Il ruolo della violenza nella storia

Friedrich Engels (†1896)

INTRODUZIONE


Pubblicato in Engels: Teoria della violenza, Le edizioni del Maquis, 1971, pp. 1-11.


PACIFISMO E VIOLENZA1 di Maurice Thorez

Già prima della guerra, al Congresso di Limoges, nel 1906, Jules Guesde si rifiutava di considerare come rivoluzionari, e trattava con disprezzo da «furbastri», coloro che erano preoccupati prima di tutto di «mettere al sicuro la pelle il giorno dell'inizio delle ostilità».

In questo rimprovero severo ma giusto di Guesde, s'affermava la convinzione di un vero combattente rivoluzionario, cosciente che la classe operaia non può condannare tutte le guerre, e che la storia obbliga ogni classe che si eleva al ruolo dirigente della società a ricorrere un giorno alle armi per spazzar via il vecchio ordine sociale condannato a sparire, e per aprire la via a nuovi progressi dell'umanità.

Certi, che pretendono di appartenere alla classe operaia, proclamano con enfasi tanto solenne quanto ridicola: «Non ammettiamo la guerra».

Ebbene, signori, la guerra viene senza il vostro permesso. O meglio, viene più facilmente a causa del vostro atteggiamento pseudo pacifista che lascia campo libero ai fautori della guerra.

La guerra fa strage in Spagna, in Cina, senza il vostro permesso, signori pacifisti, e direi quasi con la vostra complicità; il vostro pacifismo non prova emozione né indignazione per i massacri di innocenti, di donne, di vecchi e di bambini, purché possiate prendere il vostro caffelatte la mattina, dopo un sonno che né il rimorso né la vergogna hanno potuto turbare2.

La guerra c'è. Essa può colpire domani il nostro paese, che i dittatori di Roma e di Berlino vogliono isolare per poterlo annientare3. E sono soprattutto i vostri piagnistei, signori pacifisti, che permettono al fascismo e alla reazione di attuare la più abominevole speculazione sull'amore sincero, profondo, per la pace che è nel cuore di tutti gli uomini e di tutte le donne. I vostri ipocriti piagnistei indeboliscono i combattenti che muoiono per la vostra libertà e per la vostra serenità soddisfatta.

Dove sarebbe la Spagna repubblicana se gli operai e i contadini dell'altro lato dei Pirenei, se i volontari delle Brigate Internazionali4 avessero provato simili sentimenti di ripugnante viltà? Dove sarebbe il mondo, se i nostri antenati del 1789 avessero avuto per motto la vostra formula disonorante: «Meglio la schiavitù che la morte»?

Non ci sarebbe stato il 14 luglio 1789, cioè l'esplosione rivoluzionaria del popolo di Parigi per impadronirsi della Bastiglia. Non ci sarebbe stato il 4 agosto 1789 e l'abolizione dei privilegi. Non ci sarebbe stata la proclamazione della Repubblica.

Se i nostri antenati fossero stati dei «pacifisti innanzitutto», degli egoisti, non si sarebbero sollevati nel febbraio 1848, non avrebbero risposto con la proclamazione della Repubblica alla resa di Sedan nel 1870, e cori la Comune al tradimento di Trochu nel 1871.

* * *

Forse che la parola d'ordine «trasformare la guerra imperialistica in guerra civile» era imbevuta di imbelle pacifismo?

Lenin ha scritto:

«Una classe oppressa che non si sforzasse di imparare a servirsi delle armi, meriterebbe semplicemente di essere trattata da schiava».

E ancora:

«Le donne proletarie si limiteranno a maledire la guerra e le armi e a reclamare il disarmo? Mai le donne di una classe oppressa veramente rivoluzionaria si rassegnano a un ruolo così pietoso. Esse diranno ai loro figli : presto sarai grande. Ti daranno un fucile. Prendilo ed esercitati al mestiere delle armi».

Rileggete le note al programma del P.O.F. redatte da Guesde e Lafargue nel 1883. Essi scrissero:

«Per questo (perché la nazione sia forte) basterebbe che l'istruzione militare completasse l'istruzione scientifica e professionale assicurata socialmente alla totalità dei ragazzi; che il fucile, messo già dalla scuola nelle mani di tutti, restasse, all'uscita dalla scuola, nelle mani di ciascuno e che dopo un breve periodo sotto le armi si mantenesse, mediante grandi manovre annuali, fra questi elementi individualmente superiori, la coesione indispensabile e l'abitudine alle operazioni d'assieme»5.

