena appena un po’ di pudore di fronte alle domande di Luigi Napoleone sulla valle della Dappe.

“Luigi Filippo — dice lo stesso Vogt — aveva, trascinato una misera esistenza europea deriso da tutte le parti, perfino dai piccoli principi legittimi, perchè non aveva osato di seguire all’estero una politica forte„ (l. c., pag. 31).

Ma “di fronte alla Svizzera la politica imperiale è senza dubbio quella di un potente vicino, che sa di potere, alla fin dei conti, spuntare tutto quello che vuole„ (l. c., pag. 37). “Dunque — conclude il Vogt colla logica del Grandguillot — non si può, dal punto di vista puramente svizzero, che rallegrarsi in sommo grado (pag. 39) del cambiamento che, in luogo di quel “Luigi Filippo schernito da tutte le parti„, ha dato alla Svizzera “un potente vicino il quale sa che di fronte ad essa può fare tutto quello che vuole„.

A questo prologo, inteso a preparare il necessario stato d’animo, segue la traduzione tedesca della nota emanata il 14 marzo 1859 dalla Dieta federale, e, cosa strana, il Vogt loda questa nota, nella quale il Consiglio federale si riferisce ai trattati del 1815, il riferirsi ai quali lo stesso Vogt chiama ipocrisia. “Ma andate un po’ colla vostra ipocrisia„! (l. c., pag. 112)47 .

Il Vogt segue esaminando “da qual parte verrà il primo attacco contro la neutralità della Svizzera (l. c., pag. 84), e dà la superflua dimostrazione che Fesercito francese, che non aveva questa volta da conquistare il Piemonte, non passerà nè pel Sempione nè pel Gran S. Bernardo. Contemporaneamente scopre la via non esistente “attraverso il Moncenisio, per Fenestrelle e la Val di Stura (l. c., pag. 84). Pare invece che si chiami Valle Dora. Dalla parte della Francia dunque niun pericolo sovrasta la Svizzera. “Non con uguale tranquillità si può aspettare il rispetto della neutralità svizzera da parte dell’Àustria, anzi diversi sintomi stanno lì ad indicare che, occorrendo il caso, s’intenda effettivamente di ferirla„ (l. c. pag. 85). “Significativa sotto questo aspetto è la raccolta di un corpo di truppe a Bregenz e a Feldkirch„ (l. c., pag. 86). Qui è visibile il filo rosso che percorre gli Studi e conduce direttamente da Ginevra a Parigi.

Il Blue book on the affairs of Italy, infatti, pubblicato dal ministero Derby (january to mai 1859) racconta che “la raccolta di un corpo di truppe austriache presso Bregenz e Feldkirch„ è una diceria sparsa insistentemente dagli agenti bonapartisti in Svizzera, cui manca qualsiasi pretesto di fatto (N. 74 del citato Blue book, lettera del capitano Harris a lord Malmesbury, in data Berna 24 marzo 1859). L’Humboldt-Vogt scopre altresì in quest’occasione che a Bregenz e a Feldkirch ci si trova “nella prossimità immediata della valle renana, nella quale imboccano tre grandi passi alpini con strade carrozzabili, cioè la via Mala, lo Spluga e il San Bernardino, l’ultimo dei quali conduce ai Ticino, le prime due al lago di Como„ (l. c., pag. 86). In realtà la via Mala conduce prima di tutto allo Spluga, secondo al San Bernardino e terzo in nessun altro luogo.

Dopo tutte queste cicalate alla Polonio intese a volgere i sospetti della Svizzera dal contine occidentale all’orientale, la “natura arrotondata„ viene, Rotolando, al proprio suo compito.

“La Svizzera — dice il Vogt — è pienamente nel suo diritto se ricusa risolutamente Fobbligo di non concedere il passaggio di truppe per questa ferrovia (da Culoz a Aix e Charabéry), e se si limita, caso occorrendo, a farsi forte della neutralità solo in quanto sia necessario alla difesa del suo territorio„ (l. c., pag. 89); e il Vogt stesso assicura il Consiglio federale che “l’intera Svizzera aderirà come un sol uomo a questa politica accennata nella sua nota 14 marzo„.

Il Vogt pubblica i suoi Studi alla fine di marzo. Solo il 24 aprile Luigi Bonaparte adoperò detta ferrovia pel passaggio di truppe, e dichiarò la guerra ancora più tardi. Il Vogt, iniziato nei particolari dei piani di guerra bonapartisti, sapeva dunque esattamente “da qual parte verrebbe il primo attacco alla neutralità svizzera„. Egli aveva la professione espressa di adescarla ad una prima offesa di neutralità, la cui conseguenza logica doveva essere l'annessione del neutralizzato dominio della Savoia all’impero decembrino. Picchiando sulle spalle al Consiglio federale, presta alla nota del 14 marzo un significato, quale doveva averlo precisamente dal punto di vista bonapartista. Il Consiglio federale dice nella sua nota che la Svizzera adempirebbe alla propria missione della neutralità impostale dai trattati, “ugualmente e leamente verso tutti„. Cita inoltre un articolo dei trattati medesimi secondo i quali “nessuna truppa di qualsiasi altra potenza può ivi (nel territorio neutralizzato della Savoia) trattenersi o passare„. Non accenna con nessuna parola di voler accordare ai Francesi l’uso della ferrovia percorrente il territorio. Condizionalmente, quale “misura di sicurezza e di difesa del proprio territorio„ riserva alla Federazione il presidio militare del territorio neutralizzato. Che il Vogt vada sbugiardando la nota della Dieta sistematicamente e per superiore incarico, viene dimostrato non solamente dal testo di essa ma anche dalla dichiarazione di Malmesbury, allora ministro inglese degli esteri, nella tornata della Camera alta 23 aprile 1860. “Allorché, disse Malmesbury, le truppe francesi furono lì lì (più che un mese dopo la nota della Dieta del 14 marzo) per passare attraverso la Savoia nella Sardegna, il governo svizzero, fedele alla neutralità su cui si fonda la sua indipendenza, obbiettò dapprima come queste truppe non avessero il diritto di attraversare il territorio neutralizzato„48 . E mediante quale obbiezione Luigi Bonaparte e il partito svizzero a lui unito allontanarono gli scrupoli della Dieta? Il Vogt, che alla fine del marzo 1859 sapeva che dei convogli militari francesi avrebbero, alla fine dell’aprile 1859, offeso la neutralità del territorio, anticipava naturalmente già alla fine di marzo la frase mediante la quale Luigi Bonaparte alla fine d’aprile maschererà la propria violenza. Accampa cioè il dubbio se “la testata della linea da Culoz a Aix e Chambéry cade nei limiti del territorio neutrale„ (l. c., pag. 89), e dimostra che “la determinazione del territofio neutrale non aveva affatto lo scopo di togliere la comunicazione tra la Francia e Chambéry„ e che quindi moralmente la detta strada ferrata evita il territorio neutrale49 .

Sentiamo d’altra parte lord Malmesbury:

“Più tardi, per la con-siderazione che la strada ferrata non evitasse la parte neutralizzata della Savoia, il governo svizzero ritirò il suo divieto e concedette il passaggio alle truppe francesi. Credo che avesse torto facendo così (I think that they were wrong in doing so)„.

Noi tenevamo la conservazione della neutralità di questo territorio per un oggetto di tale importanza europea che il 28 aprile 1859 inviammo alla Corte francese una protesta contro il passaggio di tali truppe in Sardegna. Per questa protesta lord Palmerston accusò il Malmesbury di “simpatia austriaca, avendo egli inutilmente offeso il governo francese (had uselessly offended the french government), precisamente come il Vogt nel Libro prin-cipale, pag. 83, accusa il Popolo (Folk) di mettere negli imbrogli la Svizzera con ogni possibile sforzo (naturalmente per amore dell’Austria)…

Si leggano gli articoli pubblicati dal Popolo sulla questione della neutralità e il passaggio dei Francesi per la Savoia, per toccar con mano queste tendenze, perfettamente divise dalla Allgemeine Zeitung50 .

Si “toccherà con mano„ che tutto il capitolo relativo alla Svizzera degli Studi del Vogt non aveva altro scopo che di propugnare la prima offesa al territorio neutrale svizzero da parte del suo uomo fatale„. Era il primo passo all’annessione della Savoia, e quindi della Svizzera francese. Il destino della Svizzera dipendeva dall’energia con cui si opponeva a questo primo passo, manteneva il proprio diritto, usandolo nel momento decisivo, ed elevando a questione europea, in un momento in cui l’appoggio del governo inglese era sicuro, e Luigi Bonaparte, che poprio allora cominciava la sua guerra localizzata, non poteva osare di gettarle il guanto. Una volta impegnato ufficialmente, il governo inglese non poteva retrocedere51 . Da ciò il violento sforzo del “neo svizzero, cittadino cantonale di Berna e consigliere di classe di Ginevra„ per gettar la polvere negli occhi e rappresentare il consenso del passaggio dell’esercito francese attraverso il territorio neutrale come un diritto da farsi valere dalla Svizzera, quale valorosa dimostrazione contro l’Austria. Egli aveva ben salvata la Svizzera da Catilina-Cherval!

Mentre il Vogt riecheggia, aumentandola dai suoi opuscoli originali del Dentu, la protesta contro gli appetiti renani, evita qualsiasi anche più tenue allusione alla rinunzia, nei medesimi opuscoli contenuta, circa la Savoia e Nizza. Nei suoi Studi mancano persino i nomi di Savoia e Nizza. Ora, sin dal febbraio 1859 dei deputati della Savoia protestarono in Torino contro la guerra d’Italia, formando l’annessione della Savoia all’impero decembrino il prezzo dell’alleanza francese. Questa protesta non era mai giunta alle orecchie del Vogt. Nè similmente le stipulazioni ben note al resto degli emigrati fatte tra Luigi Bonaparte e Cavour nell’agosto 1858 a Plombières (pubblicate in uno dei primi numeri del Popolo). Il Mazzini, nei già citato numero del Pensiero ed azione (2 al 16 maggio 1859) aveva testualmente predetto: “Ma dove l’Austria, disfatta in sulle prime, affacciasse proposte eguali a quelle cli’essa affacciò per breve tempo nel 1848 al governo inglese, abbandono della Lombardia a patto di serbare il Veneto, la pace… sarebbe accettata: le sole condizioni dell’ingrandimento della monarchia sarda e della cessione della Savoia e di Nizza alla Fran-cia, riceverebbero esecuzione„.

Il Mazzini pubblicava la sua profezia alla metà del maggio 1859, il Vogt la seconda edizione dei sudi Studi a metà del giugno 1859, ma non una sillaba della Savoia e di Nizza. Già prima del Mazzini e dei deputati savoiardi, già nell’ottobre 1858, un mese e mezzo dopo la congiura di Plombières, il presidente federale della Svizzera informava, mediante speciale dispaccio, il ministero inglese, aver egli motivo di credere che tra Luigi Bonaparte e il Cavour fosse stato concluso un accordo condizionale circa la cessione della Savoia„52 . Ai primi di giugno 1859 il presidente federale nuovamente comunicava all’agente d’affari inglese a Berna i suoi timori per l’imminente annessione della Savoia e di Nizza53 . Al Vogt, salvatore della Svizzera per professione, non giungeva mai il più leggero accenno nè della protesta dei deputati savoiardi, nè delle rivelazioni del Mazzini, nè dei timori del governo federale svizzero, perduranti dall’ottobre 1858 al giugno 1859. Anzi, come più tardi vedremo, sin nel marzo 1860, allorché il segreto di Plombières correva per tutte le vie d’Europa, evitò costantemente d’incontrarsi col signor Vogt. E probabilmente in riguardo all’ammutolire rispetto alla minacciata annessione, gli Studi portano il motto: “Il silenzio è la virtù dello schiavo„. Tuttavia contengono un accenno: “Ma posto anche — dice il Vogt — posto anche che succeda l’improbabile e che il prezzo di vittoria fosse in terra italiana… invero dal punto di vista strettamente tedesco… sarebbe da desiderare vivamente che al lupo latino sia dato da rodere un osso italiano„ (l. c., pag. 129-130). La terra italiana al Nord significava naturalmente Nizza e la Savoia. Dopo che il neo-svizzero, cittadino cantonale di Berna e consigliere di classe di Ginevra aveva, dal punto di vista puramente svizzero„ (l. c., pag. 39) esortata la Svizzera di “rallegrarsi in sommo grado„ della vicinanza di Luigi Bonaparte, al reggente dell’impero fuggitivo viene a un tratto in mente come “invero dal punto di vista strettamente tedesco desidererebbe vivamente che il lupo latino avesse da rodere l’osso di Savoia e Nizza„ e quindi la Svizzera francese54 .

Tempo fa comparve a Parigi un opuscolo Napoleone III; non Napoleone III e l’Italia, né Napoleone III e la questione rumena, e neppure Napoleone III e la Prussia, ma senz’altro Napoleone III, un semplice Napoleone III. È un panegirico di Napoleone III, scritto in iperboli da Napoleone III. Quest’opuscolo fu volgarizzato nella lingua natale da un arabo di nome Dà-Dà. Nell’appendice l’ebbro Dà-Dà non può più contenere il proprio entusiasmo e si espande in fiammanti versi poetici. Nella prefazione Dà-Dà è ancora abbastanza sobrio per confessare che il suo scritto fu pubblicato su comando delle autorità locali di Algeria e destinato ad essere distribuito tra le stirpi arabe indigene oltre i confini dell’Algeria, acciocché “l’idea dell’unità e della nazionalità sotto un capo comune s’impadronisca della loro fantasia Questo capo comune, che dovrebbe formare l’unità delle nazionalità arabe, è, come confessa Dà-Dà, niente di meno che “il sole della beneficenza, la gloria del firmamento, l’imperatore Napoleone III; il Vogt, sebbene scriva senza buon senso, non è né più né meno che il Dà-Dà tedesco.

Che il Dà-Dà-Vogt chiami Studi la sua trascrizione tedesca degli articoli del Moniteur, degli opuscoli del Dentu e delle carte dell’Europa corretta, irraggiati dal sole della beneficenza e dalla gloria del firmamento, è il migliore scherzo che gli sia venuto in mente durante l’allegra sua carriera, migliore ancora che la reggenza dell’impero, il beone dell’impero e i passi dell’impero da lui stesso inventati all’estero. Che il “colto„ cittadino tedesco prenda degli studi, in cui l’Austria e l’Inghilterra lottano per l’Egitto, l’Austria e la Prussia contendono per territori extra-europei, Napoleone 1 obbliga il Banco d’Inghilterra di pesare anziché di contare il suo danaro, Greci e Fanarioti sono razze diverse, una strada conduce da Moncenisio per Fenestrelle attraverso le Val di Stura, ecc.; che prenda tali studi per studi in buona fede, mostra la pressione autoritaria, mediante cui una decenne reazione ha pesato sul liberale suo cranio.

Caso strano: il medesimo poltrone tedesco, che aveva fatto dei pettegolezzi intorno alla traduzione tedesca, volgarmente esagerata, del Vogt, degli opuscoli originali del Dentu, si destò tutto arrabbiato dalla sua poltrona non appena Edmondo About ritradusse in francese, con savia moderazione, la compilazione del Dà-Dà nel suo La Prusse en 1860 (originariamente Napolèon III et la Prusse). Questa gazza loquace del bonapartismo non è„ tra parentesi, senza astuzia. Come prova delle simpatie bonapartiste per la Germania, l’About cita per esempio che l’impero decembrino fa un fascio solo del Vogt coll’Humboldt, come del Lazarillo Hacklaender con Goethe. Ad ogni modo questa combinazione Vogt-Hacklaender mostra da parte dell’About uno studio più profondo di quel che non si possa riscontrare in qualsiasi punto degli Studi del tedesco Dà-Dà.

CAPITOLO IX. Agenzia.

«So inuosens alle striten
in vii angestlichen ziten
wart gescheiden doch ber dan
… der Vogt da von Bérne».
Lamento55 .

In un programma, che il Dà-Dà-Vogt con immensa allegrezza data dal primo aprile, cioè col primo aprile 1859, chiamava i democratici di diverso colore a coliaborare in un giornale, che doveva comparire a Ginevra e propagare Popinione russa decembrina dei suoi studi. Prudentemente compilato, come questo programma naturalmente doveva essere, tuttavia l’unghia del cavallo si manifestava di tanto in tanto attraverso la coperta di carta asciugante. Ma non fermiamoci qui.

Alla fine del programma stesso il Vogt invita i suoi destinatari dedicargli dei “compagni d’opinione che fossero pronti ad operare in pari senso nelle gazzette e giornali a loro aperti„. Alla festa centrale in Losanna dichiara d’aver formulato un programma “coll’invito a coloro che lo volessero seguire per operare, contro adeguato onorario, negli organi della stampa che fossero a loro disposizione„ (pag. 17, Festa Centrale, ecc.). Finalmente in una lettera al dottore Loening è detto: “Puoi metterti in relazione con della gente che da Francoforte possano influire in questo senso su gazzette e giornali? Sono pronto a pagarli decentemente per i lavori di cui mi sarà mandata copia„ (Libro principale, Documenti, pag. 36).

I compagni d’opinione del programma si trasformano, nella Festa centrale di Losanna, in “coloro i quali„, e coloro i quali si trasformano, di fronte al dottor Loening, in “gente„, gente senz’altro. Il Vogt, portaface generale e revisore generale della stampa tedesca, ha “dei fondi a propria disposizione„ (l. c., pag. 36) non solamente per pagar degli articoli in gazzette e giornali, ma anche per pagare degli “opuscoli„ (l. c.). Si comprende che un’agenzia posta su questa scala esiga dei “fondi„ d’importanza tutta speciale.

Er sante nach allen den herren
die in diusken richen wàren;
er cingete in alien sin nót,
unde bet in ouch sin gelt ret.
(Cronaca imperiale).

Ma a quale scopo le gazzette, i giornali, gli opuscoli, dovevano venire influenzati da tt coloro i quali„ inviati al Vogt e da lui decentemente ricompensati? “Si tratta dell’Italia„, null’altro; che per stornare il pericolo dal Reno, al signor Vogt “pare vantaggioso di far dissanguare Luigi Bonaparte in Italia„ (l. c., pag. 34, Programma). No, “non si tratta dell’Italia„ (lettera al signor Loenig, l. c., pag. 36), “si tratta dell’Ungheria„ (lettera al signor H. in N., l. c.). No, non si tratta dell’Ungheria. “Si tratta di cose che non posso comunicare„ (l. c., doc., pag. 36).

Contraddittoria, come la cosa di cui si tratta, è la fonte da cui fluiscono gli onesti fondi. È “un angolo lontano della Svizzera francese„ (Libro principale, pag. 210). No, “non sono signore ungheresi dell’Occidente (lettera a Carlo Bliud, appendice al N. 44 dell’Allgemeine Zeitung del 13 febbraio 1860). Viceversa sono mascolini “entro limiti della polizia tedesca e specialmente austriaca„. (pag. 17 festa centrale). Non meno camaleontica del fine e della fonte è la quantità dei suoi fondi. Sono “alcuni franchi„ (Libro principale, pag. 110). Sono “piccoli fondi„ (pag. 17 della Festa centrale). Sono tondi sufficienti per stipendiare decentemente tutti quelli che nella stampa tedesca e negli opuscoli vorranno operare vogtianamente. Finalmente, e per di più anche, la formazione dei fondi è a doppia faccia. Il Vogt li ha “raccolti con ogni sforzo e pena„ (Libro principale, pag. 210). No, “gli sono stati messi a disposizione„ (l. c., doc., pag. 36).

“Se non sbaglio — dice la natura arrotondata — corrompere significa questo: indurre altri, taediante danaro od altri vantaggi, ad azioni e a manifestazioni opposte ai loro convincimenti (l. c., pag. 217).

Colui ai cui convincimenti quindi corrisponde il farsi pagare, non può essere corrotto, e colui alla cui convinzione ripugna neppure può essere corrotto. Se la sezione ministeriale di Parigi per la stampa estera offre ai fogli svizzeri, per esempio, la corrispondenza parigina litografata che compare tutti i giorni e costa 250 franchi, e gliela offre a metà prezzo, a un quarto di prezzo, anzi gratis, avvertendo le “redazioni ben pensanti„ che in proporzione crescente possono contare ancora su un sussidio mensile in contanti di 50, 100 e 150 franchi, “secondo la riuscita tolga Iddio che questo sia corruzione. Le redazioni la cui opinione ripugna alla corrispondenza quotidiana e al sussidio mensile, non sono obbligate ad accettare nè l’una nè le altre. Ed è corrotto Granier de Cassagnac, o Laguerronière, o About, o Grand-guillot, o Bulelier, o Jourdan del Siècle, o Martin e Boniface del Constitutionnel, o Rochaid Dà-Dà Albert? È mai capitato ad un'azione o manifestazione passibile di pagamento di trovarsi in conflitto con le convinzioni di questi signori? O ha il Vogt corrotto, per esempio, l’agente d’un foglio svizzero a lui prima nemico, ponendogli a disposizione gratis alcune centinaia di copie dei suoi Studi? Strano invito, ad ogni modo, questo del Vogt, ai pubblicisti, di operare negli organi a loro disposizione nel senso delle proprie convinzioni, e di ricevere per quest’opera il proprio onorario per l’organo del signor Carlo Vogt a Ginevra. Che il Vogt faccia tutto un fascio dell’onorario che un dato giornale paga ai propri collaboratori, coi sussidi segreti che un terzo qualunque offre da cassa anonima ai corrispondenti di giornali a lui più che estranei, anzi alla stampa di tutto un paese, questo qui prò quo dimostra quanto il Dà-Dà tedesco siasi reso omogeneo alla morale del 2 dicembre.

“Alla fonte sedeva il giovinetto„.

Ma a qual fonte?

Invece del periodico settimanale La nuova Svizzera, disegnato dal Vogt, comparve più tardi in Ginevra il Nuovo giornale svizzero, fondato dall’antico amico del Dà-Dà, signor A. Brass. In una fredda mattinata di novembre il signor Brass dichiarò, tra lo stupore di tutta Ginevra, “d’avere in una lettera al Vogt rifiutata la greppia francese che costui aveva voluto mettergli dinanzi Contemporaneamente si dichiarava pronto a dare una denuncia giudiziaria (Nuovo giornale svizzero, 12 novembre 1859). E il gallo, o meglio il cappone, che sin lì aveva così allegramente cantato, ammutolì non appena fu arraffato sul proprio letamaio. Il neo-svizzero, cittadino cantonale di Berna, e consigliere di classe di Ginevra, veniva in mezzo a Ginevra stessa accusato pubblicamente da uno dei suoi notori amici di un tentativo di corruzione mediante danaro francese. E il consigliere di classe di Ginevra ammutolì.

Non si creda però che il Vogt potesse alteramente ignorare il Nuovo giornale svizzero. La denuncia contro di lui apparve, come si è detto, nel numero del 12 novembre 1859. Poco dopo il medesimo foglio portava una piccante caratteristica di Plon-Plon, e la Bevue de Genève, organo del dittatore ginevrino James Fazy, protestò subito in un articolo di fondo di quattro colonne (Bevue de Genève, 6 dicembre 1859). Protestava “au nom du radicalismo genevois„. Tal peso lo stesso James Fazy attribuiva al Nuovo giornale svizzero. L’articolo di fondo di quattro colonne della Bevue de Genève mostra evidente la mano del Vogt. Il Brass medesimo viene in certo modo scusato. Non egli è Fautore dell’attentato contro Plon-Plon, ma fu indotto in errore. In maniera veramente vogtiana, viene il corpo del delitto addossato al medesimo L. Haefner, che il Vogt sospetta anche nel Libro principale (pag. 188) di scrivere “ripugnanti storie scandalose personali sull’imperatore e sul principe Napoleone Nè manca Fallusione, presso il Vogt inevitabile, al “famigerato ex-tenente hádense Klomann„ come corrispondente di Berna della Allgemeine Zeitung (ci. Libro principale, pag. 198). Soffermiamoci un momento alla protesta inserita dal signore e dal servo, da James Fazy e da Carlo Vogt, in nome del radicalismo ginevrino e per salvar l’onore di Plon-Plon, nella Bevue de Genève del 6 dicembre 1859.

Il Brass viene accusato di cercare “di raffermare la sua opinione tedesca contro la Francia mediante l’offesa d’un principe di Casa Bonaparte„. Plon-Plon, dicesi, è, come da lunga pezza si sa in Ginevra, un liberale della più bell’acqua, che al tempo del suo esilio rifiutò generosamente di frequentare e funzionare alla Corte di Stoccarda e anche a quella di Pietroburgo. Nulla sarebbe più ridicolo che attribuirgli l’idea d’una piccola sovranità qua e là, per esempio d’un regno d’Etruria, come fa l’articolo ingiurioso del Nuovo giornale svizzero. “Il principe Napoleone, forte del sentimento personale del suo genio e del suo talento, si stima troppo alto per questi piccoli e miserabili troni. Preferisce invece di fare in Francia, centro di alta civilizzazione e di comune incontro, la parte di principe cittadino presso l’augusto suo cugino, simile in questo al marchese di Posa. Il suo cugino lo stima e lo ama, checché possa dirsene Il principe non è solamente il marchese di Posa del Bonaparte. È l’“amico disinteressato„ dell’Italia, della Svizzera, insomma delle nazioni Il principe Napoleone, come l’imperatore, è un gran dotto in economia politica… Senza dubbio, se mai i buoni principi di economia politica trionferanno in Francia, il principe Napoleone vi avrà grandemente contribuito. Era ed è partigiano della più illimitata libertà di stampa, avversario di tutte le misure preventive di polizia, alfiere di tutte le idee di libertà nel più ampio senso della parola, in teoria come nell’applicazione„. Se trova le orecchie dell’imperatore chiuse alla sua voce d’Egeria per il cattivo ambiente, si ritira dignitosamente, ma senza fare il broncio. “Non è che il suo merito che l’ha esposto alle calunnie dell’Europa. I nemici della Francia lo temono, perchè si fonda sull’aiuto rivoluzionario dei popoli d'Europa, per render loro la nazionalità e la libertà„. Dunque, genio sconosciuto, marchese di Posa, Egeria, dotto in economia politica, presidio delle asservite nazionalità, democratico della più bell'acqua, e — parrebbe possibile? — Plon-Plon è ”habil comme général et brave comme tout officier français„. Egli l’ha dimostrato nella campagna di Crimea durante e dopo la battaglia d'Alma. Nella campagna d’Italia ha bene organizzato il suo Corpo d’esercito di cinquantamila uomini (il noto Corps de touristes, direi quasi Corps de ballet), facendo in poco tempo una grave marcia attraverso un paese montuoso senza che ai suoi mancasse nulla„. È noto che i soldati della Crimea avevano battezzato il timor della polvere “la maladie plonponienne”, e probabilmente Plon Plon si ritirò dalla penisola solamente per la mancanza di viveri che veniva facendosi sensibile. “Noi — chiude la Berne de Genève trionfando — noi l’abbiamo mostrato qual è Urrà col generale Plon Plon.

Niuna meraviglia dunque che il Vogt dica d’aver ricevuto i suoi fondi di guerra da mani democratiche. Plon Plon, il “Prince rouge„ è l’ideale del Vogt come del Fazy, in certo modo il principe incantato della democrazia europea. Il Vogt non poteva ricevere i suoi danari da mani più puramente democratiche che da quelle di Plon Plon. Perfino se una parte dei danari venne direttamente trasmessa al Vogt da mani ungheresi per parte dell’illustre cugino di Plon Plon, il signor Kossuth, la “loro origine sarebbe un orrore„; ma dalle mani di Plon Plon! Perfino i danari che il Vogt ricevette, in occasione della questione di Neuenburg, dalla contessa C…, amica, del Klatka, potevano venire da mani più delicate, mai da mani più pure e più democratiche. “Plon Plon est voluptueux comme Heliogabale, lâche comme Ivan III et faux comme un vrai Bonaparte„, dice un ignoto scrittore francese. Il peggio che abbia fatto Plon Plon è di fare di suo cugino “un homme sérieux„. Victor Hugo poteva ancora dire di Luigi Bonaparte: “N’est pas monstre qui veut”, ma dacché Luigi Bonaparte inventò Plon Plon, sull’uomo delle Tuileries si concentrò la parte affaristica, su quello del Palays Royal la parte grottesca dell'imperialistica testa di Giano. Il falso Bonaparte, che è nipote di suo zio senza essere figlio di suo padre, apparve vero di fronte a questo vero Bonaparte; di modo che i Francesi dicono ancor sempre; “l'autre est plus sure. Plon Plon è insieme il don Chisciotte e il Hudibras del “basso impero„. Amleto trovava pericoloso che le ceneri di Alessandro fossero forse destinate a turare cocchiume di un barile di birra. Che cosa direbbe Amleto se scorgesse la staccata testa di Napoleone sulle spalle di Plon Plon!

Sebbene il Vogt tirasse il nucleo principale della sua cassa di guerra dalla “greppia francese„ può darsi benissimo che per mascherare la greppia stessa abbia fatto tra i suoi amici più o meno democratici delle ostentate collette di alcuni franchi. Così semplicemente si risolvono le sue contraddizioni sulla fonte, la quantità e la formazione dei suoi fondi.

L’agenzia del Vogt non si limitava agli “Studi”, al “Programma” e all’ufficio di arruolamento. In occasione della festa centrale di Losanna, proclamò agli operai tedeschi della Svizzera la missione di Luigi Bonaparte relativamente alla liberazione delle nazionalità, naturalmente da un punto di vista più radicale che non negli Studi destinati ai filistei liberali tedeschi. Mentre qui, mediante la profonda penetrazione del rapporto tra “materia e forza” era giunto al con-vincimento che “non si poteva pensare allo scombussolamento e alla dissoluzione del governo esistente in Germania (pag. 7, Studi, prelazione), e gridava al borghese tedesco (l. c., pag. 128) “di prendersi a cuore che la liberazione bonapartista dell’Italia proteggeva dalla rivoluzione in Germania”, insegna viceversa all’operaio tedesco che “l’Austria è l’unico punto fermo per la durata dell'esistenza dei principi tedeschi„ (Festa centrale, ecc., pag. 11). “Io ho detto or ora — egli dice — che di fronte all’estero non esiste nessuna Germania, che bisogna crearla appena, e secondo la mia convinzione non può essere creata che in forma di una lega (li repubbliche simile a quella della Confederazione svizzera„ (l. c., pag. 10). Questo lo diceva il 26 giugno 1859, mentre ancora il 6 giugno, nell’appendice alla seconda edizione degli Studi, supplicava il principe reggente di Prussia di sottomettere la Germania a casa Hohenzollern mediante la fòrza delle armi e una guerra civile dinastica. La centralizzazione monarchica mediante la forza delle armi è naturalmente la via più breve per una repubblica federale simile a quella della Confederazione svizzera. Sviluppa inoltre la teoria del “nemico esterno„ — la Francia — a cui la Germania doveva unirsi contro il “nemico interno„ — l’Austria. “Se — egli esclamava — mi danno la scelta tra il diavolo (Asburgo) e la sua nonna (Luigi Bonaparte) scelgo quest’ultima, perchè è una vecchia e morirà„. Questo diretto invito alla Germania di gettarsi, sotto il pretesto dell’odio contro l’Austria, nelle braccia della Francia decembrina, gli parve però troppo compromettente pel pubblico lettore, e quindi nel discorso stampato lo alterò come segue: “E se si tratta di parteggiare nella lotta tra il diavolo e la sua nonna, stimiamo il meglio che entrambi si ammazzino e si mangino tra sè, risparmiandoci così la fatica (Festa centrale, pag.13). Mentre finalmente negli Studi inneggia a Luigi Bonaparte come ad imperatore dei contadini e dei soldati, questa volta, di fronte ad un pubblico d’operai, dichiara che “specialmente gli operai di Parigi nella loro gran maggioranza sono guadagnati alla causa di Luigi Bonaparte. Luigi Bonaparte fa, nell’opinione degli operai francesi, tutto quello che la repubblica avrebbe dovuto fare, dando lavoro ai proletari, rovinando i borghesi, ecc.„ (Festa centrale, pag. 9). Dunque Luigi Bonaparte dittatore operaio, e come tale lodato agli operai tedeschi della Svizzera da quel medesimo Vogt che nel Libro principale freme di sdegno borghese alla sola parola “dittatura operaia„:

Il programma di Parigi che prescriveva agli agenti decembrini nella Svizzera il loro piano di operazione rispetto all’annessione della Savoia, constava di tre punti: 1°) d’ignorare quanto più fosse possibile la diceria deirimminente pericolo, e in caso di bisogno dichiararla invenzione dell’Austria; 2°) in uno stadio progredito propagare l’opinione che Luigi Bonaparte volesse incorporare alla Svizzera il territorio neutralizzato; e finalmente 3°) ad annessione compiuta, far valere quest’ultima quale pretesto per l’alleanza della Svizzera colla Francia, cioè della sua spontanea sottomissione al protettorato bonapartista. Vedremo ora come fedelmente il signore ed il servo, James Fazy e Carlo Vogt, il dittatore di Ginevra e il suo consigliere di classe da lui creato si conformassero a questo programma.

Sappiamo già che il Vogt negli Studi evitava ogni più lontana allusione all’idea per la quale il suo uomo fatale imprendeva la guerra. Lo stesso silenzio alla festa centrale di Losanna, nel Consiglio nazionale, nelle commemorazioni di Schiller e di Boberto Blum, nel Commis rotjageur, finalmente nel Libro centrale. E tuttavia l’idea era più antica della stessa congiura di Ploiubières. Già nel dicembre 1851, alcuni giorni più tardi del colpo di Stato, si leggeva nel Patriote Savoyen: “Ci si divide di già gli impieghi della Savoia nelle anticamere dell’Eliseo. I suoi giornali anzi vi scherzano su molto piacevolmente„56 . Il 6 dicembre 1851 il signor Fazy vedeva già Ginevra devoluta all’impero decembrino57 .

Il primo luglio 1859 lo Staempfli, allora presidente della Federazione, ebbe un colloquio col capitano Harris, agente daffari inglese ar Berna. Egli ripetè il suo timore, che in caso di una estensione del dominio sardo in Italia fosse decisa l’annessione della Savoia alla Francia, rilevando come i annessione medesima, specialmente nella Savoia settentrionale, avrebbe completamente scoperto un fianco della Svizzera, e dopo poco portato seco la perdita di Ginevra (Vedi il primo Blue book: On the proposed annexation of Savoy and Nice, N. 1). L’Harris riferì al Maimesbury, che da parte sua incaricò lord Cowley a Parigi di chiedere al Walewski degli schiarimenti sulle intenzioni dell’imperatore. Il Walewski non negò affatto che “la questione dell’annessione fosse stata trattata più d’una volta tra la Francia e la Sardegna, e che l’imperatore coltivasse l’idea, qualora la Sardegna si allargasse a regno d’Italia, non essere irragionevole d’aspettare che facesse d’altra parte delle Concessioni territoriali alla Francia„ (N. IV l. c.). La risposta del Walewski è del 4 luglio 1859, ossia precedette la pace di Villafranca. Nell’agosto 1859 comparve a Parigi l’opuscolo del Petetin, con cui l’Europa veniva preparata all’annessione della Savoia. Nel medesimo agosto, dopo la tornata estiva dell’Assemblea nazionale svizzera, il signor Vogt strisciò verso Parigi, per prendere quivi le istruzioni di Plon Plon. Per far perdere le proprie traccie fece spargere a Ginevra dai suoi compagni, Ranickel e consorti, la notizia che fosse partito per un luogo di cura al lago dei Quattro Cantoni.

zè Pârîs lëbt er mangen tac,
vil kleiner wìshet er enpflac,
sin zerung was unmazen groz;...
ist ër eìn esel und ein guoch,
daz sëlb ist ër zuo Pàris ouch.

Nel settembre 1859 il Consiglio federale svizzero vedeva avanzarsi il pericolo dell’annessione (l. c., N. 6), il 12 novembre deliberò di inviare alle potenze un memoriale in questo sensor e il 18 novembre il presidente Staempfli e il cancelliere Sclhiiess presentarono all’Agente d’affari inglese in Berna una nota ufficiale (l. c., N. 8). James Fazy, tornato nell’ottobre dal suo fallito viaggio in Toscana, ove invano aveva agito per il regno d’Etruria di Plon Plon, si oppose allora alle dicerie dell’annessione nell’affettato suo modo violento, rumoroso e altercante, sostenendo che nessuno nè in Francia nè in Sardegna sognava all’annessione. Nei grado medesimo che il pericolo veniva approssimando, aumentava la fiducia della Revue de Genève, il cui culto napoleonico nel novembre e dicembre del 1859 si manifestava in ismanie da coribanti (Vedi, per esempio, il succitato articolo su Plon Plon).

Con l’anno 1860 entriamo nel secondo periodo dell’affare dell’annessione.

L’ignorare o il negare non erano più nell’interesse decembrista. Ora si trattava anzi di lusingare la Svizzera all’annessione, traendola d’inganno in una falsa posizione. Si trattava di eseguire il secondo punto del programma delle Tuileries, ossia di intonare alto il “la„ della progettata donazione del territorio neutrale alla Svizzera. Naturalmente i decembristi della Svizzera venivano in quest’affare appoggiati da contemporanee manovre a Parigi. Così il Baroche, ministro dell’interno dichiarò ai primi del gennaio del 1860 all’ambasciatore svizzero dottor Kern, che “ove sottentrasse un cambiamento di dominio nella Savoia, alla Svizzera verrebbe contemporaneamente ceduta, concordemente ai trattati del 1815, una buona linea di difesa„ (Vedi il citato Blue book, N. 13). Ancora il 2 febbraio 1870, il giorno stesso in cui Thouvenel annunziava all’ambasciatore inglese Cowley l’annessionè della Savoia e di Nizza “come possibilità„, gli dichiarava contemporaneamente “che il governo francese considerava come cosa naturale che, sotto queste circostanze, i distretti del Chiablese e del Faucigny venissero per sempre incorporati alla Svizzera„ (l. c., N. 27).

La diffusione di questa illusione doveva adescare la Svizzera non solo all’annessione della Savoia all’impero decembrino, ma a togliere la punta alle sue proteste postume contro l’annessione stessa, e comprometterla di fronte all’Europa come complice, sebbene complice gabbata del dicembre. Frev-Herosée, presidente della Lega dal 1860, non cadde nel laccio, anzi dichiarò al capitano Harris i suoi dubbi circa i presunti vantaggi deirincorporazione nella Svizzera del territorio neutralizzato. L’Harris da parte sua mise il governo federale in guardia contro l’intrigo bonapartista, acciocché “la Svizzera non apparisse anch’essa come una potenza avente appetiti di annessione, e desiderosa di estensione di dominio„ (l. c., N. 15). Per contro sir James Hudson, ambasciatore inglese a Torino, scrive a lord John Russell, dopo un colloquio piuttosto lungo con Cavour: “Ho buoni motivi per credere che anche la Svizzera avidamente si sforzi di annnettere una parte del territorio savoiardo. Quindi non c’è da farsi illusioni, che se la Francia viene criticata per gli appetiti di annessione, la Svizzera non è meno colpevole… Poiché la quistione viene, con questo doppio attacco, per tal modo complicata„ la condotta della Sardegna è piuttosto'da scusare„ (l. c., N. 34). Finalmente, appena che Luigi Bonaparte ebbe gettato via la maschera„ anche il Touvenel rivelò senza tanti complimenti il segreto della parola d’ordine deil’annessione alla Svizzera del territorio federale. In un dispaccio al reggente l’ambasciata in Berna schermisce apertamente la protesta della Svizzera contro l’annessione della Savoia alla Francia; e con che cosa? Col “piano per la divisione della Savoia„, alla Svizzera imposto da Parigi (Vedi il dispaccio del Thouvenel 1860).

E come avevano, intanto, collaborato alla tela d’inganni gli agenti svizzeri nel dicembre? James Fazj è il primo che nel gennaio 1860 rappresenta all’agente d’affari in Berna l’annessione del Ohiablese e del Faucigny alla Svizzera, non come promessa di Luigi Bonaparte, ma come proprio desiderio della Svizzera stessa e degli abitanti dei distretti neutralizzati (l. c., N. 23). Il Vogt, che sino allora non aveva mai supposto la possibilità dell’annessione della Savoia alla Francia„ viene tutto ad un tratto empito di spirito profetico, e il Times, che dalla sua fondazione in poi non aveva mai nominato il Vogt medesimo„ annunzia improvvisamente in una corrispondenza del 30 gennaio: “Il professore svizzero Vogt afferma di sapere che la Francia vuol procurare alla Svizzera il Faucigny, il Chiablese e il Ginevrino, territori neutrali della Savoia, qualora il Consiglio federale conceda alla Repubblica francese il libero uso del Sempione (Times, 3 febbraio 1860). Di più: alla fine del gennaio 1860 James Fazy assicura l’agente d’affari d’Inghilterra in Berna che il Cavour, con cui appena due mesi prima aveva avuto un lungo colloquio a Ginevra, è assolutamente contrario a qualsiasi cessione verso la Francia (Vedi il citato Blue book, N. 33). Mentre così il Fazy fa fede del Cavour di fronte all’Inghilterra, il Cavour medesimo si scusava di fronte all’Inghilterra stessa con gli appetiti d’annessione del medesimo Fazy (l. c., N. 33). E finalmente il Tourte, ambasciatore svizzero in Torino, corre ancora il 9 febbraio 1860 dall’ambasciatore inglese Hudson, appositamente per protestare, “che non esisteva nessun accordo tra la Sardegna e la Francia circa la cessione della Savoia alla Francia stessa, e che la Sardegna non era lontanamente disposta a permutare o cedere la Savoia„ (l. c.).

Il momento della decisione si avvicinava. La Patrie di Parigi del 1860 preparava all’annessione della Savoia in un articolo intitolato: “Les voeux de la Savoie„. In un altro articolo del 27 gennaio “Le comté de Nice„, gettava sull’annessione di Nizza la sua ombra stilistico-decembrina. Il 2 febbraio 1860 Tliomvenel la dichiarava all’ambasciatore inglese Cowley come possibilità “accordata già prima della guerra tra la Francia e la Sardegna„. Una nota ufficiale sulla vera decisione della Francia di incorporare la Savoia e Nizza non fu comunicata a lord Cowley che il 15 febbraio (Vedi il suo discorso nella Camera dei Lordi il 23 aprile 1860) e al dottor Kern appena il 6 febbraio, a entrambi, all’ambasciatore inglese e allo svizzero, cioè, coll’esplicita dichiarazione che il territorio neutralizzato dovesse venire annesso alla Svizzera. Prima di queste dichiarazioni ufficiali James Fazy veniva informato dalle Tuileries, che la Sardegna aveva ormai ceduta alla Francia la Savoia e Nizza mediante un trattato segreto che non conteneva nessuna clausola a favore della Svizzera. Il 3 febbraio fece quindi organizzare dal suo cieco strumento John un comizio popolare nel Club Populaire in Ginevra, ove si trovò apparentemente per caso sotto il pretesto “d’aver sentito allora allora (je viens d'entendre) che stavano occupandosi del trattato che la Francia e la Sardegna potevano aver fatto sulla cessione della Savoia. Pur troppo un tale trattato era stato firmato il 27 gennaio dal governo sardo, ma da questo fatto positivo non dovevano ancora argomentare che la nostra sicurezza fosse minacciata…„ vero che il trattato non conteneva nessuna riserva scritta alla tutela dei nostri diritti sul territorio sardo neutralizzato; ma non si sapeva se nei pensiero dei contraenti, non esisteva una riserva in questo senso… Poteva esservi compresa come naturale (sousentendu comme allant de soi)… che non si doveva prematuramente mostrare uno spirito di sfiducia… fondarci sulla simpatia (coll’impero del colpo di Stato)… ed evitare qualsiasi parola nemica„ (Vedi il discorso “Confidenziale„ del Fazy, nel suo genere un vero capolavoro demagogico, nella Revue de Genève del 3 febbraio 1860). L’agente d’affari inglese in Berna trovò abbastanza strana la scienza profetica del Fazy, per avvertirne lord John Ilussell mediante apposito dispaccio.

Il trattato ufficiale sulla cessione della Savoia e di Nizza alla Francia doveva venire conchiuso il 24 marzo 1860. Non v’era dunque da perdere tempo. Il patriottismo svizzero dei decembrini di Ginevra doveva venire ufficialmente constatato prima che la cessione della Savoia fosse ufficialmente proclamata, Il signor Vogt quindi, in compagnia del generale Klapka, che poteva essere in buona fede, se ne andò a Parigi ai primi di marzo per far valere la sua influenza sull’Egeria del Palais Royal, il misconosciuto genio Plon Plon, e per gettare, agli occhi della Svizzera tutta, sulla bilancia il peso della propria persona a favore dell’annessione del territorio neutralizzato alla Svizzera. Dalla tavola luculliana di Plon Plon — com’è noto, Plon Plon rivaleggia in fatto di gastronomia col Lucullo e Cambacères, sicché lo stesso Brillat Savarin, se risuscitasse, ammirerebbe il genio, l’economia politica, le idee liberali, il talento strategico e il valore personale di Plon Plon in questo campo — dalla tavola luculliana di Plon Plon, ove, quale piacevole commensale, dava dentro valorosamente, il Falstaff-Vogt sfidava la Svizzera al valore (Vedi la sua epistola da Parigi nel Commis voyageur di Biel dell’8 marzo 1860, supplemento).

La Svizzera doveva mostrare che “la sua milizia non era lì solamente per la parata e per giocare ai soldati. La cessione del territorio neutralizzato alla Svizzera era un’illusione. La cessione del Chiablese e del Fossigny alla Francia era un primo passo, a cui altri seguiterebbero. Sui due trampoli della nazionalità e dei limiti naturali, si arriva ai lago di Ginevra, all’Aar, e finalmente al lago di Costanza e al Reno, purché le gambe siano forti abbastanza„. Ma — e qui sta il punto — ma Falstaff-Vogt non crede ancora ciò che lo stesso ministro francese Thouvenel ha già un mese prima rivelato ufficialmente, ciò che adesso sapeva già tutta l’Europa, che la cessione della Savoia e di Nizza era già stata sin dall’agosto 1858 contrattata a Plombières qual prezzo dell’intervento francese contro l’Austria. Il “suo uomo fatale„ è anzi solo in quel momento, e contro alla propria volontà è stato cacciato dai preti nelle braccia dello chauvinisme e obbligato alla confisca del territorio neutralizzato. “Evidentemente — balbetta l’apologista nell’impaccio — evidentemente nelle sfere dirigenti si è cercato un contrappeso contro il movimento clericale ogiior crescente, e si crede di tro-varlo adesso nel cosiddetto chauvinisme, in quel meschinissimo sentimento nazionale che non conosce altro che l’acquisto di un pezzettino (!) di terreno„.

Dopo che il Vogt, ubbriacato dai vapori della bettola plomplonistica, ebbe così valorosamente agito nel Commis voyageur di Biel, poco dopo il suo ritorno da Parigi favoleggiò, mediante il medesimo organo, dell’assoluta francofilia dei Nizzardi, venendo così in spiacevole conflitto col Vezzi Ruscalla, uno degli amministratori centrali della Lega nazionale italiana e autore dell’opuscolo La nazionalità di Nizza. E dopo che il medesimo eroe, che dalla tavola di Plon Plon s’era atteggiato a Winkelried, venne a prendere la parola nel Consiglio nazionale di Berna, cambiò il guerresco squillo di tromba in una diplomatica nota di flauto, raccomandante la tranquilla continuazione delle trattative coll’imperatore, da ogni tempo amico degli Svizzeri, e raccomandante esplicitamente di guardarsi dall’alleanza coll'Oriente. Il presidente federale, Frej-Herosee, fece cadere sul Vogt alcune strane allusioni, mentre quegli ebbe la soddisfazione di vedere il proprio discorso lodato dal Noti veli iste Vaudois. Il Nouvelliste Vaudois è l’organo dei signori Blanchenay, Delaraguaz e dei rimanenti magnati del Vaud, in una parola della Ferrovia svizzera occidentale, tale e quale come il Nuovo giornale zurighese e l’organo del bonapartismo di Zurigo e della Ferrovia nord-orientale. Per caratterizzare i padroni del Nouvelliste Vaudois basti l’osservazione che in occasione della famosa quistione della ferrovia di Oron cinque consiglieri di Stato del Vaud furono ripetutamente e impunemente accusati dalla stampa avversaria di aver ricevuto dal parigino Crédit niobiller, azionista principale della strada ferrata svizzera occidentale, diecimila franchi a testa in azioni (venti pezzi) a titolo di regalo.

Alcuni giorni dopo che il Vogt, in compagnia del Klapka, fa andato per trovare l’Egeria del Palais royaì, James Fazy, accompagnato, da John Perder, se ne viaggiava diritto verso la sfinge delle Tuileries. Perchè, come è noto, Luigi Bonaparte si compiace della parte di sfinge e assolda i propri Edipi come i passati re di Francia assoldavano i propri giullari. Il Fazy nelle Tuileries si gettò tra la Svizzera e la sfinge. John Perder era, come fu detto, il suo compagno di viaggio. Questo John è l'ombra del suo James, fa tutto quello che questi vuole, nulla ch’egli non voglia, vive per lui e per mezzo di lui, è diventato per suo mezzo gran consigliere ginevrino, prepara per lui tutte le feste e tutti i brindisi, è il suo Leporello e il suo Fialin. Entrambi tornarono a Ginevra colle pive nel sacco quanto alla posizione della Svizzera, e con sorprendente successo, in quanto era minacciata la posizione dello stesso Fazy. Questi si mise a tuonare pubblicamente essergli caduta la benda dagli occhi e che per il futuro avrebbe odiato Luigi Bonaparte quanto sino allora l’aveva amato. Strano amore questo amore durato nove anni, del repubblicano Fazy, per l’uccisore di due repubbliche! Il Fazy fece la parte del patriota disilluso con tanta virtuosità che tutta Ginevra nuotava nell’entusiasmo per Fazy, e la perdita delle illusioni di costui fu sentita quasi ancor più profondamente che non la perdita delle provinole non neutralizzate. Perfino Theodore de Saussure, per molti anni suo avversario, capo dell’opposizione aristocratica, confessò l’impossibilità di dubitare ulteriormente del patriottismo svizzero di James Fazy.

Dopo avere ricevute le ovazioni popolari così ben meritate, il tiranno di Ginevra s’affrettò verso il Consiglio nazionale di Berna. Poco dopo la sua partenza il suo fido, il suo compagno di viaggio a Parigi, insemina il suo proprio John Pender, cominciò un’impresa degli argonauti tutta sui generis. Una banda di ubbriaconi ginevrini (così almeno furono qualificati dal Times di Londra), scelti nella società del Fruitiers, la guardia del corpo democratica del Fazy, navigarono inermi, sotto la guida del Pender, verso Thonon, per fare in questo punto del territorio neutralizzato una dimostrazione antifrancese. In che cosa consistesse o dovesse consistere tale dimostrazione, se gli argonauti dovessero conquistare un vello d’oro o vendere la propria pelle, ninno può dirlo fino a questo momento, poiché nessun Orfeo ha accompagnata e nessun Apollonio cantato la spedizione degli argonauti del Perder. Si trattava, pare, di una specie di presa di possesso simbolica del territorio neutralizzato da parte della Svizzera, rappresentata da John Perder e dalla sua banda. Ora la Svizzera reale ebbe tanto da fare colla diplomazia di scuse e dichiarazioni di lealtà e manifestazioni d’indignazione per la simbolica presa di possesso di Thonon da parte di John Perder, che Luigi Bonaparte venne ad apparire davvero generoso, contentandosi della reale occupazione di Thonon e del rimanente territorio neutralizzato.

