Lettera a Conrad Schmidt a Berlino

Engels (1890)

 


Scritta il 5 agosto del 1890.
Trascritta e tradotta, dalla versione in inglese presente sul MIA, da
Dario Romeo, Novembre 2000


 

Caro Schmidt,

la sua lettera ha vagato con me nella mia borsa fino al Capo Nord e per una dozzina di fiordi norvegesi, volevo rispondere durante il viaggio, ma sulla nave su cui Schorlemmer ed io abbiamo fatto tutto il viaggio le possibilità di scrivere erano troppo miserevoli. Perciò recupero ora.

Mille grazie per le informazioni sulla Sua attività, che mi interessano sempre molto. L'articolo su Knapp dovrebbe cercare di farlo, il punto è troppo importante. Si tratta di demolire la tradizione prussiana in un suo punto vitale, e di ridurre le vecchie millanterie all'imbroglio in cui vanno a finire.

Lavorare sui libri azzurri inglesi per l' "Archivio" difficilmente può farlo uno che non abita a Londra e che perciò non è messo nella condizione di giudicare da solo del valore teoretico o pratico delle singole pubblicazioni. Tanto grande è il numero delle pubblicazioni parlamentari, che in materia escono specifici cataloghi mensili - dovrebbe cercare un ago in un pagliaio, e qualche volta potrebbe anche pungersi con uno spillo. Se però vuole tentare comunque di fare di quando in quando qualcosa in questo ramo - per lo più è un lavoro spaventoso, per quanto bene possa andare - avrò piacere di darle qualsiasi informazione. Se d'altronde Braun vuole avere qui un uomo fisso, non può far niente di meglio che rivolgersi a E. Bernstein, 4, Corinne Road, Tufnell Park, N. Ede Bernstein vuole proprio studiare la situazione inglese, non appena si liberi dal "Sozialdemokrat", e perciò questa soluzione andrebbe probabilmente bene. Oggi o domani va per qualche settimana al mare, e non posso perciò consultarlo su questa possibilità che mi è venuta in mente all'improvviso.

Il libro di Paul Barth l'ho visto recensito su "Deutsche Worte" di Vienna da quello sventurato di Moritz Wirth, e questa critica mi ha lasciato un'impressione sfavorevole anche per il libro stesso. Lo voglio vedere, ma devo dire che se il piccolo Moritz lo cita in proposito correttamente, e in tutti gli scritti di Marx Barth riesce a trovare come unico esempio della dipendenza della filosofia ecc. dalle condizioni materiali di esistenza il fatto che Descartes afferma che gli animali sono macchine, mi dispiace per chi può scrivere cose del genere. E se costui non ha ancora scoperto che, se la forma di esistenza materiale è il primus agens, ciò non esclude che le sfere ideali esercitano a loro volta su di essa un'influenza di ritorno, ma secondaria, è impossibile che abbia capito l'argomento di cui parla. Ma come ho detto tutto ciò lo so di seconda mano e il piccolo Moritz è un amico pericoloso. Anche la concezione materialistica della storia oggi per un sacco di gente serve come pretesto per non studiare la storia. Proprio come diceva Marx dei "marxisti" francesi alla fine degli anni '70: "Tout ce que je sais, c'est que je ne suis pas marxiste" [1].

C'è stata per esempio anche una discussione sulla " Volks-Tribüne ", sulla distribuzione dei prodotti nella società socialista, se debba avvenire a seconda della quantità di lavoro o altrimenti. E la cosa è stata trattata anche in modo assai "materialistico", in confronto a certe belle frasi idealistiche sulla giustizia. Ma, strano a dirsi, a nessuno è venuto in mente che il modo di distribuzione dipende da quanto c'è da distribuire, e se questo si trasforma con i progressi della produzione e dell'organizzazione sociale potrebbe trasformarsi anche il modo di distribuzione. Ma a tutti i partecipanti la "società socialista" appare non come una cosa coinvolta in una incessante modificazione e progresso, ma come una cosa stabile, fissata una volta per tutte, che deve perciò avere anche un modo di distribuzione fissato una volta per tutte. Ragionevolmente invece si può solo 1) cercare di scoprire il modo di distribuzione con cui cominciare e 2) tentare di scoprire la tendenza generale in cui si muoverà il successivo sviluppo. Di ciò però non trovo una parola in tutto il dibattito.

