I dieci giorni che sconvolsero il mondo

John Reed (1919)

 


Trascritto per il MIA da Mishù, dicembre 2003.

 

CAPITOLO 11:
LA CONQUISTA DEL POTERE

Dichiarazione dei diritti dei popoli di Russia

Il I Congresso dei Soviet proclamò, nel mese di giugno di quest'anno, il diritto dei popoli russi a disporre di se stessi.
Il II Congresso dei Soviet, in novembre, ha definitivamente confermato e precisato questo diritto inalienabile dei popoli di Russia.
Conformandosi alla volontà di quei congressi, il Consiglio dei Commissari del popolo ha deciso di mettere alla base della sua azione nella questione delle nazionalità i principi seguenti:

1° Eguaglianza e sovranità dei popoli di Russia.
2° Diritto dei popoli di Russia di disporre liberamente di se stessi, compresa la separazione totale e la costituzione in Stato indipendente.
3° Soppressione di tutti i privilegi e di tutte le restrizioni di carattere nazionale o religioso.
4° Libero sviluppo delle minoranze nazionali e dei gruppi etnici viventi sul territorio russo.

I decreti esecutivi saranno redatti dopo la formazione della Commissione per le Nazionalità.

Il Commissario alle Nazionalità
Josif Giugascvili-Stalin
15 novembre 1917.
Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo
Vl. Ulianov (Lenin)

La Rada Centrale di Kiev proclamò immediatamente l'Ucraina repubblica indipendente e il governo finlandese fece votare una deliberazione analoga dal senato a Helsingfors. Governi indipendenti sorsero in Siberia, nel Caucaso. In Polonia, il Consiglio Superiore di guerra si affrettò a richiamare tutte le truppe polacche dell'esercito russo, sopprimendo i loro comitati ed introducendo una disciplina di ferro.

Tutti questi «governi», questi «movimenti», avevano due caratteristiche comuni: erano diretti dalle classi possidenti e temevano e detestavano i bolscevichi.

Nel caos di quegli sconvolgimenti il Consiglio dei Commissari del popolo lavorava con fermezza alla costituzione dell'ordine socialista. L'uno dopo l'altro promulgava i decreti sulle assicurazioni sociali e sul controllo operaio, sui Comitati agrari cantonali, sull'abolizione dei gradi e dei titoli, sulla soppressione degli antichi tribunali e la creazione dei tribunali popolari...

Le delegazioni delle forze di terra e di mare si succedevano, portando le loro «felicitazioni entusiastiche al nuovo governo del popolo».

Un giorno vidi, dinnanzi a Smolni, un reggimento in stracci che tornava dalle trincee. I soldati, magri e pallidi, schierati davanti la grande entrata, guardavano verso l'edificio come se esso rinchiudesse Dio in persona. Alcuni mostravano, ridendo, le aquile imperiali sopra il frontone... Le guardie rosse vennero a dare il cambio alla guardia. Tutti i soldati le guardarono curiosamente, come si guarda una cosa di cui si è udito parlare, ma che non si è mai vista. E con delle risate piene di bontà uscirono dalle file per andare a battere sulle spalle delle guardie rosse e per rivolgere loro qualche osservazione mezzo scherzosa, mezzo ammirativa...

Il governo provvisorio era morto. Il 15 novembre, in tutte le chiese della capitale i preti cessarono di pregare per lui. Ma, come disse Lenin stesso allo Zik, si era solamente «all'inizio della conquista del potere». Senza armi, l'opposizione, che dominava sempre la vita economica del paese, cominciò ad organizzare la disorganizzazione e, con tutto il genio che posseggono i russi per l'azione in massa, cominciò a moltiplicare gli ostacoli dinnanzi ai Soviet per indebolirli e per screditarli.

Lo sciopero dei funzionari, ben organizzato, era sostenuto finanziariamente dalle banche e dalle aziende commerciali. Tutti i tentativi dei bolscevichi per impadronirsi dell'apparato governativo, incontravano una viva resistenza.

