La marca

Friedrich Engels (1882)


Questa è l'appendice di Engels all'edizione tedesca del 1882 de L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, generalmente rimossa da tutte le edizioni.

Questa traduzione anonima, opera forse di esuli dal fascismo, proviene da: Il passaggio del socialismo dall'utopia alla scienza, Edizioni italiane di coltura sociale, Paris, 1931, pp. 84-102.

Trascritto da Leonardo Maria Battisti, dicembre 2017


In un paese, come la Germania, dove una buona metà della popolazione vive dei proventi dell'agricoltura, è necessario che gli operai socialisti, e, per mezzo loro, i contadini conoscano per quali vie si sia organizzata l'odierna proprietà terriera, grande e piccola, e che la miseria odierna dei salariati giornalieri e l'odierna schiavitù per debiti dei piccoli contadini vengano paragonate con l'antica proprietà comune di tutti i liberi, nella quale ciò che allora fu per essi veramente una «patria» era altresì un possesso comune ereditato. Darò quindi una breve esposizione storica di quell'antico regime agricolo tedesco, di cui ancora sussistono tracce, ma che in tutto il Medioevo servì, non solo di fondamento e modello alla costituzione politica e alla vita sociale tedesca, ma penetrò eziandio nella Francia del Nord, in Inghilterra, in Scandinavia, e sarebbe caduto in oblio se, negli ultimi tempi, il sig. G. L. Maurer non ne avesse rimesso in evidenza la reale importanza.

Due fatti naturali dominano la preistoria di tutti o quasi tutti i popoli: le relazioni di parentela e la proprietà collettiva del suolo. Così accadde ai Tedeschi. Come essi avevano recato dall'Asia una struttura sociale varia a seconda del linguaggio, della parentela, della famiglia; come essi, anche al tempo dei Romani, formavano le loro schiere in maniera che i più stretti congiunti stessero l'uno a fianco dell'altro; così questa struttura sociale si mantenne intatta dopo le ulteriori conquiste ad occidente del Reno e a settentrione del Danubio. Ogni gente pigliava domicilio, non secondo il capriccio od il caso, ma, come Cesare afferma esplicitamente, secondo la parentela che legava i singoli individui.

Ai gruppi più numerosi e più strettamente imparentati toccava un tratto di territorio, nel quale, le singole famiglie, costituenti tutta la «gens», si domiciliavano in un villaggio. Più villaggi di congiunti formavano una «centuria», che nell'antico tedesco era detta «huntari» e nell'antico dialetto nordico «häradh»; più centurie, un «gau» («distretto») e l'insieme dei «gau» costituiva il popolo germanico.

Il territorio, che la «gens» non pigliava per sé, rimaneva a disposizione della centuria; la parte non assegnata alle centurie, a disposizione del e «gau»; ciò che poi rimaneva ancora disponibile — in genere una contrada molto estesa — rimaneva quale possedimento immediato di tutto il popolo. Così, in Svezia, noi troviamo l'uno accanto all'altro tutti questi differenti gradi di proprietà comune del suolo. Ogni villaggio ha il suo territorio d'uso civico (bys allmänningar), e, insieme con questo, si ha un territorio d'uso civico per la «centuria» («härads»), uno pel «gau» ed uno di proprietà del re, quale rappresentante di tutto il popolo, detto ivi «konungs allmänningar». Ma tutti, compreso il territorio regio, sono detti, senza distinzione alcuna, «allmänningar», cioè territori comuni.

Se la proprietà collettiva dell'antica Svezia, colle sue specifiche suddivisioni, corrispondenti di certo a un più ampio grado di sviluppo, è esistita anche in Germania, essa è tosto scomparsa.

Il rapido incremento della popolazione generò su ogni estensione di territorio assegnata ai singoli villaggi, o, per meglio dire, sulla marca, un numero di piccole colonie villerecce, le quali, insieme con la madrepatria, come fornite di diritti eguali o minori, costituirono un'unica associazione marchigiana, di cui, secondo le fonti, troviamo esempi copiosissimi in tutta la Germania.

Al di sopra di queste associazioni stavano, almeno nei primi tempi, anche le più grandi associazioni marchigiane della centuria e del «gau», e finalmente l'intero popolo formava in origine un'unica grande associazione intenta all'amministrazione del territorio rimasto in suo immediato possesso, e alla sopraintendenza delle marche soggette ed a lui appartenenti.

Fino al tempo in cui la monarchia francese soggiogò la Germania ad oriente del Reno, sembra che il «gau» abbia costituito il centro dell'associazione marchigiana; e ciò spiega il fatto che molte antiche e grandi marche, in seguito all'ufficiale divisione del regno, siano riapparse come «gaue» giudiziari. Ma cominciò tosto la distruzione delle grandi antiche marche. Tuttavia, fino al tempo dell'Impero, o, per meglio dire, fino ai secoli XIII e XIV, ogni marca comprendeva di regola da sei a dodici villaggi.