John Perder, nelle cui tasche si trovarono alcune migliaia di franchi, fu arrestato in Ginevra. Il vicecancelliere di Stato e redattore della Revue de Genève, il signor Ducomrmin, giovinotto senza fortuna privata, e dipendente per ambo le posizioni dal presidente del Consiglio di Stato e proprietario della rivista, James Fazy, fu ugualmente arrestato su indicazione del Perder. Egli confessò d’avere dato a quest’ultimo il danaro tolto da una cassa fondata per formare un corpo franco — cassa la cui esistenza era fin allora rimasta ignota ai radicali di Ginevra. L'istruttoria finì colla messa in libertà, prima del Ducommun, poi del Perder.

Il 24 marzo Nizza e la Savoia, insieme al tenitorio neutralizzato, furono ufficialmente cedute al Bonaparte da Vittorio Emanuele. Tra il 29 e il 30 marzo John Perder, proprio allora tornato da Parigi col Fazy, aveva impreso la sua spedizione degli argonauti, dimostrazione burlesca, che proprio nel momento decisivo rese vana ogni seria dimostrazione. James Fazy a Berna assicurava «di non saper assolutamente nulla dell'accaduto»58 . Nel territorio ex neutrale il Laity veniva spacciando la vanteria che se gli Svizzeri avessero ivi veramente attaccato, l’imperatore avrebbe immediatamente mandato tre divisioni di truppe su Ginevra. Il Vogt finalmente era assolutamente estraneo al segreto della posizione degli argonauti, poiché alcuni giorni prima che avvenisse denunciava profilatticamente alla polizia ginevrina una collisione da procurare da parte di Ginevra al confine savoiardo — con false tracce però. Ho in proposito innanzi agli occhi la lettera d’un esule vivente in Ginevra, già amico del Vogt, ad un altro esule vivente in Londra. In essa si dice tra altro:

“Il Vogt spargeva la voce ch’io mi movessi continuamente tra la Svizzera occidentale e la Savoia, per suscitare una rivoluzione a danno della Svizzera stessa ed a favore delle potenze sue nemiche. Questo solo alcuni giorni prima dell’attentato del Perrier, di cui certamente sapeva il Vogt, ma io tanto poco quanto lei. Evidentemente egli cercava di rivolgere le tracce su di me per rovinarmi. Fortunatamente mi denunziò anche al direttore di polizia Duv, che mi fece chiamare e si mostrò non poco stupito allorché alla prima richiesta lo interruppi ridendo: “Ah! il noto intrigo vogtiano!„. Si fece allora dare dei particolari sui miei rapporti col Vogt e le mie dichiarazioni furono contemporaneamente sorrette da un segretario di governo, membro dell’Helvetia, il quale il giorno dopo andò a Berna per l’assemblea generale e quivi fece delle osservazioni spiacevoli al fratello del Vogt sulla condotta di Carlo, al che Gustavo rispose laconicamente di aver già da un pezzo capito dalle di costui lettere a che cosa tenersi sulla di lui politica„.

Se dapprincipio il silenzio e le smentite e le prediche di fiducia in Luigi Bonaparte dovevano celare il pericolo agli occhi della Svizzera, se il seguente chiasso sulla progettata incorporazione del Fossigny, del Chiablese e del Ginevrino dovevano render popolare in Svizzera l’an-nessione della Savoia, se finalmente la burla di Thonon doveva spezzare ogni seria resistenza, dovevasi„ secondo il programma delle Tuileries, far valere in ultima istanza l’annessione ora veramente seguita e l’innegabile pericolo come motivi pel volontario disarmo della Svizzera, cioè per la sua alleanza coll’impero decembrino.

Il còmpito era così delicato che solo James Fazy in persona poteva imprenderne la soluzione. Il suo servitore Vogt poteva mettere in guardia contro l’alleanza coll’Oriente, ma solo lo stesso Fazy poteva propugnare un’alleanza coll’Occidente. Alla necessità di questa accennò dapprima nella Revue de Genève. Il 18 aprile 1860 circolava in Ginevra un estratto di una lettera di Londra, ove, tra altre cose, era detto:

“Raccomandate ai nostri cittadini influenti di stare in guardia contro i consigli del Fazy, che potrebbe darli alla Svizzera per rinunziare alla propria neutralità. È molto probabile che questo consiglio parta dallo stesso governo francese, di cui James Fazy fu fino a tutt’oggi il servizievole agente. Adesso egli assume il contegno di buon svizzero, che si oppone alle intenzioni della Francia, ma persona sempre bene informata mi assicura essere questo un tranello. Appena la Svizzera avesse dichiarato di non voler più essere neutrale nè di poter restar tale» il governo francese ne prenderebbe atto obbligandola ad un’alleanza come al tempo del primo impero„.

A questo il Fazy fece rispondere nella Revue de Geneve:

“Nel giorno in cui la Savoia sarà stata annessa alla Francia, la neutralità della Svizzera finisce da sè e un consiglio del Fazy in questo senso sarebbe pertanto inutile

Tre mesi dopo, il 10 luglio, James Fazy tenne un discorso nel Consiglio federale svizzero, che tra minacce ed escandescenze, coi pugni stretti contro gli stipendiati bonapartisti e i baroni affigliati — egli li denunziava come gouvernement souterrain— marciava dritto nel campo bonapartista. Il partito zurighese valdese, francese ufficiale, sebbene apparentemente il più villanamente attaccato, lo lasciò quindi fare. “L'Europa, specialmente la Germania, hanno abbandonato la Svizzera. La neutralità nella Svizzera è dunque diventata una impossibilità. La Svizzera deve cercare delle alleanze, ma dove?„. Poi il vecchio demagogo mormora qualcosa “della vicina Francia strettamente affine che un giorno riconoscerà il suo torto e ne farà ammenda, e che forse potrebbe tornare a repubblica, ecc. Ma gli stipendiati e gli alleati, invecchiati ormai, non possono inaugurare tale politica, ciò deve farlo il popolo: aspettate, le prossime elezioni vi insegneranno a vivere. Graditissime in Ginevra sono le truppe federali. Se però la loro presenza dovesse indicare il minimo dubbio nel presente governo di Ginevra, allora via le truppe. Ginevra s’aiuta e si protegge da sè„.

Il 10 luglio James Fazy svolgeva quindi al Consiglio nazionale quel che il 18 aprile aveva accennato nella Revue de Genève la nuova politica, alleanza della Svizzera colla Francia, cioè l’annessione della Svizzera all’impero decembrino. Degli Svizzeri ben informati consideravano come prematuro questo togliersi della maschera antibonapartista, che il Fazy portava dopo il suo ritorno dalle Tuileries. Invece il Fazy possiede una virtuosità, un tatto della calcolata indiscrezione che ricorda quasi il Palmerston.

I più famigerati rappresentanti del “governo sotterraneo„ avevano, come è noto, presentato una mozione nel Consiglio nazionale per dare un voto di biasimo allo Staempfli, perchè quale presidente federale aveva compreso la situazione e per un momento presa la giusta risoluzione di assicurare il territorio neutrale mediante truppe federali contro le offese francesi. Il voto di biasimo fu rigettato con immensa maggioranza di voti, ma mancava quello del Vogt.

“È molto caratteristico — mi si scriveva allora dalla Svizzera — per Carlo Vogt la costui mancanza alle deliberazioni del Consiglio di classe svizzero riguardo al voto di biasimo contro il consigliere federale Staempli. Come rappresentante del Cantone di Ginevra minacciato dal Bonaparte, il Vogt avrebbe dovuto di necessità votare per lo strenuo suo difensore Staempli. Inoltre gli è personalmente amico, obbligato e riconoscente. Il padre del Vogt e due suoi fratelli guadagnano il pane come impiegati del Cantone di Berna; a un terzo fratello lo Staempli stesso ha procurato non è molto il lucroso posto di capo della statistica federale. Quindi non era possibile in un appello nominale di prender parte contro ramico, il benefattore, il condemocratico. Tanto meno per contro il plomponista poteva pubblicamente approvare una politica che combatte a spada tratta il bonapartista. Quindi fuga e il nasconder la testa a mo’ di struzzo, durante la quale operazione, tuttavia, il largo deretano resta visibile e ne tocca, usuale stratagemma e missione terrena del moderno Falstaff„.

La parola d’ordine dell’ “austriacantismo„ emanata dalle Tuileries ed altamente ripetuta da James Fazy nella Revue de Genève, dal suo servitore Vogt nel Commis voyageur di Biel, negli Studi, nel Libro principale, ecc., si volse finalmente contro la stessa Svizzera.

Circa la metà di aprile su tutti i muri di Milano apparve un manifesto dal titolo: “Lotta tra Napoleone e la Svizzera». Quivi è detto:

“Pare che la Savoia fosse per la Svizzera un boccone ghiotto, onde, stuzzicata dall’Austria, s’affrettò a frapporsi ai piani di Napoleone III in una quistione la quale non riguarda che l’Italia e la Francia… L’Inghilterra e le grandi potenze settentrionali, esclusa l’Austria, non si opposero menomamente all’incorporazione della Savoia, solo la Svizzera, scaldata dall’Austria, che cerca di fomentare il disordine e la rivolta in tutti gli Stati alleati della Sardegna, frappone unica il suo veto… La Svizzera è uno Stato anormale e non può resistere a lungo alla spinta del principio nazionale. Tedeschi, francesi, italiani, non sono capaci di adattarsi alle medesime leggi. Se questo sa la Svizzera, sappia che nel Cantone Ticino si parla la lingua dei Foscolo e dei Giusti, nè dimentichi che una gran parte di essa appartiene alla grande e magnanima nazione che si chiama Francia».

La Svizzera stessa è, a quanto pare, una invenzione austriaca.

Mentre il Vogt medesimo era così zelantamente affaccendato a salvare la Svizzera dalle grinte dell’Austria, affidava ad uno dei suoi più fidi compagni, al loquace svevo Carlo Mayer di Esslingen, membro nel (lisciolto Parlamento, vanesio, allora proprietario di una fabbrica di gioielli, il salvamento della Germania. In occasione della benedizione della bandiera dell’Unione operaia tedesca di Neuenburg, celebrata alla Corona di San Biagio, un oratore, membro del Parlamento e gioielliere, Carlo Mayer di Esslingen, invitava la Germania “di lasciare pur passare i Francesi oltre il Reno, perchè se no in Germania le cose non migliorerebbero mai„. Due deputati della Lega operaia di Ginevra, tornati dalla festa dopo il Capodanno del 1860, riferirono quest’incidente. Dopo che le loro informazioni furono confermate dai deputati di parecchi altre unioni della Svizzera occidentale, il sobborgo di Ginevra emanò una circolare per mettere generalmente in guardia contro i maneggi bonapartisti fra gli operai tedeschi della Svizzera.

“Secondo un ricordo — cito da un memoriale che ho dinanzi — dei primo impero, in cui anche i singoli tedeschi cercavano di promuovere il dominio universale napoleonico, nella buona opinione che il colosso non sopravvivrebbe alla caduta di chi lo reggea, e che poi tra le province disgregate dell’impero franco ci sarebbe, se non altro, una Germania unita, che avrebbe poi tanto più facilmente potuto conquistare la libertà, fu definito una ciarlataneria politica il dissanguare completamente un corpo vivo, per attendere il folle miracolo che gli si riformasse il sangue più sano: inoltre fu criticato di negare addirittura ad un gran popolo la forza d’aiutarsi da se e il diritto della pro-pria determinazione; finalmente fu osservato aver l’atteso Messia della Germania testé mostrato in Italia che cosa intendeva per liberazione delle nazioni, ecc., ecc. La circolare era diretta, a quanto diceva, solo a quei tedeschi che sceglievano pel buono scopo Linadeguato mezzo, mentre rifiutava di trattare con pubblicisti venduti e con ambiziosi cidevants„.

Contemporaneamente le Argauer Nahrichten, organo dell’Elvezia, fustigavano “la logica per cui bisognava lasciare l’istrice nella tana della talpa per poterlo meglio acciuffare e gettar fuori, secondo la quale pulita logica bisognava lasciar fare agli Efialti perchè potessero sorgere dei Leonida. Un certo professore era il capovolta duca Ulrico di Wurtemberg, che cercava di attuare il ritorno dall’esilio mediante la scorta federale, dopo che lo stivalone di cavaliere non voleva più saperne di lui; il medesimo professore, avendola rotta colla scarpa, ritentava la prova collo stivale, ecc.„. L’importanza di questa denunzia contro il signor professor Vogt consisteva nel fatto di comparire in un organo dell’Elvezia. In compenso trovava tanto migliore accoglienza nella Espérance, giornale fondato nel 1859 in Ginevra in gran formato e con grande costo di spese della cassa governativa francese. Era compito dell’Espérance di predicare l’annessione della Savoia e delle Provincie Renane in specie, e la missione messianica di Luigi Bonaparte circa la liberazione delle nazioni in Germania. È noto in tutta Ginevra che il Vogt era un habitué nell’ufficio di redazione dell’Espérance, ed uno dei suoi più noti collaboratori. Io stesso lio saputo dei particolari che mettono il fatto fuor di quistione. Ciò a cui il Vogt accenna negli Studi, ciò che fa apertamente propagare dal suo compagno membro del Parlamento e gioielliere, Carlo Mayer di Essliegen, a Neuendurg, si trova ulteriormente svolto nell’Espérance. Così tra altro è detto nel numero del 25 marzo 1860:

“Se Tunica speranza dei patrioti tedeschi circa una guerra colla Francia è fondata, che motivo possono avere d’indebolire il governo di quel paese e di volerlo impedire nella formazione dei suoi confini naturali? O sarebbe forse il popolo in Germania ben lontano dal condi-videre quest’odio contro la Francia? Comunque sia, vi sono dei patrioti molto sinceri, specialmente tra i democratici tedeschi evoluti, (specialmente il Vogt dell’impero, il Ranickel, Carlo Mayer di Esslingen e tutti quanti) che non veggono una gran disgrazia nella perdita della riva sinistra del Reno, e sono per contro persuasi che solo dopo tale perdita comincerebbe la vita politica della Germania, di una Germania rinata, fondata sull’alleanza e fusa nella civilizzazione dell’occidente europeo„59 .

Così esattamente informato dal Vogt sulle opinioni della democrazia tedesca evoluta, l’Espérance dichiara in un articolo di fondo del 30 maggio che “il plebiscito sulla sponda sinistra del Reno mostrerebbe ben presto che tutti colà la pensano alla francese.

Il Postheiri, giornale umoristico svizzero, fece una quantità di burle e di canzonature verso l'Espérance, “la rozza malandata, che dietro i facili allori del bacco Plon Plon doveva ancora portare in groppa la pesante valigia del suo Sileno„.

Con quale precisione fossero eseguite le manovre di stampa decembrine risulta evidente dal fatto seguente: Il 30 maggio l’Espérance di Ginevra faceva devolvere alla Francia, mediante plebiscito, la sponda sinistra del Reno: il 31 maggio Louis Jourdan del Siede di Parigi cominciava le trincee dell’annessione renana, e in principio del giugno il Propagateur du Nord et du Pas de Calais puntava le sue artiglierie pesanti contro il Belgio. Poco prima del portavoce ginevrino Edmond About aveva dichiarato nella Opinion Nationale, avere ringrandimento della Sardegna obbligato rimperatore “de prendre la Savoie… c'est-à-dire nous fermons notre porte„ e continua dicendo che se gli sforzi militari in Germania dovessero condurre a un simile ingrandimento della Prussia «alors nous aurions à veiller à notre sûreté, à prendre la rive gauche du Rhin, c’est-à-dire, nous fermerions notre porte». A questo facile portiere seguiva immediatamente il pesante cornuto, il corrispondente A. A. della Indépendence Belge, una specie di Joseph Proudhomme, e Pizia speciale della provvidenza stabilitasi nelle Tuileries. L’Espérance, intanto continuava nello strano suo entusiasmo per l’unità germanica e nella sdegnosa denuncia degli antidecembristi tedeschi datisi all’Austria, e ciò al punto che James Fazy, che doveva osservare questi riguardi diplomatici e stava inoltre per cambiare la sua Revue de Genève nella Nation Suisse, si degnò con magnanima degnazione di far dichiarare dalla Revue che ci si poteva opporre al bonapartismo senza essere austriaci.

Carlo Vogt tedesco Dâ-Dâ, proprietario di un ufficio d’agenzia decembrino per la stampa tedesca, sotto-agente del Fazy, spiacevole commensale nel Palais royal, Falstaff di Plon Plon, amico del Ranikel, suggeritore del Commis voyageur di Biel, collaboratore dell’Espérance, cantore della Lausiade, aveva tuttavia da scendere un gradino più basso. A Parigi, al cospetto del mondo, nella Revue Contemporaine, doveva mostrarsi a braccetto con M. Edouard Simon. Vediamo un momento che cos’è la Revue Contemporaine e chi il signor Edouard Simon.

La Reme Contemporaine era originariamente la rivista ufficiale in marcato contrapposto alla Revue des Deux Mondes, in cui scrivevano penne eleganti, la gente del Journal des Débats, orleanisti, fusionisti, specialmente professori del Collège de France e membri dell’Istituto. Non potendosi direttamente comandare a quest’ultimo personale ufficiale della Revue Contemporaine, si tentò di toglierla per comando alla Revue des Deux Mondes, e così, mediante un giro, assicurarla per la nuova rivista decembrina. Tuttavia il colpo non ebbe un vero successo. I proprietari della Revue Contemporaine anzi trovarono sconveniente di trattare con il comitato di redazione a loro affibbiato dal signor Laguerronière. Poiché il ventriloquo delle Tuileries ha però disegno di bocche di diverso sentimento, la Revue Contemporaine fu trasformata in rivista ufficiosa, e per contro la Revue Européenne, col comitato di redazione imposto dal Laguerronière, installata a rivista ufficiale.

Ed ora veniamo a M. Edouard Simon, di sua natura un giudeo renano prussiano puro sangue di nome Edouard Simon, il quale però fa le più brutte smorfie per passare per francese autentico, salvo che il suo stile ad ogni momento tradisce il giudeo prussiano renano tra-dotto in francese.

Poco dopo la commemorazione dello Schiller (novembre 1859), trovai presso un conoscente di Londra un mercante rispettabilissimo, da molti anni stabilito a Parigi, che mi informò diffusamente della commemorazione schilleriana di Parigi, delle società schilleriane, ecc. Lo interruppi colla domanda in qual modo le società e le adunanze tedesche in Parigi se la passassero colla polizia decembrina. Egli rispose umoristicamente sorridendo:

“Naturalmente nessuna adunanza senza mouchard e nessuna riunione senza mouchard. Per evitare quindi ogni perdita di tempo chiudiamo una volta per tutte la semplice tattica — probatum est — di chiamare con noi un mouchard cognito e di eleggerlo addirittura nel comitato. Ed ecco che per tutti questi casi abbiamo trovato il nostro Edouard Simon. Lei sa il Laguerronière, prima lacchè del Lamartine, e fabbricante di tartine di Emile de Girardin, è adesso la favorita dell’imperatore, suo stilista segreto e insieme censore supremo della stampa francese. Ora Edouard Simon è la cagnetta cucciola del Laguerronière, e — aggiunse con uno strano arricciare di naso — è un cane molto puzzolente. Edouard Simon, cosa di cui certo non vorrà biasimarlo, non intendeva lavorare “pour le roi de Prusse», ma anzi trovò che colla sua adesione al sistema decembrino rendeva a se medesimo ed alla civiltà un servizio incalcolabile. È un ragazzo di mente piccina e di carattere sudicio, ma non debole in una certa sfera d’intrigo subordinato. Laguerronière ha comandato il suo Edouard Simon alla Patrie come uno dei suoi articolisti di fondo comandati. Ciò dimostrò il tatto dello stilista segreto. Poiché il proprietario della Patrie, il banchiere Delamarre, è un parvenu arrogante, strambo, bisbetico, che nel suo ufficio non soffre intorno a sè che creature di adattabilità assolutamente servile. Ecco che il nostro Edouard Simon, che, nonostante il suo veleno da sorca è malleabile come un gatto d'Àngora, era proprio a posto. Come sa, la Patrie era, durante la repubblica, uno degli organi più sfacciati della Eue de Poitiers. Dopo il dicembre contende al Pays e al Coristitutionnel l'onore di essere l’organo semi-ufficiale delle Tuileries, e da quando è stato dato il segnale opera notevolmente nel senso della febbre annessionista. Lei conosce bene, i mendicanti che fingono il mal caduco sulla via per gabbare di qualche soldo i passanti. La Patrie ebbe infatti l’onore di poter comunicare per prima l’imminente annessione della Savoia e di Nizza. Non appena tale annessione fu seguita, aumentò il proprio formato, perchè, come ingenuamente osservava il signor Delamarre, “la Savoie et le Comté de Nice a vani été annexés à la Franco “la conséquence naturelle est l’agrandissement de la Patrie„. Chi non si ricorda, a proposito dello scherzo del cinico parigino, che alla domanda: “Qu’est-ce que la Patrie?„, rispondeva senz’altro: “Journal du soir Se ora s’annettessero anche le Provincie Renane, quale ingrandimento della Patrie e del salario di Edouard Simon! Quanto ad economia politica la Patrie riconosce la salvezza della Francia nell’abolizione del “tourniquet de la Bourse„, mediante cui gli affari, e quindi in tutto il paese, si potrebbero di nuovo far salire ad artifìcio all'altezza desiderata. Anche Edouard Simon è entusiasta dell’abolizione del “tourniquet de la Bourse„. Ma il nostro Edouard Simon non è soltanto autore degli articoli di fondo della Patrie e cucciolo del Laguerronière. Egli è l’amico più devoto e delatore della nuova Gerusalemme, alias della Prefettura di polizia, cioè del signor Pallestrina. Insomma, signori miei — conchiuse il narratore — un comitato avente nel proprio grembo il signor Edouard Simon è per questo solo in pieno odore di polizia„. E il signor… si mise a ridere così forte come se gli “odeurs de mauvais lieu„ e il signor Edouard Simon avessero ancora un rapporto segreto ineffabile.

Il signor Kinglake ha messo in avviso la Camera dei Comuni sulla piacevole confusione della politica estera, polizia e stampa che caratterizza gli agenti del dicembre (Vedi seduta della House of Commons del 12 luglio 1860). M. Edouard Simon, il famigerato Edoardo del Vogt, non va naturalmente confuso colla soave Cunigonda del Vogt medesimo, alias Ludovico Simon di Treviri60 . M. Edouard Simon, cucciolo del Laguerronière, barbone del Delamarre, segugio del Pallestrina e mastino per tutti gli altri, appartiene evidentemente, se non alla crema, ad ogni modo al cacio di Limburgo del 10 dicembre, al secondo cerchio ove

…s’annida
Ipocrisia, lusinghe e chi affattura
Falsità, ladroneccio e simonia,
Rutfìan, baratti e simile lordura.

Carlo Vogt aveva messo nel segreto il suo Edoardo Simon molte settimane prima dell’apparizione del suo Libro principale con la critica del medesimo per parte della stampa francese. Edoardo Simon serviva per “doublé emploi„. Prima di tutto tradusse privatamente il Libro principale al signor Laguerronière, e quindi in questa occasione fu dal suo patrono comandato alla Revue Contemporaine. Invano la redazione della rivista inoltrò, umilmente istanza che Edouard Simon apparisse almeno anonimamente nelle sue colonne. Il Laguerronière fu inesorabile. Edouard Simon esordì nella Revae Contemporaine del 1860 coll’annunzio del proprio amico Vogt sotto il titolo: “Un tableau de moeurs politiques de l’Àllemagne. Le proeès de M. Vogt avec la Gazette d’Augsbonrg„, firmato Edouard Simon.

Il latino “Edouard Simon non crede che per essere buon francese debba lanciare delle invettive contro la nobile razza germanica„ (Bevile Contemporaine, l. c., pag. 531), ma, da «buon francese e latino nato», deve almeno ostentare un’innata ignoranza di cose tedesche. Così, tra le altre cose, dice del suo Carlo Vogt: “Fu uno dei tre reggenti dell’impero effimero„61 . M. Edouard Simon non suppone naturalmente che l’impero in partibus rantolava sotto una pentarchia, e da “francese„ s’immagina invece che ai tre re di Colonia corrispondessero, se non altro per simmetria, tre reggenti parlamentari a Stoccarda. “Gli scherzi dell’amico Vogt nel Libro principale sorpassano qualche volta il buon gusto francese„62 . Il francese Edoardo vi porrà rimedio e tenterà “di scegliere„63 . “L’amico Vogt fu sempre amante delle tinte forti e non è precisamente un buongustaio nei rispetti linguistici„64 . Ma si sa: l’amico Vogt non è che un tedesco annesso, come Dà-Dà un arabo annesso, mentre Edouard Simon è dalla nascita un buon francese, e un latino nato. Forse il signor Orges e il signor Diezel andarono mai tant’oltre nella calunnia della razza latina?

M. Edouard Simon diverte i suoi superiori esponendo uno dei tre re magi del Parlamento tedesco, e cioè per incarico di uno di questi tre re magi, in cospetto del pubblico francese, come prigioniero volontario dietro il carro di trionfo dell’imperiale Quasimodo. “Si vede — dice il signor Edouard Simon, dopo una citazione dal Libro principale del Vogt— si vede che il signor Vogt si curò poco da qual parte venisse l’aiuto a favore dell’unità germanica, purché venisse; anzi l’impero francese gli parve in special modo adatto ad accelerare la soluzione da lui desiderata. Forse il signor Vogt abbandonò in questo caso a buon prezzo i suoi precedenti (!?), ed ai suoi antichi colleghi che avevano seduto seco all’estrema sinistra del Parlamento di Francoforte doveva parere strano di vedere questo focoso antagonista d’ogni potere monarchico questo fervente zelatore dell’anarchia, manifestare così viva simpatia verso il sovrano che ha vinto l’anarchia in Francia65 .

Dalla “indecisa„ sinistra Edoardo trasferisce il fuggitivo reggente dell’impero alla estrema sinistra del Parlamento di Francoforte. Dell’uomo che votò per “l'imperatore tedesco ereditario„, vien formato un “focoso antagonista d’ogni potere unitario„ ed al membro della riunione centrale del marzo, che ereditava ad ogni costo l’ordine tra i partiti variopinti da osteria in Francoforte, un fervente zelatore dell'anarchia. Tutto ciò per mettere bene in rilievo quale acquisto il 10 dicembre abbia fatto nel fuggitivo reggente dell’impero. Tanto più preziose diventano le così vive simpatie che il signor Vogt nutre per l’uomo che ha vinto l’anarchia in Francia, tanto più di valore è la sua odierna opinione “che il presente impero francese è in modo speciale adatto a fondare l’unità germanica„, e tanto più comprensibile diventa l’accenno fatto colla mazza dell'amico Simon che “l’amico Vogt ha forse fatto buon mercato dei suoi precedenti, ossia che l’uomo del dicembre non li ha pagato troppo cari. E per non lasciare nelle superiori sfere il minimo dubbio che l’amico Vogt sia ormai fido quanto l’amico suo, M. Eduoard Simon racconta sorridendo e fregandosi le mani e ammiccando coll’occhio, che il Vogt, nel suo bisogno d’ordine, “ha perfino, se ben comprende il signor Vogt, fatto alle autorità ginevrine delle denunzie sui maneggi rivoluzionari„, tale e quale come il signor Edouard Simon faceva delle denunzie al signor Palestrina e al Laguerronière.

È generalmente noto che About e Jourdan e Granier de Cassagnac e Boniface e il dottor Hoffmann, che i monaci dell’Espérance, i cavalieri del National, i mantici dell’Opinion National, i “Penny-a-liner„ dell’Independence, del Morning Chronicle, del Nouvelliste baudois, ecc., i Laguerronière e i Simon, stilisti, civilizzazionisti, decembristi, plomplonisti, dentuisti e dentisti, tutti insieme e singolarmente attingono la propria inspirazione da una sola e medesima augusta — Cassa. Quindi troviamo il Dà-Dà Vogt non come partigiano isolato, combattente per propria iniziativa, ma sussidiato, addottrinato, imbrigadato, incanagliato, connesso a Edouard Simon, annesso a Plon Plon, imprigionato e impiccato insieme. Resta il quesito se Carlo Vogt è pagato per la sua agenzia?

“Se non isbaglio, corrompere significa indurre alcuno, mediante danaro o altri vantaggi, ad azioni e manifestazioni contrarie alla di lui opinione„ (pag. 217 del Libro principale).

E il plomplonismo è la convinzione del Vogt. Quindi anche se fosse pagato a contanti in nessun modo sarebbe corrotto. Ma il conio della moneta non può essere più multiplo del modo di pagamento.

Chi sa se Plon Plon non ha promesso al suo Falstaff la commenda della torre dei sorci nel “Binger Loch„?. Oppure la nomina a membro corrispondente dell’Istituto, dopo che Aboufc nel suo La Prusse en 1860 fa che i naturalisti francesi gareggino per l’onore di corrispondere con-temporaneamente con Vogt vivo e Diefenbach morto? Oppure se ha in vista la ristaurazione della sua reggenza imperiale?

So bene che la calunnia spiega le cose più prosaicamente. Così “col miglioramento delle cose dal 1859„ dicesi siasi verificato un miglioramento nelle condizioni del “piacevole commensale„ (ancor poco prima capo complice di una società per le azioni impostata radicalmente e coinvolta in istruttoria criminale) cosa che gli amici timorosi cercano di nascondere col fatto che una società per azioni di miniere italiana abbia fatto al Vogt, in riconoscimento dei di lui meriti “mineralogici una notevole donazione in azioni, ch’egli avrebbe cambiato in moneta durante il suo soggiorno a Parigi. Dalla Svizzera e dalla Francia degli intendenti, affatto ignoti l’uno all’altro, mi scrissero quasi contemporaneamente che il piacevole commensale eserciti una sorveglianza in capo, connessa con certe rendite, sulla villa Labergerie presso Nyon (nel Vaud), sede vedovile acquistata da Plon Plon per l’Ifigenia di Torino. Anzi io conosco una lettera nella quale un neo svizzero confidente del Vogt ancor molto dopo i miglioramenti del 1859, specifica, ai primi dei 1860, al signor P. B. B., 78 Fenchurchstreet Londra, una somma molto importante che il suo ex amico avrebbe ricevuto dalla casa centrale di Parigi, non per corruzione, ma per anticipo.

Questo e cose peggiori sono arrivate fino a Londra, ma io per me non le conto un fico. Credo piuttosto alla parola del Vogt quando dice:

“Che non interessa a nessuno donde io (Vogt) tragga i miei mezzi. Continuerò anche in avvenire a cercar di procurarmi i mezzi necessari all’attuazione dei miei fini politici, e continuerò a prenderli, nella coscienza della bontà della mia causa, donde posso trovarli„ (pag. 226 del Libro principale),

quindi anche dalla cassa centrale di Parigi.

Scopi politici:

Nugaris, cum tibi, Calve,
Pinguis aqualiculus propenso sesquipede extet.

La buona causa: è probabilmente l’espressione idealizzata tedesca per ciò che l’inglese rozzamente materiale chiama “the good things of this world„.

Checchè possa pensarne M. D. Schaible, perchè non si deve prendere in parola il Vogt giacché, alla fine del medesimo Libro principale, conchiudendo le sue fandonie sulla “Banda dello zolfo„ e simili, dichiara con solennità ugualmente grande:

“Con questo finisce il presente capitolo d’una parte della storia contemporanea. Non sono vani sogni, questi ch’io riferisco: sono puri fatti„ (pag. 282 del Libro principale).

Perchè l’agenzia non dovrebbe essere ugualmente pura che i fatti narrati nel Libro principale?

Per conto mio credo fermamente che, a differenza di tutti gli altri membri della banda decembrina scriventi, agitantisi, politicanti, cospiranti, propagandisti, millantatori, plomplonisti, complottanti e compromettentisi, l’unico Vogt, solo ed esclusivamente, concepisca il suo imperatore come “l’homme qu’on aime pour lui même„.

“Swerz niht geloubt, der sündet„, come dice Wolfram von Eschenbach, o “chi non ci crede si sbaglia„, com’è detto nella canzone moderna.

CAPITOLO X. Patroni e confarabutti.

Princibus plaeuisse viris non ultima laus est.

Quali testimoni del suo “good behaviour„ l’ex Vogt dell’impero presenta il Kossuth e “gli altri due uomini: Fazy, il rigeneratore di Ginevra, e Klapka, il difensore di Komorri, che con orgoglio chiama propri amici„ (pag. 213, Libro principale) Io li chiamo i suoi patroni.

Dopo la battaglia di Komorn (2 luglio 1849) il Goergei usurpò il comando supremo dell’esercito ungherese contro l’ordine del governo ungherese che l’aveva deposto. “Se al capo del governo ci fosse stato un uomo energico — dice il colonnello Lapinzki, nel suo scritto ancora partigiano del Kossuth — già allora sarebbesi posto fine agli intrighi del Goergei. Il Kossuth bastava che venisse nel campo e rivolgesse venti parole all’esercito, e tutta la popolarità del Goergei non l’avrebbe salvato… Ma il Kossuth non venne, non avendo l’energia di opporsi apertamente contro il Goergei; e mentre in segreto intrigava contro il generale, cercava di giustificare il suo operato di fronte al mondo„ (pag. 125 e 186, TH. LAPINSKI, Campagna dell’armata principale ungherese, eco). Il disegnato tradimento del Goergei fu denunziato al Kossuth, a quanto egli stesso confessa, poco tempo dopo e formalmente dal generale Gujon (Vedi DAVID URQUHART, Visit te the hungarian exìles at Kutayah). “È vero che il Kossuth disse nel suo bel discorso a Szegedin che, se sapesse un traditore io ucciderebbe di propria mano, e forse così dicendo pensava ai Goergei. Ma non solamente non eseguì questa minaccia alquanto teatrale ma nemmeno nominò l’uomo di cui sospettava a tutti i suoi ministri; e mentre con alcuni tramava dei miserabili piani contro il Goergei, ne parlava sempre con la massima stima, anzi a lui stesso scriveva le lettere più affettuose. Lo capisca chi può; io non capisco come, riconoscendo la caduta di un uomo pericoloso, l’unica salvezza della patria, si tenti di tirarlo giù con mano tremante, mentre contemporaneamente io si appoggia, colle dimostrazioni della propria fiducia gli si procurano aderenti ed ammiratori, e quindi in tal modo gli si dà tutto il potere nelle mani. Mentre il Kossuth in questa misera guisa lavorava ora prò, ora contro il Goergei… questi, più coerente e più forte che l’altro, eseguiva il suo nero piano (LAPINSKI, l. c., pag. 163-164). L’undici agosto 1849 il Kossuth, per comando del Goergei, emanò suppostamente dalla fortezza di Arad, un pubblico manifesto di abdicazione, in cui riveste il Goergei “col massimo potere civile e militare di governo dichiarando: “Dopo le infelici lotte, con cui Iddio negli ultimi giorni ha provato la nazione, non c’è più speranza che possiamo continuare con possibilità di successo la lotta per la propria difesa contro le due grandi potenze riunite„. Dopo che così nell’esordio del manifesto il Kossuth dichiara la causa dell’Ungheria come perduta, e precisamente in seguito alla visita di Dio, nel seguito del manifesto stesso rende il Goergei “responsabile dinanzi a Dio del modo di adoperare la po-tenza affidatagli dal Kossuth stesso pel salvamento dell’Ungheria„. Egli fidava abbastanza nel Goergei per affidargli l’Ungheria, non abbastanza per affidargli la propria persona. La sua sfiducia personale contro il Goergei era tanto grande, che fece coincidere abilmente l’entrata della sua persona in terra turca e quella del suo documento di abdicazione nelle mani del Goergei. Perciò il suo manifesto chiude colle parole: “Se la mia morte potrà in qualche modo divenire utile alla mia patria, con piacere sacrificherò la vita... Ciò che sull'altare della patria egli aveva sacrificato era il governo, il cui titolo tuttavia, sotto la protezione turca, tornò subito ad usurpare.

A Kutajah S. E., il governatore in partibus, ricevette il primo Blue book sulla catastrofe ungherese, che il Palmerston aveva presentato al Parlamento inglese. Lo studio di questi documenti diplomatici — scriveva egli a Davide Urquhart — lo persuadeva che la Russia aveva in ogni gabinetto una spia, anzi, di più, un agente, e che il Palmerston avesse tradito, nell’interesse russo, dear Hungary66 . La prima parola pubblica che gli uscì di bocca dopo il suo sbarco in terra inglese, a Southampton, fu questa: “Palmerston, the dear friend of my bosom„ (Palmerston, il caro amico del mio cuore).

Finito il suo rifugio nella Turchia, il Kossuth veleggiò per l’Inghilterra. Per via presso Marsiglia, dove però non gli fu concesso di sbarcare, emanò un manifesto nel senso e nello stile della democrazia sociale francese. Su terra inglese rinnegò immediatamente “quella nuova dottrina, la democrazia sociale, che a diritto o a torto si considera inconciliabile coll’ordinamento sociale e la sicurezza della proprietà. L’Ungheria non può e non vuole aver niente che fare con queste dottrine, non foss’altro per la semplice ragione perchè in Ungheria non esiste occasione, né il minimo appiglio per le medesime„ (Cfr. con questa la lettera da Marsiglia). Durante i primi quindici giorni del suo soggiorno in Inghilterra, mutò la sua professione di fede altrettanto spesso quanto il suo uditorio — tutto per tutti. Il conte Casimire Battyani motivava la sua rottura col Kossuth, allora pubblicamente seguita, in questo modo:

“Sono stato determinato a questo passo non solo dalle cantonate prese dal Kossuth nei quindici giorni della sua libertà, ma tutto ciò di cui ho fatto esperienza, tutto ciò che ho visto, sopportato, permesso, pazientato, e, com’ella si ricorderà, mascherato e celato, prima nell’Ungheria, e poi nell’esilio, insomma la convezione che son venuto facendomi sull’uomo… Mi permetta di osservare che ciò che il signor Kossuth ha detto e possa dire a Southampton, a Wiesbach e a Londra, insomma in Inghilterra, non può cancellare ciò che ha detto a Marsiglia. Nella terra del giovane gigante (l’America) canterà di nuovo su un altro tono, perchè, come nelle altre cose è poco scrupoloso, piegandosi come una canna ad ogni vento più forte, così sans gène smentisce le proprie parole, nè si vergogna di trincerarsi dietro i grandi nomi dei morti che ha rovinato, come, per esempio, il mio povero cugino Luigi Battyani… Non esito un momento a dichiarare che, prima che il Kossuth abbia abbandonato l’Inghilterra avrete ogni motivo per deplorare gli onori che così largamente avete gettato per un carattere così privo di valore (a most undeserving heart). (Correspondence of Kossuth, letter of count Battyani to Mr. Urquhart, Paris, 29 october 1851).

Il giro del Kossuth negli Stati Uniti, ove nei Settentrione si mostrava contrario, e nel Mezzogiorno favorevole alia schiavitù, non lasciò altra traccia che una mostruosa delusione e trecento orazioni funebri. Sorvolando sullo strano episodio, mi contento di osservare che ai Tedeschi degli Stati Uniti, specialmente agli emigrati, raccomandava caldamente l’alleanza tra la Germania, l’Ungheria e l’Italia, con esclusione della Francia (non solamente del governo del colpo di Stato, ma della Francia, persino dell’emigrazione francese e dei partiti da essa in Francia rappresentati). Subito dopo il suo ritorno cercò d’intavolare una relazione con Luigi Bonaparte da Londra, mediante un certo soggetto equivoco, il conte Szirmay, e il colonnello Kiss a Parigi (Vedi mia lettera nella New York Tribune del 28 settembre 1852, e mia dichiarazione quivi del 16 novembre 1852).

Durante la sommossa mazziniana in Milano, nei 1858, apparve sulle mura di quella città un proclama alle truppe ungheresi quivi di presidio che le chiamava ad unirsi agl’insorti italiani. Era firmato “Luigi Kossuth„. Non appena la notizia della sconfitta degl’insorti fu giunta a Londra il Kossuth s’affrettò a far dichiarare apocrifo il proclama per mezzo del Times e d’altri fogli inglesi, dando così un’aperta smentita al suo amico Mazzini. Ciò nonostante il proclama era autentico, Mazzini l’aveva avuto dal Kossuth, ne possedeva il manoscritto di mano del Kossuth, agiva d’intesa col Kossuth. Persuaso che la caduta del dispotismo austriaco in Italia esigeva l’azione unita dell’Italia stessa e dell’Ungheria, il Mazzini cercò prima di tutto di sostituire il Kossuth mediante un più fido capo ungherese, ma poi, dopo che questo tentativo fu naufragato per la divisione degli emigrati ungheresi, perdonò all’incerto suo alleato e generosamente gli risparmiò una rivelazione che doveva rovinarlo in Inghilterra.

Nello stesso anno 1853 cadde, com’è noto, l’inizio della guerra russo-turca. Il 17 dicembre 1850 il Kossuth aveva scritto da Kutayah a Davide Urquhart: “Senza l’egemonia turca la Turchia finisce d’esistere. E, dato come stanno le cose, la Turchia è assolutamente necessaria alia libertà del mondo„. In una lettera al gran vizir Redschid pascià, del 15 febbraio 1851, il suo entusiasmo turco cresce ancora. In frasi ridondanti, offriva al governo turco i suoi servizi. Durante il suo giro per gli Stati Uniti, nel 22 gennaio 1852, scriveva a D. Urquharth: - Sarebbe lei — e nessuno meglio di lei sa come siano identici gl’interessi della Turchia e dell’Ungheria — disposto a propugnare la mia causa a Costantinopoli? Durante il mio soggiorno nella Turchia la Porta non sapeva chi io fossi: la mia accoglienza in Inghilterra e in America, e la posizione che delle fortunate circostanze, starei per dire la Provvidenza, mi hanno procurata, potrebbe mostrare alla Porta stessa che sono un verace amico della Turchia e del suo avvenire, e forse non privo di ogni influenza„. Il 5 novembre 1853 offriva per iscritto ai signor Crawshav (seguace dell’Urquarth) di andare a Costantinopoli come alleato dei Turchi, non a mani vuote (not witli empty hands), e lo richiede perciò di procurargli dei mezzi pecuniari “mediante private presentazioni confidenziali presso quei liberali che facilmente potrebbero concedere l’aiuto richiesto In questa lettera egli dice: “Odio e disprezzo l’arte di fare delle rivoluzioni (I hate and despi te thè artilice of making re volutions). Mentre così di fronte ai seguaci dell'Urquhart si espandeva nell’odio della rivoluzione e nell’amore della Turchia, insieme al Mazzini emanava dei manifesti in cui si proclamava la cacciata dei Turchi dall’Europa e la trasformazione della Turchia in una “Svizzera orientale„ e firmava non meno i proclami rivoluzionari in generale del cosiddetto Comitato centrale della democrazia europea.

Poiché il Kossuth aveva già alla fine del 1853 sciupati senza scopo i denari ottenuti in America a forza di declamazioni a nome dell’Ungheria, e d’altra parte la sua domanda trovava sordo l'orecchio del signor Crawshay, il governatore rinunziò alla progettata crociata a Costantinopoli, mandando però colle migliori raccomandazioni il suo agente maggiore Giovanni Banya67.

Il 20 gennaio 1858 ad Aderbi, in Circassia, si riuniva un tribunale militare che unanimemente condannava a morte “Mehemet bey„ già Giovanni Banya d’Hlorfalea, convinto, per propria confessione e prove testimoniali, di alto tradimento e corrispondenza segreta col nemico (il generale russo Philipson), la qual condanna per altro non gli ha impedito di vivere tranquillamente a Costantinopoli fino a questo momento. Nella sua confessione scritta consegnata al tribunale militare, il Banya dice tra altro: “La mia azione politica mi era completamente stata prescritta dal capo del mio paese, Luigi Kossuth..... Munito di commendatizie del mio capo politico, giunsi in Costantinopoli il 22 dicembre 1853„. Fu quindi, come più oltre racconta, fatto musulmano, ed entrò ai servizi turchi col grado di colonnello. “Le mie istruzioni (venutemi dal Kossuth) mi raccomandavano caldamente di unirmi in un modo o in un altro a quei reparti di truppe che fossero incaricati di operazioni sulle coste della Circassia„. Ivi doveva impedire qualsiasi partecipazione dei Circassi alla guerra contro la Russia, Compì con successo la propria missione, e alla fine della guerra mandava da Costantinopoli “un rapporto particolareggiato al Kossuth sullo stato della Circassia„. Prima della sua seconda spedizione in Circassia, impresa insieme coi Polacchi, ricevette dal Kossuth il comando di agire di conserva con degli ungheresi espressamente indicati, per esempio il generale Stein (Ferhad pascià). “Ad alcune delle nostre conferenze fu presente, egli dice, il capitano Franchini, segretario militare dell’ambasciatore russo. Scopo era l’acquistare la Cireassia agli interessi russi in modo pacifico, lento ma sicuro. Prima che lasciassi colla spedizione Costantinopoli (a metà febbraio del 1857) ricevetti delle lettere e delle istruzioni dal Kossuth che approvavano il mio piano d’operazione„. Nella Cireassia il tradimento del Banya fu scoperto essendo stata intercettata una sua lettera al generale russo Philipson.

“Conformemente alle mie istruzioni — dice il Banya — dovevo allacciare delle relazioni col generale russo. Per molto tempo non potei risolvermi a questo passo, ma finalmente ottenni degli ordini così espliciti che non potei più oltre esitare„.

Le trattative del tribunale militare in Aderbi e specialmente la confessione del Banya provocarono gravi sensazioni in Costantinopoli, Londra e New York. Il Kossuth fu ripetutamente ed urgentemente pregato, anche da parte ungherese, di far una pubblica dichiarazione, ma invano. Fino a questo punto ha osservato il più timoroso silenzio sulla missione del Banya in Cireassia.

Nell’autunno 1858 il Kossuth spacciava, attraverso l’Inghilterra e la Scozia, delle conferenze a basso prezzo contro il concordato austriaco e Luigi Bonaparte. Il fanatismo appassionato, con cui allora metteva in guardia gli inglesi contro le intenzioni traditrici di Luigi Bonaparte, che stigmatizzava alleato segreto della Bussia, si possono leggere, per esempio, nella Glasgow Sentitici (20 novembre 1858). Allorché Luigi Bonaparte al principio del 1859 tradì i suoi piani italiani, il Kossuth Io denunziò nel Pensiero ed azione del Mazzini, mettendo in guardia tutti i veri “repubblicani„, gli Italiani, Ungheresi, perfino i Tedeschi, di non lasciarsi adoperare a tirar le castagne dal fuoco all’imperiale Quasimodo. Nel febbraio 1859 il Kossuth si sincerava che il colonnello Kiss, il conte Tleleky, e il generale Klapka, da vario tempo appartenenti alla camarilla rossa del Palais Royal combinavano con Plon Plon dei piani di congiura per l’insurrezione dell’Ungheria. Allora il Kossuth minacciò una pubblica polemica nella stampa inglese qualora non fosse anch’egli fatto entrare nella “Lega segreta Plon Plon era più che pronto ad aprirgli il conclave. Con un passaporto inglese sotto il falso nome di signor Brovn, il Kossuth al principio di maggio se ne venne a Parigi, s’affrettò verso il “Palais Royal„ e diffusamente espose il proprio piano d’insurrezione dell’Ungheria a Pian Plon. Il principe rosso la sera del o maggio condusse l’ex governatore nel proprio legno alle Tuileries, per quivi presentarlo al salvatore della società. Durante questo colloquio con Luigi Bonaparte la lingua, di solito tanto eloquente, lo tradì, di modo che Plon Plon dovette lui fare l’oratore ed in certo modo apportare al cugino il programma del Kossuth. Questi più tardi riconobbe lodevolmente la quasi letterale fedeltà dell’interpretazione di Plon Plon. Dopo avere attentamente ascoltato le spiegazioni del cugino, Luigi Bonaparte dichiarò che un solo ostacolo si frapponeva alla sua accettazione delle proposte del Kossuth, cioè le opinioni e le connessioni repubblicane di quest’ultimo. Dopo di che l’ex-governatore solennemente abiurò la fede repubblicana, giurando di non essere repubblicano in quel momento nè di essere mai stato tale, e che la sola necessità politica ed una strana concatenazione di circostanze l’avevano obbligato all’alleanza colla parte repubblicana della emigrazione europea. Come prova del suo antirepubblicanesimo offrì a Plon Plon, in nome del proprio paese, la corona d’Ungheria. Questa corona non era allora ancora vacante nè il Kossuth aveva una procura notarile per il suo incanto, ma chiunque abbia osservato con un po’ d’attenzione la sua condotta all’estero saprà che da molto tempo era abituato a parlare del suo dear Hungary come un signorotto di campagna della sua cascina68 .

La sua abiura di repubblicanesimo la ritengo sincera. Una lista civile di trecento mila fiorini chiesta a Pest per tener alto lo splendore del potere esecutivo; il patronato degli ospedali trasmesso da una arciduchessa austriaca alla propria sorella; il tentativo di battezzare coi nome di Kossuth alcuni reggimenti; il suo sforzarsi a formare una camarilla; la tenacia con cui nei paesi stranieri manteneva il titolo di governatore, a cui nel momento del pericolo aveva rinunziato; tutta la sua condotta posteriore, la quale è più quella di un pretendente che di un fuggiasco, tutto questo denota tendenze ben lontane dal repubblicanesimo.

Dopo la scena della abluzione da ogni sospetto di repubblicanesimo, al signor Kossuth furono per contratto messi a disposizione tre milioni di franchi. In questa speculazione non c’era da per sè nulla di male, richiedendosi dei mezzi pecuniari per l’organizzazione militare degli emigrati ungheresi. E perchè il governatore non doveva ricevere dei sussidi dal suo nuovo alleato con lo stesso diritto con cui tutte le potenze dispotiche d’Europa ricevettero dei sussidi dall’Inghilterra durante tutta la durata della guerra antigiacobina? Come anticipo per spese personali il Kossuth ricevette subito cinquanta mila franchi, e oltre a questo si assicurò certi vantaggi pecuniari, in certo modo un premio d’assicurazione per il caso di una prematura fine della guerra. Il colpo d’occhio finanziario e il sentimento melodrammatico non si escludono affatto. Il Kossuth trovò bene, come il suo ex ministro delle finanze Tushek deve sapere, già durante la rivoluzione ungherese la prudente misura di farsi pagare il proprio stipendio anziché nelle “note Kossuth„, in argento o in note di banca austriache.

Prima che il Kossuth abbandonasse le Tuileries fu stabilito che dovesse neutralizzare le presunte tendenze austriache del ministero Derby mediante l’inizio di una campagna di neutralità in Inghilterra. Si sa come il volontario appoggio dei Whigs e della scuola di Manchester io rendessero capace, di adempiere questa parte preliminare del contratto col migliore successo. Un “lecturing tour„ dalla Mansion House in Londra pno al Free Trade Hall in Manchester formò l’antitesi al suo viaggio circolare inglese-scozzese dell’autunno 1858 allorché spacciava il suo odio contro il Bonaparte e Cherbourg “the standing menace to England„ a uno scellino per testa.