Trotsky si recò al ministero degli Affari Esteri. I funzionari rifiutarono di riconoscerlo e si chiusero nei loro uffici; quando le porte vennero forzate, essi dettero le dimissioni. Egli reclamò le chiavi degli archivi; gli furono consegnate solo quando giunsero gli operai incaricati di forzare le serrature. Si scoprì allora che Keratov, già vice ministro, era scomparso portando con sé i trattati segreti... Scliapnikov tentò di prendere possesso del ministero del Lavoro. Faceva molto freddo e non c'era nessuno per accendere le stufe. Tra le centinaia di funzionari presenti non uno volle indicargli dove si trovava il gabinetto del ministro...

Alessandra Kollontai nominata il 13 novembre commissaria alla Assistenza Pubblica, fu accolta dallo sciopero generale dei funzionari, eccetto soltanto quaranta. I poveri delle grandi città, i ricoverati degli asili si trovarono gettati in una spaventosa miseria. Delegazioni di infermi, morenti di fame, di orfani dai visi lividi e scarni, assediavano l'edificio. Con le lacrime agli occhi, la Kollontai fece rinchiudere gli scioperanti fino a quando le consegnarono le chiavi degli uffici e delle casseforti. Quando ebbe le chiavi, si accorse che l'ex ministro, la contessa Ponina, se ne era andata con i fondi che rifiutava di restituire, senza un ordine dell'Assemblea Costituente.

Ai ministeri dell'Agricoltura, degli Approvvigionamenti e delle Finanze, si verificarono incidenti simili. I funzionari, cui si intimava di riprendere i loro posti, sotto pena di perderli, insieme con i loro diritti alla pensione, o non rispondevano, o ritornavano solo per sabotare. E poiché quasi tutta l'intellighenzia era antibolscevica, il governo sovietico si trovò nell'impossibilità di reclutare nuovi funzionari.

Le banche private rimanevano ostinatamente chiuse: solo gli speculatori vi erano ammessi per qualche porta di servizio. Quando i commissari bolscevichi si presentavano, gli impiegati scomparivano, nascondendo i libri e portando con sé i fondi. Tutti gli impiegati della Banca di Stato fecero sciopero eccetto quelli incaricati del tesoro e della stampa dei biglietti che si rifiutavano di soddisfare qualsiasi domanda che provenisse da Smolni, ma che pagavano a titolo privato somme enormi al Comitato di Salute ed alla Duma municipale.

A due riprese un commissario si presentò con una compagnia di guardie rosse per esigere il pagamento di somme importanti, necessarie per le spese del governo. La prima volta, i membri della Duma municipale ed i capi dei partiti menscevico e S.R. che erano presenti in numero imponente fecero al commissario tante dichiarazioni e così gravi sulle conseguenze del suo atto, che questi ne fu spaventato. La seconda volta, si presentò con un ordine, di cui diede lettura secondo tutte le norme, ma qualcuno fece osservare che l'ordine non portava né data, né timbro, ed il rispetto tradizionale dei russi verso i documenti ufficiali l'obbligò ancora una volata a ritirarsi.

I funzionari del Credito Pubblico distrassero i loro libri, dimodoché scomparve ogni traccia dei rapporti finanziari della Russia con gli altri paesi.

I Comitati d'Approvvigionamento, le amministrazioni dei servizi municipali di utilità pubblica non funzionavano più oppure sabotavano. E quando i bolscevichi, dinanzi all'urgenza dei bisogni della popolazione, vollero sia dare la loro collaborazione, sia assumere la direzione dei servizi, tutti gli impiegati si misero in sciopero e la Duma inondò la Russia di telegrammi che denunciavano la «violazione dell'autonomia municipale» da parte dei bolscevichi.

Negli Stati Maggiori, negli uffici dei ministeri della Guerra e della Marina, dove i vecchi funzionari avevano consentito a lavorare, i Comitati dell'esercito e l'alto comando frapponevano tutti gli ostacoli possibili all'azione dei Soviet, anche con il pericolo di compromettere la situazione delle truppe al fronte. Il Vikiel era ostile e rifiutava di trasportare le truppe sovietiche; bisognava prendere con la forza i treni ed arrestare ogni volta i funzionari delle ferrovie, donde minacce di sciopero generale da parte del Vikiel per farli rimettere in libertà.

