Wilhelm Wolff

Friedrich Engels (1876)

 


Pubblicato per la prima volta sulla Neue Welt, in 11 puntate, tra il 1° luglio ed il 25 novembre 1976.
Questa traduzione italiana è tratta da: Wilhelm Wolff - Il miliardo slesiano - ed altri scritti, pubblicato dalle Edizioni Lotta Comunista
Trascritto da Mishù, Gennaio 2004

 

I primi anni di un giovane "demagogo", il "canto dell'anima" e l'espatrio
Oratore delle associazioni operaie e redattore della "Neue Rheinische Zeitung"
La lotta al feudalesimo e il voltafaccia della borghesia tedesca
Dall’utilizzo rivoluzionario della tribuna parlamentare a compagno di fede dell'esilio londinese

I primi anni di un giovane "demagogo", il "canto dell'anima" e l'espatrio

Si era, se non sbaglio, verso la fine di aprile del 1846. Marx e io abitavamo allora in un sobborgo di Bruxelles; eravamo per l'appunto impegnati in un lavoro comune,[1] allorché ci venne co­municato che un signore proveniente dalla Germania desiderava parlarci. Ci trovammo di fronte un uomo piccolo ma di costitu­zione decisamente robusta; l'espressione del viso comunicava sia benevolenza, sia una tranquilla risolutezza: la figura di un contadino tedesco-orientale nei panni dì un abitante di una piccola città dell'est della Germania. Perseguitato per reati di stampa, egli era fortunatamente riuscito a sfuggire alle prigioni prussiane. Dal primo sguardo non intuimmo quale raro essere umano si ce­lasse sotto quell'aspetto poco appariscente. Bastarono pochi giorni per stabilire un rapporto di cordiale amicizia con il nuovo compagno d'esilio e per convincerci che non avevamo a che fare con una persona comune. Ben presto si rivelarono il suo spirito, formatosi con finezza alla scuola dell'antichità classica, il suo ricco senso dell'umorismo, la sua chiara comprensione delle difficili questioni teoriche, il suo odio ardente contro tutti gli oppres­sori delle masse del popolo, il suo carattere energico e tuttavia calmo; ci vollero invece lunghi anni di attività comune e dì rapporti amichevoli durante la lotta, la vittoria e la sconfitta, i momenti buoni e quelli brutti per sperimentare appieno la sua irremovibile forza di carattere, la sua fidatezza assoluta, al di là di ogni dubbio, il suo senso del dovere ugualmente severo e intransigente verso il nemico, l'amico e verso se stesso.

Wilhelm Wolff nacque il 21 giugno 1809 a Tarnau nella regione di Frankenstein in Slesia [2]. Il padre era contadino, sottoposto al servaggio ereditario, e nello stesso tempo gestiva la Gerichtskretscham [osteria-tribunale] (la taverna - in polacco karczma - dove avevano luogo le sedute del tribunale del villaggio) [3]; questo fatto non lo esimeva però dal dover prestare, insieme alla moglie e ai figli, le corvée feudali al signore [4]. Wilhelm venne così non solo a conoscere, ma a sperimentare di persona e fin da piccolo l'orribile condizione dei contadini asserviti dell'est della Germania. Apprese però anche altre cose. La madre, di cui egli parlò sempre con particolare affetto, aveva una cultura che oltrepassava quella tipica della sua condizione sociale: essa risvegliò e nutrì in lui la collera per la vergognosa oppressione e per l'infame trattamento cui venivano sottoposti i contadini da parte dei signori feudali. Vedremo come questa rabbia continuasse a ribollire in lui per tutta la vita quando giungeremo a quel periodo in cui egli poté una buona volta esprimerla pubblicamente. Ben presto si fecero notare i talenti e la voglia di imparare di questo figlio dì contadini; egli avrebbe dovuto possibilmente frequentare il ginnasio, ma quali ostacoli da superare prima di riuscirci! A parte la mancanza di denaro, c'erano il signore e il suo amministratore, senza l'assenso dei quali non si poteva fare nulla. In teoria il servaggio ereditario era infatti stato abolito nel 1810 ma i servizi feudali, le corvée, la corte di giustizia padronale, le forze di polizia delle tenute padronali continuavano a sussistere e facevano sì che, nei fatti, la servitù ereditaria si perpetuasse. Il signore e i suoi impiegati preferivano decisamente ricavare dai figli dei contadini dei pastori di porci piuttosto che degli studenti. Tutti gli ostacoli furono però superati. Wolff entrò al ginnasio a Schweidnitz e all'università a Breslavia [5]. In tutte e due gli istituti egli dovette guadagnarsi la maggior parte del proprio sostentamento dando lezioni private. All'università sì dedicò di preferenza alla filologia classica, senza però essere un pedante filologo all'antica; ebbe elevata sensibilità per i grandi poeti e prosatori greci e romani che rimasero la sua lettura preferita finché visse.

Era quasi giunto alla fine dei propri studi universitari quando, dopo la tregua degli anni Venti, riprese nuovamente la caccia ai "demagoghi" da parte del parlamento federale e dei governi prussiano e austriaco [6]. Essendo membro della "Burschenschaft" [7], anch'egli venne imprigionato nel 1834, quindi trascinato per anni di prigione in prigione nel corso delle indagini e infine condannato. A che cosa? Io credo che non abbia mai pensato che valesse la pena di dirlo. Comunque egli giunse alla fortezza di Süberberg. Là trovò dei compagni di pena e tra gli altri anche Fritz Reuter. Alcuni mesi prima della morte, Wolff si trovò fra le mani [il libro]   Ut mine Festufigstid [8], scritto da quest'ultimo. Appena riconobbe nell'autore il suo antico compagno di sventura, gli fece giungere notizie tramite la casa editrice.

Reuter gli rispose subito con una lettera lunga e molto cordiale che mi fu mostrata e che prova come, per lo meno il 12 gennaio 1864, il vecchio capopopolo fosse tutto meno che un docile leccapiedi.

«Ora me ne sto qui — scrive — già da quasi trent'anni, tanto che i capelli mi sono diventati grigi, e aspetto una bella rivoluzione nella quale la volontà popolare si deve manifestare una buona volta in modo deciso, ma a che serve? Se tuttavia il popolo tedesco si rifiutasse almeno di pagare le tasse: questo è l'unico mezzo per liberarsi di Bismarck e compagnia e per far infuriare il vecchio re.»

A Silberberg, Wolff provò tutte le numerose sofferenze e le poche gioie che sperimentarono i demagoghi rinchiusi nelle fortezze, così come Reuter le ha descritte, con vivacità e humour, nel suo libro. Le casematte erano umide e gli inverni terribilmente rigidi: vi era per questo un misero compenso nel fatto che il vecchio castello sulle rocce aveva una truppa di anziani invalidi, i cosiddetti Garnisòner [uomini di guarnigione], che non eccellevano per severità ed erano talvolta abbordabili con un bicchierino o con qualche spicciolo per la birra. Ad ogni modo nel 1839 la salute di Wolff era già talmente compromessa che egli venne graziato [9].

