Ultime lettere ai socialisti italiani

Friedrich Engels (1894/95)


Pubblicate in italiano e poi raccolte in occasione della morte dell'autore su: L'economia politica, Milano, Uffici della Critica Sociale, 1895, pp. 77-83.

La prima delle lettere che seguono fu scritta, come indica la data (26 gennaio 1894), poco dopo la dichiarazione dello stato d'assedio in Sicilia e gli arresti in massa dei nostri compagni dell'isola – in un momento in cui il precipitare impreveduto degli avvenimenti sembrò produrre un istante di oscillazione nelle idee e nella tattica del giovane partito socialista italiano. Da un lato, coloro che battezzarono le manifestazioni popolari di Sicilia col nome di «rivolte della fame» intendevano a disinteressarsene affatto il partito socialista, il quale, in qualità di partito «scientifico» e prettamente «collettivista», non aveva nulla a che fare – dicevano – con quei torbidi. Dall'altro non pareva a molti socialisti che fosse lecito a un partito rivoluzionario, degno del nome, starsene con le braccia incrociate dinanzi a un movimento che, se anche non perfettamente inquadrato nella formula socialista, era però un vero movimento proletario di classe; a quel modo stesso che non gli sarebbe lecito appartarsi nel suo esclusivismo, di fronte a un movimento serio di qualunque partito, che tendesse a mutare in senso progressivo le sorti del paese. Di questa seconda corrente si fece risolutamente interprete la Critica Sociale, particolarmente con un articolo La Sicilia insorta (1894, n. 2), che ebbe l'onore di essere ghermito dal Fisco, e con una lettera, pubblicata nello stesso fascicolo, del prof. Antonio Labriola; il quale avvertiva come il partito nostro si trovasse in quel momento a camminare su un filo di rasoio, poiché, mentre doveva evitare ogni confusione con idee e metodi a sé disdicenti, non doveva neppure separarsi dal proletariato quando questo rivelava, sia pure con degli eccessi, l'indole propria, né meritare la taccia di chi suole nella formula filosofica «costituirsi un alibi alla vigliaccheria». La contesa, portata davanti al criterio e alla esperienza di Federico Engels, provocò da lui la prima delle lettere che riproduciamo più oltre, la quale, mentre tratta la questione dal punto di vista più generale, le porge una soluzione che potrà ancora, crediamo, essere utilmente meditata dai nostri compagni.

La seconda lettera (27 ottobre dello stesso anno) ci rammenta un momento non meno agitato e doloroso. Fu cioè quando, avvenuto lo scioglimento del partito ad opera del Crispi, le gazzette ufficiose si compiacevano di rovesciar su di noi il fuoco delle loro calunnie, asserendo fra l'altro che la lotta di classe e la conquista rivoluzionaria dei poteri era una specialità dei socialisti italiani, i quali nulla avevano di comune col «forte e rispettabile» partito socialista di Germania, ecc., ecc. anche allora la parola autorevole di Engels intervenne a porre fine, almeno per un istante, le stupide contumelie dei pennaiuoli venduti.

Infine, quando, cessato lo stato d'assedio in Sicilia, risorse in Palermo la Riscossa, il battagliero organo dei socialisti siciliani, fra le lettere di saluto e di augurio che essa ricevette dai socialisti dell'estero, non doveva mancare, e non mancò, l'augurio ed il saluto dell'affettuoso amico e consigliero di tutti i partiti proletari del mondo. La lettera che chiude questo volumetto fu anche l'ultimo scritto di Engels che, lui vivo, apparisse per le stampe. Ed è evidentemente a questa e alle altre lettere consimili pubblicate dalla Riscossa nel giugno 1895 che si riferiscono la polizia e il giornalismo governativo in questi giorni, quando, a coonestare le nuove grassazioni politiche avvenute in Palermo, parlano di relazioni cospiratorie degli agitatori socialisti siciliani coi rivoluzionari stranieri!

  (Settembre 1895).

LA CRITICA

[L'economia politica, Milano, Uffici della Critica Sociale, 1895, pp. 75-76]

Trascritto per Internet da: Leonardo Maria Battisti, marzo 2017


I. La futura rivoluzione italiana e il partito socialista

Londra, 26 gennaio 1894

  CARO TURATI

La situazione in Italia, a mio parere, è questa.