La massima parte degli emigrati ungheresi in Europa sin dalla fine del 1852 s’era staccata dal Kossuth. La prospettiva di una invasione della costa adriatica coll’ausilio francese ne richiamò la maggior parte sotto le sue bandiere. Le sue trattative con la parte militare dei nuovi partigiani non furono senza un sapore decembrino. Per poter loro assegnare una più gran massa di denaro francese, li promosse a un grado militare superiore, per esempio dei tenenti al grado di maggiori. Anzitutto a ognuno fu pagato il viaggio sino a Torino, poi una ricca uniforme (il prezzo di un costume di maggiore era di 150 sterline all’incirca), finalmente sei mesi di soldo anticipato colla promessa di un anno di pensione dopo la conclusione della pace. Del resto le paghe non erano esagerate: diecimila franchi al generale in capo (Klapka), seimila franchi ai generali, cinquemila ai brigadieri, quattromila ai tenenti co-lonnelli, tremila ai maggiori, ecc. La forza militare adunata in Torino consisteva quasi unicamente in ufficiali senza soldati, e sotto questo punto ho sentito delle lagnanze ben amare da parte della “bassa„ emigrazione ungherese.

Il generale Maurizio Perczel, come già fu detto, si ritirò con una pubblica dichiarazione non appena ebbe capito il gioco diplomatico, e il Klapka insistette, nonostante il contr’ordine di Napoleone, per uno sbarco presso Fiume, ma il Kossuth mantenne il corpo degli esuli entro il limite scenico prescritto dal direttore teatrale.

Non appena la fama del trattato di Villafranca giunse a Torino, il Kossuth, per timore di essere consegnato all’Austria, fuggì in tutta fretta a Ginevra, occultamente, dietro le spalle della forza militare che aveva a disposizione. Nessun nome, nè quello di Francesco Giuseppe né quello di Luigi Bonaparte, suonava in quel tempo peggiore nel campo ungherese di Torino di quello di Luigi Kossuth, salvo che la comicità dell'ultima sua scappata faceva in certo modo tacere la critica. Dopo il suo ritorno il Kossuth pubblicò, a Londra, una lettera al suo elefante addomesticato, un certo Mac Adam, in Glascow, dichia-randosi disilluso ma non gabbato, e chiudendo con la commovente notizia che non aveva dove posare il proprio capo, per la qual cosa tutte le lettere a lui dirette dovevano essere indirizzate alla casa dell’amico suo F. Pulszki, che aveva offerto un luogo di riposo al fuggitivo. La rozzezza più che anglosassone con cui la stampa londinese invitava il Kossuth a favorire di volersi affittare, coi sussidi bonapartisti, una propria casa a Londra, gli fece comprendere che per quel momento in Inghilterra la sua parte era finita.

Oltre al suo talento oratorio, il Kossuth possiede il gran talento di tacere, non appena l’uditorio mostra una spiccata ostilità e quando in realtà non ha più nulla da dire a propria difesa. Egli s’intende di eclissi come il sole. Che almeno una volta nella vita sapesse essere coerente lo dimostrò recentemente la sua lettera a Garibaldi, in cui sconsiglia d’attaccare Roma per non affliggere l’imperatore dei Francesi, “unico appoggio delle nazioni oppresse„.

Come nella prima metà del secolo decimottavo l’Alberoni era chiamato il colossale cardinale, così il Kossuth si può chiamare il colossale prestigiatore. Egli è essenzialmente un improvvisatore, che ri-ceve le sue impressioni di volta in volta dal proprio pubblico, non l’autore che imprime al mondo le proprie idee originali. Come il Blondin sulla sua fune, il Kossuth balla sulla propria lingua. Diviso dall’atmosfera del proprio popolo, doveva degenerare in pura virtuosità e in tutti i vizi della virtuosità. L’inconsistenza del pensiero, che caratterizza l’improvvisatore, si riflette necessariamente nell’equivocità dell'azione. Se il Kossuth fu una volta l’arpa eolia per cui tonava l’uragano popolare, adesso non è che l'orecchio di Dionisio, che rimormora i sussurri delle misteriose stanze del Palais Royal e delle Tuileries.

Sarebbe del tutto ingiusto di mettere il secondo patrono del Vogt, il generale Klapka, allo stesso rango di Kossuth. Il Klapka era uno dei migliori generali rivoluzionari ungheresi. Egli, come la massima parte degli ufficiali che nel 1859 si raccolsero a Torino, considera Luigi Bonaparte come, per esempio, Francesco Racozv poteva considerare Luigi XIV. Per essi Luigi Bonaparte rappresenta la potenza militare francese che può servire all’Ungheria, ma che già per ragioni geografiche non può riuscirgli pericoloso69 . Ma perchè il Vogt si richiama al Klapka? Il Klapka non ha mai negato di appartenere alla camorra rossa di Plon Plon. Forse perchè l’amico Klapka risponda all’amico Vogt? Il Klapka non ha uno speciale talento nella scelta dei propri amici. Uno dei suoi migliori amici a Komorn era il colonnello Assermann. Sentiamo su questo colonnello il colonnello Lapinzkv, che servi sotto il Klapka fino alla resa di Komorn, e che più tardi si distinse in Circassia nella lotta contro i Russi.

Il tradimento presso Vilagos aveva prodotto il più grande spavento tra gli ufficiali dello stato maggiore numerosi e disoccupati, che si trovavano in Komorn… I profumati signorini dal colletto d’oro (molti non erano capaci nè di tenere un fucile nè di comandare tre uomini) correvano tutti spauriti di qua e di là escogitando dei modi per salvare in ogni maniera la pelle. Essi, ai cui sforzi era riuscito di sot-trarsi, sotto ogni possibile pretesto, dal grosso dell’esercito, per ritirarsi nella piacevole sicurezza della fortezza imprendibile, senz’altra occupazione che di rialzare mensilmente la quietanza dello stipendio re-golarmente ricevuto, si spaventarono all’idea di una resistenza per la vita e per la morte… Furono questi miserabili che mentirono al generale le più spaventose notizie di torbidi interni, di ammutinamento, ecc., per indurlo al più presto alla resa della fortezza, pur di assicurare se stessi e la loro proprietà. Specialmente quest’ultima parte stava a cuore a moltissimi, poiché tutto il loro sforzo durante la rivoluzione intiera era stato quello di arricchirsi, cosa che infatti riuscì a molti. E ciò era facile ai singoli individui, trascorrendo spesso perfino un mezz’anno prima che si dovesse render conto dei denari ricevuti. E poiché ciò facilitava l'infedeltà e l’inganno, può darsi che qualcuno avesse affondate le mani nella cassa più di quanto potesse egli rispondere… L’armistizio era stato concluso; come fu adoperato? Dei viveri esistenti nella fortezza per un anno intero furono inutilmente portate grosse razioni ai villaggi, mentre che non s’introdusse provvigione; perfino il fieno e la biada dei contadini dei villaggi più vicini, i quali pregavano che lo si comprasse, fu lasciato lì, e alcune settimane dopo i cavalli dei cosacchi mangiavano la proprietà dei contadini, mentre noi nella fortezza ne lamentavamo la mancanza. La maggior parte delle bestie da macello che in questa si trovavano furono per la massima parte vendute fuori della città, sotto il pretesto che non vi erano abbastanza alimenti per essi. Probabilmente il colonnello Assermann non sapeva che la carne può conservarsi salata. Una gran parte del grano fu ugualmente venduta, col pretesto che fosse ammuffita. Questo si faceva pubblicamente, e in segreto ancor di più. Con un uomo come l’Assermann e alcuni individui simili intorno, si capisce come il Klapka dovesse lasciar cadere ogni buona idea che gli veniva in mente; a questo ci provvedevano quei signori —. (LAPINSKI, l. c., pag. 49).

Le memorie del Goergei e del Klapka parlano ugualmente alto della mancanza di carattere e di comprendonio politico del Klapka stesso. Tutti gli errori da lui commessi durante la difesa di Komorn avevano la radice in questo difetto. “Se il Klapka colla sua dottrina e il suo patriottismo avesse anche posseduto una volontà propria, e agito secondo l’opinione sua e non quella apportatagli da teste piccine e da vigliacchi, la difesa di Komorn avrebbe un giorno brillato nella storia come meteora„ (l, c., pag. 209),

Il 3 agosto il Klapka aveva ottenuto una splendida vittoria sul corpo d'assedio austriaco presso Komorn, spezzandolo e rendendolo per lungo tempo inabile al combattimento. Dopo ciò prese Raab e avrebbe con facilità potuto prendere la stessa Vienna, se non fosse stato otto giorni inattivo, e non sapendo che pesci pigliare a Raab, e tornò poi a Komorn, dove trovò la notizia della resa delle armi del Goergei con una lettera del medesimo. Il nemico chiedeva un armistizio, per poter concentrare presso Komorn il corpo d’accerchiamento degli Austriaci già spezzato, e i Russi avanzantisi da Rima Izembat, e in tal modo rinchiudere con tutta tranquillità la fortezza. Invece di attaccare e di battere Luna dopo l’altra le divisioni nemiche che stavano appena raccogliendosi, il Klapka tornò ad oscillare irresoluto, negando tuttavia l’armistizio ai parlamentari austriaci e russi. Quand’eceo, racconta il Lapinsky “venne l’aiutante dell’imperatore Niccolò a Komorn il 22 agosto… Ma, disse il russo Mefistofole in tono mellifluo, vorrà ben concederci, signor generale, un armistizio di quindici giorni: Sua Maestà il mio graziosissimo imperatore ne la fa pregare. Ciò agì come un rapido veleno. Ciò che non era riuscito agli sforzi dei parlamentari austriaci, alle persuasioni dei Russi, riuscì a quel russo furbo in poche parole. Il Klapka non potè resistere allo squisito complimento, e sottoscrisse l’armistizio per quindici giorni. Da qui data la caduta di Komorn„. Il Klapka lasciò poi, come già è stato detto, che il suo colonnello Assermann si giovasse dell’armistizio per ripulire in due settimane la fortezza delle provvigioni bastanti per un anno intero. Dopo la scadenza dell’armistizio il Grabbe accerchiò Komorn dalla parte della Wag, mentre gli Austriaci, che a poco a poco vennero aumentando le proprie forze sino ai quarantamila uomini, accampavano alla sponda destra del Danubio. Il presidio di Komorn fu demoralizzato dal pigro accampare dietro muri e trincee. Il Klapka non fece nemmeno una sortita contro il corpo d’accerchiamento russo che non aveva ancor partecipato a nessuna battaglia e non giungeva che a diciannove mila uomini. Il nemico non fu disturbato un istante nei suoi lavori preparatori dell’assedio. Dopo l’accettazione dell’armistizio il Klapka preparava tutto effettivamente non per la difesa, ma per la capitolazione. L’unica energia che sviluppò fu di natura poliziesca, cioè contro i bravi ufficiali che si opponevano alla capitolazione. “Da ultimo, dice il Lapinsky, diventò pericoloso di parlar degli Austriaci se non si voleva venir arrestati„. Finalmente il 27 settembre fu conchiusa la capitolazione. “In confronto, dice Lapinsky, alla potenza, alla posizione disperata del paese che aveva posto le ultime speranze in Komorn, in confronto alla posizione delle condizioni europee della impotenza dell’Austria, che per Komorn avrebbe fatto qualsiasi sacrificio, le condizioni della capitolazione erano pietose quanto si può dire. Non servivano che a far sì che ci si potesse in tutta fretta salvare da Komorn oltre il confine„, ma non stipulavano nulla nè per Lungheria nè per quei generali della rivoluzione che si trovavano in mano degli Austriaci, cioè nessuna garanzia. E oltre a ciò per la gran fretta erano state redatte così poco chiaramente e così equivocamente, che ad Haynau fu più facile la loro trasgressione.

Tanto sul Klapka. Se il Vogt non possiede carattere, il Klapka è l’ultima persona che potrebbe vendergli di questa merce.

Il terzo patrono è “James Fazy„ il rigeneratore di Ginevra, come lo chiama il suo giullare Vogt. Le lettere seguenti di Giovan Filippo Decker, dirette al destinatario della sua lettera sopra stampata, contengono una caratteristica del Fazy troppo eccellente per guastarla con dei commenti. Quindi solamente un’osservazione preliminare. Il tratto più schifoso dei cosiddetti Studi del Vogt è l’ipocrisia dell’orrore luterano, anzi calvinistico, del partito ultramontano. Così, per esempio, mette alla Germania la sciocca alternativa di lasciare mano libera a Luigi Bonaparfce o di cadere sotto il dominio del concordato austriaco, e “piuttosto davvero vorremmo attraversare un secondo periodo d’umiliazione nazionale„ (pag. 52, Studi). Nei nasali tuoni puritani grida dì nuovo contro “il partito ultramontano, quel nemico secolare che succhia il midollo dell’umanità tutta, questo mostro„ (l. c., pag. 120). Egli, naturalmente, non ha mai sentito ciò che perfino Dupin Ainé svelò nel Senato decembrino, cioè che “sotto il regime di Luigi Bonaparte le congregazioni, associazioni e fondazioni sottoposte all’ordine gesuitico, a qualsiasi genere appartengano, hanno acquistato maggiori proporzioni che sotto l’antico regime e che tutti i limiti statali, che persino prima del 1789 contenevano gli ordini della propaganda ultramontana, erano stati sistematicamente abbattuti dalla legislazione e dalla amministrazione decembrina„. Ciò che il Vogt sa di sicuro, è che il dominio del suo Bonaparte locale, il signor James Fazy, è basato su una coalizione da molti anni esistente tra il partito così detto radicale e quello ultramontano. Allorché il congresso di Vienna incorporò alla Confederazione Ginevra, l’antica sede del calvinismo, aggiunse al suo territorio, con certi distretti savoiardi, una popolazione rurale cattolica e il fiore del clericalume ultramontano. È l’alleanza con questo “nemico secolare dell’umanità, questo mostro„, che ha fatto il Fazy dittatore di Ginevra e il Vogt consigliere di classe del Fazy. Tanto per i preliminari.

Parigi, 2 luglio 1860.

Amico R…

Son qui finalmente ad esaudire il suo desiderio scrivendole la mia opinione sul signor James Fazy…

Come le scienze politiche a nulla giovano senza l’arte di applicarle alla vita, così l’arte politica è sterile se non si fonda sulla scienza e sul pensare filosofico. Colla sola scienza un cosiddetto uomo politico non fa muovere un dito a nessuno, e ben presto mostra evidente la propria incapacità. Per contro un uomo di unilaterale arte politica, può più facilmente nascondere la sua mancanza di dottrina e di produttività intellettuale, passare per un uomo di Stato pratico e guadagnare per sè il grande mercato della mediocrità. Se per il governo di un tale uomo un popolo faccia progressi in fatto di civiltà e se si creino delle garanzie per l’indisturbato suo sviluppo, è posto oltre il criterio d’una folla ciecamente plaudente. Basta che abbia l’aspetto d’andar avanti bene, e che tutto si faccia nel nome della libertà e della civiltà.

Ora col signor James Fazy le metto avanti un magnifico esemplare di questa specie di artisti politici. Questo abile uomo esercita non solo l’arte politica, ma largamente le arti politiche, fa dei tiri e dei “tour de force„ quante volte lo richiegga il “bene pubblico„, ma colla usata prudenza si guarda da ogni salto mortale. Furbo nell’assegnare le parti dietro le quinte, abile come direttore di scena e suggeritore, è il non plus ultra di un commediante italiano. Molto da apprezzare sarebbe la sua “forza d’animo„, che non rifugge da niun mezzo pei suoi fini, se non nascesse dal sudiciume di questi suoi fini. Una volta che si conosca la mancanza di principi e di carattere di quest'uomo, si ammira meno la perspicacia con cui escogita i mezzi e la destrezza con cui li applica. Tutto ciò che nella vita del popolo da lui governato accade o germina di buono, viene audacemente da questo artista di governo tratto dalla sua, e poi in suo nome presentato alia gran massa, di modo che crede e giura che tutto ciò sia stato fatto da “papà Fazy„ e avvenuto per opera sua. Con uguale abilità sa allontanare da sè la paternità di quanto è cattivo e impopolare, appioppandolo agli altri. Nei suo collegio di governo non soffre nessun carattere indipendente; i suoi colleghi debbono a suo beneplacito lasciarsi da lui sconfessare e fare i padrini di ogni sua mossa falsa. Godendo della sua ambiziosa brutalità “à discrétion„, devono esser sempre pronti a servire come capri espiatori per la salute del popolo e la gloria del loro presidente. Come un capo coronato per ogni misura di governo si domanda, per quanto sia nell'interesse popolare, se anche non nuocerà alla dinastia, prima che la maestà sua “si degni„, così “papà Fazy„ per tutto ciò che si fa o non si fa si domanda: “Non nuoce poi al mio seggio presidenziale? Quindi il nostro eroe regola continuamente la propria politica secondo le circostanze e vive alla giornata; oggi fa una commedia nei Consiglio di governo, domani un tiro da equilibrista nel gran Consiglio, e dopodomani un effetto con mortaretti in un comizio popolare, e la gran massa da lui abilmente accarezzata, che da parte sua ha caro di avere un Iddio visibile e udibile, che possa adorare e riverire, si fa credente e crede che le uova stridano nella gran padella quando un acquazzone cade sui tetti. Con ciò non voglio affatto dire che il popolo ginevrino sia indietro o privo d’intelligenza; sono al contrario persuaso che è difficile trovare altrove una vita pubblica più attiva, ed un più vigoroso sforzo intellet-tuale per lo sviluppo di libere condizioni civiche che non qui alle rive del Temano. Tornerò a spiegare più tardi, come con tutto ciò sia riuscito ripetutamente al signor Fazy d’assicurarsi la maggioranza dei voti.

Tutto ciò che in Ginevra da quindici anni è riuscito ad una attiva rigenerazione, egli lo pone o fa porre dai suoi servitori e adoratori sul conto del proprio governo. La demolizione delle opere di fortificazione, il grandioso ingrandimento e abbellimento della capitale cantonale passano, per esempio, per opere sue. E tuttavia ogni amministrazione, e anche quella del signor Fazy, sarebbe stata spietatamente rovesciata, qualora si fosse in qualunque modo opposta ai potente bisogno della popolazione di abbattere le inutili fortificazioni e d'ingrandire la città che, a causa della massa di popolazione da esse costretta, diventava sempre più malsana. Quindi questa questione fu per il Fazy una questione d’esistenza, ch’egli — onore al merito — ha assunto con energia aiutando a condur molte cose al loro termine con generale soddisfazione. Ma per ciò che un potente bisogno del tempo crea mediante la forte collaborazione d’ima generazione intera, il singolo non può atteggiarsi a creatore e autore, senza una vana presunzione. Solo l’intera società crea, e anch’essa, solo relativamente crea qualcosa d’intero, a cui il singolo membro porta secondo la propria forza e posizione, un maggiore o minore contributo. Ma la cieca fede nell’autorità è una superstizione come un’altra, dannosa a qualunque sano sviluppo.

So bene che al signor Fazy Capita come a tutte le altre creature umane, che fa solo quello che non può lasciare e che lascia solo quel che non può fare, e che nella spinta a manifestare in modo assoluto la propria individualità non fa che seguire i propri bisogni, come ognuno nel mondo animale. Non si può pretendere da lui di essere diverso, più che non a un gatto che vada volontariamente nell’acqua o da un cavallo che s’arrampichi su per gli alberi. Se no non sarebbe il signor James Fazy, e se non fosse Fazy potrebbe essere forse Luigi Bonaparte o qualcosa di simile. Se è grandezza per chi è in possesso dell’autorità di menare un popolo per le dande, di illuderlo con dei giuochi di prestigio senza imprimere alla coltura intellettuale e morale il marchio d’un intenso progresso, stigmatizzando le tracce della propria esistenza solo colla corruzione della società, anche il Fazy certamente sarebbe grande e potrebbe non senza ragione essere invidiato dai tiranni più potenti.

Il nostro uomo s’intende di navigar tra l’equivoco più che qualunque altro e ad esso è magicamente modellata la bussola con cui guida la nave dello Stato. Una volta il radicalismo gli dà la ciurma e l’ultramontanismo il carico, un’altra volta è il contrario, seconda che meglio convenga al timoniere. Quindi la macchina dello Stato è sempre in moto, va sempre di qua e di là, pari all’inquietudine di un orologio tascabile. Felice risultato! I radicali giurano che la cosa vada avanti, gli ultramontani credono che vada indietro. Tutti e due hanno ragione; tutti e due sono felici nella fede, e il Fazy, da Padre eterno, resta al timone.

E ora, caro amico, si contenti per intanto di queste righe.

Frattanto la saluta cordialmente il suo

FILIPPO BECKER.

Parigi, 20 luglio 1860.

Caro R…

Lei dunque crede ch’io possa aver caricato le tinte nel ritratto del Fazy. Niente allatto, amico mio. Del resto l’uomo non può pensare e giudicare di cose e di persone come vuole, ma come secondo le proprie impressioni e l’interna esperienza logicamente deve. Chi in questo dice cose diverso da quel che pensa e agisce diversamente da quello che dice, tradisce sé stesso ed è un mascalzone.

Il Fazv, che ricevette la sua prima educazione in un collegio dei Herrenhuter, in Neuwied, e che parla bene il tedesco, sembra ancor oggi, sessantacinquenne, giudicare la Germania e il suo popolo secondo l’inipressione di quell'istituto modello. Tutto quello che è tedesco, anche se venga dalia Svizzera tedesca, non è di suo gusto, e trova grazia presso di lui solamente per rara eccezione. Come ginevrino nato, e mediante il suo soggiorno prolungato nelle repubbliche dell’America Settentrionale, penetrò intimamente addentro le istituzioni repubblicane, ai mezzi d’agitazione, e specialmente, seguendo l’indole sua, con i trucchi dell'intrigo. È più demagogo che democratico, e la sua massima principale di Stato anzi insegna: “Laisser aller et laisser taire„; non sarebbe poi tanto cattiva, se egli potesse astenersi d’avere le mani in pasta ovunque nella società accenni a formarsi qualcosa senza la grazia governativa, e ciò sia per dare alla cosa un valore per conto della propria causa, sia, se ciò non può riuscire, per impedire l'impresa, come accadde per là Banque de crédit et de ohange progettata dal signor Mayer e da altri, e per l’erezione d’un’aula industriale. Durante la rivoluzione ginevrina del 1846 il signor James si regolò secondo il detto: “Lo star lungi dalle palle fa il veterano„, e quindi pensava più ai mezzi per la fuga che non a quelli per la vittoria. Era proprio lì lì per abbandonare Ginevra segretamente, allorché Alberto Galeer, l'anima di tutto il movimento, decise con un ultimo sforzo la lotta lungamente oscillante, e gli comunicò la completa vittoria. Il Galeer, cui tutto importava della causa e nulla della propria fama, che allora almeno credeva fermamente nel sincero amore pel popolo del Fazy, non vide affatto mai volentieri, allorché l’eroe, ancora a tempo salvato da una fuga precipitata, si atteggiò subito, durante un’assemblea organizzata dopo la vittoria, a trionfatore. Allora il Galeer poteva pensare tanto meno ad accettare, a rivoluzione compiuta, un posto nei circoli governativi, in quanto che non era ginevrino, ma cittadino dei cantone di Berna, e quindi, secondo le leggi della repubblica valide a quel tempo, non poteva essere nè elettore nè eletto. È ben vero che poco dopo gli fu conferita la cittadinanza, che fu eletto membro del Gran Consiglio ed ottenne la carica di traduttore degli atti dello Stato. Come centro della gioventù attiva di Ginevra diventò un forte appoggio del governo radicale. Grazie a lui il Fazy diventava sempre di più l’uomo festeggiato dalla moltitudine. Colla fraseologia del radicalismo francese, che si era appropriato, in qualità di collaboratore del National, in Parigi, ai tempo di Luigi Filippo, James Fazy si agitava, mascherando nella stampa e nella tribuna, a proprio talento, la vere sue opinioni ed ambizioni. Nonostante le sue arti demagogiche, per altro, già al termine d’un anno fu in diversi circoli seriamente accusato di relazioni segrete coi capi dell’ultramontanismo, e poco dopo anche di attaccamento alla parte francese. Pare che nella Svizzera tedesca, dove si considerano le cose più freddamente e più tranquillamente si giudicano, si siano per tempo conosciute le sue arti. Verso la fine del 1847, immediatamente dopo la fine della guerra del Sonderbund, il signor James Fazy venne agli uffici della Guerra per far visita al generale Ochsenbein; io solo ero presente, giacché l’Ochsenbein cogli altri ufficiali stava visitando i feriti nell’ospedale. Allorché poi al ritorno gli annunziai essere venuto nel frattempo a visitarlo il signor Fazy, mi fece, con una espressione di disprezzo: “Oh il falso ipocrita!„. Forse adesso l’antico presidente di governo della Confederazione svizzera e di Berna, signor generale Ochsenbein, che da parecchi anni sta consumando in Isvizzera una pensione imperiale francese, nutre oggidì dei sentimenti più miti verso l’antico compagno d’ufficio, certo degno di lui. Ad ogni modo desta stupore generalmente che il signor Fazy non sia mai stato eletto dall’Assemblea nazionale come membro del Consiglio federale, per quanto egli e gli amici suoi si siano sforzati in proposito, e per quanto in tale assemblea prevalga, sino alla grettezza, la tendenza di assicurare ai cantoni principali la rappresentanza per turno nel governo centrale. Contro l’autorità federale, nella quale non si trovò a esercitare per lui alcun potere, e che anzi gli restrinse la comoda sovranità cantonale, si dimostrò sempre caparbio e le mise i bastoni fra le ruote dove potè.

Allorché in principio del 1849 la polizia federale ritenne savia politica di perseguitarmi causa l’organizzazione d’una legione siciliana, andai a Ginevra, dove il Fazy mi disse che potevo organizzare a mio talento senza nessun bisogno di curarmi del Consiglio federale. So bene che il signor Fazy suole abbandonare chiunque non appena la necessità ne faccia una vittima, persino quando ha la legge dalla sua, come io stesso ebbi a sperimentare in un caso posteriore, troppo lungo a narrarsi per questa lettera, e di cui i signori commissari federali dottori Kern e Trog sanno raccontare qualcosa.

Nella questione degli esuli, restio sotto l’usbergo dell’umanità alle misure del Consiglio federale, perseguitava però gli esuli a lui personalmente antipatici, con spietato arbitrio. Specialmente le persone un po' notevoli, che erano in intimi rapporti col Galeer, nel quale già presagiva un futuro rivale, erano esposte a persecuzioni senza riguardo. Il Mazzini ebbe da guardarsi più da lui che non dalla polizia federale. Egli ne aveva orrore e ben presto fu obbligato ad abbandonare il Cantone: “Cammina cosi sodo come se il terreno fosse suo... era ingenuamente l’unico motivo del Fazy. Lo Struve fu arrestato, senza ordine del Consiglio federale, durante una passeggiata colla propria moglie, e trasferito, sotto l’accusa di essere una spia russa, oltre il confine, nel Cantone Valdese. Il Galeer corse ancora a tempo dal Fazy per farlo recedere dall'errore. Ma si venne a discussioni clamorose, giacché il Fazy crede d'apparire tanto più veritiero quanto più violentemente grida e quanta maggiore indignazione ostenta. Lo Struve dovette rimanere spia russa. Se ben mi ricordo, questa scena avvenne nell'hotel de Bergues, presso l’esule russo signor Herzen, presso il quale il presidente del governo ginevrino volentieri banchettava. Ad ogni modo però questo signore non ebbe parte nell'impuro sospetto che colpiva lo Struve. Certo il Fazy è più di quest’ultimo amico dei Bussi, poiché una volta, nel discorso tenuto ad una festa, lo sentii dire: “Le opere di Jean Jacques Rousseau sono più lette e meglio comprese in Russia che non in Germania„. È vero che con questo voleva principalmente dare un colpo agli amici tedeschi del Galeer ed ai Tedeschi in generale.

Il Galeer, che sino allora aveva seguito il Fazy in ogni ventura quanto a questioni politiche, ed a cui parlai immediatamente dopo il suo urto col medesimo a proposito dello Struve, mi disse a cuore pesante: “Adesso è finita con Fazy, non posso pel mio onore più avere relazione con lui, è un vero mostro politico, un vero animale nei suoi appetiti; se volessi continuare a star dalla sua sarebbe un concorrere intimamente alla rovina della causa popolare. Solo se gli si contrappone un partito di opposizione liberale e deciso, è obbligato, per salvarsi, a tener alta la bandiera del radicalismo. Fintantoché ha soltanto contro di sè la vecchia aristocrazia, la cosa va di male in peggio, giacché da un gran pezzo amoreggia cogli ultramontani, e può far la pioggia e il bel tempo a suo piacimento. Del resto non è affatto svizzero di sentimento, e guarda piuttosto Parigi che non Berna. Da un pezzo avevo cause sufficienti per allontanarmi da lui, senonchè l'abitudine che avevo contratta da tempo di riguardarlo come un galantuomo me lo impediva. Solamente delle ripetute lotte interne, e finalmente la conflagra-zione esterna di quest’oggi mi hanno indotto a chiudere i conti con lui„.

Intorno al Galeer si schierarono tutti gli uomini d’indole più indipendente e specialmente quelli della giovane scuola politico-economica, e ben presto gli elementi recisamente radicali e socialisti, cosi riuniti, si chiamarono il partito democratico. Il radicalismo d’allora in poi, salvo piccole eccezioni, non consistette che nel servilismo conscio e inconscio verso il Fazy, il quale aveva finalmente trovato la vera sua lega e la maggioranza nei distretti rurali della Savoia annessi fin dal 1815 a Ginevra. I preti ultramontani quivi onnipotenti strinsero l’alleanza col “radicalismo„ opera del Fazy. Il Galeer venne nel modo più volgare sospettato, perseguitato, e privato del suo posto. Il nuovo partito democratico, venendo così a trovarsi tra quello aristocratico e quelli riuniti degli antichi radicali e degli ultramontani, non potè nelle imminenti elezioni combinare una lista indipendente. E sebbene il signor James Fazy si rifiutasse dì accettare nella propria lista alcuni nomi di democratici, il Galeer ed i suoi amici, rifiutando tutte le offerte del partito aristocratico, si risolsero tuttavia di votare questa volta ancora la lista del Fazy, aspettando la propria vittoria dall’avvenire. Se quindi il Fazy fosse stato sincero nel suo desiderio di progresso e di radicale sviluppo cittadino, non avrebbe avuto bisogno di attaccarsi alla coda schifosa degli ultramontani, sempre volti indietro. Per poter promuovere con maggior successo le astiose persecuzioni e calunnie contro il Galeer, fu dai satelliti di S. E. il presidente “radicale„ fondato uno speciale libello, acciocchè il savio signore e padrone non fosse obbligato di macchiare il proprio monitore, la Revue de Genève, delle invettive di cui tanto più largamente era fornito il foglio dei suoi prestanome, che poteva a volontà smentire. Il Galeer, debole in salute, soccombette a questa astuta caccia, e morì ancor nel corso del medesimo anno (1852) appena trentatreenne. Quante volte sentii ancora dire a Ginevra: “L’ottimo nostro generoso Galeer è caduto vittima dell’inesorabile vendetta del nostro gesuitico tiranno„. Nelle prossime elezioni politiche gli amici del Galeer accettarono tanto più facilmente l’offerta alleanza coll’aristocrazia, inquantochè questa si contentava della caduta del Fazy e di una modestissima partecipazione al governo. Probabilmente il Galeer, fedele ai principi, avrebbe anche questa volta rifiutato tale alleanza, ma, dicevano quelli del suo partito, perchè il signor Fazy ci ha dato il bell’esempio della sua alleanza cogli ultramontani? Perchè dovremmo noi vergognarci della onesta coda degli aristocratici se il Fazy non si vergogna di quella disonesta degli ultramontani? Perchè non dovremmo poter procedere almeno colla colta aristocrazia come il signor Fazy pretende d’andar avanti coll’ignorante ultramontanismo?

Durante le elezioni dunque (credo fossero nel novembre 1853) durante le quali ancora molti radicali, persino dei colleghi di governo del Fazy, passarono ai democratici, l’eroe del. 1846 fu con grande maggioranza rovesciato dal seggio presidenziale. Ora l’imbararazzo dell’ex pre-sidente, carico di debiti, fu straordinario. A questo proposito bisogna che io premetta alcunché d’assai caratteristico della sua vita.

Il signor James Fazy, che già prima di entrare al governo s’era mangiato una bella eredità nei piaceri e negli amori, che aveva dei debiti tino ai capelli e veniva senza riguardo perseguitato dai propri creditori, cercò, non appena giunto al seggio presidenziale, di abolire il più prèsto possibile l’arresto per debiti, naturalmente “nell'interesse della libertà personale Così mi diceva nel 1856 un ginevrino oppresso dai debiti: “È una fortuna che abbiamo avuto per presidente uno che i debiti li fa abitualmente, e che, se non i debiti stessi, potè almeno abolire la prigione per debiti„.

In principio del 1850 il signor Fazy fu materialmente preso nella mischia, di modo che il “popolo riconoscente„ dovette correre in suo aiuto e regalargli una grande area fabbricabile sullo spazio guadagnato collo spianamento delle opere di fortificazione. E perchè no? Aveva ben aiutato a liberare quel terreno dai fortilizi, e perchè non doveva farsene “annettere„ un pezzo, visto che dei maggiori potentati lo facevano senza vergogna? Il signor Fazy potè quindi vendere, molte grosse aree fabbricabili e fabbricarsi egli stesso una bella casa. Purtroppo incappò ben presto in nuovi debiti, nè potè pagare i propri operai. Al principio del 1855 gli toccò sentirsi gridare per la strada da un falegname, cui pare doveva parecchie migliaia di franchi: “Pagami, mascalzone, perch’io possa comprare del pane pei miei figli„. Sotto queste circostanze il disgraziato si trovò ex presidente e, per colmare la misura, colpito da una circostanza ancora più dolorosa. La Caisse d’escompte, istituto di credito radicale, dovette sospendere i propri pagamenti. Gli amici del Fazy aventi parte in questa istituzione, ugualmente carichi di debiti, avevano concesso dei crediti a sè ed a lui contro le norme degli statuti e superiormente alla misura dei mezzi. Il direttore della banca, ancor oggi in carica, si era — i cattivi esempi guastano i costumi — concesso un credito ancora più illimitato. In tal modo si trovava la Caisse d’escompte alla vigilia d’un grave avvenimento, il fallimento. I risparmi di centinaia di famiglie economiche erano in pericolo. Ora si trattava di creare ben tosto il buon consiglio e l'azione salvatrice, altrimenti il fazysmo sarebbe morto nei debiti, disperso come il grano al vento. Per la Caisse d’escompte direttamente non si poteva naturalmente, date le circostanze, procurare del danaro. Ma proprio in quel momento un altro istituto di credito era nel proprio periodo di gestazione in Ginevra, la Bañque Genérale Suisse. A questo banco pertanto bisognava procurare notevoli somme, acciocché per contro-servizio salvasse la Caisse d’escompte dalla magra finanziaria e il signor Fazy dalla piena dei debiti. Il Fazy doveva farla da salvatore per essere salvato. A lui, pel caso che riuscisse, fu assicurata una degna provvigione in percentuali, ed alla Caissa d’escompte il capitale di sovvenzione che doveva salvarla. A quest’uopo quindi il signor Fazy se ne andò a Parigi pro domo sua, nonché per la Banque Genérale Suisse, e quivi, dopo un soggiorno di parecchie settimane, gli riuscì — come voleva la fama, con il grazioso aiuto dell’“Onnipotente„ — di procurarsi presso il Crédit Mobilier l’artiglieria di salvamento sotto forma di molti milioni di franchi. Proprio allora si facevano i preparativi per le nuove elezioni amministrative (1855); il salvatore scrisse quindi già prima del proprio arrivo in Ginevra che avrebbe presto personalmente portate le enormi cariche di milioni. Fu questo un empiastro per i cuori esulcerati degli azionisti della Caisse d’escompte ed una fiaccola magica per gli eiettori ultramontani radicali. Una caricatura lo rappresentò dopo, ben ritrattato, in torma di enorme cigno che, carico di sacchi d’oro, entra nel lago o porto di Ginevra. Un capo ameno mi raccontava allora che nell’ora della birra gli avevano detto come il Fazy avesse portato cinquanta milioni, all'ora del vino che ne avesse portati cento, e all’ora dell’extrait d’absinthe, duecento. La riputazione della forza miracolosa di papà Fazy era pienamente rifatta presso i suoi figli. I democratici, nell’illusione di esser sicuri della vittoria delle elezioni, non fecero speciali sforzi. Finalmente la società costituita da alcun tempo di giovani gagliardi, les fruìtiers, cominciò ad atteggiarsi completamente come la guardia del corpo del Fazy, terrorizzando nel modo più brutale all’atto dell’elezione, e l'idolo loro ascese nuovamente il seggio presidenziale.

Questa volta però fu chiaro ed evidente che gli ultramontani non avevano dato l’enorme loro contingente gratis et amore, ma avevano per contro ottenuto il prezzo della vittoria. Il vescovo di Friburgo, signor Marilli, scacciato dalla Svizzera in seguito della guerra del Sonderbund, quell’eterno agitatore e creatore di torbidi, se ne tornò un bel giorno dalla Francia a Ginevra coll’alto consenso del signor Fazy, e cominciò a leggere le “sante„ messe. Fu un grido di dispetto per tutta la città riecheggiato tra poco in tutta la Svizzera. Questo era un po’ troppo persino pel più cieco radicale, pei più devoto “fruitier„. Subito si indisse un comizio popolare, ove il signor presidente di governo fu regalato di un voto di sfiducia. Il suo collega, consigliere di governo, Tourte, sebbene discepolo e allievo dei Fazy, provò dei forti stimoli d’emancipazione, e tonò senza riguardo contro il suo signore e maestro. Il signor Fazy però se n’era partito già prima dell’arrivo del vescovo, come sempre in consimili casi, quando aveva preparato ai colleglli una salsa da trangugiarsela poi da loro. Il signor Marilli dovette, naturalmente, abbandonare subito la città e il paese. Papà Fazy però scrisse da Berna cominciando col lavar la testa ai suoi tumultuosi figliuoli dicendo che era stato capito male, che il governo non aveva eseguito bene quel che doveva, che egli aveva agito solamente nell’ “interesse della libertà religiosa„ concedendo al vescovo una semplice visita! Quetata la prima protesta papà Fazy, gravemente offeso, se ne venne indietro. Tanto più facile gli fu allora di ricostituire, con alcuni oracoli, di quelli che si adattano a tutto e sempre sembrano veri, di ricostituire l’offesa sua autorità e la fede nel suo puro amore di libertà e di patria, in quanto che i suoi colleghi ebbero la cortesia di addossargli la colpa principale.

Il Fazy però aveva con tutto questo ottenuto il bellissimo scopo di mostrare ai suoi amici ultramontani come fosse sempre pronto a far per loro tutto quello che gli era possibile. Il signor James Fazy è ora da parecchi anni un signore bastantemente ricco. Si dice che non solo la Banque Générale Suisse gli abbia assicurato a vita una certa percentuale, ma, nella sua qualità di presidente di governo pare che, durante le imprese ferroviarie del proprio Cantone, ecc., non abbia trascurato i propri interessi. Nella sua bella e grande casa (l’Hotel Fazy, sul quai du Mont Blanc) si muove, nel Cercle des étrangers, il mondo elegante. E dacché il Piemonte trovò inconciliabili colla propria moralità di Statogli “inferni da giuoco„ dei bagni della Savoia, il pietoso presidente della repubblica di Ginevra, intenerito, ha accolto uno di questi inferni, come esule, nelle spaziose sue sale. Viva la libertà! Laissez aller et laissez faire! Allez chez moi et faites votre jeu!

“Carina mia che vuoi di più?„.

Suo: GIOVANNI FILIPPO BECKER.

Dai patroni del Vogt discendo ai suoi correi:

Peace and goodwill to this fair meeting,
I come not with hostility, but greeting70
.

A capo del corteo, di cui voglio nominare solo alcuni personaggi notevoli, incontriamo la Gazzetta Nazionale di Berlino (Berliner Nationalzeitung) sotto il comando del signor F. Zabel. Un confronto del Pannunzio del Libro principale del Vogt da parte del signor Eduard Simon nella Revue contemporaine (suggerito dal Vogt medesimo) con i corrispondenti articoli della Gazzetta nazionale, della Gazzetta di Breslavìaì ecc., fa quasi credere che la “natura arrotondata„ emanasse due programmi, uno per la preparazione della campagna d’Italia, l’altro per la preparazione di quella d’Augusta. Che cosa potè indurre il signor F. Zabel, di solito gatta di piombo così noiosa e prudente della Gazzetta nazionale, di andare tanto agli eccessi traducendo in articoli di fondo le canzonette dei Vogt?

Il primo esame diffuso della National Zeitung si trova nel numero 205 del Nuovo giornale renano (Neue Rheinische Zeitung) del 26 gennaio 1849, in un articolo di fondo che comincia con le parole “Guida per Schilda„. Senonchè le braccia della guida sono troppo lunghe per ristamparle qui. In un articolo di fondo del medesimo giornale, N. 224 del 17 febbraio 1849, si legge:

“La Gazzetta nazionale di Berlino è l’espressione, grave di contenuto, della mancanza di contenuto. Eccone alcune nuove prove. Si tratta della nota circolare prussiana… Se e ma! Potere ed essere capaci e parere: trovare e volere, che il governo prussiano voglia! Ogni frase porta, come un condannato al bagno, il peso d’una tonnellata alle gambe, e quindi pesa assai. Ogni se, ogni però, ogni ma, è un vero doctor utriusque juris. E se poi svolgete tutto questo ripieno cristiano-germanico, tutti questi centri di cotone, in cui la Gazzetta nazionale prudentemente avvolge la propria sapienza, con uguale cura, che cosa resta?... La chiacchiera vuota, il nero sul bianco, come “premier Berlin en grande tenue„. La Gazzetta nazionale è evidentemente scritta pei lettori che meditano, come la Storia universale del Rotteck… I Francesi hanno un'ottima formula per questa maniera di pensare, il cui movimento è unicamente linguistico: “Je n’aime pas les épinards et j’en suis bien aise; car, si je les aimais, j’en mangerais beaucoup, et je ne peux pas les souffrir…„. La Gazzetta nazionale vuole la felicità della Prussia e quindi — un altro ministero. — Ma quello che sotto ogni circostanza vuole è — un ministero. — È questa pure l’unica cosa di cui i padroni della Gazzetta nazionale siano seco stessi in chiaro, rallegrandosi in proposito di un deciso senso di loro medesimi„.

Nel N, 296 della Nuova gazzetta renana si legge, sotto la data Berlino, 8 maggio 1849:

“È interessante di osservare la condotta della stampa berlinese di fronte alla rivoluzione sassone. La Gazzétta nazionale non conosce che un sentimento — la paura di venire proibita Ma la paura è un elixir di vita — come la Gazzetta nazionale ha dimostrato durante il decennio Manteuffel.

La Gazzetta nazionale ha provato vera la parola del Pope:

Stili her old empire to restore she tries, For, born a goddess, Dulness never dies71.

Solamente che il regno della Dulness del Pope si distingue dal regno della Gazzetta nazionale per questo, che quivi “regna ora Dunce secondo, come un tempo Dunce il primo„ mentre qui regna ancor sempre l’antico Dunce, Dunce il primo.

Alla Gazzetta nazionale segue strettamente la Gazzetta di Eresia via, che adesso è entusiasta del ministero Hohenzollern, come prima del ministero Manteuffel. In principio del 1860 ricevetti la seguente lettera:

Breslavia, 27 febbraio 1860.

Caro Marx,

Ho visto nella Gazzetta del Popolo (Volkszeitung) il tuo indirizzo e la tua dichiarazione contro la Gazzetta Nazionale (Nationalzeitung). Un articolo simile a quello della Gazzetta Nazionale l’ha portato anche la Gazzetta di Breslavia, per opera del suo collaboratore quotidiano dott. Stein. E’questo il medesimo dottor Stein che nell’Assemblea Nazionale di Berlino sedeva, col D’Ester, all'estrema sinistra, e presentò la nota mozione contro gli ufficiali dell’esercito prussiano. Questo grosso Stein (pietra) di piccolo corpo è sospeso dal proprio ufficio di maestro. Dacché esiste il nuovo ministero egli si è prefisso il còmpito di fare agitazione in favore del medesimo non solamente l’anno scorso durante le elezioni, ma ancora adesso, per riunire la democrazia silesiana coi costituzionali. Con tutto ciò il presente ministero ha rifiutato la sua istanza per ottenere la concessione d'istruzione privata, e ciò non una volta sola, ma diverse. Il rovesciato ministero aveva tacitamente tollerato ch’egli la impartisse, ma il ministero presente gliel’ha vietata come illegale. Adesso, per ottenere tale concessione se ne andato a Berlino, ma inutilmente, come potrai leggere nel medesimo numero della Gazzetta del Popolo che contiene la tua dichiarazione. Ora il dottor Stein, nella sua Società di risorse di Breslavia ha fatto rappresentare nel corteo carnevalesco la “Banda dello zolfo„. Con tutto ciò il dottor Stein, Schlehan, Semrau e consorti debbono sopportare dai costituzionali un’umiliazione dopo l’altra, ma questa sorta di gente non si lascia scuotere nel proprio «patriottismo». Che ne dici di questa pulita società?

Che ne debbo dire del mio collega Stein? Perchè lo Stein fu davvero mio collega, avendo io per mezz’anno (1855) fatto il corrispondente della Nuova Gazzetta dell'Oder (Nette Oder-Zeitung) , unico giornale tedesco nel quale scrivessi durante il mio soggiorno all’estero. Evi-dentemente lo Stein è l’uomo dal cuore di pietra, che non può intenerire nemmeno il rifiuto della concessione dell’insegnamento privato. La Nuova Gazzetta renana (Neue Rheinische Zeitung) aveva dato di bei colpi a quella pietra per foggiarne un busto. Cosi, per esempio, nel N. 225 (Colonia, 16 febbraio 1849):

“Per quel che riguarda specialmente il signor Stein, ci ricordiamo del tempo in cui si atteggiava a fanatico costituzionale contro i repubblicani denunciando formalmente i rappresentanti della classe operaia nella Gazzetta silesiana (Sehlesische Zeitung) e facendoli denunziare da un maestro d’opinioni affini, ora membro di una “Società, per l’ordine legale„. Miserevole come Passemblea degli unionisti fu la cosiddetta frazione democratica di questa assemblea. Era da prevedersi che questi signori adesso, per essere rieletti, avrebbero accettato la costituzione largita. Ma ancor più caratterizza il punto di vista di tali signori il vederli a cose fatte rinnegare nei circoli democratici quello che affermavano nei comizi elettorali prima delle elezioni. Questa furberia liberale dall’astuzia piccina non fu mai la diplomazia dei caratteri rivoluzionari„.

Che la Nuova Gazzetta renana non inutilmente lavorava per quella pietra, egli lo dimostrò non appena il Manteuffel ebbe tolta d’autorità la Camera data d’autorità; perchè allora il dottor Giulio Stein esclamava nell’assemblea principale democratica in Breslavia:

“Noi (l'estrema sinistra berlinese) abbiamo sin da principio dato per perduta la questione tedesca Ora conviene persuadersi che non è possibile l’unità tedesca fin quando esistono dei principi tedeschi„ (N. 295 della Nuova Gazzetta renana).

Ora è davvero cosa da stringere il cuore e intenerire le pietre che il medesimo Stein, sebbene non più pietra dello scandalo, sia sempre e sempre più stato stato rifiutato da Schwerin come “pietra da costruzione„.

Non so se il mio lettore conosca di propria esperienza il “Punch„,. cioè il il “Kladderatsch„ di Londra. Sul frontespizio sta seduto Punch e dirimpetto gli sta il suo cane Toby, che fa una faccia tutta bisbetica ed ha una penna dietro l’orecchio, segni tutti e due che è un penny a liner nato. Si licet parva componere magnis, si potrebbe magari confrontare il Vogt col Punch, specialmente da quando quest’ultimo ha perduto il proprio spirito, disgrazia capitatagli nel 1846 coll'abolizione delle leggi sul grano. Il suo camerata però, il cane Toby, non si può confrontare che con se stesso o con Edoardo Meyen, Effettivamente Edoardo Meyen, se davvero dovesse una volta morire, non abbisogna di metempsicosi pitagorica. A questo ha già pensato Toby durante la sua vita. Non voglio affermare addirittura che Edoardo Meyen abbia proprio posato pel disegnatore della vignetta del frontispizio, ma è certo che in vita mia non ho mai visto una maggiore rassomiglianza tra un uomo e un cane. Però non è un miracolo. Edoardo Meyen è di natura sua penny a liner, e il penny a liner è di sua natura Toby. Edoardo Meyen prescelse sempre di dedicare la sua importuna facilità di scrivere a istituti d’impresa letteraria d’organizzazione di partito. Un programma bello e pronto risparmia la fatica del pensare; il sentimento della propria relazione con una massa più o meno organizzata fa tacere il senso deirinsufficienza propria, e la coscienza d’una cassa di guerra esistente vince a tratti persino il malumore professionale di Toby. Così troviamo Eduardo Meyen accodato a suo tempo all’infelice Comitato centrale e democratico, la noce vuota che nel 1848 era germogliata dall’assemblea tedesca in Francoforte. Nell’esilio di Londra era addetto come attivissimo tornitore agli opuscoli litografici, nei quali venivano mobilizzati i danari del prestito di fabbricazione rivoluzionaria dei Kinkel, il che naturalmente non impediva al medesimo Edoard Meyen di passare con armi e bagagli nel campo del Principe reggente, d'implorare l'amnistia e, a forza di mendicare, di ottenere realmente il permesso di poter miseramente passare da Wandsdech nel Libero tiratore (Hamborger Freischütz) d’Amburgo, a cianciare di politica estera. Il Vogt, che arruolava «coloro i quali», gente, cioè, che volessero “seguire il suo programma„ ed apportare i propri articoli, e il quale inoltre faceva luccicare dinanzi ai loro occhi una ben pingue cassa di guerra; il Vogt dunque capitò mirabilmente a proposito al nostro Edoardo Meyen, che momentaneamente girava intorno senza padroni, perchè, stante i tempi cattivi, nessuno voleva pagare la tassa pei cani; e Toby abbaiò furibondo alla diceria ch’io volessi togliere il credito all’istituto d’impresa di scrivani di partito, e togliere i loro diritti di scritturale ai botoli seribacchiatori. Quelle orreur! Il Vogt fece pervenire al suo Edoardo Meyen delle istruzioni altrettanto diffuse sulla elaborazione obbligata del Libro principale, come al suo Edoardo Simon, ed infatti Edoardo Meyen ha lardellato cinque numeri del Libero tiratore (Freischütz), dal numero 17 al 21 del 1860, colla cotenna del Libro principale. Ma che differenza! Mentre Edoardo Simon corregge l’originale, Edoardo Meyen lo rende scorretto. Mi pare che la più semplice disposizione a capire oggettivamente un dato tema si mostri nella facoltà di poter ricopiare della roba stampata. Ma il nostro Edoardo Meyen è assolutamente incapace di ricopiare correttamente una sola linea. L'intelletto di Toby manca persino della forza necessaria a ricopiare. Sentite:

Lìbero tiratore, N. 17:

“Il giornale (l’Allgemeine Zeitung), è ora convinto d’essersi servito altresì della cooperazione d’un partito rivoluzionario, che il Vogt stigmatizza, come la “Banda dello zolfo„ dei repubblicani tedeschi Quando e dove favoleggia il Vogt della “Banda dello zolfo„ dei repubblicani tedeschi?