Al tempo di Cesare, almeno una gran parte dei Germani, specie gli Svevi, popolazione ancora nomade, coltivavano la terra in comune; e, come noi siamo costretti ad ammettere per analogia cogli altri popoli, i singoli membri, le famiglie della «gens» coltivavano in comune il terreno loro assegnato, che di anno in anno si scambiavano a vicenda, ripartendo poscia in maniera analoga i prodotti.

Ma, quando anche gli Svevi, al principio della nostra era, conseguirono nuove sedi stabili, questa usanza ebbe termine. Tacito, vissuto centocinquanta anni dopo Cesare, conosce solo la coltivazione di dati territori per famiglie; ma anche a queste famiglie la terra era data a coltivare anno per anno, e ogni anno essa subiva di bel nuovo una permuta.

Come ciò avvenisse noi possiamo rilevare anche oggi da quanto avviene sulla Mosella e nelle così dette masserie delle antiche foreste. Cola, non annualmente, ma ogni tre, ogni sei, ogni nove, e, magari, ogni dodici anni, tutta la terra coltivata sia a campi che a prato viene ripartita in un numero determinato di «gewann», a seconda della situazione e della qualità del terreno. Ogni «gewann» si divide a sua volta in numerose porzioni eguali, lunghe e sottile strisce di terreno, che vengono a loro volta sorteggiate tra coloro cui spettano, cosicché ognuno, in ogni «gewann» possiede una porzione almeno in origine egualmente estesa, di qualsiasi genere di terreno.

Attualmente le varie porzioni sono divenute ineguali per eredità, vendite, ecc.; ma l'antica porzione rappresenta sempre l'unità, da cui si staccano le mezze porzioni, i quarti di porzione, gli ottavi, ecc.

Il terreno, poi, non coltivato, ad esempio, i boschi ed i pascoli, rimane possesso comune per gli usi comuni.

Quest'antica istituzione era fino al principio del nostro secolo perdurata nei così detti «beni sorteggiati» del Palatinato bavarese renano, la cui terra è dopo quel tempo divenuta proprietà privata dei singoli soci. Anche le masserie si accorgono ogni giorno più di agire meglio nel proprio interesse, smettendo dalle sempre nuove permute e trasformando il possesso, che prima esse scambiavano a vicenda, in stabile proprietà privata. Così, negli ultimi quaranta anni, esse si sono in maggioranza trasformate in villaggi abitati da piccoli contadini con comune uso dei boschi e dei pascoli.

Il primo boccone di terra, che doveva trasformarsi in proprietà privata, era quello sui cui sorgeva la dimora di ciascun socio. L'inviolabilità dell'abitazione, fondamento di ogni libertà personale, passò dal carro pel trasporto delle tende, in uso durante le migrazioni, alla stabile casa di pietra del contadino, e si tramutò a poco a poco nel pieno diritto di proprietà sulla casa e sulla masseria. Questa mutazione era già avvenuta ai tempi di Tacito. Il domicilio del libero tedesco non doveva allora rientrare più nella marca e, reso inaccessibile agli impiegati della medesima, dovette essere trasformato in un sicuro luogo di rifugio per i fuggitivi, come noi lo troviamo nei più tardi ordinamenti marchigiani ed in parte nel diritto nazionale dei secoli V-VIII. Infatti il carattere sacro del focolare domestico non era l'effetto, ma il motivo della sua trasformazione in proprietà privata.

Quattrocento o cinquecento anni dopo Tacito, noi troviamo nel diritto popolare, che anche il terreno coltivato figura come possesso ereditario dei singoli contadini, anche se non incondizionatamente libero. Questi avevano il diritto di venderlo o di cederlo, e circa i motivi di questa trasformazione noi possiamo arrischiare due ipotesi.

Anzitutto, in origine, nella stessa Germania, accanto ai villaggi di già formati con assoluta comunanza di territorio, si ebbero dei villaggi, nei quali, oltre al domicilio, anche i campi estranei alla comunità, la Marca, erano ripartiti con diritto d'eredità ai singoli contadini. Ma ciò accadeva soltanto là dove il provvedimento era per così dire imposto dalla natura del terreno; nelle valli anguste di qualche paese e sugli stretti ed alti gioghi chiusi da paludi, come in Westfalia. Più tardi ciò si ritrova anche nell'Odenwald e in quasi tutte le valli alpine. Qui il villaggio, come al giorno d'oggi, constava di masserie sparse, ognuna delle quali era circondata dai campi che le appartenevano. La permuta del terreno non era quindi agevole, e così alla marca rimase solo l'incolta campagna circostante; e, quando più tardi il diritto di disporre della casa e delle masserie, per via di cessioni a favore di terzi, crebbe d'importanza, i possessori delle medesime si trovarono in una condizione privilegiata. Il desiderio di conseguire questo privilegio, fece sì che in molti villaggi, insieme con la comunanza del territorio, venisse meno l'uso della permuta delle terre e le singole particelle di terreno divenissero ereditarie e trasmessibili.