E Marx stesso non ci ha forse insegnato che

«...l'arma della critica non potrebbe mai sostituire la critica delle armi»?

No, lo ripeto, non c'è un grammo di spirito marxista e rivoluzionario nella posizione di coloro che raccomandano alla classe operaia la rassegnazione e la viltà, il timore di combattere con le armi in mano. Νé ve n'è un grammo di più in coloro che si danno allo sproloquio pseudoradicale rinnovato dall'herveismo con frasi come:

«Meglio l'insurrezione che la guerra», oppure «La classe operaia risponderà con lo sciopero generale all'ordine di mobilitazione».

Nelle condizioni presenti della minaccia hitleriana, queste frasi sarebbero un crimine contro la classe operaia se non fossero pura fraseologia. La maggior parte di coloro che dicevano queste cose prima del 1914, si sono trasformati in lacché della borghesia il primo giorno di guerra6.

Qualche riflessione complementare sulla violenza.

Un proletario rivoluzionario, un comunista, non ha niente di tolstoiano, di un seguace della resistenza passiva. Noi non diciamo : «Se ti colpiscono su una guancia, porgi l'altra». Ma non siamo, come pretendono i calunniatori del movimento operaio, fautori della violenza per la violenza.

Noi constatiamo semplicemente che la violenza è un fatto sociale, che è la conseguenza dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, che è divenuta per i privilegiati di un ordine sociale determinato il mezzo per mantenere ed estendere il loro dominio. Noi registriamo che ogni classe pervenuta successivamente alla coscienza del suo ruolo di emancipazione generale della società, ha dovuto fare inevitabilmente ricorso alla violenza organizzata e collettiva per liberarsi e assicurare così il cammino progressivo dell'umanità.

Ciononostante, pur riconoscendo il ruolo della violenza nella storia, ripudiano formalmente la violenza individuale.

I comunisti non hanno mai approvato gli attentati individuali dei terroristi. Jules Guesde ha in altri tempi combattuto gli anarchici fautori dell'azione individuale, della «propaganda con i fatti» e del terrore. Egli si è differenziato da coloro che pretendevano di sostenere questi metodi in nome del socialismo. I bolscevichi russi hanno distolto la classe operaia del loro paese dai metodi impiegati dai nihilisti e dai socialisti rivoluzionari7.

Bisogna sottolineare, al contrario, che il crimine, l'attentato, è per eccellenza il metodo del fascismo. I nazisti fingono di indignarsi contro l'assassinio di un funzionario dell'Ambasciata tedesca a Parigi, ma glorificano come martiri della loro triste causa gli assassini del cancelliere Dolfuss. Come i potenti dell'antichità, come i capi barbari delle prime orde germaniche, Hitler ha provveduto personalmente alle esecuzioni sanguinarie del 30 giugno 1934.

In Francia, numerosi crimini e attentati rimasti impuniti non sono forse stati commessi dalle bande fasciste? Il crimine è l'arma dei tiranni e degli oppressori. La classe operaia, cosciente dei suoi fini, fiduciosa nel suo avvenire, organizzata per l'azione collettiva, non sa che farsene dei metodi terroristici, che sono, in definitiva, il segno della decadenza di un regime, della sua debolezza, e non della sua forza.


Note

1. L'Heure de l'action - pag. 31-30 - Editions Sociales Internationales - Paris 1938. Questo scritto dell'eminente dirigente comunista francese ci sembra la miglior introduzione alla Teoria della violenza di Engels.

2. Nel momento in cui Thorez scriveva era in corso la guerra civile spagnola (1936-1939) e l'invasione giapponese della Cina. Oggi queste stesse parole potrebbero essere riferite al Vietnam e al Medio Oriente, oltre che alle numerose guerre in corso nel mondo.