Libero tiratore, N. 18:

“È il Liebknecht, che avrebbe da sollevare l’accusa contro il Vogt nella Allgemeine Zeitung, ripetendo egli quivi le accuse fabbricate dal Biscamp nel Popolo (Volk) di Londra; ma esse acquistarono il loro peso solamente allorché il Marx inviò alla Allgemeine Zeitung un opuscolo apparso in Londra, la cui paternità egli attribuiva al Blind„.

Il Vogt di bugie potè dirne molte, ma già il suo avvocato Hermann gli aveva vietato quella che l'articolo del Biscamp, non ristampato nella Allgemeine Zeitung, fosse nel medesimo stato “riprodotto„ dal Liebknecht. Nello stesso modo il Vogt non sognò neppure di dire ch’io abbia inviato alla Allgemeine Zeitung l’opuscolo Per avviso. Egli anzi dice esplicitamente: “Il signor Liebknecht è quello che ha mandato alla Allgemeine Zeitung il libello famoso (pag. 167, Libro principale).

Libero tiratore, N. 19:

“Il Blind ha positivamente rifiutata la paternità dell’opuscolo, e il tipografo ha testimoniato che il medesimo non gli fu consegnato per la stampa dal Blind. Sta però di fatto che il libello fu, con la stessa composizione, trasportato nel Popolo, che il Marx ne promosse la pubblicazione nella Allgemeine Zeitung, ecc„.

Il Vogt nel Libro principale da una parte ristampa la dichiarazione di Fidelio Hollinger, nella quale il medesimo certifica non essere stato il libello composto nella sua tipografia, e dall’altra la mia controdichiarazione, che la composizione originaria del libello si trovava ancora presso lo Hollinger, allorché fu ristampata dal Popolo; e quale confusione riesce a cavarne l’infelice Toby!

Libero tiratore, N, 19;

“Per quel che riguarda le persone (dovrei dire io e l’Engels nella lettera del Techow) sono dei semplici intellettuali, che non conoscono nazionalità„.

Sentimentalità, ottimo Toby; non conoscono sentimentalità, scriveva il Techow nel Vogt.

Libero tiratore, N. 20:

“Il Marx… lasciò che i duellanti si recassero ad Ostenda, per quivi colpirsi. Il Techow fu il padrino del Willich, ecc. Dopo questo avvenimento il Techow si staccò dal Marx e dalla sua lega„.

Edoardo Meyen non si contenta di leggere Ostenda invece di Anversa. Probabilmente aveva sentito a Londra come quel francese del Westend si lamentasse che gli inglesi scrivevano Londra e pronunciavano Costantinopoli. Il Techow, che a tempo della sua epistola mi aveva visto una volta in vita sua, e inoltre scrive esplicitamente d’aver avuto sulle prime l’intenzione di aderire a me ed al mio gruppo, Edoardo Meyen lo fa staccare da me e dal mio gruppo, cui non aveva mai appartenuto.

Libero tiratore, N. 21:

“Per questo incidente (la festa centrale degli operai a Losanna) si spiega il violento attacco che seguì nel Popolo di Londra contro il Vogt„.

Il Vogt medesimo comunica nel Libro principale la data del violento attacco comparso contro di lui nel Popolo — 14 maggio 1859 — (l'opuscolo uscì nel Popolo il 18 giugno 1859). La festa centrale di Losanna per contro seguì il 26 e 27 giugno 1859, quindi un pezzo dopo il violento attacco che, secondo il Meyen, aveva cagionato.

Ma basta ora di questi saggi di lettura del Toby. Non c’è da meravigliarsi se Toby, che nello scritto del Vogt lesse tutto quel che non c’era, leggesse tra l’altro anche questo:

“Lo scritto del Vogt sarà posto tra le polemiche più audaci, spiritose ed utili della nostra letteratura„ (Libero tiratore, N. 17).

Ed ora si immagini questo infelice Toby, incapace com’è di trascriver due righe da un libro stampato senza sbagliarle, s’immagini Toby condannato a trascegliere giornalmente da Wandsbeck, nel libro della storia universale, tutti gli avvenimenti del giorno, solamente accennati fugacemente colle più confuse iniziali, doverli copiare ora per ora, e dover fotografare in grandezza naturale nel Libero tiratore le dissolving viems del presente! Infelice Messaggero di Wandsbeck (Wandsbecker Bote)! Felice lettore amburghese del Libero tiratore!

Il Times di Londra portava giorni fa uno strano paragrafo che fece il giro della stampa inglese, intitolato: A man shot by a dog (Un uomo ucciso da un cane). Pare dunque che anche Toby s’intenda di tiro, e quindi non è da meravigliarsi se Edoardo Meyen canta nel Libero tiratore: “Un tiratore io sono assoldato dal reggente„.

La Gazzetta di Colonia (Kölnische Zeitung) si limitò ad alcuni paragrafi malevoli e ad alcune piccole insinuazioni a favore del Vogt. Otto giorni dopo comparso il Libro principale, si diffuse sulle sue colonne la leggenda che fosse ormai esaurito, probabilmente per essere dispensata dai doversene occupare. Del resto quanto umorismo nel corso del mondo!

Se nel 1848-49 ai tempi della Nuova Gazzetta renana, allorché giornalmente spezzavamo una lancia per Polacchi, Ungheresi ed Italiani contro la vicina di Colonia, avessi potuto mai immaginare che la medesima Gazzetta renana sarebbe risorta nel 1859 come rivendicatrice del principio nazionale, e che il semplice signor Giuseppe Dumont si sarebbe sviluppato a signor Giuseppe Delmonte! È vero però che allora nessun Luigi Bonaparte aveva ancora conferito alle nazionalità il superiore battesimo morale liberale, e la Kölnische Zeitung certo non dimen-ticherà mai come Luigi Bonaparte abbia salvata la società. La rabbia furibonda con cui a quel tempo attaccava l’Austria si deduca dalla Nuova Gazzetta renana N. 144:

“Colonia, 15 novembre (1848). Nel momento in cui tutta la Germania getta un grido d’indignazione, che il servitore dalle mani sanguinose del bandito austriaco, che un Windischgraetz potè osare di far fucilare come un cane il deputato Roberto Blum, in questo momento è opportuno di ritornare su due fogli tedeschi, il primo dei quali cercò d’infamare con rara perfidia gli ultimi giorni dell’estinto, e il secondo lo perseguita sino nel sepolcro col suo flaccido cretinismo.

Parliamo della Gazzetta di Colonia, e della Rheinische Volkshalle (volgarmente Narrhallo).

Nel N. 262 la Gazzetta di Colonia stampava:

“Il 22 corrente (ottobre) i capi entusiasti del partito democratico si allontanarono da Vienna; similmente… Roberto Blum„.

La Gazzetta renana faceva questa comunicazione senz’altra aggiunta, ponendo però la denuncia contro il Blum in carattere assai visibile, per imprimerla tanto più facilmente nella memoria dei suoi lettori. La Gazzetta di Colonia si perfezionò nei numeri seguenti. Non si vergognò di accogliere nelle proprie colonne persino degli articoli del foglio più giallo e nero della camarilla, delle pubblicazioni dell’organo dell’arciduchessa Sofia, il più infame di tutti i giornali austriaci… (segue tra altre questa citazione):

“Roberto Blum non ha colto degli allori a Vienna… Nell’aula, cioè, parlava del nemico interno che è la paura, della mancanza di coraggio e di perseveranza: se però, diceva, oltre questo nemico interno ve ne fossero anche degli altri — egli sperava non ve ne fossero — e che esistessero ancora in città della gente che preferissero la vittoria dei militari a quella della libertà, anche contro costoro avrebbe dovuto con arma aguzza volgersi la lotta di sterminio volta contro le schiere che eran fuori della città…„. Nel discorso del signor Blum c’è la pazzia di un settembrista; se il signor Blum ha pronunciato queste parole, allora, lo diciamo chiaramente, si è disonorato„.

Fin qui la Gazzetta di Colonia.

Mediante una segreta rete di tubi tutte le ritirate di Londra vuotano le proprie immondezze fisiche nel Tamigi, Così la capitale del mondo va vuotando giornalmente, mediante un sistema di penne d’oca, tutta la sua immondezza sociale in una grande cloaca centrale di carta — il Daily Telegraph. — Il Liebig critica a ragione quel matto sperpero che toglie all’acqua del Tamigi la sua purezza e alle campagne dell’Inghilterra i suoi concimi. Ma il Levy, proprietario della cloaca centrale di carta, s’intende non solamente di chimica ma anche di alchimia. Dopo avere trasformato l’immondezza sociale di Londra in articoli di giornali, trasforma i suoi articoli in rame, e finalmente il rame in oro. Sul portone che conduce a quella cloaca di carta sono iscritte le parole di colore oscuro:

“Hic quisquam faxit ole turni„

O come il Byron l'ha tradotto bene:

Wanderer, stop and--piss!„.

Il Levy, come Abbacucco, è capable de tout. È capace di scrivere degli articoli di fondo di tre colonne sopra un singolo caso di violenza. Al principio di quest’anno trattava il suo numeroso pubblico di buongustai con un ragout d’assa fetida, conglobato sapientemente da dettagli così sudici e schifosi di un certo dibattimento giudiziario, che avevano indotto i giudici a far sgombrare l’aula di donne e di fanciulli. Disgraziatamente il Levy gettò nel ragont, a uso di pepe, il nome d’una persona innocente. Il processo per diffamazione quindi intentato contro di lui finì colla sua condanna e la pubblica stigmatizzazione del suo organo da parte del giudice inglese. Come è noto i processi per diffamazione, come tutti i processi del resto, sono straordinariamente cari in Inghilterra e costituiscono una specie di privilegio del coffre fort. Una quantità di avvocati senza cause della City scoperse però ben presto che il Levv era buona selvaggina; si riunirono pertanto ed ora offrono i loro servizi gratis a chiunque voglia intentare processo per diffamazione al Levy. Questi ha quindi mosso gii aiti lamenti nel proprio organo esser venuta di moda una nuova specie di ricatti, ossia la causa di diffamazione contro il Levy. Da allora è diventato un po’ pericoloso l’accusare il Levy, perchè ci si espone a commenti a doppio senso, poiché come sui muri di Londra si può leggere: Gommit no nuisance, così sulle porte dei tribunali inglesi: Gommit Levy.

Gli uomini politici chiamano il Daily Telegraph “Palmerston’s Mobpaper„, ma la barca di fango del Levy carica la politica solo come zavorra. La Saturday Review quindi caratterizzò ottimamente il suo foglio da un soldo per “cheap and nasty„ (a buon prezzo e schifoso). “È un sintomo fatale, dice fra altro, che dà assolutamente la preferenza al sudiciume di fronte alla pulizia; in ogni caso escluderà la notizia più importante, per trovar luogo ad un articolo sporco„. Tuttavia il Levy ha anch’egli la sua propria pruderie. Così, per esempio, critica la indecenza dei teatri e perseguita, secondo Catone censore, l’abbigliamento delle ballerine, che secondo lui comincia troppo tardi e finisce troppo presto. Per questi accessi di virtù il Levy è caduto dalla padella nella brace. O coerenza, esclama un giornale teatrale di Londra, The Player, o coerenza! dov’è il rossore della tua vergogna? Come il furfante (thè rogne) avrà riso sotto i baffi!... Il Telegraph diventato predicatore di decenza per labbigliamento scenico muliebre! Santo Giove, che cosa sta per accadere? Dei terremoti e delle comete accese sono il minimo che si possa adesso aspettare. La decenza! “I thank thee, jew, for teaching me that word„ (Ti ringrazio giudeo d’avermi insegnato questa parola). E come Amleto consiglia Ofelia, così il Player esorta il Levy di nascondersi in un convento, anzi in un monastero! “Get thee to a nunnery, Levy!„. Il Levy in un monastero di monache! Forse questo “nunnery„ non è che un errore di stampa per Nonaria, sicché sarebbe da leggersi: “Vattene alla Nonaria. Levy e in questo caso ciascuno

… multum gaudere paratas
Si Cynico (al cinico Levy) barbam petulans Nonaria vellat.

La Veeldy Mail asseriva che il Levy non fa passare al pubblico un x per un u, bensì un y per un i, e veramente tra i ventiduemila Levi contati da Mosè durante il passaggio del deserto, non si trova un unico Levi che scriva il suo nome coll’y. Come Edoardo Simon vuole per forza appartenere alla razza romanica, così il Levy vuole per forza appartenere a quella anglosassone. Quindi almeno una volta al mese attacca la politica poco inglese del signor Disraeli, poiché il Disraeli, “il mistero asiatico„ (the asiatic mistery) non è originario, come il Telegraph, di razza anglosassone. Ma che cosa giova al Levy l’attaccare il signor Disraeli e lo scrivere y per i, per quando madre natura gli ha scritto il suo albero genealogico proprio in mezzo alla faccia nel più pazzo carattere gotico? Il naso del misterioso straniero del Slawkenbergins (Vedi Tristram Shandy), che si era presa la “finest nose„ dal promontory of noses non alimentava che il pettegolezzo di Strasburgo, mentre il naso del Levy alimenta quello annuale della City di Londra. Un epigrammatico greco descrive il naso di un certo Castore, che gli aveva servito per tutto, come vanga, tromba, falce, àncora, ecc., e chiude la descrizione con queste parole„:

E così Castore possiede un armamento di molteplice uso
Portando in giro il suo naso adatto a qualsiasi opra.

Con tutto ciò Castore non indovinò a che cosa adopera il proprio naso il Levy. Maggiormente si avvicina al vero il poeta inglese nelle seguenti linee:

And ’tis a miracle we may suppose
No nastiness offends his skilful nose.
72

Infatti la grand’arte del naso del Levy consiste nel far all’amore con le puzze, nello scovarle a cento miglia di distanza e nel tirarle fuori. Così il naso del Levy serve al Daily Telegraph da tromba di elefante, da tentacolo, da faro e da telegrafo. Si può quindi dire senza esagerazione che il Levy scrive il suo giornale col proprio naso.

Questo pulito Daily Telegraph era naturalmente l’unico foglio inglese in cui la Lausiade del Vogt poteva comparire, ma nel quale anche non poteva mancare. Nell’organo del Levy del 6 febbraio 1860 apparve un articolo di due colonne e mezza intitolato: “Journalistic auxiiiaires of Austria (gli ausiliari giornalistici dell’Austria)„; in sostanza una semplice traduzione dei due articoli di fondo della Gazzetta Nazionale di Berlino in graveolente inglese. Per sviare i sospetti l’articolo portava la soprascritta “from an occasionai correspondent„ (da un corrispondente avventizio, Francoforte sul Meno, 2 febbraio). Io sapevo, naturalmente, che Punico corrispondente del Telegraph abita in Berlino, dove il naso del Levy l’aveva, colla solita virtuosità, scoperto. Scrissi, dunque, a volta di corriere, ad un amico in Berlino se poteva dirmi il nome del corrispondente dell’organo del Levy. Il mio amico, uomo la cui dottrina era stata riconosciuta persino da A. von Humboldt, fu però abbastanza ottuso da affermare che non esisteva in Londra aleuti Daily Telegraph, e quindi neppure il suo corrispondente a Berlino. Ciò visto, mi volsi ad un altro conoscente nella città della Sprea. Risposta: “Il corrispondente berlinese dei Daily Telegraph esiste e si chiama Abel„. Qui vidi una grossa mistificazione. Abel era evidentemente una semplice abbreviazione di Zabel. La circostanza che il Zabel non sappia scrivere in inglese non poteva ad ogni modo togliermi dalla mia traccia. Se l’Àbel, in qualità di Zabel, senza scrivere in tedesco, può redigere la Gazzetta Nazionale, perchè non poteva il Zabel, in forma di Abel, senza scrivere l'inglese, mandar corrispondenze al Telegraph? Quindi Zabel Abel, o Abel Zabel? Come ritrovarsi in questa babele? Confrontai ancora una volta il berlinese organo di sapienza con quello del Levy, e in questa occasione scopersi nel numero 41 della Gazzetta Nazionale il passo seguente: “Il Liebknecht aggiunge mirabilmente: “Volevamo far autenticare le nostre firme dall’autoritá (?)„. Questo punto coll’autorità e il punto interrogativo pieno di meraviglia dei Zabel mi ricorda quello svevo che, “disceso in Asia dal piroscafo, domandò subito: Non c’è qui un buon compagnone di Bebbingen?„. Nell’organo del Levy manca non solamente tutto questo passo, ma persino il punto interrogativo, da cui emerge patentemente che il corrispondente del Levy non partecipa all’opinione di F. Zabel, per cui il giudice di polizia o magistrato (magistrates) di Londra è l’autorità di Berlino. Quindi Zabel non era Abel e Abel non era Zabel. Intanto altri conoscenti in Berlino avevano sentito delle mie fatiche. L’uno scriveva: “Tra i ventiduemila Levy del quarto Libro di Mosè si trova anche un Abel, solamente si scrive Abihail„. L’altro scriveva: “Questa volta dunque Abele ha am-mazzato Caino e non Caino Abel„. Così fui sempre più messo fuori di strada, sinché finalmente un redattore d’un foglio londinese mi assicurò con serietà anglicamente asciutta che Abel non fosse uno scherzo, sibbene un letterato berlinese giudeo, il cui nome completo era dottor Carlo Abel, il quale almo giovinetto aveva per un bel pezzo servito come sgobbone sotto lo Stahl e il Gerlach nella Kreuzzeitung, ma col cambiamento del ministero aveva mutato, se non la pelle, almeno il colore. Il più importuno zelo di rinnegato spiegherebbe quindi benissimo come il corrispondente berlinese del Levy ritenga la libertà di stampa inglese inventata apposta per smerciare la sua mania di ammirazione pel ministero Hohenzollern. In via d’ipotesi quindi si può supporre che oltre un Levy a Londra esista anche un Abel in Berlino — par nobile fratrum.

L’Abel fornisce il suo Levy contemporaneamente da tutti i luoghi, da Berlino, Vienna, Francoforte al Meno, Stoccolma, Pietroburgo, Hong-Kong, ecc., cosa che richiede una molto maggiore abilità che non lo stesso Voy age autour de ma chambre del De Maistre. Ma sotto qual-sivoglia segno locale l’Abel possa scrivere al suo Levy, certo gli scrive sempre sotto il segno zodiacale del cancro. A differenza della processione di Echternach, dove si va due passi avanti e uno indietro, gli articoli dell'Abel vanno un passo avanti e due indietro:

No crab more active in the dirty dance,
Downward to climb, and backward to advance. 73 (POPE).

L’Abel ha l’indiscussa abilità di mettere alla portata del suo Levy i segreti di Stato del continente. Così, per esempio, la Gazzetta di Colonia porta un qualsiasi articolo di fondo, tolto magari dalla Rivista baltica (Baltische Monatsschrift). L’Abel lascia passare un mese, e poi a un tratto scrìve l’articolo della Gazzetta di Colonia, inviandolo da Pietroburgo a Londra, non mancando certo di accennare che, se non lo Czar, e forse neppure il ministro delle finanze russe, ad ogni modo uno dei direttori della Banca di Stato gli ha confidato il segreto statale “entre deux cigares„, sicché esclama trionfalmente: “I am in a position to state„, ecc. (sono in grado deformarvi, ecc.). Oppure la ufficiale Gazzetta prussiana (Preussische Zeitung) mette fuori il suo tentacolo ministeriale ed accenna, mettiamo, alle incompetenti opinioni del signor Schleinitz sulla questione del granducato di Assia. Questa volta l’Abel non aspetta un momento, ma scrive subito al suo Levy lo stesso giorno, e apertamente, da Berlino, sulla questione dell’Àssia elettorale. Otto giorni dopo informa: “La Gazzetta prussiana, l’organo ministeriale, stampa il seguente articolo sulla questione dell’Assia: “I owe to myself„ (debbo a me stesso) di avvertire che già otto giorni fa„, ecc. Oppure traduce un articolo della Allgemeine Zeitung e lo data magari da Stoccolma. Poi segue inevitabilmente la frase: “I must warn your readers„ (debbo mettere in guardia i vostri lettori), non contro l’articolo copiato, ma contro uno qualunque non copiato della Allgemeine Zeitung. Non appena però l’Abel viene a parlare della Kreuzzeitung, si fa il segno della croce per rendersi irriconoscibile„.

Per quel che riguarda lo stile dell’Abel non si può qualificarlo in modo sensibile che come decalcomania dello stile di Stern Gescheidt, di Isidoro Berlinerblau e di Jacopo Wiesenriesler.

Col permesso dell’Abel, una digressione. L’originale Stern Gescheidt, è un altro complice del Vogt, un certo L. Bamberger, nel 1848, re d’un foglio già clandestino in Magonza, presentemente lupomanaro (loup garou) sposatosi “a pieno stipendio„ in Parigi, e democratico decem-brista„ nel significato più semplice della parola„. Per comprendere questo significato semplice bisogna conoscere il gergo zingaresco della sinagoga borsistica di Parigi. La democrazia “semplice„ di Stern Gescheidt è la stessa di quella che Isacco Pereire chiama “la democratisation du crédit„ che consiste nel trasformare in un giuoco infernale non singole sfere di una nazione, ma la nazione intera, per poterla imbrogliare en masse. Mentre il lupo di Borsa oligarchico era, sotto Luigi Filippo, così meschino da dar la caccia solamente alla ricchezza nazionale accumulata nelle mani della borghesia alta, sotto l’egida di Luigi Bonaparte tutto è preda per il democratica lupo di Borsa, che coll’imperatore romano esclama: Non olet, soggiungendo con Stern Gescheidt Baraberger: “È la massa che deve farlo„. Ecco la democrazia di Stern Gescheidt nella massima sua semplicità. Stern Gescheidt Bamberger si è reso noto recentemente sotto il nome: “Evviva, in Italia!„. Durante la campagna per la costituzione dell’impero invece ascoltava il grido: “Ahimè, via da Kirchheimholand!„. Il signor Stern Gescheidt Bamberger, scappato da Kirchheimholand, menando per il naso il corpo di volontari della Vestfalia Renana, sugli atti eroici del quale mi è stato affidato un prezioso manoscritto, era troppo intelligente per non fiutare che la terra alluvionale fangosa e sanguinosa del dicembre era aurea per degli accorti cercatori di tesori. Si recò quindi a Parigi, dove, come così bellamente dice il suo amico Isidoro Berlinerblau, alias H. B. Oppnheim, “ci si sente più liberi di quel che non si sappia. Il signor Stern Gescheidt, a cui nel 1858 cominciò ad “arrestarsi la circolazione„ (V. il rapporto della Banque de France sulla circolazione del 1858-59) diventò giovialissimo, allorché ad un tratto la terra fangosa del decembre brillò nelle chiare tinte delle grandi idee. Lo Stern Gescheidt, altrettanto intelligente quanto democratico puro sangue, capì che un diluvio universale parigino porterebbe via, insieme colla terra decembrina, anche il prò del suo libro mastro, non lasciando che il contea. Perchè è noto che Stern Gescheidt Bamberger ha aumentato le nove muse ellene di una decima musa ebraica, la “musa del tempo„, come egli chiama il listino di borsa.

Torniamo all’Abel. Lo stile dell’Abel è saturo dell’odor specifìcus indispensabile pel Daily Telegraph, la cloaca cartacea della metropoli mondiale. Allorché il Levy è proprio commosso dal par funi della corrispondenza dell’Abel, della dottrina dell’Abel e dell’ingegnosa diligenza con cui l’Abel scrive contemporaneamente da 20 diversi gradi di latitudine, in questi momenti di massima commozione il Levy chiama l'Abel, in modo carezzevolmente famigliare, la sua “industrious bug„74.

La mera giustizia poetica esige, che la “natura arrotondata„ non rimanga alla fine della commedia, insieme coll’Abel, nell’immondezza londinese; ma ehi ha da trarlo da questa immondezza? Chi sarà il salvatore? Il salvatore dev’essere un bacherozzolo, cioè il barone von Wineke, junker della Terra rossa, cavaliere dalla lieta figura, “chevalier sana perir et sans reciproche„.

La Nuova Gazzetta renana aveva, come prima si è menzionato, sin dal 1848 tradita l’identità delle antitesi Vogt e Vincker, e lo stesso Vogt ne dubitava sin dal 1859, allorché nei suoi Studi scriveva: “Il signor von Vincke, quale nuovo apostolo di una nuova libertà statale rasenta davvero il campo del ridicolo„ (l. c., pag. 21), quindi il campo del Vogt. Il Vincker per altro pronunciò il 1° marzo 1860 apertamente la parola della conciliazione allorché, come dice Giovan Filippo Becker, “illustrò colla “Banda dello zolfo„ la modesta Camera prussiana„. Appena un anno prima aveva raccomandato alla stessa Camera l’opuscolo Po e Reno, la cui origine sulfurea, in mancanza del naso del Levy, non aveva naturalmente fiutata. Allorché il Vincke finì per far l’italiano come il Vogt, allorché il Vincke, come il Vogt, insultò i Polacchi, e il Vincke, come il Vogt, proclamò la divisione della Germania, i fratelli nemici caddero per sempre nelle braccia l’un dell’altro.

Si sa come i poli uguali si respingano irresistibilmente. Così il Vogt e il Vincke si respinsero per un pezzo. Ambedue soffrono di dissenteria verbale e quindi ciascuno credeva dell’altro che volesse togliergli la parola di bocca.

Il Vogt, come testimonia il Ranickel, è un grande zoologo, e tale è il Vincker, come dimostra il suo allevamento di maiali a Ickern.

Nel dramma spagnuolo per ogni eroe c’è due buffoni. Persino San Cipriano, il Faust spagnuolo, Caideron lo serve d’un moscon e d'un clarino.

Così nel Parlamento di Francoforte il generale reazionario von Radowitz aveva due aiutanti buffi, il suo arlecchino Lichnowskv e il suo pagliaccio Vincke. Il Vogt invece, contropagliaccio liberale, doveva far tutto da sé, il che naturalmente lo indisponeva contro il Vincke, giacché Jacopo Venedey non s’intendeva che della parte patetica del Pantalone. Al Vincke piaceva togliersi di tanto in tanto il berretto da giullare. Così nella seduta parlamentare del 21 giugno 1848 dichiarò: “Che talvolta gli pareva d’esser piuttosto in teatro che non in una simile riunione„. Ed in un’assemblea festiva dei Tories parlamentari di Francoforte recitò la parte del principe dei Folli, sedendo sopra una botte e cantando:

Io sono il principe dei Folli
Prescelto a tracannare.

Anche questo afflisse il suo rivale. Inoltre il Vogt e il Vincke non potevano a vicenda incutersi timore, per la qual cosa considerarono essere più consigliabile di riunirsi. Il Vogt-Falstaff sapeva come valutare il cavaliere senza paura e senza rimprovero, e viceversa. Il Baiardo, della Westfalia aveva a suo tempo studiato legge nelle università tedesche, menoperò il corpus juris romano; perchè, diceva, non per nulla gli antenati della Terra rossa avevano battuto Varo. Tanto più zelantemente si gettò sul diritto teutonico, cioè i commenti studenteschi, il coi terreno egli misurò in tutte le dimensioni, facendolo di poi celebre sotto il nome di terreno giuridico. In seguito a questa casuísticamente profonda esplorazione del commento studentesco si trovò poi in occasione di ogni duello a urtare in qualche pelo alia Dunscoto, che nel momento decisivo si metteva così caprinamente acuto tra il cavaliere e lo spargimento di sangue, come la spada ignuda nel talamo nuziale tra la principessa e il locum tenens. Questo bizantinismo si frapponeva sempre colla regolarità d’una febbre periodica, dall’avventura coll’assessore camerale Benda al tempo delle Diete unite dei 1847, sino alla non meno famigerata avventura col ministro della guerra prussiano nella Camera dei deputati nel 1860. Si vede come ampiamente il Junker fu, non è molto, accusato d'aver perduto il suo terreno giuridico. Non è colpa sua se il suo terreno giuridico contiene tanti trabocchetti. Piuttosto, giacché il commento studentesco tanto non si adatta che al dibattito giuridico superiore, l’ingegnoso Junker lo sostituisce nella comune pratica parlamentare con il — commento di legno.

Nel pantano di Francoforte il Vinche chiamò una volta furiosamente il suo rivale Vogt “il ministro dell’avvenire„. Allorché poi a Jckern seppe che il Vogt, memore del proverbio:

«Procurati un impieguccio», ecc.

era diventato non solamente reggente l’impero, ma persino ministro degli affari esteri in partibus, n’ebbe come una mazzata in testa, e ringhiosamente se la pigliò per le misconosciute aspirazioni d’avanzamento per anzianità. Poiché già fin dalle Diete riunite del 1847 il Vinche aveva fatto opposizione come frondeur al ministero, e come rappresentante della nobiltà all’opposizione borghese. Allo scoppio della rivoluzione di marzo si ritenne quindi designato innanzi a tutti gli altri a salvare la corona. I suoi rivali però diventarono ministri del presente, mentre egli otteneva la carica di ministro dell’avvenire, che sino a quest’istante ha coperto con ininterrotto successo.

Per vendetta scosse dai suoi piedi la polvere berlinese, e si recò a Francoforte nella chiesa di San Paolo per agire all’estrema destra come pagliaccio, claqueur e bully del generale Radowitz.

Il Vinche era fanaticamente buon austriaco, sin che ciò incontrò l’approvazione della superiore autorità. Come matto si scaldava contro le nazionalità. “A sinistra si perde la testa successivamente per ogni possibile nazionalità: Italiani, Polacchi, e adesso persino i Magiari„ (seduta del 23 ottobre 1848). I tre cavalieri Vincke, Lichnovski e Arnim facevano il trio musicale:

Mugghia il bue, la vacca...
E l’asino fa da contrabbasso.

con una tale virtuosità contro gli' oratori pro Polonia (seduta del 5 giugno 1848) che persino il campanello presidenziale rimase senza fiato, e allorché il Radowitz andò sino a reclamare per l’Impero tedesco il Mincio militarmente e naturalmente (seduta del 15 agosto 1848), il Vincke, per maggior divertimento delle tribune e segreta ammirazione del Vogt, fece le capriole applaudendo coi piedi. Capo acclamatole delle deliberazioni mediante le quali il pantano di Francoforte impresse all’asservimento dinastico della Polonia, dell’Ungheria e dell’Italia il sigillo della volontà popolare germanica, il Junker dalla Terra rossa si abbandonò a manifestazioni ancora più evidenti d’allegrezza allorché si trattò di sacrificare le pretese della nazione germanica mediante il vergognoso armistizio di Malmoe, Per assicurare alla ratifica dell’armistizio la maggioranza, diplomatici ed altri spettatori s’erano intrufolati dalle tribune ai banchi della destra. L’inganno fu scoperto e il Raveaux chiese una nuova votazione. A ciò zelantemente si oppose il Vincke, sostenendo che non importava chi votasse ma che cosa si votasse (seduta del 13 settembre 1848). Durante l’insurrezione settembrina di Francoforte, provocata dalla deliberazione sull’armistizio di Malmoe, il Baiardo della Westfalia sparì senza traccia, per poi, dopo la proclamazione dello stato d’assedio, vendicarsi della paura, di cui nessuno poteva indennizzarlo, mediante capriole furiosamente reazionarie.

Non contento di battere in breccia colla sua lingua Polacchi, Ungheresi ed Italiani, propose a presidente della autorità centrale provvisoria l’arciduca Giovanni d’Austria (seduta 21 giugno 1848), ma sotto la obbedientissima condizione che il potere esecutivo asburghese del Parlamento tedesco non fosse tenuto ad eseguirne o proclamarne le plebee deliberazioni, nè in genere a curarsene menomamente. E saltò su furibondo allorché gli stessi suoi compagni della maggioranza, tanto per cambiare, votarono che il reggente dovesse almeno rispetto alle deliberazioni sulla guerra e la pace, nonché pei trattati con potenze estere graziosamente consentisse ad accordare una preventiva intesa col Parlamento (seduta 30 giugno 1848). E il grande riscaldamento oratorio, mediante il quale il fringuello cercò di estorcere a forza di grida al Parlamento tedesco un voto di fiducia pel ministro di Stato Sclimeriing, quale premio per la correità loro e del reggente al tradimento sanguinoso e infame di Vienna (seduta 24 ottobre 1848), confutava vittoriosamente la calunnia del Fischart:

O che musi raffreddati
Sono i musi della Vestfalia!

Così il Vincke era di sentimenti, da buon vicino, asburghesi, sinché ad un tratto sul Sahara parlamentare sorse la fata morgana d’una Piccola Germania, nella quale al Junker parve di scorgere un portafoglio di ministro in grandezza naturale con un fringuello75 sotto il braccio. E poiché i muri della chiesa di S. Paolo avevan le orecchie d'inusata lunghezza, potè lusingarsi che il rumore venuto da Francoforte pei suoi scoppi d'entusiasmo per la dinastia degli Hohenzollern e della propria lealtà di suddito avessero piacevolmente colpito quei di Berlino. Non aveva forse dichiarato in piena chiesa di S. Paolo, il 21 giugno 1848: “Sono mandato qui dai miei elettori per difendere non solo il diritto del popolo, ma anche quello dei principi. Io mi beo tutt’ora della parola del Grande Elettore che chiamò una volta quelli della Marca i suoi sudditi più fidi ed obbedienti. E noi della Marca ne andiamo orgogliosi„. E il Baiardo della Marca passò dalle frasi agli argomenti di fatto in quella famosa battaglia delle tribune a cui deve i suoi speroni da cavaliere (seduta 7-8 agosto 1848). Quando, cioè, il Brentano, in occasione dell’amnistia chiesta per Federico Hecker, fece cadere dalla tribuna un’equivoca allusione ad un principe di casa Hohenzollern, il Vincke fu colto da un vero accesso d’idrofobia sudditesca. Scagliandosi sul signor Brentano dal proprio seggio, cercò di trascinarlo giù dal suo posto colle parole: «Giù, canaglia». Il Brentano però rimase fermo. Più tardi il Junker lo assalì di nuovo, e gli gettò, naturalmente con riserva d’ulteriore matura ponderazione circa possibili difficoltà del terreno giuridico, il guanto di sfida, che il Brentano colse colle parole: “Fuori della chiesa potrà poi dirmi quello che voglia; qui mi lasci subito o le tiro uno schiaffo». Il Junker allora prese il suo turcasso oratorio, e ne scagliò ancora diverse canaglie» verso sinistra sinché il Reichardt gli gridò: “Von Vincke, siete un vero…„ (seduta 8 agosto 1848). La discussione sul conflitto tra il ministero Brandenburg e l’assemblea dei conciliatori di Berlino, il Vincke cercò di sviarla proponendo l’ordine del giorno puro e semplice. “Da quando il Wrangel è entrato vittoriosamente in Berlino, egli diceva, regnava la quiete, i valori erano saliti l’assemblea berlinese non aveva il diritto d’emanare proclami al popolo, ecc.». Non appena i conciliatori furono dispersi, che il cavaliere senza paura e senza rimprovero li assalì tanto più furiosamente. Per una repubblica — urlava nella seduta del 15 dicembre 1848 — ci manca la preparazione politica; questo ce l’hanno dimostrato i rappresentati della passata assemblea berlinese, prendendo delle deliberazioni inspirate da bassa ambizione personale„. Il tumulto che ne nacque lo calmò colie parole: “D’esser pronto a sostenere la propria opinione in via cavalleresca contro chiunque„ ma, aggiungeva il prudente cavaliere, “che non intendeva i membri di questa assemblea, bensì i membri della dismessa assemblea berlinese„.

Così fieramente risonava la sfida del Baiardo della Marca a tutto l’esercito dei dispersi conciliatori. Uno di questi dispersi accolse la sfida, si raccolse e riuscì nell’inaudito evento di portare il Junker dalla Terra rossa proprio vivo sul campo di battaglia presso Eisenach. Lo spargimento di sangue pareva diventato inevitabile, allorché nel momento decisivo il Baiardo fiutò una quisquilia da Dunscoto. Il suo avversario si chiamava Giorgio Jung, e le leggi dell’onore imponevano al cavaliere senza paura e senza rimprovero di combattere il drago, ma in nessun caso un omonimo del cavaliere che aveva combattuto contro il drago stesso. Questa idea fissa il Vincke non se la volle far togliere di testa. Piuttosto — giurava e spergiurava — avrebbe voluto tagliarsi la pancia da sé, come un Damio giapponese, anziché torcere un capello ad un uomo che si chiamava Giorgio ed era inoltre troppo giovane ancora per l’età della mensura. Tanto più spregiudicatamente il forte duellante aggredì nella chiesa di S. Paolo il Temme ed altri individui invisi al governo che se ne stavano nelle carceri di Munster ben chiusi in prigione (seduta 9 dicembre 1848). Se per tal modo non disprezzava il minimo particolare per dare piacevolmente nell’occhio in un altro luogo, il suo zelo di suddito sorpassò se stesso negli sforzi cogli scandali fatti per costituire una piccola Germania e una gran corona prussiana. Il Warwick, creatore di re, era un pigmeo in confronto del Vincke, creatore di imperatori.

Il Baiardo della Marca credeva d’aver accumulato bastanti vendette contro l’ingratitudine del marzo 1848. Allorché il ministero dell’azione cadde, il Vinker spari per un certo tempo dalla chiesa di S. Paolo e si tenne disponibile. Così pure allorché cadde il ministero von Pfuel. Ma giacché la montagna non veniva da Maometto, Maometto risolse d’andar dalla montagna. Eletto in un qualsiasi collegio putrido il cavaliere della Terra rossa spuntò ad un tratto in Berlino, deputato della Camera concessa, pieno del gran desiderio del premio che gli era dovuto per le sue prodezze di Francoforte, Inoltre il cavaliere si sentiva infinitamente bene nello stato d’assedio, che non gli avrebbe vietata nessuna libertà poco parlamentare. I fischi e le grida ironiche, con cui fu accolto dal popolo di Berlino, mentre nel castello aspettava con i deputati imposti il ricevimento nella Sala bianca, li assorbiva a piene orecchie tanto più avidamente in quanto che il Manteuffel aveva delicatamente accennato che, se non altro, per trovare vacante un portafoglio da ministro per un certo merito, in altro luogo si era disposti ad accettare la corona della Piccola Germania dalle mani del creatore d’imperatori di Francoforte. In questa dolce illusione il Vincke cercò di rendersi utile nel frattempo come il dirty boy del gabinetto. Secondo la ricetta della Kreuzzeitung fece il progetto di risposta alla Corona, schiamazzò contro l’amnistia, accettò l’imposta costituzione solo sotto la esplicita riserva che fosse nuovamente riveduta e corretta da una “forte autorità di Stato», insultò i deputati della sinistra inabilitati dall’assedio e così via, aspettando il proprio trionfo.

La catastrofe si avvicinava: la deputazione imperiale di Francoforte era giunta a Berlino, e il 2 aprile (1849) aveva proposto un lealistico emendamento pel progetto imperiale, che il Manteuffel aveva votato in piena innocenza. Subito finita la seduta, il Vincke, con pazzi salti da capra, si precipitò da un rigattiere lì vicino per comperare di propria mano un portafogli di cartone nero con risvolti di velluto rosso e fregi d’oro. Felicissimo e con un sorriso di trionfo da fauno, il cavaliere dalla lieta figura se ne stava la mattina dopo sul suo seggio della Camera centrale, ma: “Mai, mai, mai!„ si senti echeggiare; le labbra del Manteuffel palpitavano piene di ironia, e il Junker senza paura, colle labbra bianche, tremante dall’interna commozione come un’anguilla, gridò tutto sperso agli amici: “Tenetemi, se no succede una disgrazia!». Per tenerlo, la Kreuzzeitung, le cui prescrizioni il Vincke aveva premurosamente seguite da mesi e mesi, e al cui progetto per l’indirizzo alla Camera aveva fatto da padrino, pubblicò il giorno dopo un articolo intitolato «La patria è in pericolo», in cui tra altro si diceva: “Il ministero resta e il re risponde al signor von Vincke e consorti di non preoccuparsi di cose che non li riguardano„. E il canzonato cavaliere sans peur et sans reproche se ne trottò da Berlino a Jckern, con un naso più lungo di quello che non avesse portato il Levy, e quale semplicemente non può applicarsi mai a nessuno fuorché a un — ministro dell’avvenire.

Dopo essersi inacidito per lunghi ed angosciosi anni nella zoologia pratica in Jckern, il Cincinnato della Terra rossa si sveglio una bella mattina a Berlino quale capo ufficiale dell’opposizione nella Camera dei deputati prussiana. Essendogli andata tanto male col parlar di destra a Francoforte, si mise a tenere adesso dei discorsi di sinistra a Berlino. Se rappresentasse l'opposizione della fiducia e la fiducia dell’opposizione non si potè esattamente indagare. Ad ogni modo esagerò nuovamente la propria parte. Ben presto si rese al ministero così indispensabile sui banchi dell’opposizione, che gli fu vietato di lasciarli mai più. E così il Junker della Terra rossa rimase — ministro dell’avvenire.

Sotto queste circostanze il fringuello si stufò della cosa e concluse il suo famoso trattato di Jckern. Il Vogt glielo diede su carta bollata: non appena Plon Plon conquisti la prima isola parlamentare Barataria sul continente tedesco, la popoli di abitanti di Schoppenheimer ed abbia installato il proprio Falstaff a loro reggente, il Vogt nominerà il Baiardo della Westfalia a suo primo ministro, lo infeuderà inoltre dell’alta giurisdizione in tutti i conflitti duellistici, di più lo innalzerà ad architetto generale vero e segreto della viabilità superiore76 , ancora lo eleverà al grado principesco sotto il titolo di Principe dei folli, e finalmente farà incidere sulla latta, che certamente circolerà a guisa di danaro nella reggenza insulare, una coppia di fratelli siamesi, a destra il Vogt come reggente di Plon Plon, a sinistra il Vincke quale ministro di Vogt, e intorno all’ampia figura duplice avvinta la iscrizione, contornata di pampini:

Muso a muso con to
Io sfido il mio secolo in lizza.

XI. Un processo.

Alla fine del gennaio 1860 giunsero a Londra due numeri della Gazzetta Nazionale di Berlino con due articoli di fondo intitolati il primo; “Carlo Vogt e la Allgemeine Zeitung„ (N. 37 Gazzetta Nazionale, e il secondo: “Come si fanno gli opuscoli radicali„ (N. 41 della Gazzetta Nazionale). Sotto questi diversi titoli F, Zabel pubblicava un’edizione, elaborata ad usum delphini, del Libro principale del Vogt. Quest’ultimo giunse a Londra molto più tardi. Subito mi risolai di intentare querela per diffamazione contro F. Zabel in Berlino.

Fino allora mi ero occupato letterariamente delle innumerevoli insolenze contro me accumulate in uno spazio di dieci anni dalla stampa tedesca e tedesco-americana solo per rarissima eccezione, quando si trattava di un interesse di partito, come in occasione del processo comunista di Colonia. Secondo la mia opinione la stampa ha il diritto di offendere scrittori, uomini politici, commedianti ed altri uomini pubblici. Se consideravo l’attacco degno di nota, mi valeva in tali casi il motto:

“A corsaire cor sai re et demi„.

Qui la cosa era diversa: lo Zabel mi accusava di una serie di azioni criminali ed infamanti, e ciò dinanzi ad un pubblico che per pregiudizio di partito era inclinato a credere la massima mostruosità, mentre d'altra parte, per la mia undicenne assenza dalla Germania, non aveva il minimo punto d’appoggio per giudicarmi personalmente. Astrazion fatta da tutti i riguardi politici, dovevo se non altro alla mia famiglia, moglie e figli di sottoporre ad un esame giudiziario le accuse infamanti dello Zabel.

La maniera della mia querela escludeva sin da principio ogni giudiziaria Commedia degli errori, simile al processo del Vogt contro la Allgemeine Zeitung. Anche qualora avessi potuto avere la favolosa intenzione di appellare contro il Vogt al medesimo tribunale dei Fazy, che già nell’interesse del Vogt aveva resa impossibile una istruttoria criminale, c’erano dei punti d’importanza decisiva che non potevano chiarirsi che in Prussia, non a Ginevra; mentre, viceversa, l’unica indicazione dello Zabel, per la quale avessi bisogno di cercare delle prove presso il Vogt, è basata su supposti documenti che lo Zabel poteva esibire con uguale facilità a Berlino come l’amico suo Vogt a Ginevra. Il mio “gravame„ contro lo Zabel conteneva i seguenti punti:

1°. Lo Zabel dice nel N. 37 della Gazzetta Nazionale, 22 gennaio 1860, nell’articolo intitolato: “Carlo Vogt e la Allgemeine Zeitung:

“Il Vogt riferisce a pagina 36 e seguenti: “Sotto il nome di “Banda dello zolfo„, o anche dei “Bürstenheimer„, eran noti fra gli esuli del 1849 parecchi individui che, sparsi dapprima nella Svizzera, in Francia e nell’Inghilterra, si raccolsero a poco a poco in Londra, ivi venerando come loro capo visibile il signor Marx. Il principio politico di questi soci era la “dittatura del proletariato„.

E con questa lustra ingannarono dapprima non solo alcuni dei migliori fra gli esuli, ma anche gli operai che avevano fatto parte del corpo volontario del Willich. Essi continuavano nell’emigrazione l’opera della Gazzetta Renana, che nel 1849 aveva sconsigliato qualsiasi partecipazione al movimento, come costantemente attaccava tutti i membri del Parlamento, perchè il movimento stesso non aveva per contenuto che la costituzione dell’impero. La “Banda dello zolfo„ esercitava tra i propri affiliati una disciplina terribile. Chiunque di essi cercasse di conquistarsi in qualsiasi modo la maniera di tirar avanti borghesemente, era, pei fatto stesso che cercava di rendersi indipendente, di per se stesso un traditore della rivoluzione, il cui rinnovato prorompere si doveva attendere ad ogni istante, e la quale per conseguenza doveva rendere mobili i propri soldati per mandarli in campo. Discordie, risse, duelli venivano provocati tra questa classe di sfaccendati accuratamente mantenuta, mediante dicerie fatte correre, corrispondenze, ecc. L’uno metteva in sospetto l’altro quale spia e reazionario e la diffidenza regnava fra tutti contro tutti. Una delle occupazioni principali di questa “Banda„ si era di compromettere siffattamente delle persone in patria da obbligarle a pagare dei danari acciocché la “Banda„ mantenesse il segreto senza compromissioni. Non una, ma centinaia di lettere furono mandate in Germania, dichiaranti che si sarebbe denunciata la partecipazione a questo o a quell'atto della rivoluzione se nella tale epoca non giungesse a un indirizzo indicato una determinata somma. Secondo il principio: “Chi non è con noi incondizionatamente è contro di noi chiunque sì opponesse a queste mene veniva rovinato non solo tra gli esuli, ma mediante la stampa. I “proletari„ empivano le colonne della stampa reazionaria in Germania con le denunce contro quei democratici che loro non prestavano ossequio, facendosi gli alleati della polizia segreta di Francia e di Germania. Per meglio caratterizzare tutto ciò, il Vogt comunica tra altro una lunga lettera dell’ex-tenente Techow, in data 26 agosto 1850, in cui vengono descritti i principi, i maneggi, le inimicizie, le leghe segrete in lotta fra loro dei “proletari„, e in cui si vede il Marx che, nel napoleonico orgoglio della sua superiorità intellettuale, mena lo scudiscio nella “Banda dello zolfo„.

Per l’intelligenza di quanto segue osserviamo subito che lo Zabel, il quale nel brano qui ristampato fa, a quel che dice, “riferire„ il Vogt, procede poi in nome proprio ad ulteriori illustrazioni della “Banda dello zolfo„, citando il processo Cherval a Parigi, il processo dei comunisti a Colonia, lo scritto pubblicato da me in proposito, la Dieta rivoluzionaria di Murten, del Liebknecht, e la sua relazione da me ottenuta mediante la Allgemeine Zeitung, l'Ohly, “anch’egli un canale della “Banda dello zolfo„, e finalmente la lettera dei Biscamp alla Allgemeine Zeitung in data 20 ottobre 1859, conchiudendo poi con le parole: “Otto giorni dopo il Biscamp, anche il Marx scrisse alla Allgemeine Zeitung offrendo un documento giudiziario in prova contro il Vogt, del quale forse parleremo una prossima volta. Sono questi i corrispondenti della Allgemeine Zeitung.

Di tutto questo articolo di fondo numero uno non feci oggetto di querela che il passo ristampato a 1°, e precisamente questi periodi: “Una delle occupazioni principali di questa “Banda„ si era di compromettere siffattamente delle persone in patria, da obbligarle di pagare dei danari acciocché la “Banda„ mantenesse il segreto senza compromissioni. Non una, ma centinaia di lettere furono mandate in Germania, dichiarando che si sarebbe denunciato la partecipazione a questo o quell’atto della rivoluzione se nella tale epoca non giungesse a un indirizzo indicato una data somma„.

Qui naturalmente richiesi allo Zabel la prova della verità della sua asserzione. Nella prima informazione pel mio avvocato, il signor consigliere di giustizia Weber in Berlino, scrivevo di non esigere “centinaia di lettere minatorie„, anzi neppur una, ma una singola riga nella quale uno qualunque dei miei notori compagni di partito si fosse reso colpevole dell’infamia denunciata. Il Zabel non aveva che da rivolgersi al Vogt, che a volta di corriere poteva a dozzine mandargli le “lettere minatorie„. E se il Vogt per caso non fosse stato in grado di citare un'unica riga delle centinaia di “lettere minatorie„, poteva ad ogni modo nominare più centinaia di “persone in patria„ che erano state ricattate in quella maniera. Giacché questa gente si trovava in Germania era ad ogni modo più accessibile ad un tribunale di Berlino che non.ad un tribunale di Ginevra.

La mia querela contro l'articolo n. 1 dello Zabel si limitava quindi ad un punto solo, la compromissione politica di persone in Germania per estorcere loro dei quattrini. Per confutare contemporaneamente i rimanenti dati del suo articolo numero uno, allogavo una serie di fatti. Qui non chiedevo la prova della verità, ma davo io quella del falso.