Ma, d'altro canto, lo spirito di conquista trascinava i tedeschi sul territorio romano, dove da secoli la terra era divenuta libera proprietà privata, specie romana, e dove il ristretto numero dei conquistatori rendeva impossibile la soppressione di una così radicata forma di possesso. Questa stretta connessione della proprietà privata del suolo col diritto romano, almeno sul territorio romano, spiega il fatto, che i resti di proprietà collettiva, perdurati fino ai nostri giorni, su terreni coltivabili, si trovino per l'appunto sulla riva sinistra del Reno, cioè sul territorio conquistato, ma «completamente germanizzato», sì che quando i Franchi, nel V secolo, finirono per istabilirvisi, poterono non rinunziare alla comunanza dei campi.

Se, viceversa, così non fosse avvenuto, noi non potremmo oggi trovare cola traccia alcuna delle così dette masserie e dei «beni sorteggiati». Anche qui, tuttavia, penetrò tosto e vittoriosamente la proprietà privata, poiché noi non troviamo menzionata altra forma di terreni coltivabili nel diritto nazionale del sec. VI, quando nel cuore stesso della Germania la terra coltivata accennava, come s'è detto, a trasformarsi in proprietà privata.

Ma, se i Germani invasori accolsero la forma privata della proprietà dei campi e dei prati, cioè nella loro prima ripartizione delle terre, e poco di poi si astennero da nuove permute della proprietà, (in età più tarda non se ne riscontra infatti menzione alcuna), essi, per contro, introdussero dappertutto la loro costituzione marchigiana col comune possesso dei boschi e dei pascoli e con la prevalenza della marca anche sulla terra ripartita. Ciò non fu fatto solo dai Franchi della Gallia settentrionale e dagli Anglo-Sassoni, ma anche dai Burgundi, nella Gallia orientale, dai Visigoti, nella Provenza e nella Spagna, dagli Ostrogoti e dai Longobardi, in Italia. In queste regioni si sono, per quanto a noto, mantenute fino ai nostri giorni, sia pure unicamente sulle alte montagne, tracce della costituzione marchigiana.

L'aspetto che la costituzione della marca ha preso per l'abolizione delle rinnovate partizioni delle terre coltivate, a quello che noi riscontriamo, non solo nell'antico diritto nazionale dal secolo V al secolo VIII, ma anche nel diritto inglese e scandinavo medioevale, nei numerosi regolamenti germanici circa la delimitazione dei campi e dei boschi, che dal secolo XIII al secolo XVIII, tennero luogo di precedenti legali, a nel diritto consuetudinario della Francia settentrionale. Se però l'associazione marchigiana soppresse l'uso di ripartire di tempo in tempo i campi e le praterie fra i singoli soci, essa non rinunziò ad alcuno dei suoi restanti diritti su queste terre. E si trattava di diritti significantissimi! L'associazione aveva trasmesso i campi ai singoli soci, nell'esclusivo intento di meglio utilizzarli, quali campi e praterie, senza che però i singoli possessori potessero vantarvi alcun diritto.

Dei tesori infatti ritrovati nella terra, se questi giacevano alle profondità cui perveniva l'aratro, nulla apparteneva ad essi, ma tutto, in origine, alla comunità; non quindi il diritto di scavare miniere od altro analogo. Tutti questi diritti solo più tardi furono confiscati dai proprietari e dai principi nel proprio esclusivo interesse.

Ma anche il godimento dei campi e delle praterie era connesso all'alta sorveglianza e alle norme stabilite dall'associazione e nella maniera seguente.

Là dove, nella coltivazione e nella semina dei campi, dominava l'uso del triplice avvicendamento — e ciò era consuetudine pressoché universale — la zona rustica del villaggio veniva ripartita in tre grandi zone eguali di cui ognuna era a vicenda destinata per un primo anno alle sementi invernali, per un secondo alle estive, e per il terzo, lasciata a maggese. Il villaggio aveva quindi ogni anno il suo campo invernale, il suo campo estivo, ed il suo maggese. Nella divisione della terra era perciò curato che la parte di ogni socio fosse pari in tutti i tre campi, cosicché ognuno potesse senza svantaggio, adattarsi alle consuetudini dell'associazione, in quanto egli poteva seminare le sementi invernali solo nel suo campo invernale, le estive nell'estivo, ecc. ecc.

Il maggese ritornò a poco a poco comune possesso e servì quale pascolo comune a tutta l'associazione; e, tostoché sugli altri due campi era terminata la mietitura, anch'essi tornavano, sino al tempo della semina, comune possesso e venivano utilizzati quale pascolo comune. Analogo era il trattamento delle praterie per la falciatura del grumeccio.