3. Thorez si riferisce alla situazione del momento in Francia. Nel 1938, la polemica sull'imminenza della guerra infuriava. I comunisti francesi sostenevano giustamente la tesi che la guerra civile spagnola aveva come obiettivo strategico da parte di Hitler e Mussolini l'accerchiamento della Francia. Così accadde infatti. L'anno successivo, nel 1939, la guerra mondiale scοppiò e la Francia, accerchiata dal fascismo e dal falangismo, fu militarmente annientata.

4. Allo scoppio della guerra civile spagnola il fior fiore dei rivoluzionari di tutto il mondo convenne in Spagna per formare le Brigate Internazionali.

5. È questo, espresso da Guesde e Lafargue, il tanto discusso principio della milizia, applicabile quando la classe operaia ha già preso il potere. Attualmente, la milizia operaia è una realtà in tutti i paesi socialisti, ma solo in funzione ausiliaria rispetto all'Esercito Rosso.

6. Notiamo l'attualità di questa affermazione di Thorez. Anche se il nazismo è scomparso come ordinamento, la situazione non è mutata. Il militarismo europeo ha, e più ancora avrà in avvenire, un ruolo fondamentale nell'oppressione del movimento operaio. I metodi semplicistici a cui Thorez si riferisce come opposizione al pericolo di guerra, malgrado il loro ripetuto fallimento non sono scomparsi tuttavia dal movimento operaio europeo. La loro influenza nefasta perdura tuttora.

7. Rileviamo anche la giustezza di questa critica di Thorez ai metodi del terrorismo anarchico. 120 anni di storia della Rivoluzione hanno ormai fatto della metodologia rivoluzionaria un vera e propria scienza.


CONTRO IL RIFORMISMO

Lo scritto che presentiamo è costituito dai capitoli II, III e IV della seconda parte dell'Antidühring (La scienza sovvertita dal signor Dühring) di Federico Engels.

A continuazione del III capitolo, Engels scrisse (probabilmente nell'inverno 1877-1878) un altro capitolo: Violenza ed economia nella formazione del nuovo impero tedesco, che uscì postumo. Lo scopo di questo secondo scritto è precisato nelle stesse parole di Engels: «Applichiamo ora la nostra teoria alla storia contemporanea della Germania e alla sua pratica della violenza con il sangue e con il ferro».

La prima parte è dunque la trattazione teorica del problema, la seconda è un esempio di applicazione alla realtà. Se riflettiamo su come, nel 1971, il militarismo tedesco continua a giocare un ruolo attivo nel mondo e su come la Germania occidentale, pur battuta nel 1945, continui a esercitare una rilevante influenza militare diretta e indiretta nel mondo (i carri armati Leopard sono oggi il nerbo delle forze corazzate di tutta l'Europa), possiamo apprezzare l'interesse particolare dello scritto di Engels, e il valore letteralmente profetico degli insegnamenti che contiene. Ad esempio, l'analisi del processo che doveva condurre fatalmente la Germania a due guerre mondiali, che si trova in Violenza ed economia nella fοrmaziοne del nuovo Impero tedesco8, è un mirabile modello di analisi marxista d'una situazione politico-storica e delle forze materiali che agiscono al suo interno come fattori dialettici determinanti. Un modello, sfortunatamente, caduto in disuso. La precisione con cui, sulla base di questa analisi, Engels previde, negli esatti termini politici economici e militari, la guerra mondiale 1914-1918 (di cui quella del 1939-1945 non fu che la continuazione) è un trionfo di questo metodo.

I tre capitoli dell'Antidühring e Violenza ed economia nella formazione del nuovo Impero tedesco, costituiscono quindi un tutto inscindibile, una trattazione organica del problema della violenza nella storia, la cui conoscenza è basilare per una vera formazione marxista.


Per comprendere l'importanza della Teoria della violenza è necessario situare questo scritto nel clima politico degli anni 1870-1880 in Germania.

In Germania è l'ora della Prussia e di Bismarck. L'Impero tedesco è appena nato. La borghesia sfrutta una grande fase di sviluppo industriale e Commerciale, causata sia dall'unificazione tedesca, sia dalla rivoluzione industriale che tale unificazione ha favorito. È — per la borghesia — una «pioggia di miliardi».