Circa la “Banda dello zolfo„ o anche “Bürstenheimer„ la lettera di Giovanni Filippo Becker chiarisce bastantemente le cose. Per quel che riguardava il carattere della Lega dei comunisti e il genere della mia partecipazione alla medesima, potevasi, tra altri, citare come teste in Berlino, per esser quivi udito sotto giuramento durante il dibattimento, H. Buergers di Colonia, uno dei condannati nel processo dei comunisti in Colonia. Federico Engels aveva inoltre trovato tra le sue carte una lettera in data novembre 1852, autenticata dai bolli postali di Londra e di Manchester, nella quale gli comunicavo lo scioglimento della Lega avvenuto su mia proposta, nonché i motivi fatti valere nella deliberazione per detto scioglimento: che cioè dopo l’arresto degli accusati di Colonia ogni rapporto coi continente era stato interrotto, e che in genere una simile società di propaganda non era più conforme ai tempi. Quanto alla sfacciata denuncia dello Zabel sulle mie relazioni “colla polizia segreta in Germania e in Francia doveva venir dimostrata in parte dal processo dei comunisti in Colonia, in parte dal processo Cherval a Parigi. Su quest’ultimo ci tornerò ancora. Quanto al primo, mandai al mio difensore le mie Rivelazioni sul processo dei comunisti in Colonia, uscite nel 1853, facendogli osservare come il signor avvocato Schneider II poteva venire citato da Colonia a Berlino per venir sentito sotto il vincolo del giuramento circa la mia partecipazione nella scoperta delle infamie poliziesche. All’affermazione dello Zabel, che io ed i miei partigiani avevamo “empite le colonne della stampa reazionaria in Germania con denunce contro quei democratici che non ci avessero prestato ossequio„, opposi il fatto che mai. nè direttamente nè indirettamente, corrisposi dall’estero in giornali tedeschi coll’unica eccezione della Nuova Gazzetta dell’Oder; e che i miei articoli stampati in quel foglio, e, caso occorrendo, la deposizione testimoniale d’uno dei suoi redattori, il dottor Elsner, dimostrerebbero che non mi parve mai valesse la pena di menzionare solamente il nome di un qualsiasi “democratico Quanto alla corrispondenza del Liebknecht nella Allgemeine Zeitung, essa cominciò nella primavera del 1855, tre anni dopo lo scioglimento della Lega, e, si noti, senza ch’io ne sapessi nulla; ed inoltre, come dimostrano le raccolte della Allgemeine Zeitung, conteneva dei rapporti sulla polìtica inglese consoni al suo punto di vista del partito, ma non una sola parola sui “democratici„. Se durante la mia assenza da Londra il Liebknecht mandò alla Allgemeine Zeitung un opuscolo apparso contro il “democratico„ Vogt, ne aveva pieno diritto, sapendo che l’opuscolo aveva per editore un democratico che lo stesso “democratico„ Vogt aveva richiesto di collaborazione alla sua propaganda democratica, riconoscendolo quindi un “democratico„ suo pari. La burla poi dello Zabel di nominare me stesso come corrispondente della Allgemeine Zeitung, veniva vittoriosamente confutata da una lettera che il signor Orges (Appendice 10a) mi scriveva qualche giorno prima del principio del processo di Augusta, e nella quale cerca di combattere, tra le altre cose, i miei presunti pregiudizi “liberali„ contro la Allgemeine Zeitung. Da ultimo cadeva di per sé stessa la bugia dello Zabel che, “otto giorni dopo il Biscamp, anche il Marx scriveva alla Allgemeine Zeitung giacché la lettera del Biscamp è datata del 20 ottobre 1859, e le poche righe d’accompagnamento, con cui io inviavo al signor Orges il richiesto documento, erano presentate il 24 ottobre 1859 dinanzi al tribunale distrettuale di Augusta, nè quindi potevano essere scritte in Londra il 29 ottobre 1859.

Di fronte al tribunale parve conveniente di unire al citato materiale di prova alcuni pochi documenti, che fanno ricadere sujl calunniatore la luce grottescamente infame che il “democratico„ Zabel cerca di far cadere sulla mia posizione fra gli emigrati e le mie “mene„ all’estero.

Io vissi dapprima a Parigi, dalla fine del 1843 fino al principio del 1845, allorché il Guizot mi fece sfrattare. Per caratterizzare la mia posizione nel partito rivoluzionario francese durante il mio soggiorno a Parigi, mandai al mio difensore una lettera del Flocon, che, in nome del governo provvisorio del 1848, annullava il decreto di sfratto del Guizot e m’invitava al ritorno dal Belgio in Francia (Allegato N. 14). A Bruxelles vissi dal principio del 1845 sino alla fine del febbraio 1848, nella quale epoca il Rogier mi fece sfrattare dal Belgio. Il Municipio di Bruxelles depose più tardi il commissario di polizia che, in occasione di quello sfratto, aveva arrestato mia moglie e me. A Bruxelles esisteva una società internazionale democratica, il cui presidente era il venerando generale Mellinet, il salvatore d’Anversa contro gli Olandesi. Era presidente l’avvocato Jottrand, già membro del governo provvisorio belga; vicepresidente dei Polacchi il Lelewei, già membro del governo provvisorio polacco; vicepresidente pei Francesi l’Imbert, governatore delle Tuilieries dopo la rivoluzione di febbraio 1848, ed a vicepresidente pei Tedeschi funzionavo io, eletto da un pubblico comizio formato dai membri della Società operaia tedesca e da tutta l’emigrazione tedesca in Bruxelles. Una lettera del Jottrand direttami nell’epoca della formazione della Nuova Gazzetta renana (il Jottrand appartiene alla cosiddetta scuola americana dei repubblicani, ossia a un indirizzo a me estraneo) ed un paio di righe, del resto indifferenti, del mio amico Lelewei, mostrano bastantemente la mia posizione nel partito democratico di Bruxelles. Le unii quindi ai documenti di difesa (Allegato 14).

Dopo essere stato scacciato nella primavera dei 1849 dalla Prussia e nell’estate inoltrata dello stesso anno dalla Francia, mi recai a Londra, dove dopo lo scioglimento della Lega (1852) e dopo che la maggior parte dei miei amici hanno lasciato Londra, vivo lontano da tutte le società pubbliche e segrete, anzi da qualsiasi società, ma bensì di tempo in tempo, con buona pace del “democratico„ Zabel, faccio a un circolo scelto di operai delle conferenze gratis sull’economia politica, L’Associazione tedesca per la coltura dell’operaio in Londra, da cui ero uscito fin dal 15 marzo 1850, celebrava il 6 febbraio 1860 il ventesimo anniversario della sua fondazione, festa alla quale volle invitarmi e prendere parte l’unanime deliberazione di stigmatizzare come calunnia la denunzia del Vogt ch’io avessi sfruttato gli operai tedeschi in genere e quelli di Londra in ispecie. Il presidente in carica della Società operaia, signor Müller, fece autenticare questa deliberazione dinanzi al tribunale di polizia di Bow Street, il 1° marzo 1860. Insieme a questo documento inviai al mio avvocato una lettera dell’avvocato inglese e capo del partito cartista Ernest Jones (Allegato 14), nella quale esprime il suo sdegno per gli “infamous articles„ della Gazzetta Nazionale (Nationalzeitung) (Ernest Jones, nato ed allevato a Berlino, conosce il tedesco meglio dello Zabel) rammentando tra le altre cose la mia collaborazione gratuita per molti anni agli organi londinesi del partito cartista. Forse posso qui ricordare che, allorché alla fine del 1853 si riunì in Manchester un parlamento degli operai inglesi, solo Luigi Blanc ed io ottenemmo, tra i membri dell’emigrazione londinese, l'invito di parteciparvi quali membri d’onore.

Finalmente, giacché il Vogt mi fa “vivere del sudore degli operai„ dai quali non ottenni nè chiesi mai un centesimo, e il “democratico„ Zabel mi “fa talmente compromettere delle persone in patria„ da obbligarle a versar dei danari acciocché la “Banda„ mantenesse il segreto senza compromissioni„ pregai il signor Charles A. Dana, managing editor della New York Tribune, il primo foglio anglo-americano, che conta duecentomila abbonati e quindi è diffuso quasi quanto il Commis voyageur di Biel, e L’Organo della democrazia dello Zabel di rilasciarmi una dichiarazione scritta circa alla mia ormai decenne e rimunerata collaborazione alla Tribune, alla Cyclopaedia Americana, ecc. La sua lettera per me lusinghiera (Vedi Allegato 14) fu l’ultimo documento che credetti dover inviare al mio avvocato per ripararmi dalle palle di cattivo odore numero uno dei Vogt-Zabel.

2°. Nell’articolo di fondo numero due dello Zabel “Come si fanno degli opuscoli radicali„ (N. 41 della Gazzetta Nazionale 25 gennaio 1860) è detto:

“Da dove venisse il danaro per questo foglio largamente distribuito (cioè, il Popolo) lo sanno gli Dei; che il Marx e il Biscamp non hanno danaro superfluo lo sanno gli uomini„.

Considerata isolatamente, questa frase può passare per un’ingenua esclamazione di meraviglia, come se io, per esempio, dicessi: “Come un certo fabbricatore di grasso, che avevo conosciuto durante i miei studi in Berlino quale stenterello intellettualmente e materialmente mi-serabile — era proprietario di un istituto per l’asilo di bambini piccoli, e le sue produzioni letterarie prima della rivoluzione del 1848 si limitavano ad alcune clandestine collaborazioni in un fogliolino letterario egualmente clandestino — come il suddetto stenterello fabbricatore di grasso abbia fatto a diventare redattore capo della Gazzetta Nazionale, suo azionista e “democratico dal danaro superfluo„ lo sapranno gli Dei. Gli uomini che conoscono un certo romanzo del Balzac ed hanno studiato il periodo Manteuffel possono supporlo„.

Ma l’osservazione dello Zabel aveva un altro e maligno significato per il latto che prosegue le sue indicazioni sulle mie relazioni colla polizia segreta in Francia ed in Germania, nonché sulle mie lettere di ricatto poliziesche e cospiratorie, e si riferisce direttamente alla “fabbricazione in massa di biglietti falsi„ da menzionare al numero tre. Evidentemente si voleva accennare ch’io avevo procurato in modo disonorevole dei sussidi di danaro al Popolo.

Per la confutazione giudiziale dello Zabel serviva un affidavit del 8 marzo 1860, secondo il quale tutto il danaro da me trasmesso a Popolo, con eccezione di una parte aliquota pagata da me medesimo fluiva non, come ritiene il Vogt, “d’oltre Manica bensì da Manchester, e precisamente dalle tasche dei miei amici (Vedi la Campagna d’Augusta).

3°. Per “caratterizzare la tattica del partito dei proletari„ sotto il Marx, F. Zabel racconta, tra le altre cose, nell’articolo di fondo numero due:

“A questo modo fu iniziata nel 1852 una congiura delle più vergognose, con fabbricazione in massa di biglietti falsi (Vedi i particolari nel Vogt) contro le associazioni operaie svizzere„ ecc.

Così lo Zabel rimaneggia le indicazioni del Vogt sull’avventura dello Cherval, rappresentandomi come l’autore morale e il partecipe criminale di “fabbricazione in massa di biglietti falsi„. Il mio materiale di prova per la confutazione di questo dato del “democratico„ Zabel, si estende per tutto il periodo dell’entrata dello Cherval nella Lega dei comunisti sino alla sua fuga da Ginevra nel 1854. Un affidavit rilasciato il 1° marzo 1860 da Carlo Schapper dinanzi al tribunale di polizia di Bow Street, dimostra come l’entrata dello Cherval nella Lega a Londra avvenisse prima dell’entrata mia nella Lega medesima; che da Parigi, dove soggiornò dall’estate 1850 alla primavera 1852, si mise in corrispondenza non con me, ma bensì con la controlega a me nemica sotto lo Schapper e il Willich; che dopo la sua fuga apparente dalle prigioni di Sainte Peìagie e il suo ritorno in Londra (primavera 1852) entrò nella pubblica Associazione tedesca per la coltura dell’operaio ivi, a cui dal settembre 1850 io più non appartengo, finché finalmente fu nella medesima squalificato, dichiarato infame ed espulso. Inoltre l’avv. Schneider 2° in Colonia poteva venir udito testimo-nialmente a deporre che le rivelazioni fatte durante il processo comunistico di Colonia sullo Cherval, sui suoi rapporti colla polizia privata in Londra, ecc., partivano da me. Le mie rivelazioni, pubblicate nel 1853, dimostravano che, finito il processo, io l'avevo pubblicamente denunciato. Finalmente la lettera di Gian Filippo Becker dava degli schiarimenti sul periodo ginevrino dello Cherval.

4°. Dopo che il democratico F. Zabel ebbe commentato, nell’articolo di fondo numero 2, l’opuscolo Per avviso, diretto contro il Vogt con logica tutt’affatto da Duns Scoto, e messo in sospetto il più che fosse possibile il certificato del Vögele relativo all'origine di esso, da me inviato all’Allgemeine Zeitung, concludeva come segue:

“Egli (il Blind) evidentemente non è membro del più rigoroso partito dei Marx. A noi sembra che per quest’ ultimo non fu troppo difficile farne il capro espiatorio, e se l'accusa contro il Vogt doveva aver peso, doveva necessariamente essere ricondotta ad una determinata persona, che doveva risponderne. Il partito Marx poteva quindi molto facilmente appioppare al Blind la paternità dell’opuscolo, appunto perchè dopo che costui, nel colloquio col Marx e nell’articolo della Free Press si era espresso in senso analogo; adoperando queste dichiarazioni e frasi del Blind, si poteva fabbricare l’opuscolo in modo che paresse fattura sua… Adesso chiunque può a piacere ritenere per autore il Marx o il Blind„, ecc.

Qui lo Zabel mi accusa di avere fabbricato a nome del Blind un documento, l’opuscolo Per avviso, e d’averlo poi rappresentato, mediante una falsa attestazione da me inviata all’Allgemeine Zeitung, come autore dell’opuscolo da me fabbricato. La confutazione giudiziaria di questi dati del “democratico„ Zabel era altrettanto semplice quanto schiacciante. Consisteva nella già citata lettera del Blind al Liebknecht, nell’articolo del Blind sulla Free Presse, nei due affidavit del Wiehe e del Vögele (allegati 12 e 13) e nella dichiarazione stampata di M. I). Schaible.

Il Vogt che, com’è noto, schernisce nei suoi Studi il governo bavarese, intentò alla fine dell’agosto 1859 querela contro la Allgemeine Zeitung. Già nel settembre seguente la Allgemeine Zeitung dovette chiedere un rinvio del pubblico dibattito giudiziario, e nonostante l’accordo di tale rinvio il dibattito ebbe veramente luogo il 24 ottobre 1859. Se questo accadeva nello Stato oscurantista della Baviera, che cosa non c’era da aspettarsi dall’illuminato Stato della Prussia, senza contare che, come dice lo stesso proverbio, “In Berlino c’è dei giudici„.

Il mio avvocato, signor consigliere di giustizia Weber, formulò così la mia querela:

“Il redattore della Gazzetta Nazionale, dottor Zabel mi ha ripetutamente e pubblicamente calunniato negli articoli di fondo dei numeri 37 e 41 del corrente anno di detto giornale, accusandomi in special modo: Io, d’aver guadagnato e di guadagnare del danaro in modo disonorevole e criminoso; 2°, d’aver fabbricato l’opuscolo anonimo Per avviso, spacciandone di fronte alla Allgemeine Zeitung, contrariamente a miglior scienza, come autore un certo Blind non solo, ma avendo tentato di dimostrarlo mediante un documento del cui falso contenuto dovevo essere persuaso„.

Il signor consigliere di giustizia Weber scelse dapprima la procedura (l’istruttoria, cioè denunziò le diffamazioni dello Zabel al procuratore del re perchè d’ufficio si procedesse contro il Zabel medesimo. Il 18 aprile 1860 ebbe luogo il seguente “provvedimento„.

Si restituisce il documento al signor dottor Carlo Marx a mani del signor consigliere di giustizia Weber, coll’osservazione non sussistere un interesse generale che mi dia occasione d'intervenire (art. XII della legge introduttiva al codice penale 14 aprile 1851). Berlino, 18 aprile.

“Il procuratore del re presso il regio Tribunale di città
Firmato: Lippe„.

Il mio difensore appellò presso la Procura generale ed ottenne il 26 aprile 1860 un secondo “provvedimento„ del seguente tenore:

“Al regio consigliere di giustizia signor Weber, qui, quale mandatario del signor dottor Carlo Marx in Londra. Le restituisco i documenti presentati con la querela del 20 aprile corrente relativa alla denunzia contro il dottor Zabel, coll’osservazione che veramente l’unica considerazione per cui la Procura del re, in base al potere discrezionale conferitogli dall'articolo 16 dalla legge introduttiva al codice penale, potrebbe farsi guidare, è la questione, se la prosecuzione in giudizio sia determinata da qualche riconoscibile interesse pubblico. A questa quistione debbo, nel caso concreto, concordemente col procuratore del re, rispondere negativamente e respingo la sua querela.

Berlino, 20 aprile 1860.

“il procuratore generale del re presso il regio Tribunale camerale
“Firmato: SCHWARCK„.

Queste due risposte negative del procuratore Lippe e dei procuratore generale Schwarck le trovai pienamente giustificate. In tutti gli Stati del mondo, e quindi probabilmente anche nello Stato prussiano, s’intende sotto l’interesse pubblico l’interesse del governo. “Un qualsiasi riconoscibile interesse pubblico di perseguire il “democratico„ Zabel per diffamazione contro la mia persona non c'era nè poteva esserci da parte del governo prussiano. L’interesse era anzi tutto l'opposto. Inoltre il procuratore del re non ha veste per giudicare come il giudice; egli deve, anche contro la propria convinzione od opinione, seguire ciecamente le istruzioni del suo superiore, che in ultima istanza è il ministro di grazia e giustizia. In via di fatto quindi concordo perfettamente colle ordinanze dei signori Lippe e Schwarck, sebbene mi rimanga uno scrupolo giuridico circa il richiamo del Lippe all’art. 12 della legge introduttiva al codice penale del 14 aprile 1851. Il procuratore del re non è obbligato da nessuna prescrizione del codice prussiano all’indicazione dei motivi per cui non fa uso della propria facoltà d’intervenire. Anche l'art. 12 citato dal Lippe non contiene una sillaba per questo riguardo. Perchè dunque citarlo?

Il mio difensore scelse allora la procedura delle cause civili, ed io respirai. Se il governo prussiano non aveva nessun interesse pubblico per perseguire F. Zabel, avevo io il tanto più vivo interesse privato della difesa personale. Questa volta agii in nome proprio. Mi era indifferente come riuscisse la sentenza, purché riuscisse a me di portare F. Zabel sui banchi di un pubblico Tribunale. Ora s’immagini la mia meraviglia. Non si trattava, come seppi, ancora dell’introduzione giudiziaria della mia querela, sebbene dello studio giuridico della questione, se avevo il diritto di querelare F. Zabel.

Con mio spavento venni a sapere che, secondo l’ordinamento giudiziario prussiano, chiunque presenti una querela deve, prima che il giudice inizi tale querela, ossia prepari le cose per la vera sentenza, sottoporre il suo caso al giudice medesimo in modo che questi chiarisca se veramente sussista il diritto di querela. Durante questo esame preliminare degli atti, il giudice ha facoltà di chiedere nuovi mezzi di prova o di eliminare una parte di quelli già ammessi, o di trovare che in genere non sussiste diritto di querela. Se gli piace di riconoscere all’accusato (sic) il diritto di querela, il giudice inizia la querela medesima; comincia il contraddittorio, e la cosa viene decisa mediante sentenza. Se invece il giudice nega il diritto di querela, rimanda semplicemente il querelante per decretum. Tale procedura è propria non solo al processo per ingiuria, ma a qualsiasi causa civile in genere. Una querela per ingiuria, come qualsiasi altra causa civile, può quindi venire denegata in tutte le istanze mediante simile disposizione d’ufficio, e quindi non venir mai risolta.

Si concederà che una legislazione che non riconosce il diritto di querela del privato nelle sue proprie faccende private, disconosce ancora più elementari principi della società borghese. Da un diritto sottinteso del privato indipendente, il diritto di querela si trasforma in un privilegio conferito dallo Stato, per mezzo dei suoi impiegati giudiziari. In ogni singola quistione di diritto, lo Stato s’interpone tra il privato e la porta del tribunale che è sua proprietà privata, e che a beneplacito apre o chiude. Prima il giudice dispone in qualità d’impiegato, per poi decidere in qualità di giudice. Il medesimo giudice, che, prima, senza audizione dell’accusato, senza contraddittorio pregiudica, se esiste, un diritto di querela; che magari si mette dalla parte del querelante, e quindi decide in un certo grado per il diritto di querela, quindi in un certo grado contro l’accusato; il medesimo giudice deve poi più tardi, durante il vero dibattito giudiziario, giudicare imparzialmente tra querelante e convenuto, quindi giudicare del proprio pregiudizio. B dà uno schiaffo ad A. A non può querelare lo schiaffeggiatore prima d’averne umilmente otte-nuto licenza dall’impiegato giudiziario. A denega un fondo a B. B ha bisogno d’tina concessione preliminare perchè giudiziariamente gli si conceda un’indennità pei suoi diritti di proprietà. Potrà ottenerla o potrà non ottenerla. B calunnia A nella pubblica stampa ed in segreto: forse un impiegato giudiziario “disporrà„ che A non può perseguire B. Si comprende quali mostruosità una simile procedura può produrre già nello stesso processo civile. Figuriamoci poi quando si tratta di calunnie tra partiti politici mediante l’organo della stampa! In tutti i paesi, persino in Prussia, i giudici sono notoriamente uomini come tutti gli altri. 0 che il vicepresidente del regio tribunale superiore prussiano, signor dottor Goetze, non ha dichiarato, del Senato prussiano, che la giurisprudenza prussiana era stata messa in imbarazzo per la confusione degli anni 1848-49 e 50, e che aveva avuto bisogno di un po’ di tempo per orientarsi. Chi assicura al dottor Goetze che non si è ingannato nel calcolo del tempo necessario per l’orientamento? Che in Prussia il diritto di querela, contro, per esempio, un diffamatore, dipenda dal “provvedimento„ preliminare di un impiegato, che il governo per di più può (Vedi provvedimento preliminare del 10 luglio 1849 e legge disciplinare del 7 maggio 1851) punire per cosiddetta “mancanza del dovere in ufficio„ con rimproveri, multe, trasloco involontario e perfino radiazione disonorevole dal servizio della giustizia — come ho da fare per render tutto ciò, non dico chiaro, ma credibile agli inglesi?

Perchè io intendo di pubblicare un opuscolo inglese sul mio caso contro F. Zabel. E Edmondo About, allorché scriveva La Prusse en 1860, che cosa non avrebbe dato per la notizia che nell’intero ambito della monarchia prussiana il diritto di querela non esiste in alcun luogo, salvo che nella Provincia Renana “benedetta„ dal codice Napoleone! Gli uomini debbono ovunque soffrire sotto i tribunali, ma solo in pochi paesi è a loro vietato di querelarsi.

Date queste circostanze, è chiaro che il mio processo contro lo Zabel dinanzi al tribunale prussiano doveva per via mutarsi nel mio processo riguardo a Zabel con i tribunali prussiani. Dalla bellezza teorica della legislazione si volga ora uno sguardo alle attrattive pratiche della sua applicazione.

L’8 giugno 1860 il regio tribunale civico di Berlino rilasciò la seguente ordinanza:

“Ordinanza circa la querela per ingiuria del 5 giugno 1860, Marx contro Zabel. M. 38 de 1860. 1°. La querela si respinge per mancanza di dati di fatto, perchè i due articoli di fondo incriminati della locale Gazzetta Nazionale non hanno per materia di discorso che la condotta politica della Allgemeine Zeitung di Augusta e la storia dell’opuscolo anonimo Per avviso, e perchè le espressioni ed affermazioni ivi contenute, in quanto sono fatte dall’autore medesimo e non consistono in semplici citazioni da altre persone, non oltrepassano i limiti di una legittima critica, e quindi, secondo il disposto del paragrafo 154 del codice penale — non emergendo nemmeno Vanimus injuriantìi, nè dalla forma usata in queste espressioni, nè dalle circostanze sotto le quali seguirono — non possono essere giudicate punibili.

“Berlino, 8 giugno 1860. Regio tribunale civico, sezione penale, Commissione prima per le cause d’ingiurie (L. S.)„.

Dunque il tribunale civico di Berlino mi vieta di querelare F, Zabel, e solleva lo Zabel del fastidio di render conto delle sue pubbliche diffamazioni! E perchè? “Per mancanza di dati di fatto„. La Procura del re si rifiutò di procedere per conto mio contro lo Zabel, non sussistendo niun riconoscibile interesse pubblico. Il tribunale civico mi vieta di procedere in persona propria contro lo Zabel, per mancanza di dati di fatto. E perchè non ci sono dei dati di fatto?

1°. “Perchè i due articoli di fondo della Gazzetta Nazionale (National Zeitung) riguardano unicamente l’attitudine politica della Allgemeine Zeitung„.

Perchè lo Zabel intanto, mentendo, mi trasforma in un corrispondente della Allgemeine Zeitung, lo Zabel ha il diritto di far di me il capro espiatorio della sua briga di concorrenza colla Allgemeine Zeitung, ed io non ho nemmeno il diritto di lamentarmi di questa “disposizione„ del potente Zabel! “Banda dello zolfo„ Bürstenheimer, complotto franco-tedesco, giornata rivoluzionaria di Murten, processo dei Comunisti di Colonia, biglietti falsi fabbricati a Ginevra, “opera della Gazzetta Renana„ ecc., ecc. — tutto questo riguarda “unicamente l’attitudine politica della Allgemeine Zeitung„.

2°. F. Zabel “non aveva l’intenzione di offendere„. — No, perdio! Il buon diavolo non aveva che l’intenzione di ammazzarmi a forza di bugie, politicamente e moralmente.

Se il “democratico„ F. Zabel afferma nella Gazzetta Nazionale che ho falsificato del danaro in massa, falsificato dei documenti in nome di terze persone, compromesso politicamente delle gente in patria per estorcer loro dei quattrini sotto la minaccia di denunce, ecc., lo Zabel, giuridicamente parlando, non può con queste indicazioni avere che uno di questi due fini: di calunniarmi e di denunziarmi. Nel primo caso lo Zabel è giudizialmente punibile, nel secondo deve giudizialmente fornire la prova della verità. Che me ne importa delle altre intenzioni private del “democratico„ F. Zabel?

Lo Zabel calunnia, ma senza “l’intenzione di offendere„; mi taglia l’onore, come quel turco tagliava la testa del greco senza l’intenzione di far del male.

La specifica intenzione dello Zabel di “offendere„ — se colle infamie che il “democratico„ F. Zabel inventa a mio riguardo, può ancor esser quistione di offendere e intenzione di offèndere — la perfida intenzione del buon Zabel emana da tutti i pori dei suoi articoli di fondo, numero uno e numero due.

Il Libro principale del Vogt, compresi gli allegati, conta non meno di 278 pagine. F. Zabel, abituato “to draw out the thread of his verbosity finer than the staple of his argument„ (1) , F. Zabel dalla larga traccia, Dunce (2) Zabel, riesce a riassumere queste 278 pagine in circa cinque piccole colonne da giornale, senza che vada perduta una singola calunnia del Vogt contro me e il mio partito. Delle parti più sporche F. Zabel ne dà una cernita, delle meno impressionanti un'indicazione di contenuto. F. Zabel abituato a tirar fuori 278 pagine da due molecole di pensiero condensa 278 pagine in due articoli di fondo, senza che in questo lavoro gli sfugga un singolo atomo di volgarità. Ira facit poetam. Come intensa dunque dovette essere la malignità che potè quasi per incantesimo trasformare l’idrocefalo dello Zabel in un torchio idraulico di tale forza di compressione!

D’altra parte la malignità lo accieca talmente che aggiunge con potenza magica, veramente magica, pur di potere insinuare una volgarità di più.

Dopo aver cominciato il primo articolo di fondo colla descrizione della “Banda dello zolfo„ sotto il mio comando, e aver felicemente fatto di me e dei miei partigiani gli “alleati della polizia segreta in Francia e in Germania„, dopo avere tra le altre cose narrato che “questa gente„ odiava il Vogt perchè di fronte ad essi salvava costantemente la Svizzera, prosegue:

“Allorché dunque il Vogt ebbe l’anno scorso sporto querela contro la Allgemeine Zeitung, si annunziò presso di questa, epistolarmente, un altro compagno di Londra, il Biscamp… Nel modo più sfacciato lo scrivente offre in questa lettera la sua… penna come secondo corrispondente accanto al signor Liebknecht. Otto giorni dopo il Biscamp, anche il Marx scrisse alla Allgemeine Zeitung offrendo “il documento giuridico„ come prova contro il Vogt, del quale (documento, prova o Vogt?) parleremo forse un’altra volta„.

Quest’ultima promessa lo Zabel la fa il 22 gennaio, e la mantiene già il 25 gennaio nel N. 41 della Gazzetta Nazionale, dove è detto:

“Il Blind dunque non vuol essere l’autore dell’opuscolo; come tale viene… per la prima volta designato nella lettera del Biscamp alla Allgemeine Zeitung del 24 ottobre… E per sostenere ulteriormente la paternità del Blind, il Marx scrive il 29 ottobre alla Allgemeine Zeitung„.

Dunque non una sola volta, ma due, prima il 22 gennaio e poi di nuovo il 25 gennàio, dopo avere avuto tre giorni per ripensarci, F. Zabel mi ha attribuito la magica potenza di scrivere iti Londra il 29 ottobre 1859 una lettera che si trova già al tribunale distrettuale di Augusta il 24 ottobre 1859, ed entrambe le volte mi attribuisce questa potenza magica per ristabilire una relazione tra il documento da me inviato alla Allgemeine Zeitung e la lettera del Biseamp, che a lui dà scandalo, alla Allgemeine Zeitung, per fare, cioè, apparire la mia lettera come pedissequa di quella del Biseamp, e non era malignità, raffinata malignità, che faceva questo F. Zabel così stupido fino alla superstizione, molto più stupido della sua misura normale?

Ma continua, argomentando in favore il tribunale civico, l’articolo, di fondo numero due dello Zabel non prende per argomento del discorso che la storia dell’opuscolo anonimo Per avviso, Per argomento? Si dovrebbe dire: per pretesto.

Gli Eisele-Beisele, questa volta nascosti sotto il nome degli amici della patria, pare avessero nel novembre 1859 inviato all’Associazione Nazionale una “Lettera aperta„, che fu ristampata nella Nuova gazzetta dell’Annover (Neue Hannoversche Zeitung). La lettera aperta offese la misura della democrazia Zabel, che tiene in equilibrio il proprio coraggio di leone contro la dinastia degli Asburgo mediante la propria servilità di fronte alla dinastia degli Hohenzollern. La Nuova gazzetta prussiana (Neue Preussische Zeitung) tolse occasione dalla lettera aperta per la scoperta ad ogni modo non originale, che, se la democrazia comincia, non finisce necessariamente in F. Zabel e il suo organo della democrazia. Lo Zabel montò su tutte le furie e scrissè Particelo di fondo numero due: “Come si fanno degli opuscoli radicali„. “Mentre — dice il ponderato Zabel — invitiamo la Kreuzzeitung ad esaminare la storia dell’opuscolo (Per avviso) seguendo i documenti e le illustrazioni comunicati dal Vogt, speriamo nella sua finale confessione che avevamo pur ragione dicendo otto settimane fa che la lettera aperta all’Associazione nazionale sia cosa sua, non nostra, stata fabbricata per le sue colonne, non per le nostre„. “Il “democratico„ Zabel, iniziato radicaliter nei segreti del radicalismo dal Vogt, vuole quindi da parte sua insegnare alla Kreuzzeitung il segreto “come si fabbricano degli opuscoli radicali„, o, come si esprime il tribunale civico, fare semplicemente la storia dell’opuscolo Per avviso, argomento del proprio discorso„. E come fa lo Zabel?

Comincia colla “tattica del partito proletario sotto Marx„. Racconta come “i proletari sotto il Marx„ tengano nascostamente da Londra, ma in nome d’una associazione operaia, corrispondenza con società operaie straniere “la cui compromissione hanno per scopo ponendo in opera degl’intrighi, l’organizzazione della lega segreta, ecc., facendo finalmente redigere degli “scritti„ che “attirano alle associazioni la cui compromissione sia possibile… gl’inevitabili reclami della polizia„. Per quindi istruire la Kreuzzeitung “come si facciano degli opuscoli radicali„, lo Zabel insegna dapprima come “il partito proletario sotto il Marx„ fabbrichi delle corrispondenze di polizia e degli scritti “che non sono opuscoli„. Per narrare, inoltre, come si fanno gli opuscoli radicali, racconta ancora come “i proletari sotto il Marx fabbricavano in massa, nel 1852, a Ginevra, dei biglietti falsi„, che di nuovo non sono opuscoli radicali. Per raccontare come si fanno degli opuscoli radicali, riferisce come i proletari sotto Marx facessero alla festp centrale di Losanna del 1859 delle “manovre„ ostili alla Svizzera e tali da compromettere Punione, il che neanche riflette opuscoli radicali; come il Biscamp e il Marx facessero, con delle fonti pecuniarie note solamente agli Dei, il Popolo, che manco non è un opuscolo radicale, ma un periodico settimanale; e dopo tutto questo mette una buona parola per Pimmacolata purezza dell'ufficio d'arruolamento del Vogt, che neppur questo è un opuscolo radicale. Così riempie due delle tre colonne e un quarto dell’articolo “Come si fabbricano degli opuscoli radicali„. A questi due terzi dell’articolo dunque la Storia dell’opuscolo anonimo non serve che di pretesto, per potere collocare le infamie del Vogt che l’amico e compagno F. Zabel non ha ancora potuto applicare sotto la rubrica “Condotta politica dell’Allgemeine Zeitung„. Finalmente, proprio per la conclusione, Dunce I viene a parlare dell’arte “di fabbricare degli opuscoli radicali„, cioè “della storia dell’opuscolo Per avviso„.

“Il Blind non vuol essere l’autore dell’opuscolo; come tale viene audacemente per la prima volta designato nella lettera del Biscamp alla Allgemeine Zeitung del 26 ottobre… Per sostenere ulteriormente la paternità del Blind, il Marx scrive il 29 ottobre alla Allgemeine Zeitung: “Mi sono procurato l’unito documento perchè il Blind si rifiutò di confermare delle dichiarazioni fatte di fronte a terzi„.

Ora lo Zabel rende sospetto questo documento, specie perchè il Liebknecht… meravigliosamente “aggiunge„: “Volevamo far autenticare le nostre firme dinanzi al magistrato (?)„ (questo interrogativo si trova nel testo dello Zabel) e lo Zabel è determinato per sempre a non volere riconoscere, accanto al magistrato di Berlino, nessun altro magistrato. Lo Zabel comunica inoltre il contenuto della dichiarazione dei Vögele, in seguito alla quale il Blind invia alla Allgemeine Zeitung i certificati dello Hollinger e del Viehe in prova che l’opuscolo non fu fatto comporre nella tipografia dello Hollinger, e quindi nemmeno redatto dal Blind, e prosegue: “Il Marx sempre pronto risponde nella Allgemeine Zeitung del 15 novembre Lo Zabel enumera i vari punti della mia risposta.

Il Marx dice questo… Il Marx dice quello… Inoltre il Marx si richiama. Dunque, siccome “inoltre„ non dice niente, lo Zabel ha naturalmente comunicato ai suoi lettori tutti i punti della mia risposta? Lo conoscete bene il vostro Zabel? Egli dissimula, toglie, sottrae il punto decisivo della mia risposta. Nella mia dichiarazione del 15 novembre io enumero diversi punti e li numero. Dunque 1°)… 2°)… finalmente 3°)… Per caso la ristampa (dell'opuscolo) nel Popolo è tratta dalla composizione dell’opuscolo stesso, che si trovava ancora nella tipografia dello Hollinger. Quindi senza deposizione di testi, mediante il semplice confronto tra l’opuscolo e la sua ristampa nel Popolo, si potrebbe giudizialmente fornire la prova che il primo uscì dalla tipografia dello Hollinger„. Questo decide la cosa, si dice lo Zabel; questo i miei lettori non devono saperlo. Quindi toglie dalla mia risposta la sua eloquenza decisiva, per appiopparmi una prontezza sospetta. Così lo Zabel racconta la storia dell’opuscolo, falsificando due volte a bella posta, la prima volta la cronologia, e la seconda il contenuto del mio articolo del 15 no-vembre. La sua doppia falsificazione gli prepara la via alla conclusione, aver io “fabbricato„ l’opuscolo, e cioè in modo che apparisse come una fabbricazione del Blind, che quindi anche nel certificato del Vögele lo inviassi alla Allgemeine Zeitung, e scientemente, un certificato falso. L’accusa di fabbricare dei documenti, coll’intenzione d'appiopparli a una terza persona, non “oltrepassa, nell’opinione del tribunale civico di Berlino i limiti di una legittima critica„, e tanto meno include “l’animus injuriandi„.

Alla fine della sua ricetta “come si fabbricano degli opuscoli radicali, lo Zabel si ricorda ad un tratto che una sfacciata invenzione del Vogt non è ancora stata spacciata, ed ecco che in tutta fretta getta ancora, dietro il suo articolo di fondo numero due, questa notizia: “Nel 1850 un’altra circolare (come il Vogt crede di rammentare) fu redatta dal lupo parlamentare, alias lupo delle casematte (Wolf) spedita ai “proletari„ in Germania e contemporaneamente fatta capitare nelle mani della polizia annoverese„. Con questo grazioso aneddoto poliziesco su uno degli ex-redattori della Nuova gazzetta renana, il fabbricatore di grasso e “democratico„ Zabel si congeda sorridendo dal suo pubblico di lettori. Le parole “alias lupo delle casematte„ non appartengono al Vogt, sibbene a F. Zabel. I suoi lettori silesi ani dovevano venire minutamente informati che si trattava del loro concittadino Wolf, già redattore e collaboratore della Nuova gazzetta renana. Come accuratamente il buon Zabel si adopera a stabilire fino i particolari della relazione della Nuova gazzetta renana colla polizia in Francia e in Germania. I suoi silesiani potevano forse credere che si trattasse del proprio B. Wolff dello Zabel, suo superiore naturale (natural superior), il quale, com’è noto, in lega segreta col famoso fabbricante di dispacci menzogneri, Reuter in Londra, e Havas a Parigi, aggiusta per telegrafo la storia universale. Ma Sigismondo Englander, il notorio agente di polizia segreta, è l’anima dell’ufficio del Reuter, quindi l’unità animata della trinità B. Wolff-Reuter-Havas.

Ciò nonostante, e nonostante l’intenzione del democratico Zabel di non offendere, il tribunale civico di Berlino dichiara che veramente nei due articoli di fondo dello Zabel vi sono anche “contenute espressioni ed affermazioni che oltrepassano i limiti d’una legittima critica, e quindi sono punibili„, e perciò ad ogni modo querelabili. A me dunque lo Zabel! Consegnatemi lo Zabel acciocché si dibatta davanti alla Corte! Fermi! — esclama qui il tribunale civico. — Le affermazioni ed espressioni contenute nei due articoli di fondo — dice il tribunale civico — “in quanto che furono fatte dall’autore stesso (Zabel) e non consistono in semplici citazioni d’altre persone non oltrepassano i limiti della legittima critica, non sono punibili„; e lo Zabel quindi non solo non è passibile di pena, ma nemmeno querelarle, e “gli atti sono da lasciarsi stare a conto del querelante„. Quindi la parte calunniosa delle “espressioni ed affermazioni dello Zabel consiste in semplici citazioni„. Voyons:

Ci si ricorderà, pel principio di questo paragrafo, che la mia querela per diffamazione si basa su quattro tratti dei due articoli di fondo dello Zabel. In quello per le fonti economiche del Popolo (N, 2 dei punti della querela sopra citati) io Zabel stesso non pretende di citare, nè infatti fa una citazione, perchè:

Zabel. (Gazzetta Nazionale Nr. 41.)
“Da dove venga il danaro per il foglio largamente distribuito (il Popolo) lo sanno gli Dei; che il Marx e il Biscamp non hanno danaro superfluo, lo sanno gli uomini „.

Vogt. (Libro principale, p. 212.)
“Il corrispondente fisso della Allgemeine Zeitung è collaboratore di questo foglio (il Popolo), il quale fu fondato con fondi ignoti, poiché nè il Biscamp nè il Marx posseggono per ciò (cioè per fondare un foglio su fondi ignoti?) i mezzi necessari„

Nel secondo punto incriminato (4, qui sopra) nel quale mi viene appioppata la fabbricazione d’un documento a nome del Blind, lo Zabel dichiara persino esplicitamente di parlare egli in nome suo di Zabel, e non in nome del Vogt.

“A noi — quale signore nel regno della Dulness lo Zabel adopera naturalmente il pluralis maiestatis — a noi pare che per questo (il partito del Marx) non riuscisse troppo difficile di farne (del Blind) il capro espiatorio… Adoperando queste indicazioni e frasi del Blind l’opuscolo poteva fabbricarsi in modo da sembrare fattura sua (Gazzetta Nazionale, N. 41).

L’ultimo punto da me incriminato (V. 3, qui sopra) debbo di nuovo citarlo per intero:

“A questo modo, nel 1852, s’imbastì una congiura del genere più vergognoso, con fabbricazione in massa di biglietti falsi (Veggansi i particolari nel Vogt) contro le società operaie svizzere, congiura che avrebbe cagionato le più grandi noie all’autorità svizzera, ove per tempo non fosse stata svelata„.

È questa una semplice citazione, come afferma il tribunale civico, ed è in genere una citazione? È in parte un plagio del Vogt, ma in niun modo una citazione.

Anzitutto lo stesso Zabel non afferma di citare, ma di parlare in nome proprio, dicendo al lettore (Veggansi i particolari nel Vogt): “E ora si vede appunto: a Ginevra si sapeva che lo Cherval era venuto quivi appena nella primavera del 1853; che la sua “congiura„ e fuga erano seguite nella primavera 1854. Il Vogt pertanto non osa dire in Ginevra che la “congiura„ era stata imbastita sin dal 1852, Questa bugia la lascia al buon Zabel in Berlino. Inoltre il Vogt dice: “Già diverse tavole di pietra e di rame erano state incise a questo scopo (la fabbricazione di biglietti falsi) dal Nugent (Cherval) stesso„ (Libro principale, pag. 174). Dunque già diverse tavole di pietra e di rame erano state incise per la falsificazione dei biglietti, nè erano ancora fabbricati i biglietti di banca e i certificati del tesoro. Presso lo Zabel invece la “fabbricazione dei biglietti falsi„ è già avvenuta, e precisamente “in massa„. Il Vogt dice che lo scopo statutario della congiura dello Cherval era stato “di combattere il dispotismo eoi suoi stessi mezzi, cioè colia fabbricazione in massa di biglietti di banca e certificati del tesoro falsi„ (l. c.). E lo Zabel dà un frego sulla lotta contro il dispotismo e si tiene alla “fabbricazione in massa di biglietti falsi„. Quindi nello Zabel si tratta di un reato civile comune, non abbellito dinanzi ai membri della Lega segreta nemmeno col falso pretesto di fine politico. Questo è in generale il modo con cui lo Zabel cita il Libro principale. Il Vogt doveva fabbricare un libro con le sue storielle. Quindi va nei particolari, ci ricama su, macchia, insudicia, colora, sporca, fattura, sviluppa, complica, motiva, inventa, fa del cul trombetta, e così la sua anima da Falstaff trasparisce dovunque attraverso i presunti fatti, che mediante la propria narrazione inconsciamente torna a risolvere nel nulla originario. Lo Zabel invece, che doveva comprimere il libro in due articoli eli fondo e non voleva lasciar perdere neppure una volgarità, sopprime tutto, salvo il caput mortuum d’ogni presunto fatto, mette in fila tutti questi ossi di calunnia, e recita poi, con zelo fariseo, questa specie di rosario.

Si prenda per esempio il fatto presente. Al fatto da me prima svelato che lo Cherval sia un agente di polizia al soldo di varie ambasciate e agente provocatore, il Vogt attacca la sua invenzione. Ecco che tra altre cose dice: “Già diverse tavole in pietra e in rame erano state dal Nugent (Cherval) medesimo incise a questo scopo (la falsificazione dei biglietti), già i creduli membri della Lega segreta erano designati, i quali piovevano andarsene in Francia, in Svizzera e in Germania con pacchi di questi biglietti falsi (non ancora fabbricati); ma già anche erano seguite le denunzie alla, polizia, e frattanto nelle medesime erano state comprese in vergognoso modo le società operaie, ecc. (Libro principale, pag. 175). Dunque il Vogt fa sì che lo Cherval denunci le proprie operazioni alla polizia dopo aver appena inciso le tavole di rame e di pietra per la progettata falsificazione, prima che lo scopo della sua congiura sia raggiunto, che esista un corpus delieti, e che qualcuno salvo lui stesso sia compromesso. Ma il Cherval del Vogt è spinto dal-l’impazienza di “comprendere vergognosamente le società operaie nella propria congiura„. Le ambasciate estere, che impiegano lo Cherval, sono stupide come lui stesso, e in guisa ugualmente precipitata avvertono in via confidenzialela polizia federale che si fanno dei maneggi politici nelle società operaie, ecc. Contemporaneamente questi dabbenuomini di ambasciatori, che non hanno la pazienza di far maturare la congiura per loro incarico inventata dallo Cherval, e che con puerile impazienza espongono inutilmente il proprio agente, mettono dei gendarmi ai confini per prendere in consegna gli emissari di Cherval qualora la cosa fosse arrivata a quel punto„ a cui essi non la lasciarono arrivare, " con i biglietti falsi«, la cui fabbricazione avevano impedita “per adoperare tutta quella faccenda allo scopo d'una caccia generale, nella quale delle masse di innocenti avrebbero dovuto espiare i maneggi di alcuni scellerati Ora se il Vogt aggiunge: “Il piano di questa congiura era stato ordito in modo orrendo„, ciascuno concederà ch’era stato ordito in modo orrendamente stupido, e se vantandosi conchiuderà: “Non nego di avere contribuito essenzialmente a sventare questa diavoleria„, ciascuno capirà la pointe e si reggerà i fianchi dalle risate per rallegro buffone. Ma, adesso, si confronti la versione da annali frateschi dello Zabel: “A questo modo nel 1852 fu iniziata una congiura delle più infami, con fabbricazione in massa di biglietti falsi (vedi particolari nel Vogt) contro le associazioni svizzere, congiura che avrebbe procurato alle autorità svizzere le peggiori seccature, se non fosse stata svelata a tempo„. Ecco qui tutto un fascio di fatti egualmente asciutti, ed egualmente infami, legati in un medesimo breve periodo. “Congiura delle più infami„ colla data del 1852. “Fabbricazione in massa di biglietti falsi„. Dunque reato civile volgare. Compromissione intenzionale delle “società operaie svizzere dunque tradimento del proprio partito„. “Le più grandi seccature eventualmente preparate per le autorità svizzere», Dunque agente provocatore nell’interesse dei despoti continentali contro la repubblica svizzera. Finalmente “scoprimento a tempo della congiura„. Qui la critica perde ogni punto d’appoggio che trova nell’esposizione del Vogt, perchè son tutti semplicemente biffati. Bisogna credere o non credere. Ed in questa guisa lo Zabel si lavora tutto il Libro principale in quanto riguarda me ed i miei compagni di partito. A ragione dice lo Heine che nessun uomo è così pericoloso come un asino pazzo da legare.

Finalmente, al quarto punto da me incriminato (Vedi sopra) con cui l’articolo di fondo numero 1 inizia le sue rivelazioni sulla “Banda dello zolfo„, Lo Zabel lo comincia bensì colle parole:

“Il Vogt riferisce a pag. 136 e seg.„. Lo Zabel non chiarisce se riassume egli medesimo o se cita. Si guarda bene dall’usare dei segni di citazione. In realtà non cita. Ciò era a priorz fuori questione, giacché lo Zabel comprime le pagine 136, 137, 138, 139, 140 e 141 del Libro principale in cinquantun righe di circa quarantotto lettere ciascuna, non denunzia lacune, anzi addossa i periodi l’uno all’altro come tante aringhe olandesi, e finalmente nella cinquantunesima linea trova ancora posto per le osservazioni proprie. Dove incontra un periodo particolarmente sudicio, lo raccoglie quasi inalterato nel suo fascio. Pel rimanente mischia i sunti, non come seguono nel Libro principale secondo l’ordine delle pagine, ma come gli fanno comodo a lui. Fornisce la testa di uno dei periodi del Vogt della coda d’un altro periodo del medesimo. Poi compone un periodo delle parole più rilevanti di una dozzina di periodi del Vogt. Dove nel Vogt qualche maceria stilistica impedisce alla luce di cadere direttamente sulla calunnia, lo Zabel rimuove questa maceria. Il Vogt per esempio dice: Compromettere della gente in patria per tal modo da non poter resistere ai tentativi di estorsione ed essere costretti a pagar del danaro„. Lo Zabel invece: “Comprometterli talmente che dovessero pagar danaro„. In altri punti lo Zabel muta ciò che, data la mancanza di stile nel Vogt, gli appare ambiguo. Cosi il Vogt: “Che dovessero pagar danaro acciocché la “Banda„ mantenesse il segreto della loro compromissione„. Per contro lo Zabel: “Acciocché la “banda„ mantenesse il segreto senza compromissioni„. Finalmente lo Zabel intercala degli interi periodi di propria fabbricazione, come: La “Banda dello zolfo„ esercitava una disciplina terribile sopra i propri segnaci„ ed “essi, cioè i compagni... che continuavano l’opera della Gazzetta Renana nell’esilio„ — «essi, diventarono gli alleati della polizia segreta in Francia e in Germania».

Dei quattro punti da me incriminati, tre appartengono, secondo lo Zabel medesimo, a quest’ultimo, mentre la quarta cosiddetta citazione, sebbene mischiata di citazione, non è una citazione, e tanto meno “una semplice citazione„ come sostiene il tribunale civico, e meno di tutto una citazione “di terze persone, al plurale, come il medesimo tribunale sostiene. Viceversa, in tutte le osservazioni od affermazioni dello Zabel sopra di me, non si trova una sola linea che contenga la “critica e il giudizio (legittima o illegittima)„.

Ma, posto anche che le presunzioni di fatto del tribunale civico fossero vere come sono false; posto che lo Zabel non abbia fatto che citare le sue calunnie contro di me, sarebbe il tribunale effettivamente giustificato legalmente a impedirmi la querela contro F. Zabel? In un deliberato che subito citerò il regio tribunale camerale prussiano dichiara tutto al contrario che “nulla modificherebbe dello stato di fatto contemplato al paragrafo 156 del codice penale, se nei contemplati articoli i fatti esposti si rappresentano come affermazioni proprie dell’autore o come citazioni d'affermazioni di terzi.

Dunque, citazione o non citazione: il democratico Zabel resta responsabile delle propie affermazioni. Il tribunale civico ha già dichiarato avere lo Zabel enunciato sul mio conto affermazioni in sè passibili di pena, salvo che, essendo citate, sono a prova di bomba. Via con questo pretesto, che giurìdicamente è falso, grida il tribunale camerale. Finalmente potrò abbrancare lo Zabel, la porta del tribunale mi sarà aperta: Italiam, Italiam!

Il mio avvocato appellò dal tribunale civico al tribunale camerale, e si ebbe l’11 luglio 1860 la seguente “decisione„:

“Nei numeri 37 e 41 della Gazzetta Nazionale del 22 e 25 gennaio anno corrente, sotto il titolo Carlo Vogt e la “Allgemeine Zeitung„ e Come si fabbricano gli opuscoli radicali, non si può riscontrare una calunnia a danno del querelante dottor Carlo Marx in Londra. Sebbene nulla muterebbe allo stato del paragrafo 156 della legge penale, se i fatti esposti nei suddetti articoli si rappresentino come propria affermazione dell’autore o come affermazione di terzi, non si può tuttavia impedire alla stampa di sottoporre le mene dei partiti e le loro controversie pubblicistiche alla discussione e alla critica, sin quando dalla forma della polemica non risulti l’intenzione di offendere, cosa che nel caso speciale non è da ammettersi.