L'impotenza di Smolni era completa. I giornali dicevano che tutte le officine di Pietrogrado avrebbero dovuto chiudere i battenti fra tre settimane per mancanza di combustibile. Il Vikiel annunciò che i treni si sarebbero fermati il 1° dicembre. Pietrogrado non aveva più che tre giorni di viveri e gli arrivi erano sospesi. Al fronte l'esercito moriva di fame... Il Comitato di Salute ed i vari Comitati centrali inviavano in tutto il paese annunci per esortare la popolazione a non tener conto dei decreti del governo. Le ambasciate alleate manifestavano o una fredda indifferenza o un'ostilità dichiarata...

I giornali d'opposizione, che si ripubblicavano con un altro nome il giorno dopo la loro soppressione, erano violentemente sarcastici contro il nuovo governo. La Novaia Gizn stessa lo definiva «un'alleanza della demagogia e della impotenza».

    Ogni giorno — scriveva — il governo dei Commissari del popolo si impantana un poco di più nelle maledette necessità quotidiane. I bolscevichi si sono facilmente impadroniti del potere, detenuto da un governo di coalizione di un'impotenza organica, ma sono incapaci di usarlo.
    Impotenti ad impadronirsi del meccanismo governativo esistente, non possono neppure creare l'organo nuovo, il cui funzionamento libero e facile soddisferebbe i bisogni delle loro esperienze socialiste.
    Dove prenderanno infatti, i bolscevichi il personale necessario per l'esecuzione dei lavori speciali cosi vari e così complessi della vita dello Stato, i bolscevichi che erano già scarsi di uomini per il lavoro del loro partito, quando si trattava solo di muovere la lingua e la penna?
    Il nuovo governo si agita e fa del rumore: inonda il paese di decreti, tutti più «radicali» e più «socialisti », gli uni degli altri.
    Ma in questo socialismo di carta, che soprattutto meraviglierà i nostri nipoti, non si vede né desiderio, né capacità di risolvere i problemi del giorno.

Frattanto la conferenza riunita dal Vikiel per la formazione di un nuovo governo continuava a sedere notte e giorno: le due parti avevano già concluso un accordo di princìpio sulla base del nuovo governo. La composizione del Consiglio del Popolo era in corso di discussione e ci si era messi d'accordo su un gabinetto di prova con Cernov come primo ministro. Si ammetteva una importante minoranza bolscevica, ma Lenin e Trotsky erano esclusi. I Comitati centrali dei partiti menscevico e S.R. e così pure il Comitato esecutivo dei Soviet contadini, benché sempre contrari alla «politica criminale» dei bolscevichi, decisero di non opporsi alla loro entrata nel Consiglio del Popolo «per porre un termine al fratricida spargimento di sangue».

Ma la fuga di Kerenski ed i successi meravigliosi ottenuti ovunque dai Soviet modificarono la situazione... Il 16, in un comizio dello Zik, i socialisti rivoluzionari di sinistra insistettero affinché i bolscevichi formassero un governo di coalizione con gli altri partiti socialisti; altrimenti essi si sarebbero ritirati dal Comitato militare rivoluzionario e dallo Zik.

Balkin disse:
— Le notizie di Mosca, ove i nostri compagni cadono dalle due parti delle barricate, ci obbligano a porre una volta di più la questione della organizzazione del potere. Non è solo nostro diritto, ma anche nostro dovere agire così... Noi abbiamo conquistato il diritto di sedere qui, con i bolscevichi, tra le mura di Smolni e di parlare da questa tribuna. Dopo la lotta di partito all'interno, noi saremo obbligati, se voi non volete alcuna conciliazione, a passare alla lotta aperta fuori di Smolni... Bisogna che noi proponiamo alla democrazia un compromesso accettabile.