Si recò a Breslavia e cercò di farsi strada come insegnante. Aveva però fatto i conti senza l'oste, e l'oste era in questo caso il governo prussiano. Essendo stato interrotto a metà dei suoi studi dalla prigionia, non aveva potuto concludere i tre anni di università prescritti e tanto meno aveva dato l'esame. In quella Cina che era allora la Prussica, poteva dirsi dotto appartenente alla corporazione solo colui che aveva svolto tutto quanto era previsto. Chiunque altro, fosse pure tanto erudito nella propria materia quanto lo era Wolff nella filologia classica, rimaneva al di fuori della corporazione: l'utilizzazione pubblica delle sue conoscenze gli era preclusa. Rimaneva la prospettiva di mantenersi come insegnante privato. Per questo occorreva però una concessione governativa; quando Wolff ne fece domanda, essa gli fu negata. Se in Prussia non ci fossero stati tanti polacchi, il "demagogo" avrebbe dovuto morire di fame o tornare a prestare corvée nel suo villaggio natale. Un possidente terriero posnano io prese nella propria casa come istitutore; egli trascorse presso di lui diversi anni e parlò sempre di quel periodo con particolare piacere [10].

Tornato a Breslavia, ottenne infine dal magnifico regio governo, dopo molti tormenti e richieste, il permesso di impartire lezioni private; ora poteva per lo meno gettare le basi di una modesta esistenza. Quest'uomo quasi privo di esigenze non pretendeva di più. Contemporaneamente riprese - per quanto possibile, date le condizioni miserevoli di allora - la lotta contro l'oppressione esistente. Dovette limitarsi a rendere pubblici singoli episodi di comportamenti arbitrari da parte di funzionari, proprietari terrieri e industriali: anche in questo trovò ancora ostacoli posti dalla censura. Non si fece però confondere. Il tribunale superiore per la censura, allora appena insediato, non aveva cliente abituale più ostinato del docente privato Wolff di Breslavia, il quale si ripresentava continuamente. Niente lo divertiva di più che buggerare la censura; la cosa non era poi molto difficile, data la stupidità della maggior parte dei censori, una volta che se ne conoscessero i lati deboli. Così fu lui a scandalizzare oltremodo le anime pie, allorché scoprì in un vecchio libro di canti di chiesa, ancora in uso in certi luoghi, il seguente "canto dell'anima" del peccatore contrito e lo rese pubblico negli "Schlesische Provinzialblàtter" [11]:

Ich bin ein recbtes Kabenaas,
Ein wahrer Sùnden-kruppel,
Der seine Siinden in sich fra/i
Ah mie der Russ' die Zwippel.
Herrjesi,-, nimm mich ttundbeim Ohr,
Wirf mir den Gnadenknochen vor,
Und schmeiji mich Si'mdenlummel
In deìnen Gnadenhimtnel. [12]

 

II canto si propagò per tutta la Germania con la velocità del fulmine, provocando le sonore risate degli empi e l'indignazione degli "amanti del quieto vivere". Il censore ricevette un aspro rimprovero e il governo cominciò allora a tenere d'occhio più attentamente questo insegnante privato Wolff, questo irrequieto imbroglione che cinque anni di carcere duro non avevano potuto domare. Non passò molto tempo che si trovò di nuovo un pretesto per processarlo. La vecchia legislazione prussiana si era ormai estesa a tutto il Paese: era un sistema, applicato ad arte, di trappole, lacci, reti e trabocchetti ai quali neppure ì sudditi fedeli potevano sempre sfuggire e nei quali cadevano però tanto più sicuramente quelli infidi.

Il reato di stampa, per cui Wolff alla fine del 1845 o all'inizio del 1846 fu messo in stato d'accusa, era così insignificante che ora nessuno di noi è in grado di ricordarne i particolari [*1]. La persecuzione assunse però dimensioni tali per cui Wolff, che ne aveva abbastanza delle prigioni e delle fortezze prussiane, si sottrasse alla minaccia dell'arresto e passò nel Mecklemburgo [13]. Qui egli trovò alloggio sicuro presso amici fino al momento in cui si poté organizzare liberamente il suo imbarco ad Amburgo con destinazione Londra. A Londra, dove egli comparve per la prima volta in un'associazione pubblica - l'Associazione comunista tedesca di Educazione Operaia [14], che ancora esiste -, non rimase a lungo: in seguito giunse, come già detto, a Bruxelles.

 

Oratore delle associazioni operaie e redattore della "Neue Rheinische Zeitung"

In questa città egli trovò presto un'occupazione in un'agenzia di stampa che procurava ai giornali tedeschi notizie dalla Francia, dall'Inghilterra e dal Belgio, la cui redazione, finché le circostanze lo consentirono, ebbe un orientamento socialdemocratico. Quando la "Deutscbe-Brùsseller Zeitung" [15] si mise a disposizione del nostro partito, anche Wolff collaborò con noi. Nell'Associazione dei Lavoratori Tedeschi di Bruxelles [16], da noi fondata in questo periodo, Wolff divenne ben presto uno dei relatori preferiti. Settimanalmente vi esponeva una rassegna dei fatti del giorno: era ogni volta un capolavoro di rappresentazione divulgativa, tanto umoristica quanto efficace, che fustigava come si doveva soprattutto le meschinità e le malvagità sia dei signori che dei sudditi tedeschi. Queste rassegne politiche divennero il suo soggetto preferito, tanto che le proponeva in ogni riunione a cui prendeva parte, sempre con la stessa grande capacità di rappresentare le cose in modo comprensibile a tutti.