Su tutti i campi, in cui si andava a pascere, era ingiunto ai possessori di rimuovere le siepi. Questo diritto del pascolo fece sì che, naturalmente, il tempo della semina, come della mietitura, non fosse stabilito dai singoli soci, ma fissato identicamente per tutti o dall'associazione o dall'uso. Tutto il rimanente territorio, cioè tutto l'agro rurale, che non era occupato da case o da masserie, rimaneva, come in origine, proprietà comune di uso comune. Tali erano i boschi, i pascoli, le macchie, le maremme, i fiumi, gli stagni, i mari, le vie, i porti, i terreni da caccia e da pesca, ecc. E, come, nei terreni marchigiani divisi, le porzioni dei singoli soci erano tutte eguali, altrettanto è a dire dell'utile nella «marca comune».

La natura di questo utile era determinata dalla totalità dei soci, come la maniera della divisione, nella eventualità che il terreno coltivato non rendesse più e si intraprendesse la coltivazione di un tratto della marca comune.

Ma il maggior utile derivava dal pascolo e dalle ghiande; inoltre il bosco rendeva legname da costruzione, legna da ardere, fogliame, bacche, funghi, e le paludi, se esistevano, torba.

Le norme sui pascoli, sull'uso del legname, ecc., costituiscono il principale contenuto delle numerose sentenze circa la delimitazione dei campi e dei boschi, tramandateci dai più svariati secoli e scritte al tempo in cui l'antico diritto consuetudinario orale cominciava ad essere controverso. Gli ancora esistenti boschi demaniali rappresentano l'estremo residuo di queste antiche marche collettive, e un'altra traccia, almeno nella Germania orientale e meridionale, se ne ha nell'idea profondamente radicata nella coscienza popolare, che il bosco è proprietà comune, nel quale ognuno può raccogliere fiori, bacche, funghi, ghiande, ecc., ed in cui, pur di non arrecare danno, è lecito fare ciò che si vuole. Ma anche qui Bismarck, con la sua famosa legislazione sulle ghiande, creò e ordinò le provincie occidentali sulla base dei «junker» dell'antica Prussia.

Come i soci possedevano uguali particelle di terreno e diritti uguali, avevano eziandio in origine parte uguale nella legislazione, nell'amministrazione, nei tribunali. A date fisse, o anche più spesso, se occorreva, essi si radunavano a cielo aperto per decidere sugli eventi della marca o per giudicare i delitti e distrigare le interne contese. Erano, in piccolo, l'antica assemblea popolare germanica, che originariamente era stata una grande assemblea marchigiana. Si emanavano eziandio, sebbene raramente, delle leggi, si nominavano degli impiegati e se ne rivedeva l'operato, ma innanzitutto si rendeva giustizia. Il presidente non aveva che a formulare i quesiti, il giudizio era dato dalla totalità dei soci presenti.

La costituzione marchigiana fu quindi con probabilità l'unica originaria costituzione di quelle schiatte germaniche, che non potevano vantare dei re; l'antica aristocrazia, perita durante le migrazioni popolari o poco dopo, come elemento originato in seno a questa costituzione, vi si ingranò agevolmente, non dissimile dall'aristocrazia dei «clan» celtici, i quali, fin dal secolo XVII, erano entrati a far parte della comunità del territorio irlandese. Ed essa piantò così salde radici in tutta la vita del popolo tedesco che noi ne troviamo le tracce a ogni passo del suo svolgimento.

In origine tutta l'azione del governo in tempo di pace, si riduceva all'amministrazione della giustizia, che, presso tutte le schiatte germaniche, spettava alla assemblea popolare della centuria o del «gau», nonché ai componenti di ciascuna famiglia.

Ma siffatto tribunale era l'antico tribunale marchigiano, in atto di giudicare quei casi, i quali non interessavano la sola marca, ma cadevano sotto la sanzione del pubblico potere. Anche quando lo sviluppo del «gau» rese la sua amministrazione giudiziaria indipendente da quella della marca, il potere giudiziario rimase al popolo. E, solo quando l'antica libertà popolare decadde, e l'obbligo di giudicare, insieme con l'obbligo del servizio militare, divenne un carico penoso per i liberi poveri, solo allora Carlo Magno poté in seno al «gau» sostituire, quasi del tutto, alle popolari assemblee giudiziarie, i tribunali degli scabini*1.

Ma ciò non abbatté i tribunali marchigiani. Questi, al contrario, rimasero a modello, delle medievali corti giudiziarie feudali, in cui il feudatario fungeva da interrogante e il vassallo da giudice.

La costituzione del villaggio è la costituzione marchigiana di una marca villica indipendente, ed accennerà a trasformarsi in costituzione cittadina, tostoché il villaggio si sarà mutato in città, cioè si sarà circondato di fossati e di mura.

Da questa originaria costituzione civico-marchigiana sono derivate tutte le più tarde costituzioni cittadine, e su di essa si sono modellati gli ordinamenti delle numerose associazioni libere medievali, che non ebbero a loro fondamento il comune possesso del suolo, specie le libere maestranze.