Dopo una sospensione dell'Assemblea per esaminare quest'ultimatum, i bolscevichi tornarono colla risoluzione seguente che fu letta da Kamenev:

    II C.C. del partito ritiene auspicabile l'entrata nel governo di rappresentanti di tutti i partiti socialisti, componenti i Soviet dei deputati, degli operai, dei soldati e dei contadini, che riconoscono le conquiste della rivoluzione del 7 novembre, cioè il potere sovietico, i decreti sulla terra, sulla pace, sul controllo operaio e sull'armamento delle masse operaie.
    Il C.C. del partito decide quindi di proseguire, con tutti i partiti socialisti, le trattative incominciate per la costituzione del potere, ed insiste perché le condizioni seguenti siano alla base dell'accordo:

    II governo è responsabile dinnanzi allo Zik che sarà allargato a 150 membri. A questi 150 delegati dei Soviet dei deputati operai e soldati si aggiungeranno 75 delegati dei Soviet contadini provinciali, 80 delegati dell'esercito e della flotta, 40 dei sindacati (cioè: 20 delle varie Unioni panrusse dei sindacati, proporzionalmente al numero dei membri, 5 del Vikiel e 5 del sindacato dei postelegrafonici), infine 50 delegati dei gruppi socialisti della Duma municipale di Pietrogrado. Nel governo, la metà almeno dei portafogli spetterà al partito bolscevico. I portafogli degli Affari Esteri, dell'Interno e del Lavoro saranno obbligatoriamente dati ai bolscevichi. Il comando dei distretti di Pietrogrado e di Mosca sarà esercitato dai delegati dei Soviet dei deputati operai e soldati di Pietrogrado e di Mosca. Il governo organizzerà sistematicamente l'armamento delle masse operaie di Russia. Le sostituzioni e le esclusioni si faranno durante il congresso. La partecipazione di Lenin e di Trotsky è giudicata indispensabile.

Poi Kamenev spiegò:
— Il preteso «Consiglio del Popolo» proposto dalla Conferenza dovrebbe comprendere circa 420 membri: 150 bolscevichi, i delegati dell'antico Zik controrivoluzionario, 100 membri eletti dalle Dume municipali e tutti kornilovisti, 100 delegati dei Soviet contadini a scelta di Avxentiev e 80 degli antichi Comitati dell'esercito, che non rappresentano più la massa dei soldati.
Noi ci rifiutiamo di ammettere il vecchio Zik ed i rappresentanti della Duma municipale. I delegati dei Soviet contadini devono essere eletti dal Congresso dei contadini, convocato da noi, che nello stesso tempo, eleggerà un nuovo Comitato esecutivo. La proposta di escludere Lenin e Trotsky mira a decapitare il nostro partito; noi non possiamo accettarla. Infine noi non vediamo assolutamente la necessità di questo Consiglio del Popolo; i Soviet sono aperti a tutti i partiti socialisti e lo Zik li rappresenta in proporzione alla loro importanza reale nelle masse.

Karelin dichiarò a nome della sinistra S.R. che il suo partito votava per la risoluzione bolscevica, pur riservandosi il diritto di modificarne alcuni particolari, come la rappresentanza dei contadini, e domandando che il portafogli dell'Agricoltura fosse dato alla sinistra S.R.. Queste condizioni furono accettate.

Più tardi, ad una riunione del Soviet di Pietrogrado, Trotsky diede la seguente risposta ad una domanda circa la formazione del nuovo governo:
— Non so niente di tutto ciò. Non partecipo alle trattative... Ma non credo che esse possano avere una grande importanza...

Durante la notte un senso di grande malessere dominò la conferenza. I delegati della Duma municipale si ritirarono...

Anche a Smolni, nelle fila del partito bolscevico, si sviluppava una formidabile opposizione alla politica di Lenin. La sera del 17 novembre, la grande sala delle sedute era piena zeppa e la riunione dello Zik si aprì in un'atmosfera elettrizzata.