Scoppiò la rivoluzione di febbraio [17], che trovò immediata eco a Bruxelles. Ogni sera frotte di uomini si radunavano sulla piazza grande del mercato, davanti al municipio occupato dalla guardia civica e dai gendarmi; le numerose birrerie e bettole intorno alla piazza erano piene zeppe. Si gridava "Vive la République!", si cantava la "Marseillaise", ci si accalcava, sì spingeva e si ricevevano spintoni. Il governo si mantenne apparentemente zitto e tranquillo, però nelle province richiamò in servizio le riserve e i militari in congedo. Di nascosto fece sapere al più stimato repubblicano belga, il signor Jottrand, che il Re sarebbe stato disposto ad abdicare, se il popolo lo avesse desiderato e che egli avrebbe potuto sentirselo dire dal Sovrano stesso, quando avesse voluto. In effetti Leopoldo [18] spiegò a Jottrand di essere egli stesso repubblicano in fondo al cuore e di non voler rappresentare un ostacolo nel caso in cui il Belgio avesse voluto costituirsi in repubblica; egli desiderava soltanto che tutto si svolgesse nell'ordine e senza spargimenti di sangue, sperava inoltre in una pensione decorosa. La notizia venne diffusa velocemente in maniera ufficiosa ed ebbe un tale effetto pacificatore che non furono fatti tentativi d'insurrezione. Non appena però le riserve furono raccolte e la maggior parte delle truppe si fu concentrata intorno a Bruxelles - in quel piccolo Paese furono sufficienti tre o quattro giorni - non si fece più parola di trattative; la sera la gendarmeria intervenne improvvisamente sulla piazza del mercato distribuendo piattonate contro i gruppi di persone e la gente venne arrestata a destra e a manca. Tra i primi a essere così malmenati e arrestati ci fu anche Wolff, che stava andandosene tranquillamente a casa. Trascinato nel municipio, venne ancora maltrattato dai soldati della milizia civica, rabbiosi e mezzo ubriachi, e, dopo diversi giorni di reclusione, fu spedito oltre il confine francese. A Parigi non sì trattenne a lungo [19]. La rivoluzione berlinese di marzo e i preparativi per il parlamento di Francoforte e l'assemblea di Berlino, lo spinsero a tornare in Slesia, a intervenire là per dare alle elezioni un indirizzo radicale. Egli intendeva raggiungerci non appena avessimo fondato un giornale, sia che fosse a Colonia, sia che fosse a Berlino. La sua vastissima popolarità e la sua eloquenza comprensibile ed efficace riuscirono a imporre, soprattutto nelle circoscrizioni elettorali di campagna, dei candidati radicali che senza di lui non avrebbero avuto speranze di successo.

Nel frattempo, il 1° giugno uscì a Colonia la "Neue Rheinische Zeitung" con Marx come redattore capo [20]; ben presto Wolff venne a prendere il proprio posto nella redazione. Il suo impegno instancabile, la sua risoluta scrupolosità gli creavano degli inconvenienti all'interno della redazione, formata soltanto da giovani; essi, infatti sì prendevano a volte un'ora libera in più, ben sapendo che "ci avrebbe pensato Lupus [21] a far sì che il giornale fosse pronto": io stesso non voglio dichiararmi assolutamente innocente in proposito. Di conseguenza Wolff, nel primo periodo di vita del giornale, si dedicò più al lavoro corrente che alla stesura di articoli. Ma presto trovò il modo di occuparsene in maniera originale. Nella rubrica corrente "Dal Reich" raccoglieva le notizie provenienti dai piccoli Stati tedeschi, descrivendo con umorismo impareggiabile la limitatezza e il filisteismo dei regnanti e dei sudditi degli staterelli e delle piccole città. Contemporaneamente, nella Società Democratica egli forniva settimanalmente una rassegna degli avvenimenti di attualità, divenendo anche qui uno degli oratori più popolari ed efficaci [22].

La stupidità e la vigliaccheria della borghesia, sempre crescenti dopo la battaglia di giugno a Parigi [23], avevano nuovamente permesso alla reazione di rafforzarsi. Le cricche di Vienna, Berlino, Monaco, ecc. lavoravano a braccetto con il nobile Reggente [24] e dietro le quinte la diplomazia russa reggeva i fili dai quali faceva ballare le marionette. Ora, nel settembre 1848, giunse per questi signori il momento di agire. Sotto la pressione diretta e indiretta (attraverso lord Palmerston) della Russia, la prima campagna dello Schleswig-Holstein si concluse con l'infame armistizio di Malmò [25].Il parlamento di Francoforte si abbassò a ratificarlo, rompendo apertamente e chiaramente con la rivoluzione. In risposta, Francoforte si sollevò il 18 settembre; l'insurrezione venne schiacciata. Quasi contemporaneamente a Berlino era scoppiata la crisi tra l'Assemblea di Conciliazione Costituzionale e la corona. Il 9 agosto l'Assemblea aveva pregato il governo, con una risoluzione molto rispettosa, addirittura timida, di fare infine qualcosa per moderare il comportamento spudorato e scandaloso degli ufficiali reazionari. Quando in settembre essa chiese l'applicazione di questa deliberazione, le venne risposto con l'insediamento del ministero reazionario Pfuel diretto dallo stesso generale (19 settembre) e con la nomina del famigerato Wrangel a generale in capo nella Marca [26]: due chiari avvertimenti per i conciliatori berlinesi: o sottomettersi o rassegnarsi allo scioglimento. L'agitazione divenne generale. Anche a Colonia si tennero assemblee popolari e venne costituito un comitato di sicurezza. Il governo decise di colpire per prima Colonia. Il mattino del 25 settembre un gran numero di democratici venne arrestato; tra di essi anche colui che allora era generalmente conosciuto come "Becker il rosso", in seguito divenuto sindaco e morto poco tempo fa [27]. La tensione crebbe. Nel pomeriggio sì tenne una adunanza plenaria al Mercato Vecchio. La presiedeva Wolff. La milizia civica era schierata all'intorno, non era ostile al movimento democratico, pensava però prima di tutto alla propria salvezza. Interrogata, spiegò che si trovava là per proteggere il popolo. Improvvisamente della gente si spinse sulla piazza gridando: "arrivano i Prussiani!". Joseph Moll, catturato anch'egli al mattino ma liberato dal popolo, stava per l'appunto parlando e gridò: «Cittadini, volete disperdervi davanti ai Prussiani? - No! no! fu la risposta. -Allora dobbiamo costruire delle barricate!» e ci si mise subito al lavoro. È noto l'esito che ebbe il giorno delle barricate a Colonia. Causato da un falso allarme, privo di armi, non trovando resistenza - la milizia civica se ne tornò prudentemente a casa - tutto il moto finì nel nulla senza spargimenti di sangue. Il governo raggiunse il proprio scopo: a Colonia venne dichiarato lo stato d'assedio, la milizia civica venne disarmata, la "Neue Rheinische Zeìtung" fu sospesa e i redattori dovettero riparare all'estero.

Lo stato d'assedio a Colonia non durò a lungo. Fu tolto il 4 ottobre; l'11 riapparve la "Neue Rheinische Zeìtung". Wolff era andato a Durkheim, nel Palatinato, dove lo si lasciò tranquillo. Egli, così come me ad altri redattori, venne perseguito con mandato di cattura per complotto ecc. Il nostro Wolff però non resistette a lungo nel Palatinato e, terminata la vendemmia, riapparve nella sede della redazione, al n° 17 di Unter Hutmacher [28]. Proprio accanto riuscì a trovarsi un'abitazione dalla quale poteva raggiungere la stanza della redazione attraversando un cortile, senza passare in strada. Ben presto si stancò di questa prigionia e, intabarrato in un lungo pastrano e celato sotto un cappello a larga tesa, usciva quasi ogni sera a buio col pretesto di comprarsi il tabacco. Si riteneva in incognito, anche se la caratteristica figura robusta e il passo risoluto erano del tutto inconfondibili; in ogni caso egli non venne tradito. Così visse per diversi mesi, mentre noialtri cessavamo progressivamente di essere perseguiti. Finalmente il 1° marzo 1849 fummo informati che non vi era più alcun pericolo e Wolff si presentò al giudice istruttore, il quale gli spiegò che tutto il procedimento era stato archiviato perché basato su rapporti di polizia inattendibili.