Il proletariato tedesco, dalla rivoluzione del 1848, si è sviluppato in modo ideologicamente confuso. Tutta una serie di «riformatori» è intervenuta con le più diverse parole d'ordine, e malgrado ogni sforzo di Marx ed Engels, il riformismo si è già saldamente installato nella tradizione del movimento operaio tedesco. Infatti, è intorno al Programma dei lavoratori di Lassalle (vero travestimento del Manifesto dei comunisti), che nel 1863 nato il primo raggruppamento organizzato dalla classe operaia tedesca. L'altro raggruppamento, il Partito Socialdemocratico, nato solo nel 1869, è diretto da un marxista, Liebknecht, legato a Marx ed Engels, ma privo di basi teoriche solide. Liebknecht ha in sé tutte le debolezze e le tendenze di un riformista. Ogni intento di Marx ed Engels per promuovere un movimento rivoluzionario scientifico, si infrange contro questo muro di ignoranza che non permette — prima di ogni altra cosa — la comprensione della dialettica.

Nel 1870-1872, un vasto movimento di scioperi provoca una repressione violenta. I lavoratori tedeschi si trovano di fronte il problema di resistere alla pressione governativa e dar maggior forza al movimento. Si pone così sul terreno la questione dell'unità del movimento operaio e della fusione dei due partiti.

È questo, come sempre nella storia del movimento operaio, il momento critico. Marx ed Engels sono contrari all'unificazione, se unificazione deve significare cedimento ideologico. Essi difenderanno appassionatamente la concezione del partito ideologicamente puro; a qualsiasi concessione sul piano ideologico, essi preferiscono l'indipendenza nell'azione politica, anche se questo dovesse costare anni duri alla classe operaia.

Saranno anni duri, ma condurranno allo scopo. La concessione sul piano teorico, invece, rende scientificamente impossibile il conseguimento degli obiettivi reali del proletariato, la dittatura del proletariato. La polemica che Marx conduce in questo periodo consiste nel lottare contro la possibilità che il Partito divenga uno strumento della sola rivendicazione economica. Per Marx la lotta economica non porta a niente se è separata da quella politica. Il nocciolo della polemica è quindi sulla natura del partito. O un partito rivoluzionario, o un partito riformista.

Agli occhi di Marx ed Engels il processo storico in atto era perfettamente chiaro (come si desume dalla loro corrispondenza con i socialisti tedeschi).

Se, nel primo periodo della sua esistenza, la natura del movimento operaio tedesco è stata determinata dalla lotta e dalla persecuzione, la classe dirigente tedesca comincia a rendersi conto che la persecuzione non soltanto è controproducente come metodo, ma urta contro la stessa evoluzione storica dell'economia tedesca. La forza nascente del proletariato tedesco si sviluppa assieme all'industria tedesca. Una più grande industria richiede più operai. Con la repressione in atto, più operai significa più rivoluzionari.

La borghesia tedesca era pronta a cambiar tattica e a inaugurare una nuova politica. Nell'epoca della grande espansione e dei grandi profitti, v'era dunque un margine da spartire con la classe operaia, con cui «privilegiare» la classe operaia tedesca rispetto alle altre. La nuova tattica della borghesia si avviava ad essere quella di legare la socialdemocrazia, come organizzazione, ai propri interessi. Aprendo la strada al marxismo legale, l'Impero tedesco doveva riuscire in effetti a modificare la natura del movimento di classe tedesco, almeno temporaneamente.

Indubbiamente, dopo il fallimento degli scioperi del 1871-1872, la tentazione era forte per gli operai tedeschi, e soprattutto per i loro dirigenti d'origine intellettuale-borghese. In luogo della prigione e delle sofferenze, s'apriva la strada più facile della lotta per conquiste parziali nella legalità, senza pericoli sostanziali. A una intera classe politica, quella dei burocrati di partito, s'apriva la possibilità della mediazione e della carriera parlamentare.

In tal modo, se la resistenza alla persecuzione aveva costretto il movimento operaio nella sua fase embrionale alla combattività, e l'aveva spinto alla ricerca di metodi conseguenti, l'apertura alle «conquiste liberali» doveva spingerlo nelle braccia del legalitarismo costituzionale.

Nacque così il cosiddetto socialismo del Kaiser: in termini più politici, l'opportunismo socialdemocratico piccolo borghese, le cui basi ideologiche erano già nella predicazione dei Lassalle, Bernstein e Bebel (e successivamente di Kautzky).