Il bolscevico Larin dichiarò che la data delle elezioni all'Assemblea Costituente si avvicinava e che era tempo di finirla con il terrorismo politico.
— I provvedimenti presi contro la libertà della stampa devono essere modificati. Erano giustificati durante la lotta. Ora non lo sono più. La stampa deve essere libera, eccetto che nel caso di eccitamento al disordine ed alla insurrezione.

In mezzo a una tempesta di fischi e di urla, che venivano dal suo stesso partito, Larin propose la seguente risoluzione:

    Il decreto del Consiglio di Commissari del popolo sulla stampa è abrogato.
    Provvedimenti di repressione politica non potranno essere applicati che su decisione di un tribunale speciale eletto dallo Zìk proporzionalmente all'importanza dei partiti che vi sono rappresentati. Questo tribunale avrà il diritto di revisione di tutti i provvedimenti repressivi anteriori.

Questa proposta fu accolta da una tempesta di applausi della sinistra S.R. e anche da una parte dei bolscevichi.

Avanessov propose, a nome del gruppo di Lenin, di rinviare la questione della stampa fino alla conclusione di un compromesso tra i partiti socialisti. La sua proposta fu respinta con una maggioranza schiacciante.
— La rivoluzione in corso — continuò Avanessov — non ha esitato a colpire la proprietà privata; la questione della stampa deve essere considerata precisamente come una questione di proprietà privata...

Diede poi lettura della risoluzione ufficiale del gruppo bolscevico:

    La soppressione dei giornali borghesi non è stata solo un mezzo di lotta durante l'insurrezione e durante lo schiacciamento dei tentativi controrivoluzionari; era anche una misura transitoria indispensabile per stabilire il nuovo regime della stampa, un regime nel quale i capitalisti, proprietari delle tipografie e della carta, non potranno più essere i fabbricanti onnipossenti dell'opinione pubblica.
    Noi dobbiamo ora proseguire la nostra opera, procedendo alla confisca delle tipografie private e rimettendole al potere sovietico nella capitale e provincia, in modo che i partiti e i gruppi abbiano a loro disposizione dei mezzi tecnici in accordo con l'importanza reale delle idee che essi rappresentano, ossia col numero dei loro aderenti.
    Il ristabilimento della pretesa «libertà di stampa» ossia la restituzione pura e semplice delle tipografie e della carta ai capitalisti, avvelenatori della coscienza pubblica, sarebbe una capitolazione inammissibile davanti alla volontà del capitale, l'abbandono d'una delle posizioni più importanti della rivoluzione operaia e contadina, in una parola un provvedimento incontestabilmente controrivoluzionario.
    Il C.C. del partito propone dunque alla frazione bolscevica dello Zìk di respingere categoricamente ogni proposta tendente al ristabilimento dell'antico regime della stampa e di dare senza restrizioni il suo appoggio al Consiglio dei Commissari del popolo contro delle pretese e delle esigenze dettate da pregiudizi piccolo-borghesi o dalla sottomissione più vile agli interessi della borghesia controrivoluzionaria.

La lettura di questa risoluzione fu interrotta da esclamazioni ironiche della sinistra S.R. e dalle proteste indignate dei bolscevichi dissidenti. Karelin scattò:
— Tre settimane fa, i bolscevichi erano i più ardenti difensori della libertà di stampa... Gli argomenti di questa risoluzione ricordano in modo strano i punti di vista dei Cento Neri e dei censori del regime zarista: essi pure parlavano degli avvelenatori della coscienza pubblica!

Trotsky difese lungamente la risoluzione. Egli fece distinzione tra la stampa durante la guerra civile e la stampa dopo la vittoria.
— Durante la guerra civile, il diritto d'impiegare la violenza appartiene soltanto agli oppressi... (Grida: Dove sono dunque gli oppressi, adesso?). La nostra vittoria sugli avversari non è ancora completa e i giornali sono per noi un'arma. In queste condizioni la proibizione di taluni giornali è un provvedimento dì legittima difesa...