In generale in Germania il termine "materialista" è usato da molti tra i più giovani scrittori come fosse una mera frase fatta, con cui etichettare ogni cosa senza studiarla ulteriormente: si attacca l'etichetta e si crede così di aver liquidato la faccenda. Ma la nostra concezione della storia è anzitutto una guida per lo studio, non una leva per la costruzione alla maniera hegeliana. Tutta la storia deve venir da capo studiata, le condizioni di esistenze delle diverse formazioni sociali devono venir esaminate nei particolari, prima di tentare di far derivare da esse le corrispondenti concezioni della politica, del diritto privato, dell'estetica, della filosofia, della religione, ecc. In quest'ambito finora è successo poco, perché solo pochi si son messi seriamente al lavoro. In quest'ambito abbiamo bisogno di massicci aiuti, il territorio è infinitamente grande, e chi ha voglia di lavorare seriamente può riuscire a fare grandi cose e distinguersi. Ma invece di tutto ciò la frase fatta del materialismo storico (proprio di tutto si può fare una frase fatta) a molti dei più giovani tedeschi serve solo a comporre come si deve al più presto possibile in sistema le loro conoscenze storiche relativamente misere - la storia economica è davvero ancora in fasce! - e credersi così molto potenti. E poi può venire un Barth e attaccare la cosa in sé, che certo nel suo ambiente è stata degradata a mera frase fatta.

Pure, tutto ciò si accomoderà. In Germania siamo forti abbastanza per sopportare molte cose. Uno dei maggiori servizi che ci ha reso la legge contro i socialisti è stato di liberarci dalla molestia dello studente tedesco ispirato dal socialismo. Ora siamo forti abbastanza per digerire anche lo studente tedesco, che ricomincia a darsi parecchie arie. Lei, che ha prodotto veramente qualcosa, deve aver notato personalmente quanti pochi dei giovani letterati che aderiscono al partito si danno la pena di occuparsi di economia, di storia dell'economia, di storia del commercio, dell'industria, dell'agricoltura, delle formazioni sociali. Quanti saranno che conoscono di Maurer più del nome? A tutto deve provvedere la vanità del giornalista, e ne esce quel che ne deve uscire. A volte è come se questi signori pensassero che per gli operai è tutto abbastanza buono. Se questi signori sapessero come Marx non riteneva le sue cose migliori abbastanza buone per gli operai, come considerava un delitto offrire agli operai qualcosa di meno del meglio!

Nei nostri operai, e solo in loro, ho una fiducia incondizionata, dopo la brillante prova che hanno superato dal 1878 in poi. Come ogni grande partito, nei dettagli della loro evoluzione commetteranno errori, forse gravi errori. Le masse imparano appunto solo dalle conseguenze dei loro propri errori, da esperimenti sul loro proprio corpo. Ma tutto ciò viene superato, e da noi forse più facilmente che altrove, perché i nostri ragazzi hanno in effetti una salute a prova di bomba, e poi perché Berlino, che difficilmente riesce ad uscire tanto presto dai suoi caratteri tipicamente berlinesi, da noi è un centro solo formale, analogamente a Londra, non come Parigi in Francia. Mi sono arrabbiato abbastanza spesso con gli operai francesi e inglesi - nonostante sapessi le ragioni dei loro spropositi - ma con i tedeschi dal 1870 mai, con singole persone che parlavano a loro nome sì, ma mai con le masse, che riportavano di nuovo tutto in carreggiata. E potrei scommettere che non mi capiterà mai di arrabbiarmi con loro.

Suo F. Engels

Indirizzo "Volkstribüne", perché non so se "Pankov" è ancora valido.

 

Note

1. " Tutto quel che so, è che non sono marxista ".

 


Ultima modifica 19.11.2000