“Nei succitati articoli vengono sopratutto illustrati, il conflitto sorto tra le opinioni del dottor Carlo Vogt da una parte e la Allgemeine Zeitung di Augusta dall’altra sul parteggiare per gli interessi italiani e per gli interessi austriaci a proposito della recente guerra; e inoltre la partecipazione della così detta emigrazione tedesca in Londra, a favore della Allgemeine Zeitung di Augusta contro il Vogt, nonché occasionalmente i parteggiamenti e le macchinazioni di questi esuli tra loro e degli uni contro gli altri.

“Se nel corso di queste discussioni furono tirati nell’ambito del discorso il rapporto del querelante verso quei partiti e la parziale sua partecipazione alle loro aspirazioni, ed in ispeciai modo poi i suoi sforzi di prestare aiuto alla Allgemeine Zeitung di Augusta nella sua polemica contro il Vogt mediante dei mezzi di prova, i dati a ciò relativi dei due articoli trovano nei fatti addotti dal querelante medesimo nella sua querela meno la confutazione da lui voluta e piuttosto la conferma. Se, viceversa, egli afferma che è stato identificato in modo per lui diso-norevole con le mene di partito in quegli articoli bensì fortemente fustigate, quali eccentriche, e rispettivamente prive di carattere e d’onore, tale affermazione non può riconoscersi fondata. Poiché, se il primo articolo citato dall'esposizione dei fatti del Vogt riferisce: “Che gli esuli del 1849 si sono a poco a poco raccolti in Londra, dove veneravano come loro capo visibile il p. Marx„, e se parla di una lettera del Techow nella quale si vede il Marx “mentre, con napoleonico orgoglio della sua superiorità intellettuale, mena la frusta tra la «Banda dello zolfo», in tutto ciò si riscontra essenzialmente solo una caratteristica della “Banda dello zolfo così battezzata dal Vogt, non però un’invettiva contro il Marx, che invece è rappresentato come il moderatore ed intellettualmente superiore, e meno che mai la sua persona è messa in relazione con quella gente che viene accusata di ricatto e di delazioni. Nello stesso modo non è dichiarato in nessun punto del secondo articolo che il querelante abbia, contro migliore sua scienza, appioppato al p. Blind la paternità dell’opuscolo Per avviso, e che di sua scienza abbia fatto tenere alla Allgemeine Zeitung di Augusta dei certificati falsi di terze persone a quest’uopo. Che per altro il certificato del compositore Vögele sia stato contestato lo ammette il querelante medesimo nella stessa querela, citando le contrarie assicurazioni del tipografo Hollinger e del compositore Wiehe. Inoltre, secondo la stessa sua dichiarazione, più tardi un certo Schaible si fece riconoscere quale autore dell’opuscolo, e ciò solamente dopo che furono comparsi gli articoli della Gazzetta Nazionale.

“Quindi fu dovuto riconoscere infondato e viene colla presente respinto l’appello presentato contro la disposizione negativa del regio tribunale civico degli 8 del passato mese il 21 del medesimo. Si pagheranno venticinque groschen d’argento di spese pel rigetto dell’appello infondato, al fine di evitare l’esecuzione, immediatamente a questa cassa dei salari del tribunale civico„.

Berlino, 11 luglio 1860.

Senato criminale dal regio tribunale camerale, Sezione seconda.
Guthschimdi Schultze
.

Al signor Carlo Marx,
a mani del signor consigliere di giustizia Weber, qui.

Allorché mi venne spedita questa “ decisione„ dal mio avvocato, saltai alla prima lettura l’introduzione e la fine, e, indotto come sono della legge prussiana, credetti di vedere dinanzi a me la copia della difesa presentata al tribunale camerale dal democratico F. Zabel. Ciò Ciò che lo Zabel, dicevo fra me, cita sulle opinioni (Vedi Appendice 15a) del dottor Cario Vogt e della Allgemeine Zeitung di Augusta, sugli interessi italiani e sugli interessi austriaci, si è smarrito probabilmente per caso da un articolo di fondo destinato alla Gazzetta Nazionale nel suo plaidoyre.

Ad ogni modo il democratico F. Zabel non menziona quelle opinioni e quest’interessi neppur con una sillaba nelle quattro colonne che si riferiscono a me nei due suoi articoli di fondo sommanti ad appena sei colonne. Lo Zabel dice nel suo plaidoger che ho “prestato aiuto alla Allgemeine Zeitung di Augusta nella sua polemica contro il Vogt mediante mezzi di prova„. Il processo del Vogt contro la Allgemeine Zeitung lo chiama la polemica della Allgemeine Zeitung contro il Vogt. Se processo e polemica fossero cose identiche, a che bisognerei del consenso del procuratore del rendei tribunale civico, del tribunale camerale, ecc., per la mia polemica contro lo Zabel? E finalmente ancora l'assicurazione dello Zabel, che «le citazioni riferentisi» ai miei rapporti coll’Allgemeine Zeitung dei due suoi articoli di fondo trovano “nei fatti da me medesimo addotti, meno la confutazione da me voluta e piuttosto la conferma». Meno — che: o sì o no si dice'in diritto. E quali eran le “citazioni relative„ dello Zabel?

Le citazioni relative ai miei rapporti con l’Allgemeine Zeitung dall'articolo di fondo, numero uno, erano:

1°. - Il Liebknecht sarebbe diventato corrispondente dell’Allgemeine Zeitung in seguito ad una mia attestazione conferitagli pubblicamente. Io accusai di menzogna lo Zabel nella mia querela, ma mi parve completamente superfluo di addurre altri fatti su questa bestialità:

2°. - Lo Zabel mi fa spedire da Londra il 29 di ottobre un “documento giudiziario„ alla Allgemeine Zeitung, che il 24 ottobre era dinanzi al tribunale distrettuale di Augusta, e trova la conferma di questa “citazione„ nei fatti da me addotti! Dai fatti da me addotti nella querela, il Zabel vedeva veramente che, a parte tutti i motivi politici, s'imponeva da parte mia la spedizione del documento che si riferiva all’origine del Per avviso, dopo che il Vogt, già prima che si iniziasse il processo, aveva tentato di appiopparmi pubblicamente la paternità dell’opuscolo:

3°. - La citazione dello Zabel, essere io uno dei corrispondenti della Allgemeine Zeitung, la confutai con documenti autentici. L’articolo di fondo, numero due, di Zabel “Come si fabbricano gli opuscoli radicali„ non conteneva, come sopra fu dimostrato, che i miei rapporti colla Allgemeine Zeitung, che le “citazioni relative„ che io stesso avevo fabbricato il Per avviso, che l’avevo attribuito al Blind e cercato di provarlo sua fattura mediante un certificato falso del Yogele. Queste “citazioni relative„ trovavano mediante i fatti addotti nella mia querela, “meno la confutazione che con esse mi proponevo e piuttosto la conferma„? Lo Zabel medesimo confessa il contrario.

Poteva lo Zabel sapere che lo Schaible era l’autore dell’opuscolo Per avviso? Doveva lo Zabel credere che il certificato, secondo la mia stessa dichiarazione discusso, del compositore Vogete fosse autentico. Ma dove mai ho attribuito allo Zabel tale scienza o tal credenza? La mia querela si riferisce “piuttosto„ alla citazione relativa dello Zabel aver io fabbricato l’opuscolo in modo che apparisse come “sua„ fattura (del Blind) e che più tardi io l’abbia cercato di provare opera del Blind mediante il certificato del Yogele.

Finalmente m’imbattei in un punto defensionale dello Zabel che, se non altro, appariva interessante.

“Se, dice, se per contro egli (il querelante Marx) osserva inoltre che in un modo per lui disonorevole fu realmente identificato con quelle mene di partito (quelle della “Banda dello zolfo„) in quegli articoli (gli articoli di fondo dello Zabel) realmente fustigate terribilmente quali eccentriche, rispettivamente prive di carattere e d’onore, tale affermazione non può venire riconosciuta come fondata… tanto meno poi la sua persona vieti messa in relazione con quella gente che viene accusata di estorsione e di delazione.

Evidentemente lo Zabel non appartiene a quei romani di cui è detto: “Memoriam quoque cuoi voce perdiciimus„. Egli ha perduto la memoria, ma non la lingua. Lo Zabel trasforma non solamente lo zolfo, ma anche la Banda dello zolfo dallo stato cristallino nel liquido, e dal liquido nell’aeriforme per gettarmi della polvere negli occhi mediante i vapori rossi. La «Banda dqllo zolfo», egli afferma, è un partito colle cui mene non mi ha mai identificato e colle cui estor-sioni e delazioni non ha nemmeno connesso la gente in relazione con me. Sarà quindi necessario di trasformare i vapori di zolfo in fiori di zolfo.

Nell’articolo di fondo numero uno (Gazzetta Nazionale N. 37, 1860), lo Zabel inizia le sue citazioni relative alla “Banda dello zolfo„ col chiamare “il Marx suo capo visibile„. Il secondo membro della “banda„, ch’egli bensì non nomina, ma indica per ulteriore caratterizzazione, è Federico Engels. Si riferisce, cioè, alla lettera nella quale il Techow fa la relazione del suo incontro con F. Engels, C. Schramm e me. E lo Zabel si riferisce agli ultimi due come a illustrazioni della “Banda dello zolfo„. Subito dopo menziona lo Cherval come emissario londinese. Poi tocca al Liebknecht. “Questo Liebknecht, in nomine ornen uno dei più servili seguaci del Marx il Liebknecht, tosto giunto, entrò ai servizi del Marx e si guadagnò la piena soddisfazione del suo signore„. Subito dopo il Liebknecht marcia Ohly, anch’egli un canale della 8 Banda ‘dello zolfo„. Finalmente “un altro compagno londinese, il Biscampw. Tutte queste indicazioni seguono una dopo l’altra nell'articolo di fondo numero uno, ma alla fine dell'articolo di fondo numero due si nomina poi ancora un altro membro della “Banda dello zolfo Wolff, “il lupo parlamentare alias delle casematte, cui è affidato l’importante còmpito di rilasciare dei dispacci circolari La “Banda dello zolfo„ quindi, secondo le citazioni relative dello Zabel, consisteva in: Marx capo della Banda dello zolfo; F. Engels, illustrazione “della Banda dello zolfo; Cherval, emissario londinese della Banda dello zolfo; Liebknecht, uno dei più servili seguaci del Marx; Ohly, anch’egli un canale della Banda dello zolfo; Biscamp, un altro compagno londinese; finalmente Wolff, scrittore di dispacci della Banda dello zolfo.

Questa “Banda dello zolfo„ così combinata, lo Zabel la lascia figurare subito nelle prime cinquantuna linee, alternativamente, sotto i diversi nomi di “Banda dello zolfo„ o anche “Bürstenheimer„, “gente che tra gli emigrati seguitava l’opera della Gazzetta renana„; i “proletari„, o, com’è detto nell’articolo di fondo numero dué, “il partito dei proletari sotto il Marx

Tanto per il personale e il nome della “Banda dello zolfo„. Quanto alla sua organizzazione, lo Zabel la descrive nelle sue indicazioni relative in modo breve ed energico. “Marx è il capo La “Banda dello zolfo„ forma il cerchio dei suoi seguaci più stretti, o, come dice lo Zabel nel suo secondo articolo, “il più ristretto partito marxista Lo Zabel dà persino un segno di riconoscimento mediante il quale si può riconoscere il più ristretto partito marxista. Il membro del più ristretto partito marxista, intatti, deve avere, almeno una volta in vita sua, veduto il Biscamp. “Egli, dice lo Zabel nell’articolo numero due, egli (il Blind) dichiara di non aver visto in vita sua il Biscamp, e quindi evidentemente non è membro del più ristretto partito marxista Il più ristretto partito marxista, ossia la vera “Banda dello zolfo„, è quindi l’aristocrazia della “banda„ stessa, da distinguersi dalla terza categoria, cioè il popolo dei seguaci, o “di questa classe di sfaccendati accuratamente mantenuta„. Dunque prima il capo Marx, poi la vera e propria “Banda dello zolfo„, ossia il più ristretto partito marxista, finalmente il popolo dei seguaci, ovvero la classe degli sfaccendati. Questa “Banda dello zolfo„ suddivisa in queste tre categorie gode di una disciplina veramente spartana. “Una disciplina terribile, dice lo Zabel, era esercitata dalla “Banda dello zolfo„ sopra i propri seguaci„, mentre d’altra parte “il Marx agita la frusta sopra la “Banda dello zolfo„. Si capisce che in una banda così bene organizzata, le mene della banda caratteristiche, le sue occupazioni principali, le ope're dalla banda compiute in quanto banda, seguono per comando del capo supremo e vengono dallo Zabel espressamente rappresentate come azioni di questo capo inteso ad agitare la frusta, E quale era l’occupazione, per così dire d'ufficio, della banda stessa?

“Una delle occupazioni principali della “Banda dello zolfo„ si era di talmente compromettere la gente in patria da obbligarla a pagarle del danaro affinchè la “banda„ conservasse il segreto senza compromissione. Non una, ma cento lettere furono scritte e mandate in Germania dichiaranti che si sarebbe denunciato questo o quell'atto di partecipazione alla rivoluzione, se a un certo punto non giungesse una tale somma ad un indirizzo indicato„. Tutti quelli che si opponevano a queste mene venivano rovinati non solamente fra gli esuli, ma bensì mediante la stampa. I “proletari„ empivano le colonne della stampa reazionaria in Germania colle loro delazioni contro quei democratici che a loro non prestavano culto, diventando così gli alleati della polizia segreta in Francia ed in Germania, ecc. (Gazzetta Nazionale, N. 37).

Dopo che lo Zabel ha iniziato queste citazioni relative alla “Banda dello zolfo„ coll’osservazione che io ne fossi il capo visibile, dopo che in seguito ha enumerato le occupazioni principali della “banda„ stessa, cioè estorsioni, delazioni, ecc., conclude la sua descrizione generale della “banda„ con queste parole:

“…si fecero gli alleati della polizia segreta in Francia e in Germania. Per ulteriore caratteristica il Vogt comunica una lettera dell’ex-tenente Techow del 20 agosto 1850… nella quale si vede il Marx che, in napoleonica boria per la sua superiorità intellettuale, agita la frusta sopra la "Banda dello zolfo.,.

Dopo che lo Zabel, all’inizio della sua descrizione della “Banda dello zolfo„, mi ha fatto venerare come “capo visibile lo prende la paura che il lettore possa credere che dietro ai capo visibile ve ne fosse ancora un altro invisibile, che cioè mi fossi accontentato di divenire venerato come Dalai Lama. Alla line della sua descrizione mi trasforma quindi (con le parole sue, non con quelle del Vogt) da capo semplicemente visibile in capo agitante la frusta, dai Dalai Lama nel Napoleone della “Banda dello zolfo„. E proprio questo lo adduce nel suo plaidoycr come prova di non avermi identificato con le mene di partito nei suoi articoli fortemente fustigate e definite come eccentriche, rispettivamente prive di carattere e di onore della “Banda dello zolfo„. Ma no. Non proprio così. Mi ha identificato, ma non “in modo per me disonorevole„. Mi ha anzi fatto l’onore di nominarmi Napoleone dei ricattatori, scrittori di lettere di minaccia, spie, agenti provocatori, falsi monetari, ecc. Evidentemente lo Zabel toglie i suoi concetti d’onore dal vocabolario della sua “Banda decembrina Perciò l’aggettivo “napoleonico„. Ma io lo querelo appunto per quest’onore che mi ha fatto. Iof mediante i fatti addotti nella mia querela, ho dimostrato così lampantemente che lo Zabel non mi vuole assolutamente seguire dinanzi a nessun tribunale pubblico, ho dimostrato che tutte le sue indicazioni relative alla “Banda dello zolfo„ sono invenzioni e bugie vogtiane, che lo Zabel “cita„ solamente per potermi “onorare„ quale Napoleone di questa “banda„. Ma non vengo io da lui descritto quale “moderatore e superiore„? non mi fa esercitare la disciplina sulla “banda„? Egli stesso narra in che cosa consista la moderazione, la superiorità, la disciplina.

“Una terribile disciplina era dalla “Banda dello zolfo„ esercitata sopra i suoi seguaci. Chiunque di questi cercasse in qualsiasi maniera di assicurarsi un modo di mantenimento borghese era, pel solo fatto che cercava di rendersi indipendente, senz'altro un traditore della rivoluzione… La discordia, le risse, i duelli venivano provocati, in questa classe di sfaccendati accuratamente mantenuta, collo spargere dicerie, con corrispondenza, ecc.».

Senonchè lo Zabel non si contenta di questa descrizione generale delle mene del partito della «Banda dello zolfo», nella quale onorevolmente mi «identifica».

Il Liebknecht, “membro notorio del partito marxista, uno dei seguaci del Marx, che si guadagnò la piena soddisfazione del proprio padrone compromette a bello studio gli operai della Svizzera mediante la dieta rivoluzionaria di Murten, ove, raggiante di gioia, “li conduce tra le braccia dei gendarmi aspettanti A questo “certo Liebknecht venne attribuita nei processo di Colonia la redazione del falso protocollo„ (Lo Zabel naturalmente dimentica di dire che questa bugia dello Stieber fu dimostrata pubblicamente nel corso del dibattito medesimo come bugia dello Stieber). Il Wolff, ex redattore della Gazzetta Benana, manda da Londra “un dispaccio circolare ai proletari„ che “contemporaneamente fa capitare nelle mani della polizia dell’Hannòver„.

Mentre lo Zabel enumera così quali agenti della polizia segreta delle persone “notoriamente„ a mÈ legate, e mentre d’altra parte mi collega con un “notorio„ agente della polizia segreta, agente provocatore e falso monetario, cioè collo Cherval, subito dopo la sua descrizione generale della “Banda dello zolfo„ fa andare da Londra a Parigi “diverse persone„ tra cui lo Cherval, “nella doppia qualità di seduttori rivoluzionari degli operai e di alleati della polizia segreta, per quivi tramare il cosidetto processo dei comunisti„ , ecc. Nell’articolo di fondo numero due segue narrando;

“A questo modo nel 1852 fu tramata una congiura delle più vergognose, con fabbricazione in massa di biglietti falsi (Vedi i particolari presso il Vogt) ecc.

Se il lettore della Gazzetta Nazionale volesse seguire l’imperatoria richiesta dello Zabel e cercare i particolari presso il Vogt, che cosa trova? Che lo Cherval fu da me mandato a Ginevra, che sotto la mia diretta direzione mette in opera “la vergognosa congiura con i biglietti falsi„, ecc. Il lettore, dallo Zabel rimandato al Vogt, trova inoltre: “Tuttavia la condizione personale del Marx è del tutto indifferente per questo rispetto, poiché, come già fu osservato, è completamente indifferente se il Marx fa una cosa da sé o la fa eseguire da un membro della sua “banda„; egli domina completamente la sua gente„.

Ma lo Zabel non era ancora soddisfatto dì sé medesimo. Provava la necessità di susurrare un’ultima parola all’orecchio del suo lettore alla fine dei due articoli. Così dice:

“Egli (il Blind) dichiara insieme di non aver visto in vita sua il Biseamp, onde evidentemente non è membro del più ristretto partito marxista. A noi sembra che per questo (il più ristretto partito marxista) non dovesse essere troppo difficile di farne (del Blind) il capro espiatorio… Il partito marxista poteva facilissimamente appioppare al Blind la paternità dell’opuscolo, appunto perché… costui, nel colloquio col Marx e nell’articolo della Free Press, si era espresso in modo analogo; adoperando queste affermazioni e locuzioni del Blind l’opuscolo poteva fabbricarsi in modo da parere fattura sua (del Blind medesimo)„.

Dunque il partito marxista o il più ristretto partito marxista, alias la “Banda dello zolfo„ ha “fabbricato„ l’opuscolo in modo che sembri fattura del Blind? Dopo svolta quest’ipotesi, lo Zabel ne riassume il significato seccamente nelle seguenti parole:

“Chiunque perciò può a suo piacere considerare come autore il Marx o il Blind„.

Dunque non il partito marxista o il Blind, e neppure il Blind o il più ristretto partito, volgarmente detto “Banda dello zolfo ma bensì il Blind o il Marx, Marx sansphrase. Il partito marxista, il più ristretto partito marxista, la “Banda dello zolfo„, ecc., non erano dunque che nomi panteistici per il Marx, la persona del Marx. Lo Zabel non solo “identifica„ il Marx col partito della “Banda dello zolfo„, ma personifica la “Banda dello zolfo„ nel Marx. E questo medesimo Zabel osa d’affermare in tribunale di non avere, nei suoi articoli, “identificato il querelante Marx colle mene della “Banda dello zolfo„ in modo disonorevole… Egli sì batte il petto e giura dì avere “tanto meno messo in| relazione la mia persona con quella gente che accusa di ricatto e di delazione! “Che figura, pensavo fra me, farà lo Zabel nella seduta pubblica! Che figura! Con questa consolante esclamazione diedi nuovamente di piglio al documento speditomi dal mio avvocato, lo lessi nuovamente e mi parve infine di scoprire qualcosa come i nomi Mueller e Schultze, ma ben presto scopersi il mio errore. Quel che avevo in mano non era una difesa dello Zabel, ma bensì una “decisione„ del tribunale camerale firmata Guthsehmidt e Schultze, una decisione che mi taglia il diritto di querela contro lo Zabel, e per di più, in pena del “mio gravame„ mi ordina di versare alla Cassa dei salari del tribunale civico dì Berlino venticinque groschen d’argento, e immediatamente a scanso d’esecuzione. Rimasi proprio attonito. Tuttavia il mio stupore venne meno quando nuovamente e maturalmente rilessi la disposizione:

Esempio primo.

Lo Zabel stampa nell’articolo di fondo della Gazzetta Nazionale numero 37, 1860:
“Il Vogt riferisce a pag. 36 e seg.:
“Sotto il nome di “Banda dello zolfo„ o anche dei “Bùrstenheimer„, era nota tra gli esuli del 1849 una quantità di persone che, dapprima sparse nella Svizzera, in Francia e in Inghilterra, si raccolsero a poco a poco in Londra, quivi venerando come loro capo visibile il signor Marx„.

I signori Guthschmidte Schultze leggono nell’articolo di fondo della Gazzetta Nazionale numero 37, 1860:
“Poiché il primo articolo cita dalla narrazione del Vogt: “Che gli esuli del 1849 si raccolsero a poco a poco in Londra, quivi venerando come loro capo visibile il Marx„.

Lo Zabel dice che una quantità di gente, nota sotto il nome di “Banda dello zolfo„ o anche dei “Burstenheimer„ tra gli esuli del 1849 si raccolse a poco a poco in Londra, quivi venerandomi come loro capo visibile. I signori Guthsehmidt e Schultze, per contro, fanno dire allo Zabel: Gli esuli del 1849 si raccolsero a poco a poco in Londra (il che non è nemmeno esatto, poiché una gran parte degli esuli si raccolse a Parigi, New York, Jersey) e mi venerava come suo capo visibile, onore che nè mi fu reso, nè mi fu supposto dallo Zabel e dal Vogt, Nè i signori Guthschmidt e Sehultze riassumono, ma bensì citano con virgolette il periodo in niun posto stampato dello Zabel come periodo citato nel primo articolo di fondo dello Zabel “in base alla narrazione del Vogt„. Evidentemente i signori Guthschmidt e Sehultze avevano presente un'edizione segreta del numero 47 della Gazzetta Nazionale ugualmente ignota a me e al pubblico. Ciò spiega tutti gli equivoci.

L’edizione segreta del numero 37 della Gazzetta Nazionale si distingue non solamente per la lezione dei singoli periodi dell’edizione vulgata dello stesso numero. Tutto l'insieme del primo articolo di fondo nella edizione vulgata non ha, col concetto generale dell’edizione segreta, che poche parole in comune.

Esempio secondo.

Lo Zabel stampa nel numero 37 della Gazzetta Nazionale, dopo avermi nominato capo della “Banda dello zolfo„.
“Questi compagni (la “Banda dello zolfo„) — continuavano tra gli esuli l’opera della Gazzetta Renana… Una delle occupazioni principali della “Banda dello zolfo„ era quella di compromettere della gente in patria talmente da obbligarla a sborsare del danaro… I “proletari„ empivano le colonne della stampa reazionaria in Germania con le loro delazioni… Si fecero gli alleati della polizia segreta in Fran-cia e in Germania. Per l’ulteriore caratteristica (di questa “Banda dello zolfo “proletari„) il Vogt comunica una lettera del… Techow… nella quale vengono descritti i principi, le mene, ecc., dei “proletari„ e nella quale si scorge il Marx che, col napoleonico orgoglio della sua superiorità intellettuale, agita la frusta sulla “Banda dello zolfo„.

I signori Guthschmidt e Schultze leggono nel numero 37 della Gazzetta Nazionale, dopo che lo Zabel mi ha nominato capo degli esuli del 1849:
“Ed esso (il primo articolo della Gazzetta Nazionale) parla inoltre di una lettera del Techow.
“Nel quale si scorge il Marx che, col napoleonico orgoglio della propria superiorità intellettuale, agita la frusta sopra la “Banda dello zolfo„.

Posto che ai giudici spetti per legge l’autorità di concedere o negare ai privati il diritto di querela, i signori Gruthschmidt e Sehultze avevano non solamente il diritto, ma il dovere di negarmi il diritto di querela contro lo Zabel. Poiché la coerenza dell’articolo di fondo del numero 37 dell’edizione segreta della Gazzetta Nazionale, da loro comunicata in nuce, esclude senz’altro ogni corpo di delitto. Che cosa infatti stampa lo Zabel in quell’edizione segreta? Prima di tutto mi rende l’immeritato onore di farmi “venerare quale capo visibile„ da tutti gli emigrati del 1849 raccolti in Londra. E dovrei querelarlo per questo? E in secondo luogo mi fa l’onore non meno immeritato, di farmi agitare la frusta sopra una certa “Banda dello zolfo„, non messa con me in alcun rapporto, così come nel 1848-49 agitavo la frusta sopra lo Zabel stesso e i suoi consorti. E dovrei “querelarlo„?

Si vede quali confusioni nascono allorché la legislazione consente agli impiegati giudiziari, di “disporre„, e di disporre in segreto, se o no una persona abbia il diritto di querelarne un’altra, per esempio per calunnia da parte della Gazzetta Nazionale. Il querelante fa la sua querela in base ad un’edizione vulgata nel numero 37 della Gazzetta Nazionale, diffusa tra il pubblico in forse diecimila esemplari, e il giudice dispone in base ad un'edizione segreta del medesimo numero combinata per lui solo. Tanto poco, con questa procedura, è assicurata la semplice identità del corpo del delitto.

La legislazione prussiana, subordinando il diritto di querela del privato per ogni singolo caso ad una concessione giudiziale, parte dal concetto che lo Stato, quale autorità paterna, debba tutelare e regolare la vita civile dei suoi figli. Ma, perfino dal punto di vista della legislazione prussiana, la decisione del tribunale camerale appare strana. Evidentemente la legislazione prussiana vuol troncare le querele frivole, e quindi, se ben comprendo il suo spirito e m’appongo bene, che non abbia per iscopo la denegazione sistematica di giustizia, conferisce al giudice il diritto di rigettare la querela, ma solo allorché non sussiste prima facie alcun argomento di querela e perciò la querela stessa è prima facie frivola. Può sostenersi lo stesso in questo caso? Il tribunale civico conviene che l’articolo dello Zabel contenga di fatto delle espressioni “disonoranti„ e quindi “passibili di pena„. E sottrae F. Zabel alla mia vendetta legale unicamente, per avere F. Zabel “solamente citato„ le sue calunnie. Il tribunale camerale dichiara: Citato o non citato, delie espressioni ingiuriose restano ugualmente passibili di pena dinanzi alla legge, ma da parte sua nega contenere gli articoli dello Zabel delle espressioni ingiuriose in genere — citate o no — sulla mia persona. Il tribunale civico e quello camerale, pertanto, hanno, sul fatto medesimo delle opinioni non solamente diverse, ma addirittura contraddittorie.

L’uno trova delle espressioni ingiuriose sul conto mio dove l’altro non le trova. Le contraddizioni delle opinioni dei giudici stessi sulla questione di fatto dimostrano in modo lampante, sussistere qui prima facie un argomento di querela. Se Papiniano e Ulpiano dicono: Questa espressione stampata è ingiuriosa, e per contro Mucio Scevola e Manilio Bruto assicurano: Questa espressione stampata non è ingiuriosa, che cosa penserà il popolo dei Quiriti? Perchè il popolo non dovrebbe credere, con Ulpiano e Papiniano, aver lo Zabel pubblicate sul mio conto espressioni ingiuriose nei numeri 37 e 41 della Gazzetta Nazionale? Se io assicuro il popolo dei Quiriti che Mucio Scevola e Manilio Bruto mi hanno rilasciato un attestato segreto secondo il quale le espressioni ed asserzioni ingiuriose dello Zabel non riguardano in alcun modo la mia persona, il popolo dei Quiriti scrollerà le spalle con un: à d’autres.

Poiché il tribunale camerale ha da decidere in ultima istanza sul fatto, quindi nel caso speciale aveva da decidere in ultima istanza se realmente i due articoli di fondo dello Zabel contenessero un’offesa al mio onore e che risultasse dai medesimi l’intenzione di offendermi; poiché il tribunale camerale nega resistenza di questo stato di fatto, il ricorso al tribunale superiore lasciava aperta la quistione se la determinazione dello stato di fatto da parte del tribunale camerale non poggiasse su qualche errore di diritto? Il tribunale camerale medesimo aveva stabilito come fatto, nella propria decisione, che lo Zabel attribuisce alla “Banda dello zolfo„ delle mene inqualificabili e disonorevoli, delazioni e ricatti„; alla stessa “Banda dello zolfo che lo stesso Zabel negli stessi articoli di fondo caratterizza espressamente “come partito marxista„ più ristretto partito marxista, con Marx come capo visibile e sferzante. Avea il tribunale camerale veste legittima di non ravvisare in tutto ciò un insulto alla mia persona? Il mio avvocato, signor Weber, consigliere di giustizia, osserva in proposito nel suo ricorso al tribunale superiore, tra l’altro:

“È bensì vero che in niun luogo direttamente è detto (dallo Zabel) avere il Marx fatto dei ricatti, delle delazioni e dei biglietti falsi. Ma occorre una dichiarazione più chiara del dire: essere stato il Marx capo di un partito che perseguiva i suddetti fini delittuosi ed immorali? Niuno potrà spregiudicatamente e con un poco di buon senso negare che il capo di un’associazione, il cui scopo e la cui principale attività sono volti all’esecuzione di delitti, non solo approva, ma personalmente ne ordina e guida le mene godendo dei loro furti; e tale capo, quindi, indubbiamente è doppiamente responsabile, non solo come partecipe, ma come autore intellettuale, anche ove non possa dimostrarglisi un’unica azione mediante la quale abbia in modo immediato partecipato all’esecuzione d’uno speciale delitto. L’opinione espressa nella decisione oppugnata (del tribunale camerale) condurrebbe alla conseguenza di abbandonare il buon nome di una persona senza alcuna tutela a colui che volesse rovinarlo. Invece di afermare francamente che un tale A abbia ucciso, il calunniatore non avrebbe che da dire esistere qua e là una banda dedita airomicidio, della quale banda A sia il capo. L'opinione del tribunale camerale assicurerebbe piena impunità a tale calunniatore. Secondo un più equo giudizio, intanto, la pena contro la calunnia colpirà il calunniatóre sia che contro verità faccia di un terzo un brigante, sia che ne faccia un capo di briganti„.

Dal punto di vista del buon senso indubbiamente esiste qui una calunnia. Sussiste altresì ai sensi della legge prussiana? Il tribunale camerale dice di no, il mio avvocato dice di sì. Se il tribunale camerale ha, contro quello civico, deciso che la forma della citazione non rende immune da querela, perchè non dovrebbe il tribunale superiore decidere contro quello camerale che la forma da verme solitario non rende immune il calunniatore? Sopra questo punto di diritto, sopra questo errore legale commesso dal tribunale camerale nella determinazione della quistione di fatto, il mio avvocato appellò al tribunale superiore, quindi in certo modo all’areopago. Il tribunale superiore “decise„:

“1°. Il suo ricorso del 23 agosto corrente sulla disposizione del senato criminale del regio tribunale camerale nel processo per ingiurie del dottor C. Marx contro il redattore della Gazzetta Nazionale F. Zabel, dell’11 luglio u. s. le viene, dopo visione degli atti relativi, restituito con la presente come infondato. — 2°. Poiché il regio tribunale camerale non ha trovato nei due artìcoli di fondo della Gazzetta Nazionale in quistione nè un’ingiuria oggettiva verso il querelante, nè ha ammesso aver ivi prevalso l'intezzione di offendere quest’ultimo, e quindi a buon diritto ha negato la prosecuzione della richiesta querela per ingiuria. Se poi oggettivamente un’ingiuria sussiste, e se abbia prevalso la intenzione di ingiuriare, sono determinazioni essenzialmente di fatto che possono venire oppugnate mediante un ricorso presso il regio tribunale superiore, solo allorquando ai presupposti del giudice d’appello stia a base per questo rispetto un errore legale. — 3°. Tale errore tutta volta non sussiste nel caso presente. — 4°. Le spese per la presente disposizione dovranno da parte sua essere versate, entro otto giorni, presso la Cassa dei salari di questo regio tribunale civico in venticinque groschen d’argento.

«Berlino, 5 ottobre 1860.
Pel regio Tribunale superiore: v. SCHLICKMANN.
Al signor Weber, consigliere di giustizia

Ho enumerato le diverse parti della decisione del tribunale superiore per una più chiara comprensione.

Sotto 1, il signor v. Schlickmann espone che è stato respinto il ricorso contro il tribunle camerale. Sotto 2, il signor v. Schlickmann dà insegnamenti circa la relazione di competenza tra il tribunale camerale e il tribunale superiore, digressione didattica evidentemente estranea al tema. Sotto 4, al signor Weber viene ordinato di pagare entro otto giorni la somma di 25 soldi d’argento alla Cassa dei salari del tribunale civico di Berlino, conseguenza della disposizione, ma certo non suo motivo.

Dove dunque resta la motivazione di questa disposizione di rigetto? Dove la risposta al diffusissimo ricorso del mio avvocato? Ecco:

Sotto 3, “tale (errore legale) non risulta tuttavolta nel caso presente„.

Se da questo periodo 3 si cancella la particella non, la motivazione resta: “Un tale (errore legale) risulta tuttavolta nel caso presente„. Con ciò la decisione del tribunale camerale sarebbe rovesciata. Viene quindi mantenuta in piedi unicamente mediante l’interpolata particella non, mediante la quale il signor v. Schlickmann, in nome del tribunale superiore, respinge il ricorso del signor Weber, consigliere di giustizia.

Αύτοοότατος εφη. No: il signor v. Schlickmann non confuta le obbiezioni legali svolte dal mio avvocato, non le discute, anzi neppur le menziona. Naturalmente il signor v. Schlickmann avrà avuto motivi sufficienti per la sua decisione, ma li tace. No: la forza dimostrativa di questa particella sta esclusivamente nell’autorità, nella posizione gerarchica della persona che la prende in bocca. Per se stesso non non dimostra nulla. Non: Αύτοοότατος εφη.

Così anche il tribunale superiore mi vietò di dar querela al democratico F. Zabel.

In tal modo finì il mio processo con i tribunali prussiani.

APPENDICI

1. — Sfratto dello Schily dalla Svizzera.

Posso comunicare, per mancanza di spazio, purtroppo solamente in sunto una lettera dello Schily sul proprio sfratto dalla Svizzera, nella quale viene illustrato con un esempio il trattamento degli esuli non parlamentari. La lettera comincia col racconto che avevano lasciato Ginevra due esuli tedeschi, P. e L, amici dello Schily, i quali, arrestati nel loro giro per la Svizzera, erano stati liberati dal Druey, e quindi ritornavano a Ginevra.

“Per loro incarico — prosegue lo Schily — andai dal Fazy per sentire se la polizia li ricercasse, e ne ebbi l’assicurazione che dà parte dei Cantón: egli non disturberebbe il loro incognito, che quanto alla Confederazione non c’era stata richiesta; e del resto farei bene di rivolgermi, richiamandomi a lui ed alle sue comunicazioni, a M. Girard, chef du département de justice et de pólice, cosa che feci con risultato press'a poco uguale, lasciando il mio indirizzo pel caso di eventuali requisizioni da parte della Confederazione. Dopo alcune settimane viene da me un impiegato di polizia e richiede l'indirizzo di P. e I. lo li nego, corro dal suddetto Girard, gli espongo, di fronte alle sue minacce di farmi sfrattare caso mai gli rifiutassi l’indirizzo, che in base al nostro accordo precedente potevo venir requisito bensì come intermediario, ma non come denunciatore. Al che egli mi disse: “Vous a vez l’air de vouloir vous interposer cornine ambassadeur entre moi et ces refugies, pour traiter de puissance à puissance„. Ed io: “Je n’ai pas l’ambition d’ètre accrédito ambassadeur près de vous„. Infatti fui rilasciato senza alcun cerimoniale da ambasciata. Al ritorno seppi che i due P. ed I. erano stati proprio allora trovati, arrestati e condotti viar e mi parve quindi poter considerare esaurita la minaccia che ho detto.

Avevo però fatto i conti senza il primo aprile, poiché sotto questa data nefasta del 1852 fui per la strada richiesto da un impiegato di polizia di seguirlo all’Hòtel de Ville, dove aveva da domandarmi qualcosa. Quivi il signor consigliere di Stato Tourte, commissario ginevrino per lo sfratto degli esuli, a Mere di quello federale Trog, allora soggiornante ivi, mi dichiarò che ero sfrattato, per cui dovevo immediatamente dirigermi a Berna; tutto ciò con massimo suo dispiacere, giacché da parte dei Cantoni non sussisteva nulla a mio carico, mentre il Commissario federale insisteva per il mio sfratto. A mia richiesta di esser portato dinanzi al medesimo, rispose: “Non, nous ne voulons pas que le Commissaire federai fasse la police lei„. Con ciò evidentemente contraddiceva a quanto aveva detto e in genere tradiva la sua parte di consigliere di Stato ginevrino, la quale consisteva nell’opporsi con pruderie libérale alle richieste di sfratto federali, di cedere solamente alla forza o anche di seguire con piacere o rassegnazione una gonfie pressure. Un’altra caratteristica di questa parte consisteva nel raccontare alle spalle dello sfrattato esser egli una spia che si era dovuta mandar via nell’interesse della buona causa… Così il Tourte raccontò poi ai profughi di avermi dovuto cacciare perchè ero d’accordo col Commissario federale, e che con costui avevo contrariate le misure di protezione degli esuli (da parte di lui, Tourte); dunque col medesimo com-missario che, a massimo suo dispiacere, mi aveva fatto sfrattare. Quelìes tartines! Che bugie e contraddizioni! Tutto per un pochino di aura popularis! Vero è che il vento è appunto il mezzo mediante il quale quel signore tiene su il proprio pallone. Gran consigliere é consigliere di Stato di Ginevra, consigliere di classe e nazionale svizzero, consn gliere di confusione nato, non manca che nel Consiglio federale, per assicurare alla Svizzera dei giorni tranquilli, imperocché sta scritto: Provicìentia Dei et confusione hominum Helvetia salva fuit„.

Un reclamo contro le calunnie del Tourte, che lo Schily inviò al proprio arrivo in Londra all'Indépendant, il quale stava sotto l’influsso del Raisin, che più tardi nomineremo e che poco prima aveva violentemente sferzato i calci d’asino calunniatori con cui i “faiseurs liberale„ cacciano i profughi dalla Svizzera, non fu accolto.

“Dall’Hòtel de Ville di Ginevra — continua lo Schily — me ne venni in prigione, e il giorno seguente per posta e sotto scorta della polizia a Berna, dove il signor Druey mi tenne per quindici giorni sotto rigorosa custodia' nella cosiddetta Torre Vecchia… Il Druey nella sua corrispondenza con l’incaricato Schily, di cui più tardi faremo menzione, attribuiva tutta la colpa al Cantone di Ginevra, mentre il Tourte da parte sua aveva assicurato tt ricadere tutta la respónsabilità sull’autorità federale, non essendovi gravami contro di lui da parte del Cantone di Ginevra„. Il giudice istruttore ginevrino, Raisin, gli aveva poco prima fatto un’assicurazione conforme. Di quest’ultimo signore lo Schily scrive, fra le altre cose:

“In occasione degli esercizi di tiro federali tenutisi nell’estate 1851 in Ginevra, il Raisin aveva assunto la redazione dei Journal du tir fideral, scritto in francese e in tedesco, e mi aveva assunto per collaboratore contro promessa di un onorario di trecento franchi, nella quale occasione ebbi tra le altre cose a notare i discorsi di benvenuto e di addio tenuti in tedesco dal presidente del Comitato, Tourte, flagranti delicto; cosa che, ad onore del Tourte, mi tu da lui medesimo assai facilitata per il fatto che dirigeva tutte le volte su per giù le stesse entusiastiche parole con lievi varianti — secondo che aveva da complimentare Torso di Berna, il toro di Uri o altri federati — alle diverse deputazioni di tiratori; di modo che specialmente al ritornello: “Ma se venisse il giorno del pericolo allora noi…„ potevo posare tranquillamente la penna, e, quando il Raisin mi domandava perchè: “C'est le refrain du danger, je le sais par coeur„, rispondevo. Invece del mio onorario, pesantemente guadagnato, di trecento franchi, non ne ottenni per altro dal Raisin, a forza di battere, che cento; tuttavia con la speranza di una ulteriore collaborazione, cioè per una rivista politica che voleva fondare in Ginevra, per potere, indipendentemente da tutti i partiti costituiti, fronteggiare tutte le parti, specialmente il governo “liberale„ d’allora, Zaizy-Tourte, sebbene vi appartenesse egli medesimo. Era proprio l’uomo adatto a tale impresa, capace — come soleva vantarsi — “d’arracher la peau à qui que ce soit„. Mi dette quindi l’incarico di iniziare, durante un viaggio in Isvizzera che dovevo fare dopo i miei strapazzi del Tir fédéral, delle pratiche per quell’impresa; cosa che feci, mandandogliene una relazione scritta al mio ritorno. Frattanto però era sopravvenuto un vento tutta differente che l’aveva spinto a gonfie vele dalla sua spedizione corsaresca nel tranquillo porto del governo costituito. J’en étais dono pour mes frais et honoraires, colla richiesta dei quali invano Timportunai, e sino a questo momento, sebbene egli siasi arricchito, invano lo importuno…

Poco prima del mio arresto mi aveva ancora assicurato non trattarsi affitto di sfrattarmi, come l’aveva assicurato da parte sua l’amico Touret in persona, e che io non avevo bisogno di far dei passi preventivi relativamente alla minaccia del Girard… A una lettera che gli scrissi de profundis della mia vecchia torre di prigione, chiedendogli un piccolo pagamento a rate del danaro dovutomi, e lo schiarimento circa il mio arresto, ecc., restò ostinatamente silenzioso, sebbene avesse assicurato il latore di voler corrispondere alle mie richieste„.

“…Che il mio sfratto fosse dovuto alle mene degli esuli parlamentari, mi fu scritto alcuni mesi più tardi da K., uomo sicuro e spregiudicato, e ciò veniva confermato mordicus in alcune righe poserete del Ranikel. La medesima opinione mi fu replicatamente confermata da gente che se ne intendeva e dalla quale ebbi occasione di informarmi oralmente circa il successo… Tuttavia io non ero moralmente un mangiaparlamentari come la iena Reinach, che giorno per giorno afferrava il fu reggente l’impero Vogt, traendolo rincarnato dalla tomba imperiale alla mensa meridiana in Berna, alla quale egli compariva in questo modo come il Prometeo incatenato, e che dopo averlo tratto in qua e in là lo ingoiava entre poire et frotnage ogni volta, crudelmente, a spavento generale, e tanto la mummia quanto rincarilazione. Ora non ero davvero un ammiratore delle gesta parlamentari, tutt'altro! Ma è possibile che quei signori abbiano voluto vendicarsene con me mettendomi al bando dell’impero, comprendendo, cioè, nell’impero la Svizzera, perchè quivi giace sepolta la sua costituzione insieme al recentissimo licenziamento del Reichstag? Credo piuttosto che il sospetto della loro persecuzione a mio carico consista nella rivolta parlamentare, menzionata nella precedente mia lettera, contro il Comitato di esuli formato da me, dal Becker e da alcuni cittadini di Ginevra… Sul perchè quei signori volessero usurpare la distribuzione dei danari dei profughi, non erano peranco d'accordo essi medesimi. Alcuni, tra cui il Dentzel della cameretta hádense, volevano, derogando alla nostra abitudine, per cui si aiutarono specialmente gli operai senza lavoro, asciugare le lagrime segnatamente dei martiri di profes-sione, degli eroi della rivoluzione, dei figli della patria che avevano visto giorni migliori… Is fecit cui prodest, si dice nel mestiere, e poiché le mie esercitazioni erano naturalmente riuscite poco comode a quei signori, sorse il sospetto aver essi adoperato la loro influenza nelle sfere di governo per allontanarmi. Si sapeva infatti che avevano Yaurem principisi e che ad ogni modo erano abbastanza vicini a quest’orecchio per soffiarvi qualcosa sulla mia irrequietezza, e che specialmente il princeps Tourte li avea ripetute volte raccolto intorni a sè.

Dopo che lo Schily ha raccontato la spedizione dalla vecchia torre di Berna a Basilea attraverso il confine francese, osserva:

“Quanto alle spese per lo sfratto degli esuli, nutro la speranza che non fossero sostenute affatto dall’erario federale, ma bensì da quello della Santa Alleanza. E ciò perchè molto tempo dopo il nostro passaggio in Isvizzera la principessa Olga, trovandosi a tavola in un albergo di Berna con l’incaricato d’affari russo di quel luogo, entre poires et frotnage (sans comparaison col terribile Reinach) si degnò di dire al commensale: “Eh bien, monsieur le barón, avez vous encore beaucoup de réfugiés ici?„. “Pas mal, princesse — rispose l’altro — bien que nous en ayons déjà beaucoup renvoyé. M. Druey fait de son mieux à cet égard, et si de nouveaux fonds nous arrivent, nous en renverrons bien encore„. Questo lo senti e me lo raccontò il cameriere di servi-zio, già volontario nella campagna delPimpero sotto l’alto mio comando„.

Durante la spedizione dello Schily, i suoi effetti di viaggio sparirono misteriosamente e irreperibilmente.

“Resta sinora un enigma come potè accadere che i medesimi potessero sparire improvvisamente dal caos dei colli di un treno di emigranti tedeschi (a cui a Basilea eravamo stati incorporati per mezzo dell’agente d’emigrazione Klenk, che l’autorità federale ci aveva dato pel trasporto sino ad Havre in concessione, e ciò con completa miscela di tutto il bagaglio degli esuli ed emigranti) se non coll’aiuto d’una lista degli esuli e dei loro colli. Forse il console federale negoziante signor Wanner a Havre, a cui eravamo stati mandati per ulteriore trasporto, ne sa qualcosa di più. Egli ci promise pieno risarcimento, promessa confermatami più tardi dal Druey mediante una lettera che mandai, per sollecitare il mio reclamo presso il Consiglio federale, all’avvocato Vogt in Berna, senza potere fino al giorno d’oggi ricuperare da lui, nè ottenere risposta in genere a tutte le altre mie lettere indirizzategli. Per contro nell’estate del 1856 il Consiglio federale rigettò il mio ricorso richiamandomi all’ordine, senza alcuna motivazione di tale ordinanza.

“Tutto ciò, e in genere tutti gli sfratti eseguiti con tanto di cacciatori, manette, ecc., sono però piccolezze in confronto ai rimpatri praticati in maniera singolarmente bonaria, con un’intesa da buoni vicini, dal Badense, e precisamente dei cosiddetti meno aggravati, con un cer-tificato di viaggio espressamente eseguito e coll’ingiunzione di costituirsi al ritorno in patria presso l’autorità locale, ove, invece di poter seguire la propria vocazione come credevano, dovettero passare attraverso una serie di espiazioni. Queste tacite sofferenze di una quantità di vittime dell’estradizione (perchè estradizione è la vera parola) aspettano ancora il loro storico e il loro vendicatore.

“È lode per un uomo se possono dirsi i suoi errori senza che per ciò finisca d’esser grande — dice il Tacito elvetico della Svizzera. — Nè manca l’argomento per simile elogio; e a tributarglielo non lo guasta la figura qui aime bien châtie bien. Ed effettivamente per conto mio ho un’inclinazione indistruttibile per la Svizzera presa all'ingrosso. Il paese e la gente mi piacciono molto. Maneggiatore della sferza in casa, sempre pronto ed abile nell’esercitarla per la difesa di tradizioni storiche di buon suono e di conquiste moderne di buona fatta, lo svizzero è per me una figura rispettabilissima. Egli può pretendere alle simpatie straniere, avendone egli medesimo per gli sforzi che gli stranieri fanno onde raggiungere migliori condizioni. “Avrei preferito che al buon Dio fosse andato male il miglior paio d’angeli„, disse un oste svizzero nella, stizza per la fallita rivoluzione della Germania meridionale. Probabilmente il medesimo non avrebbe per quella causa rischiato la pariglia propria, piuttosto la propria pelle colle relative bastonate. Così lo svizzero in fondo al cuore non è neutrale, sebbene sia tale, in base e per: difesa della proprietà trasmessagli. Del resto questa vecchia crosta di neutralità, che circonda il miglior suo nocciolo, scoppierà ben presto per tutte le pedate che vi dànno gli stranieri — vera essenza questa della neutralità — e allora ci sarà uno scoppio e questo purificherà l’aria».

Sin qui la lettera dello Schily. Nella Tour des prisons in Berna non gli riuscì di ottenere un incontro personale col Druey, bensì una corrispondenza con questo signore. Ad una lettera nella quale lo Schily lo richiede dei motivi del suo arresto e gli domanda il permesso d'un consulto legale con l’avvocato Wyss a Berna, il Druev rispose il 31 aprile 1852:

“…L'autorité genevoise a ordonné votre renvoi du Canton, vous a fait arrêter et conduire à Berne à la déposition de mon département parceque vous vous êtes montré un des réfugiés les plus remuants et que vous avez cherché à cacher J. et B., que vous vous étiez engagé à répresenter à l'autorité. Par ce motif et parceque votre séjour ultérieur en Suisse nuirait aux rélations internationales de la Confédérationr le Conseil fédéral a ordonné votre renvoi du territoire suisse…ecc. “Comme votre arrestation n'a pour but un procès criminel ou correctionnel, mais une mesure de haute police… il n'est pas nécessaire que vous consultiez d’avocats. D’ailleurs, avant de… autoriser l’entrevue que vous me démandez avec M. l’avocat Wyss, je désire savoir le but de cet entrevue„.

Le lettere che lo Schily, dopo reiterati reclami, potè scrivere ai suoi amici in Ginevra, dovevano tutte essere preventivamente comunicate, per visione, al signor Druey. In una di queste lettere lo Schily usa l’espressione Vac victis! Il Druey gli scrive in proposito, in data 19 aprile 1852:

“Dans le billet que vous avez adressé à M. J. se trouvent les mots: Vac victis! Cela veut-il dire que les autorités fédérales vous traitent en vaincu? S'il en était ainsi, ce serait une accusation mensongère contre laquelle je devrais protester„.