Doveva verificarsi in sostanza, nel movimento operaio tedesco, quello slittamento verso posizioni riformiste che Marx ed Engels temevano e contro cui lottavano strenuamente. Doveva crearsi un partito fondato sull'illusione che «lo Stato possa esercitare una azione socialista diretta», un partito pronto a scendere ai patti in cambio del «suffragiο universale e qualche ciarlataneria socialista», il partito preda della specie più nefasta di uomo politico, il «Realpolitiker»9, cioè quel tipo di politico per cui contano solo la «realtà» e i risultati immediati.

Qui giunge il signor Dühring.

Libero docente all'Università di Berlino, mosso da una sfrenata ambizione, figlio di un piccolo funzionario prussiano, cresciuto nell'abitudine all'obbedienza, Dühring negava la dialettica di Hegel, accettava il capitalismo ma voleva «sopprimerne le contraddizioni». Attaccava Marx, «ma non da destra, da sinistra», con un fiero cipiglio rivoluzionario.

Era l'uomo che occorreva a Bismarck.

Marx ed Engels ebbero anche il sospetto che si trattasse di un agente imperiale. In realtà era bastato a Dühring proclamarsi socialista nel 1872, per avere spazio nel movimento operaio. Accecati dall'«onore» di avere un così importante portavoce dentro all'università, i socialisti tedeschi avevano nel loro complesso mostrato grande entusiasmo verso la recluta. Anche gli stessi marxisti più ortodossi, pur identificando la debolezza delle teorie di Dühring, non condividevano tutto l'immediato disprezzo di Marx ed Engels per il professore10.

Ma nel 1875 si fece l'unificazione dei due partiti socialisti nel congresso di Gotha, e la situazione cambiò. L'unificazione avvenne su un programma politico di ispirazione lassalliana, che costituiva una decisiva svolta del movimento operaio tedesco verso il riformismo puro, e incontrò la decisiva opposizione di Marx ed Engels. Nello stesso anno Dühring pubblicò i Corsi di filosofia e i Corsi di critica economica (l'anno successivo, nel 1876, pubblicò i Corsi di economia sociale). Questi interventi teorici di Dühring finirono per convincere molti amici di Marx ed Engels della pericolosità di Dühring, e indussero Liebknecht a chiedere a Engels di intervenire.

Marx ed Engels erano però reticenti all'idea di attaccare Dühring, poiché la vera deviazione ideologica non risiedeva nelle «dühringherie», ma nel piú sottile lavoro di soffocamento delle tendenze marxiste nel Partito compiuto da Lassalle e gli altri. Engels si consultò con Marx, e questi rispose che la presa di posizione non poteva avere come obiettivo Dühring in se stesso11, perché i suoi scritti erano senza importanza e la critica sarebbe stata un lavoro troppo subalterno.

Se Engels si decise a redigere la critica, fu certamente nell'intenzione di utilizzare il caso Dühring per una violenta polemica contro tutte le deviazioni. L'Αntidühring è in effetti, per la sua immediata motivazione politica, un attacco violento contro tutta la corrente ideologica riformista presente nel socialismo tedesco, che rappresentava un ritorno ai fondamenti utopistici e idealistici del movimento operaio pre-marxista. Ne risultò un testo formidabile. Per Dühring fu una vera e propria «esecuzione». L'importanza dello scritto di Engels andò molto al di là delle previsioni dell'autore. L'Antidühring fu la prima esposizione complessiva della concezione comunista del mondo, in forma di manuale di divulgazione. Perciò acquistò una importanza gigantesca per tutto il movimento operaio.


Note

8. Violenza ed economia nella formazione del nuovo Impero tedesco sarà pubblicato separatamente in un fascicolo dei «Classici del Marxismo».

9. Lettera di Marx a Kugelmann del 23 febbraio 1865.

10. Nel 1868, Dühring aveva scritto un articolo elogiativo sul Capitale. Da questo articolo, Marx ed Engels avevano già dedotto che Dühring, contrario al principio della dialettica, non aveva afferrato minimamente l'essenza del socialismo scientifico.

11. Lettera di Marx a Engels del 25-5-1876.



Ultima modifica 2019.03.21