Il diritto conferito a queste corporazioni circa il disbrigo di determinati affari, era invero identico a quello della marca. Con identica gelosia, spesso con mezzi identici, le corporazioni curavano che la parte di utile spettante a ciascun membro riuscisse il più esattamente possibile pari a quella degli altri.

Questa maravigliosa capacità di adattamento della costituzione marchigiana, fin nei campi più differenti della vita pubblica e di contro alle più svariate esigenze, si palesa pure nel progressivo svolgimento della agricoltura e nella successiva lotta contro la grande proprietà terriera.

Originata dallo stabile insediamento dei Tedeschi in Germania, in una età, in cui l'allevamento del bestiame era la fonte precipua dell'economia sociale e le nozioni agricole recate dall'Asia e quasi dimenticate risorgevano di bel nuovo, la marca visse per tutto il Medio Evo in gravi ed incessanti lotte con l'aristocrazia della terra. Ma essa in ogni tempo risultò così necessaria che, specie là dove l'aristocrazia si era appropriato il territorio dei contadini, la costituzione dei villaggi sudditi, anche se gravemente diminuita dalle violenze feudali, rimase sempre una vera e propria costituzione marchigiana, — (noi ne menzioneremo un caso più innanzi) — e, fin quando una marca proprietà comune, esistette, essa serbò l'antica natura instabile della proprietà, così come gl'interessati serbarono uno svariatissimo diritto di proprietà sulla marca, appena questa cessò di essere libera.

Fu allora che quasi tutto il territorio, sia diviso che indiviso fra i contadini, passò sotto la libera rapina dei nobili e del clero, nonché sotto la benevola salvaguardia del principe.

Ma già il grande progresso, subito dall'agricoltura negli ultimi anni, aveva reso la marca inadeguata alle nuove esigenze economiche. La coltivazione dei campi assurgeva al grado di scienza, sottentravano nuove forme di cultura e la marca già si palesava priva di vitalità e di adattabilità.

La fine della costituzione marchigiana coincide con le prime migrazioni dei popoli germanici. I re dei Franchi, nella loro qualità di rappresentanti del popolo, assunsero allora il possesso degli sterminati territori appartenenti alla totalità dei sudditi, specie dei boschi, e li prodigarono ai loro cortigiani, ai loro generali, ai vescovi, agli abati. Essi inaugurarono così la discendenza dei grandi possessori del suolo, sia grandi aristocratici, che eccelsi membri del clero. Questi ultimi, anzi, già prima di Carlomagno, possedevano un terzo del suolo francese, ed è certo, che analoga situazione si ebbe per tutto il Medio Evo, in quasi tutta l'Europa cattolica occidentale.

Le continue guerre interne ed estere, le cui normali conseguenze erano le incessanti confische dei beni, rovinavano gran numero di contadini cosicché, fin dal tempo dei Merovingi, molti liberi erano senza possesso, il che è riprovato dal fatto che, nelle guerre incessanti compiute da Carlomagno, il nerbo degli eserciti imperiali fu costituito da contadini. In origine, ogni libero possessore di terre era obbligato al servizio militare e, non solo doveva pensare da sé al proprio equipaggiamento, ma doveva mantenersi per ben sei mesi sotto le armi. Nessuna meraviglia quindi che già al tempo di Carlomagno, solo un quinto degli uomini atti alle armi fosse in grado di arruolarsi nell'esercito. Sotto il dissoluto regime economico dei suoi successori, le condizioni della libertà dei contadini andarono peggiorando sempre più... Le invasioni normanne, le eterne guerre regie e le contese tra i grandi feudatari imponevano ai liberi contadini la necessità di invocare la protezione altrui, mentre l'aristocrazia feudale ed il clero, con astuzie, promesse, minacce e violenze, riducevano sempre più sotto il loro potere e le persone e le terre.

Nell'un caso, come nell'altro, il possesso del contadino veniva tramutato in possesso feudale o veniva tutt'al più concesso in affitto contro lo sborso di un censo annuo e la prestazione di lavoro servile. Ma il contadino veniva così tramutato da libero proprietario in suddito, o, per meglio dire, in servo della gleba.

Ben presto, non ostante la tenace resistenza dei contadini, l'aristocrazia feudale e il clero riuscirono a conquistare in molti luoghi dei veri e propri privilegi sulla marca e poterono assoggettare i primi al loro alto dominio di proprietari del suolo. Eppure, anche sotto questa tutela aristocratica, l'antica associazione marchigiana non cessò di esistere!

Quanto la costituzione marchigiana fosse ancora indispensabile all'agricoltura ed al latifondo, è infatti provato in maniera irrefutabile dalla colonizzazione del Brandenburgo e della Slesia, avvenuta per opera di coloni frisii, olandesi, sassoni e franco-renani.