La lotta al feudalesimo e il voltafaccia della borghesia tedesca

Nel frattempo, all'inizio di dicembre, l'Assemblea berlinese era stata sciolta ed era iniziata l'epoca della reazione di Manteuffel [29]. Una delle prime misure prese dal nuovo governo fu quella di tranquillizzare i feudatari delle province orientali in merito al loro discusso diritto a ottenere lavoro non pagato da parte dei contadini. Dopo i giorni di marzo i contadini delle province orientali avevano sospeso ovunque le corvée e, qui e là, avevano persino strappato ai signori rinunce scritte a tali prestazioni. Si trattava dunque soltanto di dichiarare legale questa situazione di fatto e il contadino a Est dell'Elba, che era stato sfruttato già abbastanza a lungo, sarebbe stato un uomo libero. L'assemblea di Berlino però, ben 59 anni dopo il 4 agosto 1789, allorché l'Assemblea Nazionale francese aveva eliminato senza contropartite tutti gli oneri feudali [30], non aveva ancora saputo trovare il coraggio per un simile passo. Si resero più agevoli per certi aspetti le condizioni per il riscatto dalle corvée ma soltanto alcuni dei più scandalosi e rivoltanti diritti feudali dovevano venir eliminati senza risarcimento [31]; tuttavia, prima che questo progetto di legge venisse definitivamente accettato, intervenne lo scioglimento e il signor Manteuffel dichiarò che il governo non avrebbe trasformato in legge questo disegno. Così si annientavano le speranze dei contadini soggetti a corvée della vecchia Prussia; si trattava di lavorare su di essi, chiarendo loro la situazione in cui si trovavano. Wolff era l'uomo per questo compito. Non solo in quanto, essendo per origine figlio di contadini sottoposto alla servitù ereditaria, nella propria infanzia aveva dovuto prestare lavori tributari; non solo perché aveva conservato l'odio ardente contro gli oppressori feudali che una simile infanzia gli aveva suscitato; nessuno conosceva l'asservimento feudale in tutte le sue particolarità come lui e proprio nella provincia che forniva il campionario di tutte le loro molteplici forme, la Slesia [32].

Così Wolff avviò la campagna contro i signori feudali, campagna che culminò con la pubblicazione de Il miliardo slesiano e sulla quale tornerò in seguito. La borghesia aveva il dovere de jure di condurla. La battaglia contro il feudalesimo era appunto il compito che la storia mondiale affidava a questa classe. Ma, come abbiamo visto, essa non lo fece o lo fece soltanto in apparenza. A causa dell'arretratezza socio-politica della Germania la borghesia tedesca accantonò i propri interessi politici vedendo dietro di essi ergersi già minaccioso il proletariato. Le speranze e i desideri ancora confusi dei lavoratori di Parigi a febbraio e - ancora di più - la loro lotta disperata di quattro giorni nel giugno 1848, spaventarono non solo la borghesia francese, ma anche quella di tutta Europa. In Germania persino le richieste puramente democratiche, attuate da lungo tempo per legge in Svizzera, apparvero ai codardi borghesi come degli attacchi alla loro proprietà, alla loro sicurezza, alla loro vita ecc. Vili come sempre, i borghesi tedeschi sacrificarono i propri interessi comuni, cioè politici, per poter salvare ciascuno il proprio interesse privato, il proprio capitale. Meglio il ritorno al vecchio assolutismo burocratico-feudale che una vittoria della borghesia in quanto classe e un moderno Stato borghese conquistato con la rivoluzione, al prezzo del rafforzamento della classe rivoluzionaria, del proletariato! Questa fu la codarda invocazione della borghesia tedesca, che permise alla reazione di vincere su tutta la linea.

Così il partito del proletariato dovette iniziare la lotta là dove la borghesia aveva lasciato il campo di battaglia. In questo modo Wolff iniziò a combattere il feudalesimo sulla "Neue Rheinische Zeitung". Non lo fece però in modo tale che la borghesia potesse rallegrarsene; no, ma in senso autenticamente rivoluzionario, cosicché questi articoli, impregnati dello spirito della grande rivoluzione francese, spaventarono la borghesia tanto quanto intimorirono i signori feudali e il governo. Pochi tra i numerosi articoli della "Neue Rheinische Zeitung" destinati a infiammare i lettori ebbero un effetto paragonabile a quello di questi otto, apparsi tra il 22 marzo e il 25 aprile. Le ordinazioni del giornale provenienti dalla Slesia e dalle altre province orientali crebbero rapidamente, in più venivano richiesti i singoli numeri. Infine, poiché l'eccezionale libertà di stampa garantitaci dalla legge renana non sussisteva nelle altre province ed era quindi impensabile una ristampa sotto il diritto civile aristocratico, si decise di ristampare clandestinamente in Slesia tutti questi otto numeri, il più possibile simili agli originali nell'aspetto esterno, e di diffonderli in migliaia di esemplari: un sistema verso il quale naturalmente nessuno era meno contrario della redazione.

Ma torniamo al nostro Wolff. Il 19 maggio 1849 la "Neue Rheinische Zeitung" venne soppressa, dopo la comparsa dell'ultimo numero, stampato in rosso. La polizia prussiana aveva, oltre a ventitré processi ancora pendenti per reati di stampa, tanti altri pretesti per attaccare ogni singolo redattore, così tutti lasciarono subito Colonia e la Prussia. La maggior parte di noi si recò a Francoforte dove pareva che ci si avviasse alla svolta decisiva. Le vittorie ungheresi provocarono l'intervento russo; il conflitto tra i governi e il parlamento di Francoforte sulla Costituzione dell'Impero aveva provocato diverse sollevazioni: quelle di Dresda, Iserlohm ed Elberfeld erano state represse, quelle invece nel Palatinato e nel Baden facevano ancora progressi [33]. Wolff aveva ancora in tasca un vecchio mandato di Breslavia che lo qualificava come sostituto di quel falsificatore della storia che fu Stenzel; Stenzel il piagnone era passato soltanto in quanto si era preso il mestatore Wolff come sostituto [34]. Stenzel, naturalmente, come tutti i buoni prussiani, aveva seguito l'ordine del governo del suo Paese che lo richiamava da Francoforte. Ora Wolff prese il suo posto.