La borghesia, giunta al potere durante e dopo l'emancipazione nazionale, non seppe né volle completare la sua vittoria. Non ha distrutti i residui della feudalità né ha riorganizzato la produzione nazionale sul modello borghese moderno. Incapace di far partecipare il paese ai relativi e temporanei vantaggi del regime capitalista, essa gliene impose tutti carichi, tutti gli inconvenienti. Non contenta di ciò, perdette per sempre, in ignobili bindolerie bancarie, quel che le restava di rispettabilità e di credito.

Il popolo lavoratore – contadini, artigiani, operai, agricoli e industriali – si trova dunque schiacciato, da una parte, da antichi abusi, retaggio non solo de' tempi feudali, ma benanche dell'antichità (mezzadria, latifundia del mezzodì, ove il bestiame surroga l'uomo); dall'altra parte, dalla più vorace fiscalità che mai sistema borghese abbia inventato. È il caso di dire con Marx che «noi siamo afflitti, come tutto l'Occidente continentale europeo, e dallo sviluppo della produzione capitalistica, e ancora dalla mancanza di questo sviluppo. Oltre i mali dell'epoca presente abbiamo a sopportare una lunga serie di mali ereditarii, derivanti dalla vegetazione continua dei modi di produzione che hanno vissuto, con la conseguenza dei rapporti politici e sociali anacronistici che essi producono. Abbiamo a soffrire non solo dai vivi, ma anche dai morti. Le mort saisit le vif

Questa situazione spinge a una crisi. Da per tutto la massa produttrice in fermento; qua e là si solleva. Dove ci condurrà questa crisi?

Evidentemente il partito socialista è troppo giovane e, per effetto della situazione economica, troppo debole per sperare una vittoria immediata del socialismo. Nel paese la popolazione agricola prevale, e di gran lunga, sulla urbana; poche, nelle città, le industrie sviluppate, scarso quindi il proletariato tipico; la maggioranza è composta di artigiani, di piccoli bottegai, di spostati, massa fluttuante fra la piccola borghesia e il proletariato. È la piccola e media borghesia del medio evo in decadenza e disintegrazione, la più parte proletari futuri, non ancora proletari dell'oggi. È questa classe, sempre faccia a faccia colla rovina economica ed ora spinta alla disperazione, che sola potrà fornire e la massa dei combattenti e i capi di un movimento rivoluzionario. Su questa via la seconderanno i contadini, ai quali il loro stesso sparpagliamento sul territorio e il loro analfabetismo vietano ogni iniziativa efficace, ma che saranno ad ogni modo ausiliari potenti e indispensabili.

In caso di un successo più o meno pacifico, si avrà un cangiamento di Ministero, con l'avvenimento al potere dei repubblicani «convertiti»1, i Cavallotti e compagnia; in caso di rivoluzione, si avrà la repubblica borghese.

Di fronte a questa eventualità, quale sarà l'ufficio del partito socialista?

Dal 1848 in poi, la tattica che ha portati maggiori successi socialisti fu quella del Manifesto dei Comunisti: «I socialisti, nei vari stadii attraversati dalla lotta fra proletariato e borghesia, difendono sempre l'interesse del movimento generale...; lottano bensì per raggiungere scopi immediati nell'interesse delle classi lavoratrici, ma nel moto presente rappresentano eziandio l'avvenire del movimento.» – Essi pigliano dunque parte attiva in ciascuna delle fasi evolutive della lotta delle due classi, senza mai perder di vista che queste fasi non sono che altrettante tappe conducenti alla prima grande metà: la conquista del potere politico da parte del proletariato, come mezzo di riorganizzazione sociale. Il loro posto è fra i combattenti per ogni vantaggio immediato da ottenere nell'interesse della classe operaia: tutti questi vantaggi politici o sociali essi li accettano, ma solo come acconti. Perciò essi considerano ogni movimento rivoluzionario o progressivo come un passo nella direzione del loro proprio cammino; è loro missione speciale di spingere avanti gli altri partiti rivoluzionarii e, quando uno di questi trionfasse, di salvaguardare gli interessi del proletariato. Questa tattica, che mai non perde di vista il gran fine, risparmia ai socialisti le disillusioni cui vanno soggetti infallibilmente gli altri partiti meno chiaroveggenti – sia repubblicani, sia socialisti sentimentali, che scambiano ciò che è una semplice tappa per il fine finale della marcia in avanti.

Applichiamo tutto questo all'Italia.

La vittoria della piccola borghesia in disintegrazione e dei contadini porterà dunque forse un Ministero di repubblicani «convertiti». Ciò ci procurerà il suffragio universale e una libertà di movimento (stampa, riunione, associazione, abolizione dell'ammonizione, ecc.) assai più considerevole – nuove armi che non sono da disdegnare.