Essi s'installarono colà, sin dal secolo XII, su una contrada appartenente a grandi aristocratici, vi formarono dei villaggi, pigliando a modello l'antico diritto tedesco, cioè l'antica costituzione marchigiana, tale quale si era mantenuta nelle corti signorili. Ognuno ebbe casa e masseria, ebbe in sorte una porzione della campagna del villaggio secondo l'antico costume, e il diritto d'uso del bosco e dei pascoli, specie del bosco di proprietà feudale, raramente della marca propriamente detta. Tutto ciò era ereditario; il latifondo rimaneva al signore, cui i coloni corrispondevano, con obbligo ereditario, fitti e prestazioni di servizi. Ma l'onere di queste prestazioni era così esiguo che i contadini si trovavano meglio che in altre regioni tedesche. Essi quindi, allorché più tardi scoppiò la guerra dei contadini, non si mossero, palesando un'indifferenza verso i loro propri interessi di cui ebbero amaramente a pentirsi.

Verso la meta del secolo XIII, sopravvenne una grande mutazione a favore dei contadini, una mutazione elaborata dalle Crociate.

Per essa molti cospicui grandi possessori del suolo emanciparono completamente i loro contadini; altri perirono; centinaia di schiatte aristocratiche si estinsero e i loro contadini conquistarono, e copiosamente, la libertà. Ne venne quindi che, col crescere delle necessità dei grandi feudatari, l'obbligo del lavoro da parte dei contadini riuscì assai più importante di quello della loro servitù personale. Il servaggio dei primi tempi del Medio Evo, che molto ancora serbava dell'antica schiavitù, avea conferito agli aristocratici dei diritti che, col tempo avevano perduto ogni valore, e il servaggio venne a poco a poco accostandosi alla semplice sudditanza.

Là, dove l'agricoltura rimaneva stazionaria, un aumento dei redditi feudali si ebbe solo dal dissodamento di nuove terre e dall'impianto di nuovi villaggi. Ma ciò poteva solo conseguirsi per via di transazioni amichevoli coi coloni, sia che fossero addetti ai possessi signorili o stranieri. Quindi noi troviamo in genere verso questo tempo precise convenzioni circa i lavori, per lo più moderati, dei contadini e buoni trattamenti a loro riguardo, specie nei domini posseduti dal clero.

Infine, la favorevole situazione dei nuovi coloni reagiva sulla situazione degli antichi sudditi, limitrofi ai loro possessi, cosicché anche questi, in tutta la Germania settentrionale, per tutta la durata dei lavori presso i grandi feudatari, serbavano una piena libertà personale. Solo i contadini slavi, lituani e prussiani ne rimanevano esenti. Ma la cosa non poteva durare a lungo.

Nel secolo XIV e XV le città si erano rapidamente incivilite ed arricchite. I prodotti dell'arte ed il lusso fiorivano, specie nella Germania meridionale e sul Reno. Le raffinatezze delle città patrizie non lasciavano dormire sonni tranquilli ai gentiluomini della campagna, che, oltre ad alimentarsi e a vestire rozzamente, possedevano case goffe e mal arredate. Occorreva impadronirsi delle veneri cittadine. Ma le grassazioni erano sempre state pericolose e feconde d'insuccesso; per comperare occorreva il denaro, e questo poteva solo essere creato dai contadini. Urgeva vessare i contadini, rialzare i fitti, moltiplicare le prestazioni di lavoro, aizzare i liberi contro i servi, i servi contro i liberi, e tentare ogni sforzo per tramutare la marca comune in territorio feudale.

In ciò i feudatari e l'aristocrazia furono aiutati dai giuristi romani, che, con la forzata applicazione delle norme di diritto romano ai rapporti economici tedeschi, per lo più malcompresi, generarono un'enorme confusione, ma nella quale era pur tuttavia agevole intendere come il feudatario aveva sempre da guadagnare ed il contadino sempre da perdere.

Il clero si aiutò in una maniera ancor più semplice, falsificò i documenti opportuni, decimando i diritti dei contadini e moltiplicandone i doveri. Ma contro queste truffe di feudatari, di aristocratici e di preti, i contadini, verso la fine del secolo XV, insorsero in una rivolta gigantesca, che, fino al 1525, incendiò con guerre incessanti la Svezia, la Baviera, la Francia, l'Alsazia, il Palatinato, il territorio del Reno e la Turingia. I contadini soccombettero dopo battaglie disperate, e, da quel tempo, ha principio il nuovo servaggio generale dei contadini tedeschi.

Nelle contrade in cui la lotta imperversava, tutti i sopravvissuti diritti dei contadini furono calpestati senza pudore, i loro possessi comuni tramutati in feudi, essi stessi in servi della gleba; ne, in compenso della loro remissività, i contadini dell'alta Germania, furono per lunghi anni risparmiati alla schiavitù generale. Il servaggio dei contadini fu quindi introdotto nella Prussia orientale, nella Pomerania, nel Bandenburgo, nella Slesia, sin dalla metà del secolo XVI; nello Schleswig-Holstein, sin dalla fine dello stesso secolo, e fu, in scala sempre più vasta, imposto a tutti i contadini.

Questa nuova violenza ebbe anche un motivo economico.