II parlamento di Francoforte per la propria inerzia e stupidità era decaduto dal rango della più potente assemblea mai riunitasi in Germania all'estrema impotenza ormai palese per tutti i governi, persino per il governo imperiale da lui stesso insediato. Esso se ne stava li, senza sapere che fare, tra i governi che adunavano Ì propri eserciti e il popolo che si era sollevato per ottenere la Costituzione dell'Impero. C'era ancora la possibilità di vincere su tutti i fronti, se il parlamento e i capi del movimento della Germania meridionale avessero avuto coraggio e decisione. Una risoluzione del parlamento che avesse chiamato a Francoforte gli eserciti del Baden e del Palatinato per difendere l'Assemblea sarebbe stata sufficiente. Con ciò l'Assemblea si sarebbe riconquistata di colpo la fiducia popolare. Sicuramente ci si sarebbe poi potuta attendere la defezione delle truppe dell'Assia e di Darmstadt e l'ingresso nel movimento del Wurttemberg e della Baviera [35]; i piccoli Stati della Germania centrale sarebbero stati ugualmente trascinati anch'essi; la Prussia avrebbe avuto abbastanza da pensare a se stessa e, di fronte a un movimento così potente in Germania, la Russia avrebbe dovuto trattenere in Polonia una parte delle truppe che ora impiegava con tanto successo in Ungheria. L'Ungheria poteva dunque essere salvata a Francoforte e d'altra parte con ogni probabilità, di fronte a una rivoluzione che procedesse vittoriosa in Germania, la rivolta che ci si attendeva di giorno in giorno a Parigi non sarebbe finita nella imbelle sconfitta dei borghesucci radicali che si verificò il 13 giugno 1849 [36].

Le probabilità non avrebbero potuto essere più favorevoli. Il consiglio di chiedere la protezione del Baden e del Palatinato venne dato da noi tutti a Francoforte, quello di marciare su Francoforte stessa - anche senza essere invitati a farlo - venne dato da Marx e da me a Mannheim. Né i capi del Baden, né i parlamentari di Francoforte ebbero però il coraggio, l'energia, l'intelligenza o l'iniziativa.

Invece di agire il parlamento decise ancora una volta dì parlare, come se non si fosse ancora parlato abbastanza, e di farlo precisamente in un "Proclama al popolo tedesco". Venne insediata una commissione che presentò due progetti: quello della maggioranza era stato redatto da Uhland. Entrambi erano fiacchi, insulsi e privi di forza ed esprimevano soltanto la propria perplessità e mancanza di coraggio, nonché la cattiva coscienza dell'Assemblea. Messi in discussione il 26 maggio, diedero al nostro Wolff l'occasione di esprimere una volta per tutte il proprio pensiero ai signori parlamentari. II resoconto stenografico di tale discorso riporta:

Wolff del collegio di Breslavia:
Signori, mi sono iscritto a parlare contro il Proclama al Popolo, redatto dalla maggioranza e letto in questa sede, perché lo ritengo del tutto inadeguato alle circostanze attuali, perché lo trovo troppo debole — adatto soltanto ad apparire sotto forma di articolo in quei giornali che rappresentano il Partito da cui esso proviene; non lo considero invece un proclama al popolo tedesco. Poiché adesso ne verrà ancora letto un secondo, voglio per ora limitarmi a notare che mi dichiarerò ancora più contrario a quest'ultimo, per motivi che non ho bisogno di addurre. (Voce dal centro: Perché no?) Parlo soltanto del proclama della maggioranza; esso è veramente così moderato che lo stesso signor Buss non potrebbe trovarvi molto a ridire: questa è certamente la peggior lode per un proclama. No, signori miei, se volete avere ancora una qualche influenza sul popolo ed evitare di perderla completamente non dovete parlargli come si fa in questo documento; non potete parlare di legge, di terreno della legalità e simili, bensì di illegalità, allo stesso modo dei governi, dei Russi, e io intendo per Russi i Prussiani, gli Austriaci, i Bavaresi, quelli di Hannover. (Tumulti e risate.) Tutti questi vanno sotto il nome comune di Russi. (Grande ilarità.) Sì, signori miei, anche in questa assemblea i Russi hanno i loro rappresentanti. Dovete dire loro: noi assumeremo il punto di vista della legalità, esattamente come fate voi. È il punto di vista della forza: spiegate, fra parentesi, che la legalità consiste nel fatto di opporre ai cannoni dei Russi la forza, sotto forma di ben organizzate colonne d'assalto. Se proprio si deve lanciare un proclama, inviatene uno nel quale si metta subito al bando il principale traditore del popolo, il Reggente dell'Impero. (Ordine! Vivo plauso dalle gallerie.) Lo stesso vale per tutti i ministri. (Ancora agitazione.) Oh, non mi lascio interrompere. Quello è il primo traditore del popolo.

Presidente Reh: lo credo che il signor Wolff abbia oltrepassato ogni limite. In questa sede egli non può chiamare l'Arciduca Reggente traditore del popolo; devo perciò richiamarlo all'ordine.

Wolff: Da parte mia accetto il richiamo all'ordine; dichiaro di aver voluto oltrepassare i limiti e che sia lui che i suoi ministri sono dei traditori. (Da tutti i lati della Camera: Ordine! Plebeo!)

Presidente: Devo toglìerVi la parola.

Wolff: Bene, io protesto. Volevo parlare qui in nome del popolo e dire come esso la pensi. Protesto contro ogni proclama formulato in questo senso.

Dall’utilizzo rivoluzionario della tribuna parlamentare a compagno di fede dell'esilio londinese

Queste poche parole risuonarono come un colpo di tuono nell'assemblea sgomenta. A questi signori la situazione apparve per la prima volta chiara, nei suoi termini reali ed espressa apertamente. Il tradimento del Reggente e dei suoi ministri era ormai un segreto di Pulcinella; ciascuno dei presenti aveva visto il fatto compiersi sotto i propri occhi, ma nessuno aveva osato esprimere ciò che vedeva. E ora arrivava questo piccolo slesiano irrispettoso e buttava all'aria di colpo tutto il castello di carte delle convenzioni! Persino quelli "decisamente di sinistra" non poterono fare a meno di protestare in modo energico contro questa ingiustificabile violazione di tutte le convenienze parlamentari compiuta attraverso la semplice constatazione della verità. Essi lo fecero per bocca del loro degno rappresentante, il signor Karl Vogt (Già, Vogt: nell'agosto del 1859 ricevette quarantamila franchi, come rivelano gli elenchi - pubblicati nel 1870 - delle somme pagate da Luigi Napoleone ai propri agenti segreti). Il signor Vogt arricchì il dibattito con la seguente protesta, tanto miseramente confusa quanto infame: «Signori, mi sono iscritto a parlare per difendere ciò che è sgorgato, limpido come cristallo, dall'animo di un poeta [37] sfociando quindi in questo proclama; per difenderlo dall'ignobile sozzura che è stata riversata su di esso (!) o   gettata contro lo stesso (!), per difendere queste parole dallo sterco che è stato accumulato in quest'ultima mozione e che minaccia di sommergere e insozzare tutto. Sì, signori miei! Questo sterco e questa sporcizia vengono gettati in tal   modo su tutto ciò che di puro (!) si può concepire; io esprimo la mia più profonda indignazione per il fatto che siano potute accadere cose del genere (!)».