Oppure ci porterà la repubblica borghese, cogli stessi uomini e qualche mazziniano con essi. Ciò allargherebbe ancora e di assai la nostra libertà e il nostro campo di azione, almeno pel momento. E la repubblica borghese, ha detto Marx, è la sola forma politica nella quale la lotta fra proletariato e borghesia può avere soluzione. Senza dire del contraccolpo che ne risentirebbe l'Europa.

La vittoria del movimento rivoluzionario che si prepara non potrà dunque che renderci più forti e collocarci in un ambiente più favorevole. Commetteremo il più grande degli errori se, di fronte ad esso, vorremmo astenerci, se nel nostro contegno rimpetto ai partiti «affini» vorremmo limitarci a una critica puramente negativa. Potrà arrivare il momento nel quale fosse dover nostro di cooperare con essi in modo positivo. Quale sarà questo momento?

Evidentemente non è a noi che spetta di preparare direttamente un movimento che non è quello precisamente della classe che noi rappresentiamo. Se i repubblicani e i radicali credono scoccata l'ora di muoversi, diano essi libero sfogo alla loro impetuosità. Quanto a noi, fummo troppo spesso ingannati dalle grandi promesse di questi signori, per lasciarvicisi prendere un'altra volta. Né le loro proclamazioni né le loro cospirazioni dovranno menomamente toccarci. Se noi siamo tenuti a sostenere ogni movimento popolare reale, siamo tenuti ugualmente a non sacrificare indarno il nucleo appena formato del nostro partito proletario, e a non lasciar decimare il proletariato in sterili sommosse locali.

Se al contrario il movimento è davvero nazionale, i nostri uomini non staranno nascosti, non vi sarà neppur bisogno di lanciar loro una parola d'ordine... Ma allora dovrà ben essere inteso, e noi dovremo proclamarlo altamente, che noi partecipiamo come partito indipendente, alleato pel momento ai radicali e ai repubblicani, ma interamente distinto da essi; che non ci facciamo alcuna illusione sul risultato della lotta in caso di vittoria; che questo risultato, lunge dal renderci soddisfatti, non sarà per noi che una tappa guadagnata, nuova base d'operazione per conquiste ulteriori; che il dì stesso della vittoria alle nostre strade si divideranno; che da quel giorno, di fronte al nuovo governo, noi formeremo la nuova opposizione, opposizione non già reazionaria, ma progressiva, opposizione d'estrema sinistra che spingerà a nuove conquiste al di là dei terreni guadagnati.

Dopo la vittoria comune, potrebbe esserci offerto qualche seggio nel nuovo governo – ma sempre nella minoranza. QUESTO È IL PERICOLO PIÙ GRANDE. Dopo febbraio 1848 i democratici socialisti francesi (della Réforme, Ledru-Rollin, Louis Blanc, Flocon, ecc.) commisero l'errore di accettare cosiffatte cariche. Minoranza nel governo, essi condivisero volontariamente la responsabilità di tutte le infamie e i tradimenti, di fronte alla classe operaia, commessi dalla maggioranza di repubblicani puri; mentre la presenza loro nel governo paralizzava completamente l'azione rivoluzionaria della classe lavoratrice ch'essi pretendevano rappresentare.

In tutto questo, io non do che la mia opinione personale, poiché me l'avete domandata, e ancora con la maggior diffidenza. Quanto alla tattica generale, nella sperimentata l'efficacia durante tutta la mia vita; non una volta essa mi ha fallito. Ma quanto alla sua applicazione alle condizioni attuali in Italia, è un'altra cosa; ciò deve decidersi sul posto e da coloro che si trovano in mezzo agli avvenimenti.

FRIEDRICH ENGELS

II. Il socialismo internazionale e il socialismo italiano

Alla Redazione della Critica Sociale

Nel momento in cui il giovane partito socialista italiano subisce i colpi della reazione governativa la più violenta, è dovere di noi, socialisti d'oltre alpe, procurare di venirgli in aiuto. Contro gli scioglimenti di sezioni e di società noi nulla possiamo. Ma forse la nostra testimonianza non sarà inutile del tutto, di fronte alle calunnie odiose e sfacciate d'una stampa ufficiosa e corrotta.