Le lotte dell'età della Riforma avevano accresciuto la potenza dei soli principi tedeschi. Era finita per le illustri ruberie aristocratiche. Se quindi i feudatari non volevano rimanere da meno, non potevano non spillare nuove entrate dai propri possessi, e l'unica via, dopo l'esempio dei principi, e specie del clero, era appunto quella di amministrare per proprio conto una porzione di questo possesso medesimo. Ciò che finora era stata un'eccezione, adesso diveniva una necessità. Ma il territorio era quasi da per tutto dato in fitto ai contadini. Occorreva un provvedimento; e, a tale uopo, i conduttori liberi o sudditi furono tramutati in veri e propri servi della gleba, e i graziosi signori ottennero piena libertà di azione.

Parte dei contadini furono o scacciati o degradati a miseri possessori di capanne o di qualche orticello; le loro masserie distrutte e tramutate in grandi ville signorili, coltivate da nuovi contadini e dagli antichi, obbligati, a prestazioni servili. E non solo fu scacciato così gran numero di contadini, ma gli oneri dei rimasti crebbero sempre più di numero e di gravezza.

Il capitalismo si annunciava al mondo come era della grande cultura basata sulla servitù della gleba.

Questa trasformazione fu da principio lenta, ma sopravvenne la guerra dei trent'anni.

Per un'intera generazione, la Germania fu percorsa in lungo e in largo dalle soldatesche più indisciplinate che conosca la storia. Da per tutto estorsioni, saccheggi, incendi, violenze, uccisioni.

I contadini soffersero specie in quelle contrade dove, senza contare i grandi eserciti, gli insorti o piuttosto i soldati di ventura operarono di moto proprio e per proprio conto. La desolazione e la depopolazione furono senza limiti; e, al ritorno della tranquillità, nella Germania, derelitta, scomposta, insanguinata, i più miseri apparvero i contadini.

La grande aristocrazia terriera era assurta ad unica ed universale dominatrice della regione. I principi, che ne avevano annullato i diritti nelle adunanze degli Stati provinciali, le lasciarono pieni poteri contro i contadini. La guerra ne aveva infranto l'estrema resistenza, e l'aristocrazia poteva ora regolare tutti i rapporti terrieri nella maniera più acconcia al ristabilimento delle sue ruinate finanze. Non solo le superstiti masserie furono in breve aggregate alle ville signorili, ma I piccoli poderi adiacenti al latifondo, vennero ora per la prima volta assorbiti da quest'ultimo.

Quanto più grande fu il possesso feudale, tanto più gravosi furono naturalmente gli oneri dei contadini. Tornò il tempo delle prestazioni sconfinate; al grazioso signore fu lecito imperare sui contadini, sulle loro famiglie, sui loro animali da lavoro, così come gli talentava e per tutto quel tempo che gli sarebbe talentato. La servitù della gleba divenne ora universale; un contadino libero divenne raro come un corvo bianco. E, affinché il grazioso signore fosse al caso di soffocare in sul nascere le più lievi, avverse resistenze, egli fu rivestito dal principe della facoltà di giudicare, cioè a dire, fu nominato giudice universale per tutte le minime mancanze e controversie dei contadini, si svolgessero magari tra lui e questi ultimi, assurgendo così ad arbitro inappellabile in causa propria!

Da quel tempo il bastone e la sferza fecero da supremi moderatori. In tutta la Germania, il contadino tedesco precipitò nel più profondo degli avvilimenti, ridotto a tale impotenza da dover rinunziare ad ogni difesa personale, da dovere attendere ogni salvezza dal di fuori.

E così avvenne.

Lo scoppio della Rivoluzione francese fece brillare anche per la Germania e per i contadini tedeschi l'aurora di un avvenire migliore. Gli eserciti della Rivoluzione avevano appena conquistato la riva sinistra del Reno, che, insieme con il feudalismo, spariva colà — come al tocco di bacchetta magica — tutta l'anticaglia delle prestazioni personali, dei canoni, dei presenti di ogni genere.

Il contadino della riva sinistra del Reno divenne esclusivo signore del proprio possesso e tale rimase appunto in quel «Codice civile» napoleonico, già schizzato dalla grande Rivoluzione; un Codice che rispondeva alla nuova posizione dei contadini, e che questi avevano agio non solo di conoscere, ma di portare comodamente in tasca.

Se non che il contadino sulla riva destra del Reno dove attendere più a lungo; e se in Prussia, alcuni tra i più infami diritti feudali decaddero solo dopo la ben meritata disfatta di Jena, e, se solo allora il così detto riscatto dalle prestazioni dei contadini fu potuto legalmente attuare, esso rimase in massima parte e per gran tempo, lettera morta.