Wolff non aveva assolutamente accennato a Uhland, estensore del proclama: egli ne aveva semplicemente accusato il contenuto di eccessiva fiacchezza. Non si comprende perciò a che cosa si riferisca Vogt con la sua indignazione, la sua "sporcizia" e il suo "sterco". Da una parte però c'era il ricordo del modo spietato in cui la "Neue Rheinische Zeitung" aveva già trattato i falsi fratelli del tipo di Vogt, dall'altro lato la rabbia contro il linguaggio diretto di Wolff, che rendeva impossibile per il futuro il doppio gioco condotto sino ad allora da questi stessi falsi amici. Costretto a scegliere tra la vera rivoluzione e la reazione, il signor Vogt si dichiara a favore di quest'ultima, per il Reggente e per i suoi ministri - per "tutto ciò che di puro si può concepire". Purtroppo per lui, la reazione non ne voleva sapere del signor Vogt.

Ancora, il giorno stesso Wolff sfidò a duello alla pistola il signor Vogt tramite il deputato Würth di Siegmaringen; quando il signor Vogt rifiutò di battersi lo minacciò di punizioni corporali. Il signor Vogt, benché fosse fisicamente un gigante in confronto a Wolff, si eclissò sotto la protezione della propria sorella e non si fece mai più rivedere se non in sua compagnia. Wolff lasciò perdere quel fanfarone.

Tutti sanno come, pochi giorni dopo questo fatto, l'assemblea stessa abbia riconosciuto la giustezza delle opinioni di Wolff, allorché di fronte al proprio Reggente e al di lui governo essa dovette cercare la salvezza nella fuga a Stoccarda.

Siamo alla fine. Wolff rimase a Stoccarda al suo posto anche quando le truppe del Württemberg sciolsero con la forza l'Assemblea Nazionale, quindi si recò nel Baden e infine in Svizzera, con gli altri profughi. Si stabilì a Zurigo, dove ben presto si occupò nuovamente come insegnante privato; naturalmente però vi era una forte concorrenza, dal momento che vi si trovavano tanti esuli colti. Nonostante la misera condizione che tale situazione gli procurava, Wolff sarebbe comunque rimasto in Svizzera. Risultava però sempre più chiaro che il Consiglio federale svizzero, ubbidiente agli ordini della reazione europea, era intenzionato ad allontanare tutti i profughi dalla Svizzera a furia di crescenti persecuzioni, come diceva Wolff. Questo significò, per la grande maggioranza di essi, l'emigrazione in America: era appunto quanto desideravano i governi. Con i profughi al di là dell'Oceano si sarebbe finalmente stati un poco tranquilli.

Anche Wolff accarezzò sovente l'idea di emigrare in America, incitato a ciò dai molti amici che già vi si erano trasferiti. Avendo preso una mezza decisione, dato che la "persecuzione" svizzera era divenuta eccessiva anche per lui, nel giugno 1851 egli giunse a Londra: dove noi lo trattenemmo momentaneamente. Anche qui la concorrenza tra insegnanti privati era molto forte. Nonostante il grande impegno che ci metteva, Wolff faticava a procurarsi lo stretto necessario per vivere. Egli nascondeva il più possibile la propria situazione agli amici, come faceva sempre quando le cose gli andavano male. Fu costretto, sino alla fine del 1853, a contrarre un debito di circa trentasette sterline (settecentocinquanta marchi): questo gli pesava molto, Nell'estate dello stesso anno scrisse nel proprio diario: «II 21 giugno 1853 dovetti passare il mio compleanno in un di stress [ sconforto] quasi spaventoso.» L'intenzione di trasferirsi in America questa volta sarebbe stata attuata se un medico che abitava a Manchester, anch'egli profugo tedesco e amico di Wolff fin dai tempi di Breslavia, non gli avesse procurato, tramite le proprie relazioni, quel certo numero di lezioni private che gli avrebbe almeno consentito di sopravvivere. Così egli venne qui ai primi del mese di gennaio del 1854. All'inizio naturalmente sì trovava abbastanza in ristrettezze. Aveva tuttavia di che sopravvivere e inoltre poteva, grazie alle sue doti straordinarie, frequentare i giovani e conquistarsi la loro simpatia. In questo modo la sua cerchia d'influenza si sarebbe progressivamente ampliata, non appena fosse stato conosciuto tra i tedeschi che si trovavano là. E così avvenne. Dopo alcuni anni egli si trovava in una situazione materiale del tutto confortevole, se rapportata alle sue pretese; era adorato dai propri allievi, tenuto in considerazione e amato da tutti, sia giovani che vecchi, sia inglesi che tedeschi, per la propria dirittura morale, il senso del dovere e la serena amabilità. Per forza di cose egli venne in contatto prevalentemente con elementi borghesi, quindi più o meno politicamente avversi; però, nonostante non venisse minimamente a compromessi né in quanto a carattere né in quanto a convinzioni, si trovò molto raramente in conflitto con essi e ogni volta che questo accadde ne uscì con pieno onore. A quel tempo l'attività politica pubblica era preclusa a tutti noi; la legislazione reazionaria ci aveva chiuso la bocca, eravamo stati messi a tacere dalla stampa quotidiana, mentre gli editori non degnavano neppure di un rifiuto le nostre eventuali offerte; il bonapartismo pareva aver riportato una vittoria definitiva sul socialismo. Per molti anni Wolff fu l'unico compagno che condividesse le mie idee a Manchester: non stupisce dunque che ci vedessimo quasi ogni giorno e che io anche allora abbia avuto l'occasione di ammirare la sua capacità di formulare, a proposito dei fatti del giorno, giudizi esatti quasi per istinto.

Darò solo un esempio per dimostrare quale fosse la sua coscienziosità. Aveva assegnato a uno dei suoi studenti un problema di calcolo, prendendolo da un libro di scuola. Confrontata la risposta dell'alunno con quella riportata sul testo, dichiarò che la sua soluzione era sbagliata. Quando il giovane, dopo aver rifatto più volte i conti, ebbe ottenuto sempre lo stesso risultato, Wolff stesso ricontrollò e scoprì che il ragazzo aveva ragione e che la "risposta" del libro conteneva un errore di stampa. Subito Wolff si mise al lavoro e ricontrollò tutti gli esercizi del testo per vedere se non ci fossero altri errori del genere nelle risposte: «questo non mi deve più succedere!».