Schily rispose al potente Druey, in data 21 aprile 1852, tra le altre cose:

«Je ne pense pas, M. le conseiller fédéral, que cette manière de caractériser les mesures prises à mon égard puisse me valoir le reproche d’une accusation mensongère; du moins un pareil reproche ne serait pas de nature à me faire revenir de l’idée que je suis traité arec dureté; au contraire, adressé à un prisonnier par celui qui le tient in prison, une telle réponse me paraîtrait une duieté de plus».

Alla fine del marzo 1852, poco prima dell’arresto dello Schily e della spedizione d’altri esuli non parlamentari, il reazionario Journal de Genève aveva stampato una quantità di pettegolezzi incongruenti su complotti comunisti corsi tra gli esuli tedeschi in Ginevra; essere il signor Trog occupato a scovare una nidiata di comunisti tedeschi, con Si draghi comunisti, ecc. Accanto a questo foglio reazionario ginevrino c’era uno scriba in Berna appartenente alla banda parlamentare; bisogna ammettere che fosse Carlo Vogt, giacché nel Libro principale pretende varie volte alla salvazione della Svizzera dagli esuli comunisti, e il medesimo si occupava a diffondere nel giornale di Francoforte, sotto la sigla f. simili notizie, per esempio che il comitato ginevrino, composto di comunisti, pel sussidio di esuli tedeschi, fosse stato rovesciato per indebita distribuzione dei fondi e sostituito da oneste persone (parlamentari) che ben presto porrebbero fine agli abusi; inoltre, che il dittatore di Ginevra pareva pure finalmente sottomettersi alle istruzioni dei commissari federali, essendo recentemente stati trasportati a Berna in istato d’arresto da Ginevra, due esuli tedeschi appartenenti alla fazione comunista, ecc. La Gazzetta nazionale svizzera (Schweizerische National Zeitung) pubblicata a Basilea, recava nel suo n. 72, del 25 marzo 1852, una risposta da Ginevra in cui tra le altre cose si dice:

“Chiunque non sia pregiudicato sa, che come la Svizzera è occupata solo nel rinsaldamento e nel costituzionale sviluppo delle sue conquiste politiche, cosi i deboli resti dell’emigrazione tedesca di qui non curano che il quotidiano guadagno e delle occupazioni perfettamente inoffensive, e che le fiabe sul comunismo non vengono inventate che dalla fantasia di visionari filistei e da denunzianti politicamente o personalmente interessati„.

Dopo avere indicato come uno di questi denunzianti il corrispondente parlamentare del giornale di Francoforte da Berna, l’articolo conchiude:

“Gli esuli di qui opinano trovarsi tra essi alcune di queste così dette brave persone sul modello del già galantuomo dell’impero, le quali, spinte dal desiderio delle patrie pignatte, cercano di prepararsi la via alla grazia presso i padri coscritti mediante simili espettorazioni reazionarie; auguriamo loro prospera fortuna per la prossima partenza, acciocché non compromettano più oltre l’emigrazione e il governo che le dà asilo„.

Lo Schily era noto ai parlamentari esuli quale autore di quest’articolo, il quale comparve nella Gazzetta Nazionale di Basilea il 25 marzo e il 1° aprile seguì l’arresto, totalmente privo di motivi, dello Schily stesso.

Tantane animis celestibus irae?

2. — Dieta rivoluzionaria di Murten.

Dopo lo scandalo di Murten, gli emigrati tedeschi di Ginevra, con resclusione degli esuli parlamentari, emanarono una protesta all’alto dipartimento della giustizia e polizia della Federazione Non ne riferisco che questo passo:

“…I monarchi non si contentarono delle conquiste diplomati che fatte sino allora. Essi elevarono intorno alla Svizzera uno strepito di guerra, minacciarono un’occupazione militare allo scopo di sgombrarla dagli esuli; almeno il Consiglio federale ha espresso i propri timori di questo pericolo in un atto ufficiale. Ed ecco che seguirono nuovi sfratti, motivati questa volta dalla nota riunione di Murten e dalla osservazione che mediante la procedura istituita in seguito ad essa si erano rintracciate delle tendenze propagandiste politiche. In via di fatto questa osservazione va assolutamente impugnata… in via di diritto però si potrebbe ritenere che ovunque siano rapporti legali non possono intervenire che pene legali per reati legalmente previsti, il Che vale anche dello sfratto, ove non debba avere evidente carattere di arbitrio poliziesco. 0 si vorrebbe anche qui lodare ai nostri danni la di-plomazia, dicendo che si dovette agire in tal modo pei riguardi verso potenze estere e pel mantenimento dei rapporti internazionali? Or bene, se così è, si nasconda la croce federale davanti alla mezzaluna turca, la quale, allorché il poliziotto in traccia degli esuli picchia alla Porta, mostra le corna e non striscia innanzi alla croce e ci si diano i passaporti per la Turchia, e chiusa la Porta dietro di noi, ci consegnino le chiavi della elvetica rocca di libertà quale fendum hblatum della santa alleanza, per portarle da ora in poi quali insegne da cameriere avute ria essa in feudo colla divisa: Finis Helvetiac!

3. — Cherval.

Dalla lettera di Giovanni Filippo Becker rilevai come l’affigliato o gli affigliati marxisti dello Cherval non potesse essere altri che il signor Steciier ora domiciliato a Londra. Non avevo tino allora l’onore della sua personale conoscenza, sebbene avessi udito molti elogi del suo grande e multiforme ingegno artistico. In seguito alla lettera del Becker ci trovammo poi insieme. Ecco uno scritto indirizzatomi dal mio «affiliato»:

Londra, 17 Sussexstreet. W. C., 14 ottobre 1860.

Caro signor Marx,

Volentieri le do qualche schiarimento sull’articolo Nugent (Cherval-Kraemer) nell’opuscolo del Vogt, di cui fu così cortese di inviarmi un estratto. Nel marzo 1853 tornavo a Ginevra dopo un viaggio in Italia. Il Nugent vi giunse presso a poco nel medesimo tempo, ed io ne feci la conoscenza in un istituto litografico. Aveva appunto allora cominciato a litografare, e poiché il Nugent possiede in quest’arte ampie cognizioni ed è d’indole assai compiacente ed attiva, anzi diligente, ac-cettai la sua offerta di lavorare secolui in un’officina. Ciò che il Vogt dice delle mene del Nugent in Ginevra è presso a poco quello che io ne sentivo allora, fatta la tara alle solite esagerazioni del solito arti-colista o scrittore d’opuscoli. Il successo fu scarsississimo. Io non conoscevo che uno della società, un giovane bonario e diligente, ma del resto d’una leggerezza straordinaria; e poiché era questo una delle persone principali, se ne può facilmente concludere che il Nugent era tutto nella società, e gli altri nulla che degli ascoltatori curiosi. Sono convinto che non c’erano incise nè tavole di pietra nè di bronzo nè di rame, ma avevo sentito il Nugent a parlare di simili cose. I miei conoscenti erano per lo più ginevrini ed italiani. Io sapevo che più tardi fui dal Vogt e da altri esuli tedeschi che non conoscevo considerato come una spia; ma però non me ne importava, la verità vien sempre a galla; anzi non me la presi nemmeno con loro, essendo facilissimo destare sospetti, giacché le spie non mancavano e non era sempre facile scovarle. Son quasi sicuro che il Nugent non corrispondeva con nessuno in Ginevra, dopo esserne stato sfrattato. Ne ricevetti più tardi due lettere, con le quali m’invitava a venire a Parigi per assumere l’esecuzione di un’opera sull’architettura medioevale, il che feci. Trovai il Nugent a Parigi tutto estraneo alla politica e alle corrispondenze. Da quanto sopra, però, si spiega benissimo che io potessi essere compreso tra “gli affiliati di Marx„, poiché non vidi nè seppi di alcun altro che il Nugent avesse attirato a Parigi, li signor Vogt, naturalmente, non poteva sapere che non ero stato mai nè direttamente nè indirettamente in contatto con lei e che probabilmente non vi sarei mai venuto se non avessi stabilito il mio domicilio in Londra, ove per caso ebbi il piacere di conoscere lei e la sua riverita famiglia.

Coi più cordiali saluti a lei e alla gentile signora

H. CAL. STECHER.

4. — II processo dei comunisti in Colonia.

Le comunicazioni da me fatte in questo capitolo sull’ambasciata prussiana in Londra e sul suo carteggio colle autorità prussiane del continente durante il processo dei comunisti in Colonia si fondano sulle confessioni pubblicate da A. Willich nella Gazzetta criminale di New York nell’aprile 1853 sotto il titolo: “Le vittime della “moucharderie„ scritto giustificativo di Guglielmo Kirsch„, confessioni di quell’Hirsch ora carcerato in Amburgo, che era lo strumento principale del tenente di polizia Greif e del suo agente Fleury, e che, per loro incarico p sotto la loro direzione falsificò il protocollo esibito durante il processo dei comunisti dallo Stieber. Ecco alcuni estratti dalle Me-morie dell’Hirsch:

“Le riunioni tedesche (durante l'esposizione industriale) venivano sorvegliate in comune da un triumvirato di polizia, cioè il consigliere di polizia Stieber per la Prussia, un signor Kubesch per l'Austria e il direttore di polizia Huntel di Brema„.

Ecco come Udirseli descrive la prima scena che, in seguito alla sua offerta, ebbe, in qualità di “mouchard„ col segretario d’ambasciata prussiana Alberts in Londra:

“Gli appuntamenti che l’Ambasciata prussiana in Londra dà ai propri agenti segreti seguono in un locale ad hoc. L’osteria The Cock Fleetstreet, Tempie Bar, dà così poco nell’occhio, che, se uri gallo d’oro per insegna non ne mostrasse l’entrata, uno che non la ricercasse la scoprirebbe difficilmente. Una stretta entrata mi condusse nell’interno di questa caverna inglese antica, ed alla mia richiesta di Mr. Charles mi si presentò sotto tale ditta un pingue personaggio con così amichevole sorriso come se fossimo ormai vecchi conoscenti. L’incaricato del-l’Ambasciata, che tale egli era, sembrava assai di buon umore, e quest’umore si accrebbe ancora siffattamente col brandy e acqua che per merito loro sembrò dimenticare per un pezzo lo scopo del nostro incontro. Mr. Charles, o, come subito mi si nominò col vero cognome, lo scrivano d’Ambasciata Alberts, m’informò dapprima che veramente non aveva nulla a che vedere cogli affari della polizia, ma che tuttavia voleva assumere la mediazione… Un secondo colloquio ebbe luogo nella sua abitazione d’allora, Brewerstreet 39, Golden Square, ove conobbi per la prima volta il tenente di polizia Greif, una figura di vero taglio poliziesco, di grandezza media, con capigliatura bruna ed una barba dello stesso colore tagliata par ordre, di modo che i baffi si confondono con essa, restando libero il mento. I suoi occhi, rivelanti tutt’altro che intelligenza, sembrano essersi abituati, per il frequente commercio con ladri e farabutti, a un modo acuto e fisso di guardare…

Il signor Greif si avviluppò, come da principio il signor Àlberts, nel medesimo mantello di pseudonimo, chiamandosi Mr. Charles. Il nuovo Mr. Charles, d'umore più serio, credette dovermi dapprima esaminare.... Il nostro primo incontro finì con questo, che mi dette l’incarico di fargli una relazione precisa di tutta l'attività dell’emigrazione rivoluzionaria… La prossima volta il signor Greif mi presentò il suo “braccio destro„ come lo chiamava, “cioè uno dei suoi agenti„, aggiunse. Quello così nominato era un gran giovanottone elegantemente vestito, che tornò a presentarmisi come Mr. Charles; sembra che l’intera polizia politica avesse per pseudonimo tal nome, avendo io ormai da trattare con tre Charles. Ma l'ultimo venuto mi parve fra tutti il più notevole, Era stato — diceva — anch’egli rivoluzionario, ma tutto poteva accomodarsi, venissi pure con lui. Il Greif lasciò per alcun tempo Londra e si divise dall’Hirsch, “coll'espressa osservazione che il nuovo signor Charles agiva sempre per di lui incarico, che non mi peritassi a confidarmi a lui anche se in qualcosa mi sembrasse strano, e non me ne scandalizzassi„; e per spiegarsi meglio aggiunse: “Il Ministero abbisogna talvolta di questo o quell’oggetto; i principali sono i documenti; e quando non possono procurarsi bisogna pure in qualche modo aiutarsi„. L’Hirsch racconta inoltre che l’ultimo Charles sarebbe stato quel Fleury “già partecipe alla spedizione della Gazzetta di Dresda redatta da L. Wittig. Dal Baden egli fu, in base a raccomandazioni portate dalla Sassonia, mandato dal governo provvisorio nel Palatinato per organiz-zarvi la milizia territoriale, ecc.: allorché i prussiani occuparono Carlsruhe, fu fatto prigioniero, ecc. Apparve improvvisamente in Londra alla fine del 1850 o al principio del 1851; quivi porta in principio il nome di Fleury, sotto il quale si trova cogli esuli in posizione almeno apparentemente cattiva, occupa con essi la caserma degli esuli, istituita dal comitato dei profughi stessi, e gode del relativo sussidio. Al principio dell’estate del 1851 la sua posizione improvvisamente si migliora, va ad occupare un appartamento decente e alla fine dell’anno sposa la figlia di un ingegnere inglese. Lo vediamo più tardi come agente di polizia in Parigi. Il suo vero nome è Krause, e precisamente è figlio di quel calzolaio Krause che quindici o diciotto anni fa, a causa dell’assassinio della contessa di Schemberg e della sua cameriera in Dresda, fu quivi giustiziato col Backhof e col Beseler… Spesso il Fleury-Krause mi raccontò d’aver lavorato per il governo sin dal suo quattordicesimo anno„.

Io dico del Fleurv nelle mie Rivelazioni sul processo dei comunisti:

“Benché il Fleury non sia il Fleur de Marie dei prostituii della polizia, ne è tuttavia un fiore, e fiorirà di sicuro, benché solo in fleurs de lys„. Questa profezia si è in questo modo compiuta: pochi mesi dopo il processo comunista, il Fleury fu condannato in Inghilterra, come falsario, ad alcuni anni di hulks.

Come braccio destro del tenente di polizia Greif, dice l’Hirsch, il Fleury, in costili assenza, comunicava direttamente coll’Ambasciata prussiana. Col Fleury era in comunicazione Max Reiter, il quale fece il furto delle lettere presso Osvaldo Dietz, allora archivista della Lega Schapper-Villich.

“Lo Stieber — dice l’Hirsch — era informato dall'agente dell’ambasciatore prussiano Hatzfeld a Parigi, il famigerato Cherval, delie lettere che quest’ultimo medesimo aveva scritte a Londra, e mediante il Reuter non fece che saperne il domicilio, in seguito e, che il Fleury, per incarico dello Stieber, commise quel furto coll’aiuto del Reuter. Queste sono le lettere che il signor Stieber non si è peritato di dichiarare apertamente tali dinanzi ai giurati in Colonia… Nell’autunno 1851 il Fleury, insieme al Greif e allo Stieber, era stato in Parigi, dopo che quest’ultimo, mediante l’intervento del conte di Hatzfeld, s’era già messo in comunicazione con quel Cherval, o più esattamente Giuseppe Craemer, col cui aiuto sperava di potere combinare un complotto. A quest’uopo si consigliarono i signori Stieber, Greif, Fleury, inoltre altri due agenti di polizia, Leckmann e Sommer, in Parigi, in comunione colla famosa spia francese Lucien de la Hodde (sotto il nome Dupré) e comunicarono le loro istruzioni allo Cherval, in conformità alle quali aveva da aggiustare la propria corrispondenza. Spessissimo il Fleury si divertiva di fronte a me di quell’attacco provocato tra lo Stieber e lo Cherval; e quello Schmidt, che nell'associazione fondata dallo Cherval per ordine della polizia, si era introdotto qual segretario d’una lega rivoluzionaria di Strasburgo e di Colonia, quello Schmid non è altri che il signor di Fleury… Il Fleury fu indubbiamente l’unico agente della polizia prussiana in Londra, e tutte le proposte e offerte fatte all’Ambasciata passavano per le sue mani. In molti casi i signori Greif e Stieber si affidavano al suo giudizio„.

Il Fleury spiegava all’Hirsch:

“Il signor Greif le ha detto come bisogna agire… La stessa polizia centrale in Francoforte è d’opinione trattarsi anzitutto d’assicurare l’assistenza della polizia politica, ed è indifferente in qual modo si ottenga; un passo è già fatto mediante il complotto di settembre di Parigi„. Il Greif torna a Londra, esprime la sua soddisfazione per i lavori dell’Hirsch, ma chiede di più, specialmente delle relazioni “sulle sedute segrete della Lega del partito Marx„.

“A qualunque costo — conchiuse il tenente di polizia — dobbiamo estendere delle relazioni su queste sedute: faccia un po' come può, purchè non oltrepassi la verosimiglianza; io stesso sono troppo occupato. Il signor de Fleury collaborerà con lei in mio nome„.

L’occupazione del Greif consisteva allora, come diceva l’Hirsch, in una corrispondenza col Maupàs attraverso il de la Hodde-Duprèz, sulla fuga simulata dello Cherval e del Gipperich, da organizzarsi dalle prigioni Santa Pelagia. Sull’assicurazione dell’Hirsch che il Marx non aveva fondato a Londra nessuna nuova associazione centrale della lega… il Greif e il Fleury si accordarono che, date le circostanze, dovevamo intanto fabbricare noi stessi delle relazioni sulle sedute della lega; egli, il Greif, ne assumerebbe l’autenticità e la sosterrebbe, e tanto quello che veniva presentato da lui era accettato ad ogni modo„. Il Fleury e l’Hirsch, dunque, si misero all’opera. “Il contenuto delle loro relazioni delle sedute segrete della lega da me tenute„ veniva rimpolpettato con questo, che qua e là avvenivano discussioni, venivano accettati dei membri, si fondava una nuova comunità in qualche angolo della Germania, che aveva luogo una nuova organizzazione, che in Colonia gli amici carcerati del Marx avevano la speranza della liberazione, ch'erano giunte delle lettere da questo o quello, ecc. Quanto all’ultimo punto, il Fleury si riferiva generalmente a persone in Germania già sospette per inquisizioni politiche, o che avevano in qualche modo manifestata qualche attività politica; ma spessissimo anche doveva sovvenirci la fantasia, e di tanto in tanto figurava qualche membro della lega il cui nome forse non esisteva al mondo. Tuttavia il signor Greif giudicava buone le relazioni, opinando che ad ogni costo bisognava fabbricarle. A volte il Fleury ne assumeva da solo la redazione, ma por lo più bisognava che l’aiutassi io, essendogli impossibile di stilizzare correttamente la minima sciocchezza. Così nacquero le relazioni, e il signor Greif ne assunse senza peritarsi la garenzia dell’autenticità„. L’Hirsch racconta ancora come egli e il Fleury visitano A. Ruge a Brighton ed Eduardo Meyen (di tobiesca memoria) e sottraggono loro delle lettere e delle corrispondenze fotografate. Nè basta: i Greif-Fleury affittano nella tipografia di Stanbury, Fetter lane, una macchina litografica, e insieme coll’Hirsch fabbricano essi stessi “degli opuscoli radicali„. Qui c’è da imparare per il democratico Zabel. E ascolti:

“Il primo opuscolo redatto da me (Hirsch) era intitolato, per istruzione dei Fleury: Al proletariato rurale, e ci riuscì di tirarne alcune buone copie. Il signor Greif le mandò come emanazione del partito marxista, e per maggior verosimiglianza, insieme alle relazioni delle cosiddette sedute della lega, fabbricate nel modo indicato, aggiunse ancóra alcune parole sull’invio di simile opuscolo. Una simile sofisticazione si ebbe ancora sotto il titolo: Ai figli del popolo, nè so sotto quale firma il signor Greif allora la inviasse. Più tardi la finimmo con queste prodezze, specialmente perchè ci si rimetteva troppo denaro„.

Dopo di che lo Cherval capita in Londra in seguito alla simulata fuga da Parigi, viene addetto al servizio dei Greif provvisoriamente col salario di una lira sterlina e dieci scellini la settimana, contro il quale era obbligato a fare delle relazioni sui rapporti dell’emigrazione tedesca e la francese„. Pubblicamente smascherato nella Società operaia ed espulso quale mouchard, lo Cherval, per ragioni molto evidenti, rappresentò l’emigrazione tedesca e i suoi organi, per quanto gli fu possibile, priva d’importanza, essendogli da quel lato impossibile di fornire nulla. Per compenso fornì al Greif una relazione sul partito rivoluzionario non tedesco da darne dei punti a Muenchhpusen„.

Ora l’Hirsch torna al processo di Colonia:

“Già diverse volte il signor Greif era stato interpellato sul contenuto dei resoconti della lega per suo incarico fabbricati dal Fleury, in quanto riguardavano il processo di Colonia..... Su questo oggetto vi erano anche degli incarichi precisi; così il Marx doveva una volta corrispondere con Lassalle sotto l’indirizzo “Osteria„, e il pubblico ministero desiderava che si facessero in proposito delle ricerche… Più ingenua appare un’istanza del pubblico ministero nella quale desidera più preciso schiarimento sui sussidi in danaro che il Lassalle da Dusseldorf faceva pervenire al Roeser, prigioniero in Colonia… perchè il denaro di evasi provenisse veramente da Londra„.

Già ai capitoli III e IV è accennato come il Fleury, per incarico di Hinckeldey, dovesse in Londra scovare una persona che rappresentasse dinanzi le assise di Colonia il teste H., irreperibile, e così via. Dopo avere diffusamente rappresentato quest’incidente, l’Hirsch continua; “Il signor Stieber aveva intanto manifestato al Greif l’urgente desiderio di fornire possibilmente dei protocolli originali sui resoconti della lega da lui inviati. Il Fleury disse che, se si avesse per poco della gente a disposizione, si sentiva di fabbricare un protocollo originale. Ma occorrevano specialmente i caratteri di alcuni amici del Marx. Io feci tesoro di quest’ultima osservazione, rifiutandomi per conto mio alla cosa; il Fleury parlò ancora una volta di quest’argomento, poi ne tacque. Ad un tratto eccoti verso lo stesso tempo D signor Stieber comparire in Colonia col volume dei protocolli dell’Unione centrale della lega sedente in Londra… e stupii ancora di più allorché nei verbali dati in sunto dai giornali riconobbi quasi e letteralmente i resoconti falsificati del Fleury per incarico del Greif. Il signor Greif o il signor Stieber pertanto evidentemente avevano eseguita da sè per qualche altra via la copia in questione, poiché i verbali di questo preteso originale portavano le firme, mentre quelli consegnati dal Fleury non ne avevano mai avute. Dal Fleury stesso non sentii su questo meraviglioso fenomeno che questo: u Lo Stieber sa far tutto e l’affare farà furore! Non appena il Fleury seppe che il Marx aveva fatto legalizzare il vero carattere dei presunti firmatari dei verbali (Liebknecht, Rings, Ulmer, ecc.) dinanzi ad una corte di polizia di Londra, redasse la seguente lettera:

  “All’alto presidio di polizia regia in Berlino-Londra,

“Coll’intento di far apparire come falsificate le firme dei firmatari dei verbali della lega, il Marx ed i suoi amici promossero qui la legalizzazione di caratteri che dovranno poi essere esibiti alla Corte d’Assise quali firme autentiche. Tutti quelli che conoscono le leggi inglesi sanno che per questo rispetto possono voltarsi e rivoltarsi in qualsiasi senso, e che colui che garantisce l’autenticità in fondo non ne assume nessuna garanzia. Colui che fa la presente comunicazione non si perita, in una causa ove si tratta di verità, di sottoscrivere il proprio nome.

“BECKER
4, Litchfield street„.

Il Fleury conosceva l’indirizzo del Becker, emigrato tedesco che viveva nella stessa casa del Willich, di modo che più tardi il sospetto di quell’azione poteva facilmente cadere su quest’ultimo, come avversario di Marx.

Il Fleury godeva già anticipatamente dello scandalo che ciò provocherebbe. Egli riteneva che la lettera venisse naturalmente letta così tardi che gli eventuali dubbi sulla sua autenticità potessero venir risolti solamente quando il processo fosse già finito… La lettera firmata Becker era indirizzata al presidio di polizia in Berlino, ma non andò a Berlini, bensì “agl’impiegati di polizia Goldheim e Frankfuerterhof in Colonia„ ed una busta di questa lettera andò a Berlino con l’osservazione su un foglietto chiuso: “Il signor Stieber in Colonia darà esatte informazioni sullo scopo„ … “Il signor Stieber non fece uso della lettera; non potè farlo, essendo costretto a lasciar cadere tutto l’aftàre dei verbali„. Rispetto a quest'ultimo l’Hirsch dice:

“Il signor Stieber dichiara (in Tribunale) d’avere avuto, quindici giorni prima, tra mano, detto volume e d’averci pensato prima di farne uso; dichiara inoltre essergli venuto mediante corriere nella persona del Greif… Il Greif pertanto gli avrebbe portato il proprio lavoro; ma come far concorrere questa circostanza collo scritto dal signor Goldheim? Costui scrive all’Ambasciata: “Il libro dei verbali fu fornito solamente così tardi per sfuggire al caso di eventuali interpellanze sulla sua autenticità “… Venerdì 29 ottobre il signor Goldheim giunse in Londra„. Lo Stieber frattanto aveva innanzi l’impossibilità di sostenere l’autenticità del protocollo, e quindi mandò un deputato per trattare in proposito col Fleury sopra luogo; si trattava se non fosse possibile di procurarsi per qualche via delle prove. I suoi colloqui restarono senza risultato, lasciando il Fleury in uno stato d'animo disperato, giacché lo Stieber era risoluto di scoprire, occorrendo, lui per non compromettere i capi della polizia. Che questo fosse il motivo dell'inquietudine del Fleury, rappresi dalla dichiarazione dello Stieber seguita poco dopo. Atterrito, Fleury si apprese all’ultimo mezzo; mi portò un manoscrifto in base al quale avrei dovuto copiare una dichiarazione fornendola del nome Lieckneclit, e poi dovevo recarmi dal Lord Mayor di Londra spacciandomi pel Lieckneclit e giurandone l’autenticità… Il Fleury mi disse essere il carattere di colui che aveva scritto il libro dei verbali, e che l’aveva portata il Goldheim (da Colonia). Ma come, se lo Stieber aveva ricevuto il volume stesso per mezzo del corriere Greif da Londra, come poteva il Goldheim, nel momento in cui il Greif era di nuovo in Londra, portare da Colonia un manoscritto del presunto articolista? Quel che il Fleury mi consegnò non erano che poche parole e la firma… L’Hirsch “copiò il manoscritto imitando il carattere quanto gli fu possibile, dichiarando nel medesimo che il sottoscritto, cioè il Liebknecht, dichiarava falsa la legalizzazione della propria firma fatta dal Marx e consorti, e l’unica autentica la presente sua firma. Quand’ebbi compiuto il mio lavoro ed ebbi tra mani il manoscritto (cioè quello consegnatomi per la copia dal Fleury) che fortunatamente possiedo ancora al presente, manifestai al Fleury, coti non piccola sita meraviglia, i miei scrupoli, e senz’altro mi rifiutai alla sua domanda. Inconsolabile dapprima, mi dichiarò poscia che avrebbe fatto personalmente giuramento… Per sicurezza fu d’opinione di fare controsegnare il manoscritto dal console prussiano, al qual fine si recò subito al di lui ufficio. Io l’aspettavo in una taverna; quando tornò aveva ottenuto la controfirma, in seguito alla quale si recò pel giuramento dal Lord Mayor. Ma la cosa non andava avanti. Il Lord Mayor chiese ulteriori garanzie, che il Fleury non potè dare, sicché del giuramento non si fece più nulla… Lo vidi ancora un a volta, la sera tardi, e fu l’ultima. Proprio oggi il signor Fleurv ha avuto la brutta sorpresa di leggere nella Gazzetta di Colonia la dichiarazione a lui relativa del signor Stieber: “Ma so benissimo che lo Stieber non poteva far diversamente, se no avrebbe dovuto compromettere se medesimo„, così giustamente e filosoficamente si consolava il signor Fleury… “A Berlino succederà un bel colpo quando quelli di Colonia saranno condannati mi disse il signor Fleury una delle ultime volte che lo vidi„.

Gli ultimi abboccamenti del Fieury eoll’Hirsch seguirono alla fine di ottobre 1852; le confessioni dell’Hirseh hanno per data la fine di novembre 1852; alla fine di marzo 1858 avvenne il “colpo in Berlino„ (congiura del Ladendorf).

5. — Calunnie.

Finito il processo dei comunisti in Colonia, vennero diffuse, specialmente dalla stampa tedesca e americana e nel modo più vivace, delle calunnie sul mio “sfruttamento„ degli operai. Alcuni miei amici viventi in America — i signori J. Weydetóeyer, dott. A. Jacobi (medico pratico in New York, uno degl’imputati nel processo dei comunisti in Colonia) e A. Cluss (impiegato presso la U. St. Navy Yard in Washington) — pubblicarono, in data New York 7 novembre 1853, una specificata confutazione di queste sciocchezze, coll’osservazione che avevo diritto di tacere sulle mie faccende private per quanto concerneva il favore dei grassi borghesi. “Ma, quanto alla crapula, al grasso borghese e allo sfaccendato miserabile, ciò a nostro parere danneggia la causa e rompiamo il silenzio„.

6. — Batracomiomachia.

Nel mio opuscolo prima citato, Il cavaliere, ecc., a pagina 5 si legge:

“Il 20 luglio 1851 fu fondata l’Unione per l’agitazione, e il 27 luglio 1851 il Club tedesco dell’emigrazione. Da questo giorno data la lotta combattuta dalle due parti dell’Oceano tra l’emigrazione e l’agitazione, la grande batracomiomachia„.

Chi mi darà le voce o le parole
E un proferir magnanimo e profondo,
Che mai cosa più scura sotto il sole
Non fu mirata a l’universo mondo?
L’altre battaglie far rose e viole;
A raccontar di questa io mi confondo,
Perchè il valore e ’l pregio de la terra
A fronte son condotti in questa guerra.

  (BOJARDO),
Orlando innamorato.
  Parte I, Canto XXVII).

Ora non è affatto mia intenzione di addentrarmi qui nei particolari dell’istoria di questa guerra, uè dei “preliminari di un accordo delle Unioni„ concordati il 13 agosto 1852 tra Goffredo Kinkel, nel nome della Lega dell’emigrazione, con A. Goegg, in nome della Lega rivoluzionaria dei due mondi (vietato e sotto tale firma pubblicato in tutta la stampa tedesco-americana). Osservo solamente che tutti gli esuli parlamentari con poche eccezioni (dei nomi come Carlo Vogt erano allora evitati da ciascun partito, non foss’altro per sentimento di decoro) parteciparono da una parte e dall'altra a questo carnevale.

Goffredo Kinkel, il fior di passione del filisteismo tedesco, alla fine del suo viaggio di piacere di scherma rivoluzionaria attraverso agli Stati Uniti, nel “Memoriale sul prestito nazionale tedesco per promuovere la rivoluzione„ in data Elmira, nello Stato di New York, 22 febbraio 1852, esprimeva opinioni che hanno se non altro il merito della massima semplicità. Goffredo ritiene essere lo stesso della costruzione di rivoluzioni come di quella di ferrovie. Posto che ci sia il danaro, si trova la ferrovia nell’un caso, é la rivoluzione nell’altro. Se la nazione reca in seno dei desideri rivoluzionari, i fattori della rivoluzione bisogna che abbiano degli spiccioli in tasca, e quindi tutto dipende “da una piccola schiera ben fornita e riccamente provvista di danaro. Si vede in quali falsi labirinti d’idee il vento mercantile spirante dairinghilterra spinge persino delle teste melodrammatiche. Visto che qui tutto si fa mediante azioni, persino la publique opinion, perchè non promuovere una società per azioni “per promuovere la rivoluzione?„.

In un pubblico incontro col Kossuth, il quale anch’egli faceva allora della scherma rivoluzionaria negli Stati Uniti, Goffredo si espresse molto esteticamente: “Persino dalla sua pura mano, governatore, la libertà donata mi sarebbe un duro morso di pane, che innaffierei colle lagrime della mia vergogna„. Goffredo, che guardava così severamente in bocca al cavallo donato, assicurava pertanto il governatore che se costui gli consegnava con la propria destra la “rivoluzione dell’oriente„ egli, Goffredo, consegnerebbe viceversa colla propria destra al governatore, a guisa di equivalente, la “rivoluzione dell’occidente„. Sette anni più tardi, nell’Arminio, fondato da lui medesimo, il medesimo Goffredo assicurava d’essere un uomo di rara coerenza, e come innanzi al tribunale di guerra di Rastatt aveva proclamato, il principe reggente, imperatore di Germania, si era costantemente attenuto a questa divisa.

Il conte Oscar Reichenbath, uno dei primitivi tre reggenti e cassiere del prestito rivoluzionario, pubblicò in data Londra, 8 ottobre 1852, una resa di conti, nonché dichiarazione, nella quale si distacca dall’impresa, ma insieme dichiara: “Ad ogni modo nè posso consegnare il danaro nè lo consegnerò ai cittadini Kinkel„ ecc. Per contro invitava gli azionisti di cambiare le azioni provvisorie del prestito contro il danaro esistente in cassa. A rassegnare l’amministrazione della cassa, ecc., egli dice, “determinano ragioni politiche e giuridiche… Le supposizioni sulle quali si basava l’idea del prestito non si sono realizzate. Non si è quindi raggiunta la somma di ventimila dollari, dopo il raggiungimento della quale soltanto si doveva andare avanti col prestito… La proposta di fondare un periodico per agitare intellettualmente non trova simpatia. Ma solo il ciarlatanismo politico o la monomania ri-voluzionaria possono dichiarar possibile di eseguire per adesso il prestito e di adoperare i danari momentaneamente, in maniera egualmente giusta per tutte le frazioni del partito, quindi impersonale e attivamente rivoluzionaria„. La fede rivoluzionaria di Goffredo però non era tanto facile a scuotersi, ed egli si procurò a quest’uopo una “deliberazione„ che gli permise ci continuare l’affare sotto altra firma.

La resa dei conti del Reichenbach contiene dei dati interessanti. “Per dei contributi — egli dice — che forse più tardi furono versati dai comitati ad altri che a me, i garanti non possono esser ritenuti responsabili, circostanza della quale prego il comitato di tener conto nel ritirare le azioni e nel conteggio finale„. L’introito ammontava, dopo il suo resoconto, a millecinquecentottantasette lire sterline, sei scellini e quattro danari, al quale Londra aveva contribuito due sterline e cinque scellini, e la “Germania„ nove lire sterline. La spesa importava circa einquecentottantaquattro lire sterline, diciotto scellini e cinque danari, e risulta come segue: spese di viaggio del Kinkel e del i’Hillgaertner, lire sterline duecentoventi; altri viaggiatori lire sterline cinquantaquattro; stampa litografica, lire sterline undici; fab-bricazione delle azioni provvisorie, lire sterline quattordici; corrispondenza litografica, posta, ecc., lire sterline centosei, uno scellino e sei danari. Per assegni al Kinkel, ecc., lire sterline cento.

Il prestito rivoluzionario finì in lire sterline mille, che Goffredo Kinkel tiene pronti nella Banca di Westminster come danaro spicciolo pel primo governo provvisorio tedesco. E con tutto questo non e’è ancora il governo provvisorio? La Germania forse pensa di averne abbastanza dei trentasei governi definitivi.

Dei singoli fondi di prestito americano, che non furono incorporati alla Cassa centrale in Londra, trovarono almeno di tanto in tanto un impiego patriottico, come, per esempio, le cento lire sterline che Goffredo Kiniel nella primavera del 1858 passò al signor Carlo Blind a scopo di trasformazione in “opuscoli radicali„ ecc.

7. — Polemica Palmerston.

Council Hall, Sheffield, may 6th 1856.

Doctor,

The Sheffield Foreign affairs Committee instruct me to convey to you an expression of their warm thanks for the great public service you have rendered by your admirable expose of the Kars-Paper published in the People’s paper. I have the honour, etc.

W.M CYPLEÍS, Secretary.

Dr. KARL MARX.

8. Dichiarazione del signor A. Scherzer.

Il signor A. Scherzer, che dal 30 in poi prese una nobile parte al movimento operaio, mi scrive in data Londra 22 aprile 1800:

Egregio cittadino,

Non posso far a meno di protestare contro un punto che personalmente mi riguarda fra il nauseabondo tessuto di bugie e le infami calunnie dell’opuscolo del Vogt. Nel documento N. 7, ristampato nel Corriere commerciale svizzero (Schweizer Handels courier) N. 150, 2 giu-gno, supplemento„, è detto: “Sappiamo che presentemente si fanno nuovi sforzi da Londra. Delle lettere firmate A. Sch… vengono da lì indirizzate ad associazioni ed a persone„, ecc. Queste lettere sembrano la cagione che induce il signor Vogt a scrivere in altro punto del suo libro: “Al principio di quest’anno (1859) parve però costituirsi un nuovo terreno per l’agitazione politica. Immediatamente quest’occasione fu afferrata per riacquistare qualche influenza. La tattica per questo riguardo e da anni immutata. Un comitato di cui, com’è detto neH’antiea canzone, “nessuno sa nulla„, manda in giro delle lettere mediante un presidente o segretario anch’esso completamente ignoto, ecc. ecc. Quando per tal modo è tastato il terreno, ti fioccano sul paese alcuni “fratelli viaggiatori„ che immediatamente si occupano dell’organizzazione d'una lega segreta. L’associazione stessa, la cui compromissione è lo scopo di tutto ciò, non viene a saper nulla di questi maneggi, che restano degl’intrighi particolari di alcuni individui; per la massima parte, anzi, la corrispondenza, condotta a nome dell’Associazione, è a questa completamente ignota, ma nelle lettere si parla sempre della “nostra Associazione„, e i reclami della polizia, che seguono poi invariabilmente, basandosi sui documenti redatti, si rivolgono poi a tutta l’Associazione, ecc.

Perchè il signor C. Vogt non ha ristampato tutta la lettera a cui accenna nel documento N. 7? Perchè non ha tastato la fonte da cui partiva?

Gli sarebbe stato facile di apprendere che l’Associazione londinese per la coltura degli operai nominò in pubblica seduta un comitato per la corrispondenza, nel quale ebbi l’onore di essere eletto. Se il signor Vogt parla di segretari ignoti e simili, mi fa molto piacere di non essere conosciuto da lui; sono però lieto di poter dire di essere conosciuto da migliaia di operai tedeschi, che tutti attinsero dalla scienza degli uomini ch'egli adesso insudicia della sua bava. I tempi si sono mutati. Il periodo delle società segrete è passato. È assurdo parlare di società segrete o di leghe particolari quando una causa è trattata apertamente in un’associazione operaia, ad ogni seduta della quale degli estranei assistono come visitatori.

Le lettere da me firmate erano redatte in modo che per causa loro non si poteva torcere un capello a nessuno. A noi operai tedeschi in Londra non premeva che di conoscere gli umori delle assdciazioni operaie del continente e di fondare un giornale che rappresentasse gli interessi della classe operaia e scendesse in campo contro le penne stipendiate dallo straniero. Naturalmente a nessun operaio tedesco venne in mente di agire nell’interesse di un Bonaparte, cosa di cui è capace solamente un Vogt. Noi aborriamo il dispotismo dell’Austria certo più seriamente che non lo faccia il signor Vogt, ma non ne cerchiamo la sconfitta mediante la vittoria d’un despota straniero. Ogni popolo deve liberarsi da sè. Non è strano che appunto il signor Vogt accampi per sè il diritto al mezzo di cui ci accusa come d’un delitto e d’ averlo volto contro le sue mene? Se il signor Vogt dichiara di non essere pagato dal Bonaparte, ma d’aver soltanto accettato dei danari da mani democràtiche per fondare un giornale, volendo in tal modo giustificarsi, come può, nonostante la sua scienza, essere cosi ottuso da accusare e da sospettare degli operai che si preoccupano del bene del loro paese e fanno propaganda per fondare un giornale?

Colla massima stima

A. SCHERZER.

9. — L’articolo del Blind nella “Free Press„ 27 maggie 1859.

The grand-duke Constantine to the king of Hungary.

A correspondent, who enclosed his card, writes as follows:

“Sir. Having been present at the last meeting in the Music Hall, I heard the statement made concerning the grand-duke Constantine. I am able to give you another fact.

So far back as last summer, prince Jerome Napoleon detailed to some of his confidants at Geneva a plan of attack against Austria, and a prospective rearrangement of the map of Europe. I know the name of a Swiss senator to whom he broached the subject. Prince Jerome, at that time, declared that, according to the plan made, grand-duke Constantine was to become king of Hungary.

I know further of attempts made, in the beginning of the present year, to win over to the russo-napoleonic scheme some of exiled german democrats, as some influential liberals in Germany. Large pecuniary advantages were held out to them as a bribe. I am glad to say that these offers were rejected with indignation.

10. — Lettere del signor Orges

Augusta, 16 10.

Egregio signore,

Dal signor Liebknecht mi perviene oggi la notizia ch’ella vuoi aver la bontà di gentilmente metterci a disposizione un documento giudiziario sull’opuscolo contro il Vogt in riguardo alla storia della sua genesi. La prego istantemente di mandarmelo il più presto possibile, accioc-ché possiamo produrlo. Favorisca di mandare il documento controricevuta, addossandomi tutte le spese eventuali. Del resto, egregio signore, il partito liberale misconosce talvolta la Allgemeine Zeitnng: noi (la Redazione) abbiamo sostenuto tutte le prove del fuoco e dell’acqua per la fede nelle convinzioni politiche. Osservi non il numero, non il singolo articolo, ma l’attività complessiva di essa, e verrà ben presto nella convinzione che nessun foglio tedesco intende in tal guisa, senza fretta ma anche senza posa, all’unità e alla libertà, alla potenza e alla coltura, al progresso intellettuale e morale, all’elevamento del sentimento nazionale e della morale del popolo tedesco, e che nessuno ottiene più di noi. Ella deve giudicare della nostra opera secondo i nostri effetti. Richiedendo nuovamente nel modo più urgente la gentile adesione alla mia domanda, mi segno, con la massima stima

Dev. suo

ERMANNO ORGES.

La seconda lettera, della stessa data, non era che un estratto della prima, spedita ugualmente per maggior prudenza, come scrive il signor Orges, il quale richiede “la più ràpida trasmissione del documento sull’origine del noto opuscolo contro il Vogt, messo, come scrive il signor Liebknecht, gentilmente a disposizione.

11. — Circolare contro Carlo Blind.

Non riferisco qui che la line della mia circolare inglese contro il Blind in data 4 febbraio 1860:

“Now., before taking any further step, I want to show up the fellows who evidently have played into the hands of Vogt. I, therefore publicly declare that the statement of Blind, Wiehe and Hollinger, according to which the anonymous pamphlet was not printed in Hollinger’s office, 3 Litchfield Street, Soho, is a deliberate lie. First, Mr. Voegele, one of the compositors, formerly employed by Hollinger, will declare upon oath that the said pamphlet was printed in Hollinger’s office, was written in the hand-writing of Mr. Blind, and partly composed by Hollinger himself. Secondly, it can be judicially proved that the pamphlet and the article in Das Volk have been taken of the same types. Thirdly, it will be shown that Wiehe was not employed by Hollinger for eleven consecutive months, and, especially, was not employed by him at the time of the pamphlet’s publication. Lastly, witnesses may be summoned in whose presence Wiehe himself confessed having been persuaded by Hollinger to sign the willfully false declaration in the Augsburg Gazette. Consequently, I again declare the above said Charles Blind to be a deliberate liar.

KARL MARX

From the London Times february 3rd:

«Vienna, January 30th. — The swiss professor Vogt pretends to know that France will procure for Switzerland Faucigny, Chablais and Genevese, the neutral provinces of Savoy, if the Grand Council of the Republic will let her have the free use of the Simplon».

12. — L’affidavit del Voegele

I declare herewith: that the German flysheet Zur Warnung (A Warning) wieh was afterwards reprinted in N. 7 (d. d. 18th jane 1859) of Das Volk (a german paper wich was then published in London) and wich was again reprinted in the Allgemeine Zeitung Of Augsburg (the Ausburg gazette), that this flysheet was published partly by Mr. Fidelio Hollinger, and that the flysheet was published in Mr. F. Hollinger’s Printing office, 3 Litchfield Street, Soho, London; that the manuscript of the said flysheet was in the hand-writing of Mr. Charles Blind; that I saw Mr. F. Hollinger give to Mr. William Liebknecht of 14 Church Street Soho, London, tre proofsheet of the flysheet Zur Warming; that Mr. F. Hollinger hesitated at first giving the proof- sheet to Mr. W. Liebknecht, and that, when Mr. W. Liebknecht had withdrawn, he, Mr. Hollinger, expressed to me, and to my fellow workman J. F. Wiehe his regret for having given the proofsheet out of his hands.

Declared at the Police Court. Bow Street, in the County of Middlesex, the eleventh day of februarv 1800, before me J. Henry, one of the Police magistrates of the metropolis.

L. S.

A. VOEGELE.

13. — L’affidavit del Wiehe.

One of the first days of november last — I do not recollect the exact date — in the evening between nine and ten o’ clock, I was taken out of bed by Mr. F. Hollinger, in whose house I then lived and by whom I was employed as compositor. He presented to me a paper to the effect that, during the preceding eleven months, I had been continously employed by him, and that during all that time a certain german flysheet Zur Warming (A Warning) had not been composed and printed in Mr. Hollinger’s office, 3 Litchfield Street, Soho. In my perplexed state, ad not aware of the importance of the transaction, I complied with his wish, and copied, and signed the document. Mr. Hollinger promised me money, but I never received anything. During that transaction Mr. Charles Blin, as my wife informed me at that time, was waiting in Mr. Hollinger’s room. A few day later, Mrs. Hollinger called me down from dinner and led me into her husband's room, where I found Mr. Charles Blind alone. He presented me the same paper which Mr. Hollinger had presented me before, and entreated me to write and sign a second copy, as he wanted two, the one for himself, and the other for publication in the press. He added that he would show himself grateful to me. I copied and signed again the paper.

I herewith declare the truth of the above statements and that: 1) During the 11 months mentioned in the document I was for six weeks not employed by Mr. Hollinger, but by a Mr. Ermani. 2) I did not work in Mr. Hollinger’s office just at that time when the flysheet Zur Warming (A Warning) published. 3) l heard at the time from Mr. Voegele, who then worked for Mr. Hollinger, that he, Voegele, had, together with Mr. Hollinger himself, composed the flysheet in question, and that the manuscript was in Mr. Blind’s handwriting. 4) The types of the pamphlet were still standing when I returned to Mr. Hollinger’s service. I myself broke them into columns for the reprint of the flysheet (or pamphlet) Zur Warnung (A Warning) in the german paper Das Volk, published at London, by Mr. Fidelio Hollinger, 3 Litchfield Street, Soho. The flysheet appeared in N. 7, d. d. 18th June 1859, of Das Volk (The People). 5) I saw Mr. Hollinger give to Mr. William Liebknecht, of, 14 Church Street, Soho, London, the proofsheet of the pamphlet Zur Warnung, on which proofsheet Mr. Charles Blind with'his own hand had corrected four or five mistakes. Mr. Hollinger hesitated at first giving the proofsheet to Mr. Liebk-necht, and when Mr. Liebknecht had withdrawn, he, F. Hollinger, expressed to me and my fellow workman Voegele his regret for having given the proofsheet out of his hands.

Declared and signed by the said Johann Friedrich Wiehe at the Police Court, Bow Street, this 8th day of February 1860, before me J. Henry, magistrate of the said Court.

L. S.

JOHANN FRIEDRICH WIEHE.

14. — Dalle carte processuali.

GOUVERNEMENT PROVISOIRE REPUBLIQUE FRANÇAISE.
LIBERTE - EGALITE - FRATERNITE.
AU NOM DU PEUPLE FRANÇAIS.

Paris, 1 mars 1848.

Brave et loyal Marx,

Le sol de la République française est un champ d’asyle pour tous les amis de la liberté. La tyrannie vous a banni, la France libre vous rouvre ses portes, à vous et à tous ceux qui combattent pour la cause sainte, la cause fraternelle de tous les peuples. Tout agent du gouvernement française doit interpréter sa mission dans ce sens. Salut et fraternité.

FERDINAND FLOCON
membre du Gouvernement provisoire.

Bruxelles, le 13 mai 1848.

Mon cher M. Marx,

J’entends avec un grand plaisir par notre ami Weerth que vous allez faire paraître à Cologne une Nouvelle Gazette Rhénane, dont il m’a remis le prospectus. Il est bien nécessaire que cette feuille nous tienne-au courant, en Belgique, des affaires de la démocratie allemande, car il est impossible d’en rien savoir de certain ici par la Gazette de Cologne, la Gazette universelle d’Augsbourg et les autres gazettes aristocratiques de l’Allemagne que nous recevons à Bruxelles, non plus que par notre Indépendance belge, dont toutes les correspondances particulières sont conçues au point de vue des intérêts de notre aristocratie bourgeoise. M. Weerth me dit qu’il va vous joindre à Cologne pour contribuer à l’entreprise de la Nouvelle Gazette Rhénane, et il me promet en votre nom l’envoi de cette feuille en exchange du Débat social, que je vous enverrai de mon côté. Je ne demande pas mieux aussi que d’entretenir avec vous une correspondance sur les affaires communes à nos deux pays. Il est indispensable que les Belges et les Allemands ne restent pas trop étrangers les uns aux autres, dans l’in-térêt commun des deux pays, car il se prépare en France des événements qui ne tarderont pas à mettre en jeu des questions qui toucheront les deux pays ensemble. Je reviens de Paris, où j’ai passé une dizaine de jours, que j’ai employés de mon mieux à me rendre compte de la situation de cette grande capitale. Je me suis trouvé, à la fin de mon séjour, juste au milieu des affaires du 15 mai. J’assistais même à la, séance où s’est passé le fait de l’irruption du peuple dans l’Assemblée Nationale… Tout ce que j’ai compris, à voir l’attitude du peuple parisien et à entendre parler les principaux personnages qui sont en ce moment dans les affaires de la République française, c’ést qu’on s’attend à une forte réaction de l’esprit bourgeois contre les événements de février dernier; les affaires du 15 mai précipiteront sans doute cette réaction. Or, celle-ci amènera indubitablement dans peu de temps un nouveau soulèvement du peuple… La France devra bientôt récourir à la guerre. C’est pour ce cas là que nous aurons à aviser, ici et chez vous, sur ce que nous aurons à faire ensemble. Si la guerre se porte d’abord vers l’Italie, nous aurons du répit… Mais si elle se porte sur le champ vers ce pays-ci, je ne sais pas trop encore ce que nous aurons à faire, et alors nous aurons besoin du conseil des Allemands..... En attendant j’annoncerai dans le Débat social de dimanche la publication prochaine de votre nouvelle feuille… Je compte aller à Londres vers la fin du mois de juin prochain. Si vous avez occasion d’écrire à Londres à quelques amis, veuillez les prier de m’y faire accueil. Tout à vous cordialement

L. JOTTRAND, Avt.

Bruxelles, 10 fevr., 1860.