Questa stampa rimprovera ai socialisti italiani di avere, a disegno, simulato una propaganda marxista, per celare sotto questa maschera una politica affatto diversa, una politica che proclama la «lotta di classe» (cosa che «ci ricondurrebbe al medio evo») e che ha per iscopo la formazione d'un partito politico aspirante alla «conquista del potere dello Stato»; laddove i partiti socialisti degli altri paesi, e i tedeschi in particolare, «non si occupano di politica, non attaccano la forma di governo in vigore», non sono infine che innocui buoni diavoli, dei quali è lecito farsi beffe!

Se con ciò ci si fa beffe di qualche cosa, è del pubblico italiano. Non si oserebbe sballargli simili asinerie se non si supponesse in esso un'ignoranza completa di ciò che avviene al di fuori. Se i socialisti italiani proclamano la «lotta delle classi» come il fatto dominante della società nella quale viviamo, se essi si costituiscono in «partito politico aspirante alla conquista dei pubblici poteri e alla direzione degli affari nazionali», essi fanno della propaganda marxista nel senso letterale della parola, essi seguono esattamente la linea indicata nel Manifesto del partito comunista pubblicato da Marx e da me nel 1848; essi fanno precisamente quel che fanno i partiti socialisti di Francia, del Belgio, della Svizzera, della Spagna e soprattutto di Germania. Non uno solo, fra tutti questi partiti, che non aspiri alla conquista dei poteri pubblici, tal e quale come gli altri partiti conservatori, liberali, repubblicani, ecc., ecc.

Quanto alla «lotta delle classi», essa ci riconduce, non solo al «medio evo», ma benanco ai conflitti intestini delle repubbliche dell'antichità: di Atene, di Sparta, di Roma. Tutti quei conflitti erano lotte di classi. Dalla dissoluzione delle comunità primitive in poi, la lotta fra le diverse classi, onde si compose ogni società, fu sempre la gran forza motrice del progresso storico. Questa lotta non sparirà se non con queste classi medesime, cioè a dire dopo la vittoria del socialismo. Fino a quel giorno, le classi opposte, il proletariato, la borghesia, la nobiltà terriera, continueranno a combattersi fra loro, checché ne dica la stampa ufficiosa italiana.

Del resto, l'Italia traversa in questo momento la medesima prova che traversò la Germania durante i dodici anni della legislazione eccezionale. La Germania ha vinto Bismarck; l'Italia socialista avrà ragione di Crispi.

Londra, 27 ottobre 1894
FRIEDRICH ENGELS

III. L'ultima parola all'Italia

Al giornale La riscossa di Palermo2

Salute e lunga vita al vostro giornale, organo dei lavoratori siciliani, salute al vostro partito che si riorganizza!

La natura ha fatto della Sicilia un paradiso terrestre; ragione sufficiente perché la società umana, divisa in classi opposte, ne facesse un inferno.

L'antichità greco-romana ha dotato la Sicilia della schiavitù per far produrre le grandi proprietà e le miniere.

Il medio-evo alla schiavitù ha sostituito il servaggio e la feudalità.

L'epoca moderna, benché pretendesse di aver spezzate queste catene, non ha fatto che cambiarne la forma. Non soltanto essa ha conservato in realtà queste antiche servitù, ma vi aggiunta una nuova forma di sfruttamento e la più crudele, la più spietata di tutte: lo sfruttamento capitalista.

Gli antichi poeti siciliani, Teocrito e Mosco, hanno cantata la vita idillica degli schiavi-pastori loro contemporanei. Erano, senza dubbio, sogni poetici. Ma vi è un poeta moderno così audace da cantare la vita idillica dei «liberi» lavoratori della Sicilia d'oggi? I contadini di quest'isola non sarebbero felici se potessero lavorare i loro campi financo con le dure condizioni della mezzadria romana? Ecco sin dove ci ha condotto il sistema capitalista: gli uomini liberi rimpiangono la schiavitù del passato!...

Ma ch'essi si rassicurino. L'aurora ad una nuova e migliore società sorge luminosa per le classi oppresse di tutti i paesi. E dappertutto gli oppressi serrano le file; dappertutto essi si intendono a traverso le frontiere, a traverso le diverse lingue; l'esercito del proletariato internazionale si forma, e il nuovo secolo, che sta per cominciare, lo guiderà alla vittoria!...

Londra, 1895
F. ENGELS


Note

1. Il testo della lettera dice: rallies. [Nota della CRITICA SOCIALE]

2. Pubblicata nel numero della Riscossa del 30 giugno 1895


Ultima modifica 2019.05.02