Proprio da simili scrupoli fu causata la sua morte, quando non aveva ancora compiuto cinquantacinque anni. All'inizio del 1864 si manifestarono delle forti cefalee, causate dall'eccessivo lavoro, che ebbero a poco a poco come conseguenza un'insonnia quasi totale. Il suo medico era per l'appunto assente: egli non ne volle consultare un altro. Invano lo si pregò di interrompere per qualche tempo le sue lezioni o almeno di limitarle; egli era intenzionato a portare a termine ciò per cui si era impegnato. Solo quando non poteva assolutamente più farne a meno interrompeva di quando in quando la lezione. Era però troppo tardi. Le cefalee, provocate dall'eccessivo afflusso di sangue al cervello, divennero sempre più atroci, l'insonnia sempre più continua. SÌ ebbero diverse emorragie cerebrali e la morte sopraggiunse il 9 maggio 1864. Allora Marx e io perdemmo l'amico più caro e la rivoluzione tedesca dovette fare a meno di un uomo di insostituibile valore.

Note

1. Dopo il decreto di espulsione da Parigi (fine gennaio del 1845), Marx si recò a Bruxelles con la moglie all'inizio di febbraio. Nell'aprile lo raggiunse Engels da Barmen. Dal settembre del 1845 all'agosto del 1846 si dedicarono entrambi a un "lavoro comune" e cioè alla preparazione del manoscritto, non finito, dell'Ideologia tedesca, che rimase inedito sino al 1932.

2. La Slesia è una regione storica dell'Europa orientale. Occupa il medio e l'alto bacino dell'Oder, l'alto corso della Vistola ed è limitata a Ovest dal fiume Neisse e a Sud dai monti Sudeti. Popolata da slavi (IX sec d.C), passò poi agli Asburgo d'Austria (1526) e a essi rimase sinché Federico II di Prussia non se ne impadronì dopo la guerra di successione austriaca (1740-48). Dopo la prima guerra mondiale, la Polonia ottenne l'Alta Slesia e la Bassa restò alla Germania. Attualmente, dopo la seconda guerra mondiale, la maggior parte della regione (sette distretti) è polacca, mentre una piccola porzione appartiene a un distretto ceco. Ovviamente, i toponimi tedeschi del testo sono ora polacchi. Ricerche ulteriori pare abbiano accertato comunque che il luogo di nascita di Wolff non sia Tarnau (Tarnów) presso Frankenstein (Zabkowice Slaskie), bensì Tarnau (Tarnawa) nel distretto di Schweidnìtz (Swidnica), vedi cartina.

3. Gerìcbtskretscham significa appunto in tedesco "osteria del tribunale". Nell'Europa orientale, i villaggi contadini avevano il loro nucleo sociale nell'osteria, che fungeva anche da aula giudiziaria.

4. Fra gli aspetti più tipici del modo di produzione feudale era l'obbligo per i contadini di dedicare annualmente un determinato numero di giornate lavorative gratuite alla coltivazione delle terre del feudatario e ad altri lavori di manutenzione (al che nel testo ci si riferisce con i termini di "corvée", servitù feudali, signorili, di corte, ecc.).

5. Breslavia (in tedesco Breslau, oggi Wroclaw), già capitale della Slesia storica, è oggi [attorno al 1995] la quarta città polacca e uno dei centri industriali più importanti (640.000 abitanti circa nel 1990). Schweidnitz (oggi Swidnica), nei Sudeti, conta circa 62.000 abitanti (1990).

6. "Demagoghi" furono chiamati, alla conferenza di Karlsbad del 1819 fra i ministri degli Stati tedeschi, quegli intellettuali che si opposero alla reazione in Germania dopo il Congresso di Vienna. Schiacciati all'inizio degli anni Venti, avevano ripreso vigore dopo la rivoluzione del luglio del 1830 in Francia. Il parlamento federale era l'organo centrale della Confederazione tedesca, si riuniva a Francoforte sul Meno ed era controllata dall'Austria

7. Letteralmente: "Goliardia". Associazione studentesca patriottica fondata nel 1815.

8. Compagno di prigionia di Wolff, autore del libro, scritto in dialetto: I miei giorni di fortezza.

9. Pare in realtà che la grazia giungesse nel luglio del 1838.

10. La Posnania (Poznan) è oggi una provincia centro-occidentale della Polonia, dopo esser stata per quasi tutto l'Ottocento e fino alla prima guerra mondiale sotto il controllo prussiano.

11. Giornale provinciale slesiano.

12. Sono un'autentica carogna / sono un vero mostro peccatore / che si ingoia i suoi peccati / come il russo la cipolla. / Signore Gesù, prendimi per l'orecchio come un cane, / gettami l'osso della grazia / e scaraventa me, peccatore incallito, / nel tuo paradiso di grazia.

*1. Secondo Wermuth-Stieber. "Le congiure comuniste nell'800", II vol. p. 141,
Wolff nel 1846 fu condannato a tre anni di fortezza dalla Corte di Appello di Breslavia (nota di Engels all'ediz. 1886).

13. Meclemburgo: regione storica tedesca della costa baltica, già della DDR e corrispondente oggi al Land di Mecklenburg-Vorpommem.

14. Commumstische-Arbeiter-Bitdungs-Verein [CABV], fondata in forma legale nel febbraio del 1840 da K. Schapper per coprire le attività della Lega dei giusti, la società segreta che Marx ed Engels trasformeranno poi nella Lega dei comunisti, e per cui redigeranno il Manifesto (1847-48).

15. "Gazzetta tedesca di Bruxelles", comparve bisettimanalmente dal gennaio del 1847 al febbraio del 1848. Diretta da A. von Bornsted, redatta da immigrati tedeschi, all'inizio ebbe un'impostazione democratica piccolo-borghese. Il sempre più intenso influsso di Marx ed Engels, che negli ultimi mesi del 1847 ne assunsero l'effettiva direzione, ne fece l'organo della Lega dei comunisti.

16. Marx ed Engels avevano fondato questa associazione nell'agosto del 1847 per diffondere tra il proletariato tedesco in Belgio il comunismo scientifico.

17. II 23 febbraio del 1848, Parigi insorse, cacciò il monarca Luigi Filippo, e costituì la repubblica che durerà sino al colpo di Stato di Napoleone III del 1851.