Mon cher Marx,

N’ayant pas de vos nouvelles, depuis très long-temps, j’ai reçu votre dernière avec la plus vive satisfaction. Vous vous plaignez du retard des choses, et du peu d’empressement de ma part de vous répondre à la question que vous m’aviez faite. Que faire? l’âge ralentit la plume: j’espère cependant que vous trouverez mes avis et mon sentiment toujours le mêmes. Je vois que votre dernière est tracée à la dictée par le main de votre secrétaire intime, de votre adorable moitié: or Madame Marx ne cesse de se rappeler du vieux hermite de Bruxelles. Qu’elle deigne recevoir avec bonté mes salutations respectueuses.

Conservez moi, cher confrère, dans vos amitiés. Salut et fraternité.

LELEWEL.

5, Cambridge Place, Kensington, London, feb., 11th, 1860.

My dear Marx,

I have read a series of infamous articles against you in the National Zeitung and am utterly astonished at the falsehood and malignity of the writer. I really feel it a duty that every one who is acquainted with you, should, however unnecessary such a testimony must be, pay a tribute to the worth, honour and disinterestedness of your character. It becomes doubly incumbent in me to do so, when I recollect how many articles you contributed to my little magazine, the Notes of the People, and subsequently to the People's Paper for a series of years, utterly gratuitously; articles which were of such high value to the people’s cause, and of such great benefit to the paper. Permit me to hope that wou will severely punish your dastardly and unmanly libeller.

Believe me, my dear Marx, most sincerely, yours.

ERNEST JONES.

Dr. KARL MARX.

Tribune Office, New York, march 8th, 1860.

My dear Sir,

In reply to vour request I am very happy to state the facts of your connection with various publications in the United States concerning which I have had a personal knowledge. Nearly nine years ago I engaged you to write for the New York Tribune, and the engagement has been continued ever since. You have written for us constantly, without a single week’s interruption, that I can remember; and you are not only one ol the most highly valued, but one of the best paid contributors attached to the journal. The only fault I have had to find with you has been that you have occasionaly exhibited too German a tone of feeling for an American newspaper. This has been the ease with reference both to Russia and France. In questions relating to both, czarism and bonapartism, I have sometimes thought you manifested too much interest and too great anxiety for the unity and independence of Germany. This was more striking perhaps in connection with the late Italian war than on any other occasion. In that I agreed perfectly with you “sympathy with the Italian people I had little confidence as you in the sincerity of the french emperor, and believed as little as you that “Italian liberty , was to be expected from him; but I did not think that Germany had any sudi ground for alarm as you, in common with other patriotic german’s, thought she had.

I must add that in all your writings which have passed through my hands, you have always manifested the most cordial interest in the sWelfare and progress of the labouring classes; and that you have written mudi with direct reference to that end.

I have also at various times within the past live or six years been the medium through which contributions of yours have been furnished to Putnam's monthly, a literary magazine of high character; and also to the New American Cyclopaedia, of which I am also an editor, apd for which you have furnished some very important articles.

If any other explanations are needed I shall be happy to furnish them. Meanwhile I remain, yours very faithfully

CHARLES A. DANA,
Managing editor of the New York Tribune.

Dr. KARL MARX.

15. — Opuscoli del Dentu.

Ho mostrato come gli opuscoli del Dentu siano la fonte dalla quale il Dâ-Dâ tedésco attinge la propria scienza sulla storia universale in genere e sulla “sana politica di Napoleone„ in particolare. La “sana politica di Napoleone„ è la frase di un recente articolo di fondo del “democratico„ F. Zabel. Quel che i francesi stessi pensano e sanno di quest’opuscolo, si rilevi dal seguente estratto del foglio settimanale parigino Courrier du Dimanche, n. 42, 14 ottobre 1860:

“Pour ce qui regarde le moment actuel, prenez dix brochures au hasard, et vous reconnaîtrez que neuf au moins on été pensées, élaborées, écrites... par qui? par des romanciers de profession, par des chansonniers, par des vaudevillistes, par des sacristains!

“Parle-t-on dans les gazettes de mystérieuses entrevues entre les puissances du Nord, de la Sainte-Alliance qui ressuscite? Vite voilà un faiseur agréable de couplets assez littéraires, et même (jadis) passablement liberaux, qui court chez l’inevitable M. Dentu et lui apporte sous ce titre ronflant: “La coalition une longue et fade paraphrase des articles de M. Grandguillot. L’alliance anglaise semble déplaire parfois à M. Limayrac? Vite, un M. Châtelet, chevalier de l’ordre de Grégoire le Grand, et qui doit être sacristain quelque part si j’en crois son style, publie ou republie un long et ridicul factum: “Crimes et délits de l'Angleterre contre la France„. Déjà l’auteur du Compere Guillery (Edmond About) avait jugé à propos de nous édifier sur les arcanes politiques de la monarchie prussienne, et avait donné du haut de ses chutes théâtrales, des conseils de prudence aux chambres de Berlin. On annonce que M. Clairville va prochainement élucider la question de l’histhme de Panama, si fort embrouillée par M. Bell y; et sans doute quelque jours après la conférence royal du 21 octobre, on verra paraître à toutes les vitrines de nos libraires une splendide brochure rose qui portera ce titre: Mémoire sur l’entrevue de Varsovie par le corps de ballet de l’Opéra.

Cette invasion, en apparence inexplicable, des questions politiques par les dii minores de la littérature, se rattache à bien des causes. Nous en citerons ici une seule, mais qui est la plus immédiate et la plus incontestable.

Dans le marasme presque universel d’esprit et de coeur, ces messieurs, qui font le triste métier d’amuseurs publics, ne savent plus par quel moyen secouer et réveiller leurs lecteurs. Les vieilles gaités de leurs anedoctes leur reviennente sans cesse. Eux-mêmes se sentent aussi mornes, aussi tristes, aussi ennuyés que ceux qu’ils entreprennent de dérider. Voilà pourquoi,'à bout de réssources, ils se sont mis, en désespoir de cause, à écrire les uns des mémoires de courtisanes, les autres des brochures diplomatiques.

Puis, un beau matin, un aventurier de la plume, qui n’a jamais fait à la politique le sacrifice d’une heure sérieuse d’étude, qui n’a pas même au coeur le semblant d’une conviction, qu’elle soit, se lève et se dit: “J’ai besoin de frapper un grand coup. Voyons: que ferai-je pour attirer sur moi l’attention générale qui me fuit d’instinct? Ecrirai-je un opuscule sur la question Léotard ou sur la question d’Orient? Kévèlerai-je au monde surpris le secret de boudoirs où je n’entrai jamais, ou celui de la politique russe qui m’est plus étrange encore? Dois-je attendrir en prose voltairienne sur “les femmes éclaboussées„ ou en prose évangélique sur les malheureuses populations maronites traquées, dépouillées, massacrées par le fanatisme raahométan? Lancerai-je une apologie de mademoiselle Rigoiboche ou un plaidoyer en faveur du pouvoir temporel? Décidément, j’opte pour la politique. J’amuserai encore mieux mon pubblic avec les rois et les empereurs, qu’avec les lorettes„. Cela dit, notre surnuméraire de la littérature bohème, compulse le Moniteur, hante quelques jours les colonnades de la Bourse, rend visite à quelques fonctionaires et sait enfin de quel côté souffle le vent de la curiosité à la ville, ou celui de la faveur a la cour; il choisit alors un titre que ce vent puisse enfler d’une façon suffisant et se repose content sur ses lauriers. Aussi bien son oeuvre est faite désormais: car aujourd’hui, en matière de brochure, il n’y a que deux choses qui comptent, le titre et lés relations que Ton suppose entre l'écrivain et “de hauts personnages„.

Est-il nécessaire de dire, après cela, ce que valent les brochures qui nous inondent? Ramassez un jouir tout ce que vous avez le courage^ tâchez de les dire jusq’an bout et vous serez effrayés de l'ignorance inouïe, de la légèreté intolérable, voir même de ramoindrisseraént de sens moral qu’elles décèlent dans leurs auteurs. Et je ne parle pas ici des plus mauvaises..... Et chaque année nous courbe plus bas, chaque année voit apparaître un nouveau signe de décadence intellectuelle, chaque année ajoute une honte littéraire nouvelle à celles dont il nous faut déjà rougir. De telle sorte que les plus optimistes se prennent quelquefois à douter de demain, et se demandent avec angoisse: Sortirons nous de là?

Ho più sopra citata dalla Gazzetta Nazionale la frase della “sana politica di Napoleone„. Cosa strana: il corrispondente parigino del Manchester-Guardian — riconosciuto in tutta l’Inghilterra per le sue informazioni generalmente esatte — scrive la seguente curiosa nota:

Paris, november 8. — Louis Napoléon spends bis gold in vain in supporting such newspapers as thè National Zeitung„ (Luigi Napoleone spreca invano il proprio danaro nel sussidio di giornali come la Gazzetta Nazionale). (Manchester-Guardian, 12 novembre 1860).

Credo però che il generalmente così bene informato corrispondente del Manchester-Guardian questa volta si sbagli. Dicono infatti che P. Zabel abbia disertato nel campo bonapartista per dimostrare di non essere comprato dall’Austria. Così almeno mi fu riferito da Berlino, e andrebbe benissimo nella Dunciade.

16. — Appendice.

A) C. Vogt e la “Cimentàire„

Durante la stampa di quest’ultimo foglio mi capitò casualmente tra mano il fascicolo d'ottobre (1860) delle Foci del Tempo. A. Kolatscheck, già editore dell’organo dei parlamentari esuli, il periodico mensile tedesco e perciò in certo modo superiore letterario dei fuggitivo “reggente l’impero„, narra a pagina 37 quanto segue del suo amico Carlo Vogt:

“La Società per azioni ginevrina La Cimentaire, alla cui direzione non apparteneva altri che il signor Carlo Vogt medesimo, fu fondata nel 1857, e nel 1858 gli azionisti non avevano più un centesimo, di modo che il pubblico ministero mandò subito in gattabuia uno dei direttori sotto l’imputazione di truffa. Il signor Vogt, che nel momento dell’arresto si trovava per l’appunto a Berna, se ne tornò fretfoiosamente, e il prigioniero fu liberato, il processo soffocato “per non fare scandali„; gli azionisti, per contro, perdettero tutto. Dopo questo esempio, per altro, non si può affermare precisamente essere molto grande in Ginevra la protezione della proprietà, e Terrore del signor Carlo Vogt per questo rispetto è tanto più singolare in quanto, come fu detto, egli era condirettore di detta Società, e persino in Francia in simili cause si ricercano i colpevoli fra i direttori, si mandano in galera, e, colle loro sostanze, si soddisfa alle pretese di parte civile degli azionisti„.

Si confronti con ciò quel che Ph. Becker scrive nella sua lettera (capitolo X) sull’evento bancario che spinse il signor James Fazy nelle braccia dei decembristi. Simili particolari contribuiscono assai alla soluzione dell’enigma come “Napoléon petit„ diventasse il più grand’uomo del suo tempo. Come è noto, “Napoléon petit„ medesimo aveva da scegliere tra il colpo di Stato e — Clichy.

B) Kossuth.

Il seguente estratto d’un memoriale sopra un colloquio col Kossuth dimostra all’evidenza quanto esattamente il medesimo sappia che il pericolo massimo per l’Ungheria è la Russia. Il memoriale è fatto da uno dei più celebri membri radicali dell’odierna Camera dei Comuni:

" Memorandum of a conversation with Mr. Kossuth on the evening of may 30th 1854 at...

“…A return to strict legality in Hungary (said he, viz. Kossuth) might renew the union of Hungary and Austria, “and would prevent Russia, from finding any partisan in Hungary„. He (Kossuth) would not offer any opposition to a return to legality. He would advise his countrymen to accept with good faith such a restauratimi, if it could be obtained, and would pledge himself not in any way to be an obstacle to such an arrangement. He would not put himself he had no belief in Austria’s return to legality, except under pressure of dire necessity. He gave me authority to say, such were his sentiments, and if appealed to, he should avow them, though he could not commit himself to any proposal, as he should not expect Austria to abandon her traditional scheme of centralisation till forced to do so He would have consented in 1848 to Hungarian troops being sent to resist attacks of the Piedmontese (il signor Kossuth nel 1848 andò molto più in là, ottenendo, mediante un violento discorso nella Camera di Pesi, l’invio di truppe ungheresi contro i “ribelli„ italiani), but would not employ them to coerce Austrian Italy, as he would not consent to foreign troops in Hungary„.

La forza generatrice di miti della fantasia popolare si è manifestata in tutti i tempi nell’invenzione di “grandi uomini„. L’esempio più convincente dì questa specie è indubbiamente Simone Bolivar. Per quel che riguarda il Kossuth, egli viene celebrato per esempio come uomo che abolì in Ungheria il feudalismo. Tuttavia egli è assolutamente innocente delle tre grandi misure: imposta generale, abolizione dei pesi fendati dei contadini e abolizione delle decime ecclesiastiche. La mozione per l’imposta generale (la nobiltà era prima esente) fu proposta dallo Szemere; quella per l’abolizione della corvée dal Bonis, deputato di Szabolcz, e il clero stesso, per Porgano del deputato e canonico Jekelfalusy, rinunziò volontariamente alle decime.

C) «La Prusse en 1860» di Edmondo About

Alla fine del capitolo 8° esprimo l’opinione essere l’opuscolo di E. About, La Prusse en 1860, o, come originariamente si chiamava. Napoléon III et la Prusse, un sunto ritradotto in francese della compilazione fatta da Da-Da Vogt in versione tedesca degli opuscoli del Dentu. L’unica obiezione che poteva farsi a questa opinione era la totale ignoranza della lingua tedesca da parte del commediografo fischiato E. About. Però, perchè non avrebbe potuto il compère Guillery scovare a Parigi una commère allemande? Chi fosse questa commère restava un oggetto della critica congetturale. Come è noto, La Prusse en 1860 fu pubblicata come vademecum pel viaggio di Luigi Bonaparte a Baden-Baden, dovendo patrocinare la sua istanza presso il principe reggente e far chiaro alla Prussia che, come conclude l’opuscolo, la Prussia possedeva nel 2 dicembre un “allié très utile, qui est, peut-être, appelé à lui (cioè alla Prussia) rendre de grands services, pourvu quelle s'if prête un peu. Quel “pourvu qu’elle s’y prête un peu„ significava in tedesco: “supposto che la Prussia venda alla Francia la provincia renana„, e Àbout l’aveva tradito in francese sin dalla primavera 1860 mediante l’Opinion National. Sotto queste circostanze aggravanti non potevo, in base a semplice congettura, indicare alcuna persona quale suggeritore tedesco del commediografo fischiato e pamphlétaire di Dentu. E. About. Ora però sono autorizzato a dichiarare che la commère tedesca del compère Guillerv non è altri che la soave Ounigonda del Vogt, il signor Ludovico Simon di Treviri. Questo non lo supponeva nemmeno l’esule tedesco in Londra che scrisse la nota risposta all’opuscolo dell’About.


Note

1. Il libro, col titolo Herr Vogt von KARL MARX, è pubblicato a Londra, nel 1860, dalla ditta A. Petsch & Co., deutsche Buchhandlung, 78 Fenchurch Street, E. C., e stampato dalla tipografia di R. Hirschfeld, 48 Clifton Street, Finsbury Square, London E. C.

2. In tedesco la parola «pumpen» (pompare, trombare) vale anche far credito e dare a prestito.

3. Tale titolo era stato dato, se la memoria non m’inganna, a tutti i partitti liberali in una delle Camere in dodicesimo tedesche o nel Parlamento di Francoforte. Noi volemmo immortalarlo (Borkheim).

4. «Ma, in un seno come il vostro, messere, non vi è posto per fede, verità od onestà: esso è, tutto, occupato dall’intestino cieco e dal diaframma».

5. Spazzolaio, in tedesco «Bürstenmacher».

6. L’autore scherza sul doppio significato della parola Vogt, che in tedesco vale governatore, alludendo al famoso governatore imperiale del Guglielmo Tell di Schiller (N. d. T.).

7. Wolf: lupo.

8. «Il bello di questo scherzo saranno le incomprensibili bugie che questo stesso grasso briccone ci racconterà ».

9. Solamente dopo la stampa delle Rivelazioni seppi che il De la Hodde (sotto il nome di Duprez), nonché gli agenti di polizia prussiani Beckmann (allora corrispondente della Kölnische Zeitung) e Säumer vi avevano collaborato.

10. Freddura sul nome Greif: grifone.

11. Goldheimchen.

12. Freddura sul nome Bettelvogt: birro che sorvegliava l'accattonaggio.

13. « Le palle a fumo ed a puzza servono ottimamente nella guerra a mine. Si lavorano coll’ordinario sedimento dei razzi, che però deve contenere più zolfo, tutte quelle penne, ossi, capelli ed altre immondizie che il sedimento stesso può accogliere, se ne empiono delle borse e si sparano le palle con il sedimento di consumo» (J. C. PLUMICKE, Manuale ad uso dei regi ufficiali d'artiglieria prussiani. Parte prima. — Berlino, 1820).

14. Pubblicai una replica nell’opuscolo II cavaliere dal generoso sentire. New York, 1853.

15. Reh in tedesco significa capriolo.

16. Kobes I racconta nel già menzionato libello di Jaoopo Venedey: «Allorché nella seduta, nella quale il Gagern aveva abbracciato Gabriele Riesser dopo il costui discorso imperiale, Carlo Vogt abbracciò nella chiesa di San Paolo il deputato Zimmermann con ironica gravità ed alte grida, io gli gridai: «Lascia le ragazzate». Allora il Vogt credette di dovermi offendere con una ingiuria provocante, e quando, in seguito a questa, io ne chiesi personalmente conto, ebbe il coraggio, dopo un lungo viavai d’un comune amico, di non mantenerla» (pag. 21-22 l. c.).

17. Il Vogt giustificò più tardi l’eroica sua azione di Norimberga con le parole «essergli mancate le garanzie per la sua sicurezza personale».

18. Gli attacchi della cricca marxista contro lord Palmerston il Vogt li deduce naturalmente dal mio contrasto alla propria grave persona ed ai suoi amici (Libro principale, pag. 212). Mi par quindi opportuno di rammentare brevemente i miei rapporti verso David Urquhart ed il suo partito. Gli scritti di lui intorno alla Russia e contro il Palmerston mi avevano interessato, ma non convinto. Per formarmene un’opinione sicura sottoposi ad una faticosa analisi i Parliamentary Debates dello Hansard, nonché i Blue Books dal 1807 al 1850. Il primo frutto di tali studi, una serie di articoli di fondo nella New York Tribune (alla fine del 1853), in cui dimostravo le relazioni del Palmerston col gabinetto di Pietroburgo per le sue transazioni con la Polonia, la Turchia, la Circassia, ecc. Poco dopo feci ristampare questi lavori nell’organo cartista redatto da Ernesto Jones (The People's Paper) e vi aggiunsi nuovi capitoli sull’attività del Palmerston. Frattanto anche la Glasgow Sentinel aveva ristampato uno di tali articoli («Palmerston and Poland») il quale attirò l’attenzione del signor D. Urquhart. In seguito ad un colloquio ch’ebbi con lui, egli indusse il signor Tucker in Londra a pubblicare una parte degli articoli stessi in forma d’opuscoli. Tali Palmerston pamphlets furono poi spacciati in diverse edizioni da quindici a ventimila esemplari. In seguito alla mia analisi del Blue Book sulla caduta di Kars apparsa nel foglio cartista di Londra (aprile 1856), il Foreign Affaire Committee di Sheffield m’inviò una lettera di lode (Vedi Appendice 7a). Esaminando poi dei manoscritti diplomatici che si trovavano nel British Museum, scopersi una serie di atti inglesi, che andavano dalla fine del secolo decimottavo fino all’epoca di Pietro il Grande, che scoprono la costante azione segreta e simultanea tra i gabinetti di Londra e di Pietroburgo, ma fanno apparire il tempo di Pietro il Grande quale origine di tale connessione. Di un lavoro diffuso su questo soggetto ho fatto stampare finora solamente l’introduzione sotto il titolo Revelations of thè diplomatic history of thè 18.th century. Essa apparve prima nella Sheffield, poscia nella London Free Press, entrambi organi dell’Ùrquhart. L’ultimo di questi giornali ebbe, dalla sua fondazione in poi, la mia occasionale collaborazione. I miei studi sul Palmerston e sulla diplomazia anglo-russa sorsero quindi, come si vede, senza che lontanamente supponessi che dietro lord Palmerston ci stesse il signor Carlo Vogt.

19. Una parola sul Commis Vojageur di Biel, il monitore in diciottesimo del «reggente dell’impero fuggitivo». Editore-redattore del Corriere commerciale di Bliel (Bieler Handels-Courier) è certo Ernesto Scinder, emigrato politico del 1888, mastro di posta, commerciante di vino, fallito e in questo momento nuovamente in fondi, giacché il suo foglio, sovvenzionato durante, la guerra di Crimea dall'impresa d'arruolamento britanno-franco-svizzero, conta ormai 1200 abbonati.

20. Vedi anche pag. 4 del citato opuscolo, ove è dotto: «Questo «tener conto» per riguardi di partito, questa poca consisfcenm morale che consiste nel confessarci in un cerchiò più ristretto elle il Vogt si sia preso un giuoco vergognoso della patria, o permettere poi a questo medesimo Vogt di querelare apertamente di calunnia coloro che non hanno detto altro che quanto tutti sanno e pensano e di cui conoscono ed hanno in mano le prove, è cosa che mi nausea», ecc.

21. Era questo il comizio suaccennato tenuto il 9 maggio da D. Urquhart.

22. È vero che il signor Kolb nel N. 319 dell’Allgemeine Zeitung menziona «una lettera assai diffusa del signor Marx, che non stampa». Questa lettera diffusa, per altro, è ristampata nella Riforma d’Amburgo (Hamburger Reform) N. 139, supplemento del 19 novembre 1859. La lettera diffusa era una dichiarazione da me destinata al pubblico, che mandai alla Gazzetta del popolo (Volkszeitung) di Berlino.

23. La mia lettera d’accompagnamento e la dichiarazione del Vögele si trovano nel Libro principale, documenti, pag. 30 e 31; le lettere del signor Orges a ine nell’Appendice 10ª.

24. Chiamasi affidavit una dichiarazione giudiziaria in luogo di giuramento, che, se falsa, porta con sè tutte le conseguenze legali del falso giuramento.

25. Scrivendo io in modo illeggibile, il tribunale d’Àugusta fece datare la mia lettera, in data 19 ottobre, dal 29 ottobre. L’avvocato del Vogt, dottor Hermann, il Vogt stesso, la degna «Gazzetta nazionale di Berlino» et hoc genus omne della «immediatezza critica» non dubitarono un momento che una lettera scritta in Londra il 29 ottobre potesse già trovarsi in Augusta il 24.

26. Che tale qui pro quo fosse causato unicamente dal caso — cioè dal giungere in ritardo della mia lettera presso il Vögele — si desumerà dal posteriore affidavit di costui dell’11 febbraio 1860.

27. Il Biscamp, in data: Londra 20 ottobre, aveva mandato alla redazione dell’Allgemeine Zeitung una lettera sull’affare Vogt, alla fine della quale si offriva come corrispondente. Questa lettera mi fu poi nota solo mediante l’Allgemeine Zeitung medesima. Il Vogt inventa una teoria morale per cui l’appoggio ad un giornale tramontato mi rende responsabile per le posteriori lettere private dei suoi redattori. E quanto più responsabile non sarebbe il Vogt delle Voci del Tempo (Stimmen der Zeit) del Kolatschek, giacché era un collaboratore retribuito del Monatschrift (Foglio mentile) dello stesso Kolatschek. Intanto che il Biscamp pubblicava il Popolo (Das Volk), dimostrò la più grande abnegazione abbandonando una posizione antica per assumerne la redazione, redigendolo gratis in condizioni assai difficili, finalmente asserragliandosi in corrispondenze di giornali tedeschi come la Gazzetta di Colonia, per esempio, per poter agire conforme alle proprie opinioni. Tutto il resto non mi riguardava, nè mi riguarda.

28. In inglese scrissi: «Deliberate lie», la Gazzetta di Colonia tradusse «infame bugia». Io accetto la traduzione, sebbene «maligna bugia» si avvicini maggiormente all’originale.

29. «De quel droit d’ailleurs, le gouverneinent autrichien viendrait-il invoquer l’inviolabilité de ceux (traites) de 1815, lui qui les a violés en confisquant Cracovie, dont ces traites garantisserent l’indépendence?».

30. Il Palmerston, che burlò l’Europa colla sua ridicola protesta, aveva fin dal 1831, instancabilmente cooperato all’intrigo contro Cracovia (Vedi il mio opuscolo Palmerston and Poland, London, 1853).

31. «La Russie est de la famille des Slaves, race d'élite… On s'est étonné de l’accord chevaleresque survenu soudainement entre la France et la Russie. Rien de plus naturel: accord des principes, unanimité du but soumission à la loi de l’aliance suinte des gouvernements et des peuples, non pour leurrer et contraindre, mais pour guider et aider la marche divine des nations. De la cordialité la plus parfaite sont sorties les plus heureux effets; chemins de fer, affranchissement des serfs, stations commerciales dans la Méditerranée», ecc. p. 33, La foi des traités, ecc.. Paris, l859.

32. «Era. — dice il maggiore polacco Lapinski, che combattè contro i Russi nell’esercito rivoluzionario ungherese sino alla consegna di Rumorìi, e più tardi contro i Circassi — era la disgrazia degli Ungheresi di non conoscere i Russi» (TEOFILO LAPINSKI: Campagna dell’esercito principale ungherese nell’anno 1849, Amburgo, 1859, pag. 216). «Il Gabinetto viennese era completamente in mano dei Russi.... A loro consiglio i capi furono assassinati.... Mentre i Russi in ogni guisa si acquistavano simpatie, l’Austria veniva da loro comandata a rendersi più odiosa ancora di quel che mai fosse stata» (l. c,. pag. 188-89).

33. Il generale Maurizio Perezel, gloriosamente noto per la guerra della rivoluzione ungherese, si ritirò durante la campagna d’Italia tra gli ufficiali ungheresi riuniti in Torino intorno al Kossuth e in una pubblica dichiarazione spiegò le ragioni di questo ritiro: — da una parte il Kossuth che serviva solamente da spaventapasseri bonapartista, dall’altra parte la prospettiva dell’avvenire russo dell’Ungheria. In una risposta (in data St. Hélier, 19 aprile 1860) ad una lettera in cui gli chiedevo più particolari schiarimenti sulla sua dichiarazione, dice fra le altre cose: «Mai servirò di strumento a salvare l’Ungheria dagli artigli dell’aquila bicipite, unicamente per consegnarla alla tenerezza mortale dell'orso bianco».

34. Il signor Kossuth non si è mai ingannato sulla esattezza dell’opinione svolta nel testo. Egli sapeva che l’Austria può maltrattare ina non distruggere l’Ungheria. «L’imperatore Giuseppe II — egli scrive al gran visir Reschid pascià in data Cutaiah, 15 febbraio 1851 — l’unico nomo d’ingegno che abbia prodotto la famiglia degli Asburgo, esaurì tutte le straordinarie fonti del suo raro ingegno, nonché delle opinioni allora ancora popolari circa la potenza della sua Casa, nel tentativo di germanizzare l’Ungheria e di farla passare nel complesso dei suoi Stati, ma l’Ungheria uscì dalla lotta con rinnovata forza vitale… Nell’ultima rivoluzione l’Austria si è alzata dalla polvere unicamente per prostrarsi allo czar suo maestro, che non dona mai il suo aiuto ma sempre lo vende. E ben caro l’Austria dovette pagare questo aiuto» (Corresponrtence of Kossuth, pag. 33). Per contro egli dice nella stessa lettera, che solo l’Ungheria e la Turchia unite insieme potrebbero spezzare i maneggi panslavisti della Russia. Egli scrive a Davide Urquhart in data Kutajah 17 gennaio 1851: «We must crush Russia, my dear Sir! and, headed by you, we will! I have not only the resolution of will, but also that of hope! and this is no vain word, my dear Sir, no sanguine fascination; it is the word of a man, who is wont duly to calcolate every chance: of a man though very weak in faculties, not to be shaken in perseverance and resolution», ecc (l. c., pag. 39) (Noi dobbiamo stritolare la Russia, caro signore, e, guidati da lei, la stritoleremo. Io non ho solamente la risoluzione della volontà, ma anche quella della speranza, e non è ciò una vuota frase, caro amico, non immaginazione ottimista; è la parola di un uomo abituato a calcolare accuratamente ogni possibilità; d’un uomo che, sebbene di facoltà assai deboli, è incrollabile per perseveranza e risoluzione), ecc.

35. «Io so d'un re, si chiama sire Ludovico — che volentieri a Dio (cioè alle nazionalità) serve».

36. Fu infatti la prosperità industriale che mantenne per tanto tempo il regime di Luigi Bonaparte. Il commercio d’esportazione francese s’era più che duplicato, in seguito alle scoperte australo-californiane ed ai loro effetti sul mercato mondiale, e preso uno sviluppo sin’allora inaudito. In genere la rivoluzione di febbraio naufragò in ultima analisi per la California e l’Australia.

37. Lord Chelsea, che rappresentava a Parigi lord Cowley durante la costui assenza, scrive: «La smentita officiale (nel Moniteur del 4 marzo 1859) di ogni intenzione bellicosa da parte dell’imperatore, questo imperiai messaggio di pace, è stato ricevuto da tutte le classi di Parigi con sentimenti che possono chiamarsi d’esultanza (n. 88 del Bleu book on the affairs of Italy, january to may 1859»).

38. N. B. — Nei suoi Studi egli ripete col Moniteur e cogli opuscoli originali del Dentu «essere uno strano capriccio del destino (jueiio che obbliga quest’uomo (Luigi Borni parte) dimettersi in prima linea quale liberatore delle nazionalità (pag. 35), e che bisogna dare il proprio consenso a tale politica fin tanto che essa si mantiene nei limiti della liberazione delle nazioni, e attendere sin tanto che tale liberazione siasi compiuta per opera di quest’uomo fatale (pag. 36). Nel suo Programma ai signori democratici dice per contro: «Noi possiamo e dobbiamo mettere in guardia contro un tale ausiliario» (pag. 34. Libro principale. Documenti).

39. Del resto «Napoléon le Petit» ha copiato dal vero Napoleone anche la frase della liberazione delle nazioni. Nel maggio 1809, per esempio, Napoleone emanò da Sehoenbrunn un proclama agli Ungheresi, in cui fra altro è detto: «Ungheresi! è venuto il momento per la riconquista della vostra indipendenza. Nulla io chieggo da voi. Non desidero che di vedervi nazione libera e indipendente. La vostra unione coll’Austria era la vostra maledizione», ecc. Il 16 maggio 1797 il Bonaparte couchiudeva un trattato con la repubblica di Venezia, il cui primo articolo diceva; «Per l’avvenire, la pace e il buon accordo regneranno tra la Francia e la repubblica veneta». I suoi fini in questo trattato di pace li svela tre giorni dopo al Direttorio in un dispaccio segreto che comincia con queste parole: «Riceverete colla presente il trattato che ho stretto colla repubblica di Venezia, e in base al quale il generale Paraguay d’Hilliers ha occupato la città con sedicimila uomini. Con questo trattato di pace avevo in mente diversi fini»; Come ultimo dei quali enumera di togliere l’importanza a tutto ciò che si potrà dire in Europa, poiché adesso avrà l’apparenza come se la nostra occupazione di Venezia non fosse che un’operazione passeggera chiesta fervidamente dagli stessi Veneziani». E ancora due giorni dopo, il 26 maggio, il Bonaparte scriveva al municipio di Venezia: «Il trattato conchiuso a Milano può venire intanto firmato dal municipio, gli articoli segreti da tre dei suoi membri. Farò sempre tutto quanto è in mio potere per provarvi il mio desiderio di consolidare le vostre libertà e di veder finalmente assumere all’infelice Italia la posizione a cui è chiamata sulla scena del mondo, libera e indipendente da ogni straniero». E di nuovo, qualche giorno dopo, scrive al generale Baraguay d’Hilliers: Ricevendo la presente presentatevi al governo provvisorio di Venezia e fategli noto che, d’accordo coi principi che adesso uniscono le repubbliche di Francia e di Venezia, e coll’immediata protezione che la repubblica francese concede alla veneta, è assolutamente necessario che la flotta della repubblica sia posta sii un piede che incuta rispetto. Sotto questo pretesto prenderete possesso di tutto, curando nel contempo di vivere in buona armonia coi Veneziani e di arruolare pel nostro servizio — e cioè costantemente parlando in nome di Venezia — tutti i marinai della repubblica. In poche parole, dovete far in modo da trasportare a Tolone tutti gli attrezzi di marineria e le navi esistenti nel porto di Venezia. In virtù d’un articolo segreto del trattato i Veneziani sono obbligati di fornire alla repubblica francese attrezzi di marineria sino al valore di tre milioni perla marina di Tolone, ma è mia intenzione di prendere possesso per la repubblica fraucese a favore di Tolone di tutte le navi veneziane e di tutti i loro attrezzi marinari» (Vedi la Corresponiance secrite et confidencìelle de Napoléon, VII vol., Paris 1817). Questi ordini furono eseguiti alla lettera; e non appena Venezia fu spogliata di ogni mezzo di marina e di guerra, Napoleone, senza la minima esitazione, abbandonò la nuova alleata, la liberata repubblica veneta, cui aveva solennemente giurato di difenderla a qualsiasi rischio, al giogo dispotico dell’Austria.

40. «La Prusse est l’espoir d’Allemagne… l’esprit Allemand a son centre à Berlin… l’esprit allemand cherche l'unité de son corps, la vérité de la Confédération. C’est par cet entraînement que s’élève la Prusse… D’où vient-il que, lorsque l’Italie réclame l’intégrité, l’unité nationale, ce que l’Allemagne désire, celle ci favorise l’Autriche, négation vivante de toute nationalité ?... C’est que la Prusse n’est pas encore la tête; c’est que la tête est l’Autriche, qui, pesaint avec ses forces hétérogènes sur l’Allemagne politique, l’entraîne à des contradictions avec l’Allemagne véritable» (pag. 34, La foi des traités, ecc.).

41. «Le Rhin!... Qu’est ce que le Rhin! Une frontière. Les frontières seron bientôt des anachronismes» (l. c., pag. 36).

42. «La France stipule-t-elle des dédommagements des sacrifices qu’elle est prête à faire dans un but d’équité, de juste influence, et dans l’intérêt de l’équilibre européen? Demande-t-elle la rive gauche du Rhin? Elève-t-elle-même des prétentiens sur la Savoie et sur le comté de Nice ?» (pag. 13, La vraie question, ecc.).

43. Il Giornale di Praga (Prager Zeitung), alcuni giorni dopo la pace di Villafranca, portava la seguente dichiarazione ufficiale: «Questa protesta (la protesta della Prussia di assumere il comando supremo dell’esercito federale sotto il controllo federale) costituisce la prova evidente che la Prussia aspira all’egemonia in Germania, quindi all’esclusione dell’Austria dalla Germania stessa. Ed essendo Pàllida Lombardia infinitamente meno preziosa dot mante-nimento della nostra posizióne in Germania, la cedemmo onde pervenire alla pace, che, per la condotta della Prussia, era diventata per noi dell’impellente necessità».

44. Il Galignani’s Messenger, che porta degli articoli di fondo solo per eccezione e solamente per speciale incarico ufficiale, scrive nel numero del 21 luglio 1859: «To give another province to thè king of Piedmont, it would not only have been necessary to support a war against two-thirds of Europe, but German unity would been realised, and a work thus accomplished, which over since the time of Francis I, it has the object of French policy to prevent».

45. Il foglio speciale di Plon Plon, l’Opinion nationale, dice in un articolo del 5 luglio 1860: «Il giorno della rivendicazione a base di violenza è passato. Perciò l’imperatore è dotato di un tatto troppo fino, di un troppo giusto senso della tendenza dell’opinione pubblica… Ma è la Prussia obbligata per giuramento di non pensare mai all’unità germanica? Può garantire di non volger mai l’occhio cupido all’Hannover, alla Sassonia, al Brunswick, all’Assia, all’Oldemburgo e al Mecklemburgo? Oggi i principi si abbracciano e certo sinceramente. Ma chi può sapere che cosa, fra pochi anni, da loro pretenderà il popolo? E se la Germania, sotto la pressione dell’opinione pubblica, si centralizza, sarebbe giusto, sarebbe ragionevole che alla Francia non dovesse venir concesso di estendere il proprio, territorio a spese del vicino?... Se i Tedeschi trovassero opportuno di cambiare l’antica loro costituzione politica ponendo in luogo dell’impofcente Confederazione un governo forte e centralizzato, noi non possiamo garantire che la Francia non troverebbe opportuno di esigere dalla Germania indennità e garanzie.

46. L’imperiale Pecksniff sorpassa sé medesimo nell’opuscolo del Dentu La politique anglaise. Secondo questo, infatti, bisogna che un paio di milioni di Tedeschi e di Belgi vadano involati per migliorare la costituzione politica della Francia, il cui elemento meridionale abbisogna d’una maggior miscela colla solidità nordica. Dopo aver spiegato che, per ragioni politiche e militari, la Francia abbisogna dei limiti che la natura stessa le ha dati, si dice: «Una seconda ragione rende necessaria tale annessione (del confine renano e del Belgio). La Francia ama e chiede una savia libertà, e l’elemento meridionale costituisce un grande elemento dei suoi corpi pubblici; tale elemento ha doti meravigliose… ma manca di perseveranza e di saldezza. Gli occorre la paziente costanza, la fredda e incrollabile risoluzione dei nostri fratelli settentrionali. I confini assegnatici dalla Provvidenza ci sono pertanto non meno necessari per la nostra libertà clic non per l’indipendenza».

47. In realtà non erano «i trattati» che avevano difeso la neutralità della Svizzera, bensì gli interessi, paralizzantisi a vicenda, delle varie potenze, finitime. «Gli Svizzeri sentono —scrive il capitano Harris, agente d’affari inglese a Berna, a lord John Kussell, dopo un colloquio col presidente della Federazione, Frey-Herosée — che… gli avvenimenti hanno recentemente di molto mutato l’equilibrio delle potenze confinanti, dacché la Prussia, dopo la quistione di Neuchatel, è indifferente, l’Austria paralizzata e la Francia molto più potente di prima».

48. «When the french troops were about to march through Savoy into Sardinia, the Swiss government, true to the neutrality upon which depends its independence, at first objected that these troops had no right to pass through the neutralised territory».

49. Che la ferrovia passa per il territorio neutralizzato, è ocncesso esplicitamente in una nota diretta il 18 novembre 1859 dal presidente federale Stämpfli e dal cancelliere Schiess al capitano Harris. Quivi è detto: «Il purrait éter aussi question d’un autre point qui concerne la neutralitè de la Savoie… nous voulons parler du chemin-de-fer dernierement construit de Culoz a Chambèry, a l’egard duquel on peut se demander s’il devait continuer à faire partie du territoire neutralisè».

50. Il Vogt rimprovera al Popolo specialmente d’aver cercato di mettere «la Federazione in conflitto colle maggiori potenze limitrofe». Allorché avvenne davvero l’annessione della Savoia, il Giornale Federale, foglio bonapartista, accasava l’ufficiale Lega «essere la sua opinione circa la Savoia e la Francia un debole resto della politica che sin dal 1848 voleva coinvolgere la Svizzera nelle lotte europee» (V. Bund, Berna, 12 marzo 1860, N. 71). Si vede che le frasi delle penne bonapartiste erano, belle e preparate.

51. Had those provinces (Chablais and Faucigny) been occupied by the federal troops... there can be little doubt they would have remained in them up to this moment (pag. 20, L. Oliphant, Universal suffrage and Napoleon III. London, 1860.

52. Nel suo sopra citato discorso lord Malmesbury dice: «There is a despatch now in the Foreign Office, dated back as October 1858… from the president of the Swiss Republic, stating that lie had reason to believe that some additional agreement had been come to between the emperor of the French and count flavour with respect to Savoy».

53. Vedi N. 1 del primo Blue book on the proposed annexation of Savoy, ecc.

54. Il desiderio del Vogt dal punto di vista strettamente tedesco di cacciare in gola al lupo latino un osso italico acciocché detto lupo patisse d’indigestione, verrà senza dubbio esaudito in misura sempre crescente. Nella officiosa Reme Contemporaine del 15 ottobre 1860—tra parentesi, speciale patrona del Vogt trovasi tra altro una corrispondenza da Torino dell’8 ottobre, ove tra altro è detto: «Genova e la Sardegna sarebbero il prezzo legittimo di una nuova guerra (francese) per l’unità d’Italia. Aggiungo che il possesso di Genova sarebbe lustramento necessario della nostra influenza sulla penisola, e l’unico mezzo efficace per impedire che la potenza marittima, che avremmo contribuito a formare, sfugga alla nostra alleanza per contraine una nuova. Solo col ginocchio sulla gola possiamo assicurarci la fedeltà dell’Italia. L'Austria, buon giudice in queste cose, lo sa benissimo. Noi premeremo meno goffamente, ma meglio dell’Austria — ecco tutta la differenza».

55. Il Hartmann in Ivain, fa per altro dire al Vogt, probabilmente alludendo alla sua differenza di opinione coi parrucconi di Berna:

«Von Bern mac wel heizen ich,
Wand ich dà niht ze schaffen han».

Questo Hartmann tuttavia non è da confondersi coll’amico del Vogt, il mollusco lirico parlamentare di egual nome.

56. On se partage dejà ler places… de la Savoie dans les antichambres de l’Elysée. Ses journaux plaisantent même assez agréablement là-dessus».

57. «Peut être le citoyen thurgovien que nous avons si bien défendu contre les menaces de Louis Philippe, nous fera-t-il la grâce de vouloir bien se constituer comme médiateur, et réprendre de nous Genève» (Revue de Genève, n. 6, dicembre 1851).

58. La coscienza, che dopo l’annessione della Savoia settentrionale Ginevra fosse diventata un territorio incastrato nella Francia, e non meno la fortificazione francese del porto di Thonon, hanno, come è noto, ultimamente stimolato in alto grado la corrente antidecembrina dell’antica repubblica. Le vere manifestazioni di questa antica repubblica però sono accompagnate da quelle false, eseguite per ordine parigino, e in parte dallo stesso personale della polizia francese. Così, per esempio, leggiamo nella Saturdaij Ite viete del 22 settembre 1860: «Una partita di cosidetti Svizzeri si abbandonò a-Thonon a volgari insulti contro l’impero, allorché un gendarme guastamestieri, nell’eceesso di zelo ufficiale, mise mano ai cosidetti Svizzeri insistendo per vedere i loro passaporti. Gli Svizzeri si dimostrarono francesi, le cui carte erano perfettamente in regola… Il fatto più grave, rispetto, a queste collisioni artificiali, è che in una delle prime e peggiori fu implicato principalmente uno stretto aderente del signor Fazy (l’amico Perrier)». («The gravest fact relating to these artificial collisions is, that in one of the earliest and the worst of them a close adherent of Mr. Fazy was prominently implicated»).

59. «Si la seule esperance des patriotes allemands est fondée sur une guerre avec la France, quelle raison peuvent-ils avoir de chercher à affaiblir le gouvernement de ce pays et l'empêcher de former ses frontières naturelles? Serait-il que le peuple en Allemagne est loin de partager cette haine de la France? Quoi qu'il en soit, il y a des patriotes allemands très sincères, et notamment parmi les démocrates les plus avancés, qui ne voient pas grand malheur dans la perte de la rive gauche du Rhin, qui sont, au contraire, convaincus que c'est après cette perte seulement que commencera la vie politique d'une Allemagne régénérée, appuyée sur l'alliance et se confondant avec la civilisation de l'Occident européen." (L'Espérance, 25 marzo 1860.)

60. Per intermedio della soave Cunigonda si promosse alcunché di vogtiano a mio carico in un foglio clandestino della mia città nativa Treviri, dove tra le altre cose si parla del mio «commercio carnale, colla Allgemeine Zeitung». Che associazione d’idee per la casta Cunigonda! Very shocking, indeed!

61. «Il fut un des fcrois régents de l’empire éphémère» (l. cit., pag. 548).

62. «Il dépasserait le but au gout des Francais» (I. c., pag. 519).

63. «Nous nous efforcerons de choisir» (l. c.).

64. «M. Vogt aime beaucoup les couleurs tranchantes, et il n’est pas prècisément un gourmet en matière de language» (l. c., pag. 530).

65. «Un le volt, VI. Vogt so solicini: peu d'où vint le secolirs en taveur de l’unité allemande, imurvu qu’il vint; rem pire français lui semblait même singuglièrement propre à hâter le dénouement qu’il désire. Peut-être eu eela M. Vogt faisait-il bon marché de ses antécédents, et il dut paraître étrange, à ses anciens collègues qui siégeaient avec lui l’extreme gauche dans le Parlement de Francfort de voir ce fougoueux antagoniste de tout pouvoir unique, ce fervent zélateur de l’anarchie manifester de si vives sympathies envers le sonzérain qui l’a vaincue en France,, (l. c. pag. 518).

66. Coniò la simulata inimicizia verso la Russia del Palmerston potesse ingannare una persona di medio buonsenso, il Kossuth allora non poteva capirlo. «How could a man of any intellect for a single moment believe that the minister who allowed Russia's intervention in Hungary would give the word of attack against her?» (Lettera da Kutayah del 17 dicembre 1850 (Correspondence of Kossuth).

67. Io stesso avevo conosciuto il Banya coll’allora suo amico, adesso generale Türr, e cioè a Londra, nel 1850. Il sospetto che mi davano il suo amoreggiare con tutti i possibili partiti, orleanisti, bonapartisti, ecc., e i suoi contatti con gente di polizia d’ogni nazionalità, egli lo combattè semplicemente mostrandomi una patente a lui rilasciata di proprio pugno del Kossuth, in cui, già presidente provvisorio di polizia a Komorn sotto il Klapka, veniva nominato presidente di polizia in partibus. Come capo segreto di polizia ai servizi della rivoluzione, doveva naturalmente mantenersi liberi gli accessi della polizia che stava ai servizi dei governi. Nel corso dell’estate 1852 scopersi che aveva trafugato un manoscritto da me datogli perchè lo facesse tenore ad un libraio di Berlino e lo aveva fatto pervenire ad un governo germanico. Dopo avere scritto su questo fatto e di altre particolarità dell’uomo, che da vara» tempo mi davano nell’occhio, ad un ungherese residente in Parigi, e dopo che, per intervento di una terza persona, ben instrutta, il mistero Banya fu completamente chiarito, mandai una pubblica denunzia, firmata col mio nome, alla Criminal zeitung (Giornale criminale) di New York, in principio dell’anno 1853. Banya, in una lettera di giustificazione tuttora in mio possesso, rilevava corno io meno di tutti avessi ragione di considerarlo come una spia, avendo egli sempre (e ciò è esatto) evitato di parlar meco delle mie proprie faccende di partito. Sebbene il Kossuth ed i suoi seguaci non lasciassero allora cadere il Banya, le mie rivelazioni nel «Giornale criminale» gli resero più difficili delle ulteriori operazioni in Londra, sicché tanto più di buon grado accettò l’occasione che la confusione orientale gli offriva di far valere i propri talenti su altro teatro. Poco dopo la conclusione della pace di Parigi (1856) rilevai dai giornali inglesi che un certo Mehemet bey, colonnello ai servizi della Prussia, prima noto come cristiane» sotto il nome di Giovanni Banya, era salpato da Costantinopoli per la Circassia con un certo numero di esuli polacchi, dove come capo dello stato maggiore di Sefer pascià figurava in certo modo quale il Simone Bolivar dei Circassi. Nella London Free Press, che in copiosi esemplari va a Costantinopoli, accennai al passato» del liberatore. Il 20 gennaio 1858 il Banya, come risulta dal testo, fu condannato a morte da un tribunale militare della legione polacca sotto il comando del colonnello Th. Lapinski, in Aderbi, per tradimento premeditato verso la Circassia. Essendo il Banya colonnello turco, Sefer pascià ritenne l’esecuzione di questa condanna inconciliabile coi riguardi dovuti alla Gran Porta, e fece imbarcare il condannato verso Trebisonda, d’onde ben presto se ne ritornò a piede libero in Costantinopoli. Intanto l’emigrazione ungherese aveva appassionatamente preso parte in Costantinopoli per il Banya contro i Polacchi. Protetto dall’Ambasciata russa contro il Divano (che per di più nella sua qualità di colonnello deve mantenerlo con tutto il suo harem) e assicurato contro i Polacchi dai pregiudizi dei propri connazionali, il Banya con grande fermezza pubblicò un’autoapologia nel Journal de Constantinople. Tuttavia il pronto arrivo d’una deputazione circassa mise fine al gioco. L’emigrazione ungherese fece ufficialmente cadere il suo protetto, ma molto di mala grazia. Tutti, i documenti del tribunale militare in Aderbi, tra cui la confessione del Banya, come pure i documenti scambiati più tardi a Costantinopoli, furono mandati dagli emigrati polacchi di lì a Londra, dove ne apparve un sunto nella Free Press (maggio 1858). Questi atti furono più diffusamente da me pubblicati nella New York Tribune del 16 luglio 1858.

68. Che queste cose vengano alla luce parrà meno singolare quando si consideri che qui erano in gioco almeno due parti molto loquaci. Del resto queste circostante furono pubblicate durante il soggiorno del Kossuth in Londra (nell’estate inoltrata del 1859) nei giornali inglesi.

69. Sebbene io comprenda un tale punto di vista dalla parte di Klapka, liti pare strano di trovare qualcosa di simile nel succitato scritto di Szemere, e gli ho apertamente manifestata la mia opinione su questo punto. Tanto meno comprendo la sua ultima dichiarazione sulla concessione austriaca. So benissimo che lo Szemere non si lascia nelle cose pubbliche mai determinare da motivi privati, ed aveva delle cause molto forti per la propria dichiarazione: che gli Ungheresi con ciò che è stato dato da Vienna possono prendere tutto in Pest; che ogni insurrezione dell’Ungheria porta seco necessariamente un intervento russo in Ungheria, se tale insurrezione viene dairesteriio, e specialmente con aiuto francese; che finalmente l’autonomia concessa alla Transilvania, alla Slavonia ed alla Croazia, nonché alla Voivodina, assicurerebbe in questo momento quelle nazionalità al gabinetto di Vienna contro i Magiari, tale e quale come nel 1849; tutto ciò è giusto, ma poteva esser detto senza riconoscere il simulacro di costituzione ungherese nella mutilata edizione viennese in usum Delphini.

70. «Benvenuto e pace a questa bella accolta, — Non vengo con ostilità ma con saluto».

71. «Nuovamente vuol restaurare Panfcicò suo regno — Perché, nata dea, la noia non può mai morire». — È impossibile di tradurre dulness in tedesco. È più che noia, è l’ennui elevato a principio, la mancanza di vita che addormenta, l’insensibilità ottusa. Come proprietà di stile la dulness è precisamente quel che la Nuova gazzetta renana chiama: «L’espressione, grave di contenuto, della mancanza di contenuto».

72. «Ed è un miracolo, possiamo credere, che niun puzzo offenda l’abile suo naso».

73. «Niun canero più attivo nell’oscena danza, d’ascéndere in giù e d’avanzare all’indietro».

74. «Cimice ingegnosa» (POPE).

75. È un bisticcio: Vincke, in tedesco, si pronuncia come Fink (Fringuello).

76. Vedi l’opuscoletto: Nuova caratteristica del deputato liberale von Wincke ed edificante istoria della costruzione della strada Sprochhoevel-Elberfeld, Hagen, 1849.


Ultima modifica 2019.12.09