Negli altri Stati non si arrivò neanche a tanto. Occorreva che una seconda rivoluzione francese fosse scoppiata al 1830, affinché, anche nel Baden e altrove, la Francia ultimasse il riscatto già compiuto nelle provincie limitrofe. E, quando la terza rivoluzione del 1848, commosse anche la Germania, codesto riscatto, in Prussia, non era compiuto a in Baviera neanche iniziato. Ora tutto fu conseguito rapidamente; il lavoro servile dei contadini, anche questa volta ribelli, aveva perduto ogni valore.

Ma che riscatto era mai quello!

Il grazioso signore cedeva ai contadini una somma di denaro o un dato pezzo di terra, riconoscendola come loro proprietà libera, esente di oneri, mentre tutte le sue terre non erano che possessi rapiti ai contadini. E ciò non bastava.

Gli impiegati, cui dell'accomodamento era stato conferito l'incarico, tennero le parti del grazioso signore, presso cui abitavano e scialacquavano, e, contro la lettera della legge, si accordavano per ingannare mostruosamente i contadini! Così, finalmente, in grazia di tre rivoluzioni francesi e di una tedesca, noi siamo venuti a riavere di bel nuovo dei contadini liberi.

Ma quanto il libero contadino odierno è lontano dal libero socio dell'antica marca! Il suo possesso è per lo più piccolissimo, e l'antica marca ridotta a pochi, piccoli e tristi boschi demaniali. Tutto senza use della marca; quindi senza possibilità di allevare del bestiame, senza concime, senza alcun metodo razionale di cultura, ma con eccessiva pratica dell'esattore delle imposte e dell'esecutore giudiziario, l'uno e l'altro affatto sconosciuti agli antichi soci marchigiani, al pari dello strozzinaggio del fisco, sotto le cui unghie cadono l'uno dopo l'altro i beni dei nostri contadini. E ciò che è il meglio, questi odierni liberi contadini dai beni e dalle iniziative eccessivamente taglieggiati e compressi sono, in Germania, dove tutto avviene in ritardo, nati in un tempo, in cui non solo l'agronomia scientifica, ma anche le macchine agricole, di recente scoperte, fanno ogni dì più, della piccola cultura, un sistema invecchiato e incapace di vita.

Come il filatoio meccanico e la filanda avevano annullati l'importanza del filatoio e del telaio a mano, così questi mezzi di produzione agricola, sostituiscono senz'altro alla piccola la grande proprietà, dato il caso che a questa sia lecito di sussistere. Minaccia invero l'odierna agricoltura europea la possente rivale della produzione granifera delle Americhe. Contro quel terreno, fatto coltivabile dalla natura medesima, concimato per lungo volgere di anni, e che si apparecchia a rinvilire enormemente di prezzo, non possono in guisa alcuna lottare i contadini ed i grandi possidenti europei, gli uni e gli altri sprofondati nei debiti.

Tutta la nostra produzione agricola è quindi destinata a soccombere dinanzi alla concorrenza americana, e sopravvivrà solo a patto di essere socializzata e amministrata da tutta la società.

Tali sono le speranze degli strati più umili dei nostri agricoltori. E il ristabilimento di una classe, magari stremata, di liberi contadini è valso almeno a rimetterli in condizione di potere, con l'ausilio dei loro naturali alleati, gli operai delle industrie, riscattare sé medesimi, tostoché sarà loro chiaro ciò che, nel comune interesse, debbono desiderare.1


Note

*1. Da non confondere con quelli Bismarck-Leonhardtiani di egual titolo, nei quali scabini e giuristi rendono insieme giustizia; mentre negli antichi tribunali degli scabini non esistevano giuristi, il presidente o il giudice non aveva voto, e soli a giudicare erano gli scabini. [Nota di Engels]

1. L'edizione tedesca della sola appendice del 1883 aggiunge: "Aber wie? - Durch eine Wiedergeburt der Mark, aber nicht in ihrer alten, überlebten, sondern in einer verjüngten Gestalt; durch eine solche Erneuerung der Bodengemeinschaft, daß diese den kleinbäuerlichen Genossen nicht nur alle Vorteile des Großbetriebs und der Anwendung der landwirtschaftlichen Maschinerie zuwendet, sondern ihnen auch die Mittel bietet, neben dem Ackerbau Großindustrie mit Dampf- oder Wasserkraft zu betreiben, und zwar für Rechnung nicht von Kapitalisten, sondern für Rechnung der Genossenschaft. Ackerbau im großen und Benutzung der landwirtschaftlichen Maschinerie - das heißt mit anderen Worten: Überflüssigmachung der landwirtschaftlichen Arbeit des größten Teils der Kleinbauern, die jetzt ihre Felder selbst bestellen. Damit diese vom Feldbau verdrängten Leute nicht arbeitslos bleiben oder in die Städte gedrängt werden, dazu gehört industrielle Beschäftigung auf dem Lande selbst, und diese kann nur vorteilhaft für sie betrieben werden im großen, mit Dampf- oder Wasserkraft. Wie das einrichten? Darüber denkt einmal nach, deutsche Bauern. Wer euch dabei allein beistehen kann, das sind - die Sozialdemokraten."


Ultima modifica 2019.05.02