18. Re del Belgio.

19. Sulla scia degli avvenimenti di Parigi e di Vienna, nel marzo un'insurrezione popolare a Berlino aveva costretto il re di Prussia. Federico Guglielmo IV, a fare alcune concessioni, tra cui la promessa di una Costituzione e di un'assemblea. La Costituzione, censitaria e autoritaria, fu emanata il 5 dicembre del 1848 e abolita nel 1851; l'assemblea si comportò nell'identico modo irresoluto e infingardo di quella di Francoforte e fu sciolta nel novembre del 1848. Poco prima, un gruppo di liberali, convenuti a Heidelberg, aveva deciso la convocazione di un'assemblea generale tedesca in sostituzione della dieta di Francoforte. Questa assemblea si riunì per la prima volta il 18 maggio, a Francoforte, ed era dominata dai democratici piccolo-borghesi e dai liberali, né mancavano i separatisti e le destre reazionarie. Si crearono due correnti principali, sul problema fondamentale della riunificazione, i "grande-tedeschi" (impero tedesco egemonizzato dall'Austria) e i "piccolo-tedeschi" (impero tedesco guidato dalla Prussia, senza l'Austria), che prevarranno. L'impotenza e l'infingardaggine dell'assemblea verranno in seguito ben chiarite da Engels. Nel marzo del 1849, fu varata una Costituzione imperiale democratica, ma poco dopo l'assemblea dovette rifugiarsi a Stoccarda, ove fu chiusa manu militari il 18 giugno.

20. "La Nuova Gazzetta Renana", redattore capo era Marx, redattori Engels, Dronke, Weerth, F Wolff, W. Wolff e Bürgers (che era l'unico non appartenente alla Lega dei comunisti), più tardi anche Freiligrath. Fu l'organo che rappresentò, nella rivoluzione tedesca del 1848-49, le posizioni del comunismo scientifico. Cessò le pubblicazioni il 19 maggio del 1849. Dal dicembre del 1849 al novembre del 1850 ne fu stampato a Londra un breve seguito, sempre a cura di Marx ed Engels.

21. In tedesco Wolf (con una sola "f") significa "lupo" (in latino lupus). Era questo il soprannome abituale di Wolff.

22. La società democratica di Colonia era stata fondata nell'aprile del 1848, fra i fondatori Marx ed Engels che, da un lato, volevano in tal modo sottrarre gli elementi genuinamente proletari all'influenza piccolo-borghese, dall'altro, sviluppavano la tattica dell'alleanza con la borghesia tedesca, che, per l'inettitudine e la paura di quest'ultima, dovettero ben presto abbandonare. Uscirono infatti dalla società nell'aprile del 1849.

23. Nel giugno del 1848 gli operai parigini, svincolandosi dall'alleanza con la borghesia, cui ancora erano rimasti fedeli a febbraio, scesero in piazza e furono schiacciati dalle truppe di Cavaignac.

24. Giovanni, arciduca d'Austria, era stato eletto temporaneamente reggente del trono tedesco dall'assemblea di Francoforte, in attesa di un nuovo definitivo monarca. Restò in carica sino a metà del 1849.

25. La tregua di Malmó del 26 agosto 1848 sospese per sette mesi le ostilità fra Prussia e Danimarca. La guerra era scoppiata perché un'insurrezione popolare nei ducati tedeschi dello Schleswig e dello Holstein, governati dalla Danimarca, aveva richiesto la riunificazione alla Germania I governi tedeschi furono trascinati a prender parte alla guerra ma, in realtà, timorosi di un rafforzamento del movimento democratico (soprattutto la Prussìa), la sabotarono. Il 16 settembre del 1848 l'assemblea di Francoforte approvò la tregua. La popolazione si levò in armi a protestare contro l'assemblea il 18 settembre a Francoforte.

26. II 21 settembre 1848, Federico Guglielmo IV di Prussia costituì il gabinetto Pfuel, così composto: E H.A. von Pfuel, generale, primo ministro e ministro della Guerra; von Eichmann, Interni, von Bonin, Finanze; conte von Dònhoff, Esieri; Mùller. Giustizia. Durò in carica sino all'8 novembre ed era di impronta nettamente reazionaria. F H E. conte von Wrangel, generale, già comandante delle truppe a Berlino è fra i protagonisti, in negativo, della guerra contro la Danimarca. La "marca" storicamente indica in Germania le regioni di confine.

27. Referendario del tribunale giudiziario e pubblicista. Membro della Lega dei comunisti; più tardi passato fra le fila nazional-liberali.

28. "Unter Hutmacher" (letteralmente: "sotto il cappellaio") era una strada di Colonia.

29. Ministro degli Interni. L'assemblea berlinese fu disciolta dal governo reazionario del conte von Brandenburg, succeduto a Pfuel, nel novembre del 1848.

30. II 4 agosto del 1789, la rivoluzione francese abolì il sistema della corvée e delle tasse signorili, senza che i nobili ricevessero in cambio alcun indennizzo.

31. In Germania, le servitù feudali venivano "riscattate" dai contadini, che dovevano pagare al feudatario la loro liberazione in denaro, in terreni e in rendita.

32. Nell'introduzione alla riedizione del Miliardo slesiano del 1886, Engels interrompe qui il testo, riprendendolo dal capoverso, "Ma torniamo al nostro Wolff". Come sutura fra le due parti, inserisce il testo che segue.

33. Sulle insurrezioni del Baden-Palatinato si veda la vita di Becker già pubblicata su "Lotta Comunista", nn. 152, 153, 154. Nell'aprile del 1849 un governo rivoluzionario presieduto dal Kossuth proclamava l'indipendenza dell'Ungheria dall'Austria e la decadenza degli Asburgo. Soltanto l'arrivo delle truppe russe permise al primo ministro austriaco Schwarzenberg di soffocare nell'agosto la resistenza ungherese.

34. "Mestatori" (Wùhler) venivano chiamati i repubblicani democratici nel 1848-1849.

35. L'Assia è uno Stato storico tedesco, centro-occidentale, diviso in Assia-Kassel e Assia-Darmstadt nel sec. XVI dal langravio Filippo il Magnanimo. L'Assia-Kassel fu annesso alla Prussia nel 1866 e, dopo la seconda guerra mondiale, divenne parte della RFT. L'Assìa-Darmstadt, dopo l'abdicazione del granduca Ernesto Luigi nel 1918, divenne una repubblica all'interno della Germania weimariana, e, dopo la seconda guerra mondiale, fu spartita fra la Renania-Palatinato e l'Assia della RFT. Darmstadt (136.000 abitanti circa, nel 1990) era la capitale dell'Assia-Darmstadt. Il Wurttemberg era uno dei grandi Stati della Germania meridionale (capitale Stoccarda), dal 1952 compreso nel Baden-Wùrttemberg. La Baviera, infine, è il ben noto Stato meridionale (11 milioni di abitanti nel 1990) della Germania.

36. Nel dicembre del 1848 Luigi Napoleone (il futuro Napoleone III) diventa presidente e comincia l'opera di demolizione della repubblica francese, che si concluderà con il colpo di Stato del 1851. Nel 1849 Luigi manda le truppe francesi contro la repubblica romana. Nel giugno, per protesta contro la politica interna ed estera del Bonaparte, scoppiò una sommossa repubblicana, guidata dall'ex ministro degli Interni Ledru-Rollin. La sommossa fallì miseramente.

37. Non si dimentichi che l'autore, Uhland, era un poeta.

 


Ultima modifica 11.1.2004