Poi passando alla questione della stampa dopo la vittoria:
— È evidentemente indispensabile instaurare un regime definito della stampa ed è questo che noi vogliamo fare. Già molto tempo prima della rivoluzione, noi non consideravamo la libertà di stampa sotto il medesimo aspetto dei proprietari di tipografia. I provvedimenti applicati alla soppressione della proprietà privata sono applicabili pure alla stampa. Noi dobbiamo confiscare e rendere di dominio pubblico le tipografie e le provviste di carta. (Interruzioni: Anche le tipografie bolsceviche?).
Il monopolio della borghesia sulla stampa deve essere abolito: altrimenti la presa del potere non ha senso. Ogni gruppo di cittadini deve disporre di tipografie e di carta... Il diritto di proprietà delle tipografie e della carta appartiene attualmente in primo luogo agli operai e ai contadini e soltanto in secondo luogo alla borghesia che rappresenta una minoranza... Il passaggio del potere nelle mani dei Soviet produrrà una trasformazione radicale di tutte le condizioni dell'esistenza e questa trasformazione deve necessariamente manifestarsi anche nella stampa... Se nazionalizziamo le banche, possiamo noi lasciare esistere dei giornali finanziari? I giornali dell'antico regime devono sparire. Bisogna che questo sia inteso una volta per tutte (Applausi ed esclamazioni furiose).

Karelin replicò che lo Zik non aveva il diritto di prendere una decisione su questa importante questione senza sottometterla allo studio di una commissione speciale, e reclamò ancora una volta, con calore, la libertà di stampa.

Allora venne Lenin; calmo, impassibile, la fronte corrugata, parlava lentamente, scegliendo le parole; ogni frase cadeva come un colpo di martello:
— La guerra civile non è ancora finita. Il nemico è sempre di fronte a noi: di conseguenza è impossibile revocare i provvedimenti di repressione diretti contro la stampa. Noi bolscevichi abbiamo sempre detto che, quando avremmo preso il potere, avremmo soppresso la stampa borghese. Tollerare l'esistenza della stampa borghese significa cessare di essere socialista. Quando si fa la rivoluzione non si può temporeggiare; bisogna andare avanti o indietro. Colui che parla della libertà di stampa va indietro e arresta la nostra marcia in avanti verso il socialismo.
Noi abbiamo spezzato il giogo del capitalismo. Se la prima rivoluzione ha avuto ragione di sopprimere i giornali monarchici, noi abbiamo ragione di sopprimere la stampa borghese. È impossibile separare la questione della libertà di stampa dagli altri problemi della lotta di classe. Noi abbiamo promesso di sopprimere questi giornali e l'abbiamo fatto. L'immensa maggioranza del popolo ci approva.
Adesso che l'insurrezione è terminata, noi non intendiamo affatto sopprimere i giornali degli altri partiti socialisti, salvo nel caso in cui essi incitassero alla sollevazione armata o alla insubordinazione rispetto al potere sovietico.
Soltanto, noi non permetteremo loro, sotto il pretesto della libertà di stampa, di assicurarsi il monopolio delle tipografie, gli inchiostri tipografici e la carta con l'aiuto mascherato della borghesia. Questi strumenti sono divenuti proprietà delle autorità sovietiche e devono essere ripartiti in primo luogo tra i partiti socialisti, in diretta proporzione del numero dei loro membri.

Si passò al voto. La risoluzione di Larin e della sinistra S.R. fu respinta per 31 voti contro 23. La mozione di Lenin passò con 34 voti contro 25. Nella minoranza si trovavano i bolscevichi Riazanov e Losovski, che dichiararono essere loro impossibile votare per una restrizione qualsiasi della libertà di stampa.

Dopo il voto, i S.R. di sinistra si dichiararono obbligati a scindere le loro responsabilità e abbandonarono il Comitato militare rivoluzionario e tutti i posti importanti che occupavano.

Cinque membri del Consiglio dei Commissari del popolo:
Noghin, Rikov, Miliutin, Teodorovic e Scliapnikov rassegnarono le loro dimissioni facendo la seguente dichiarazione:

    Noi siamo per un governo socialista che comprenda tutti i partiti socialisti. Noi riteniamo che soltanto un tale governo permetta di consolidare le conquiste realizzate dalla classe operaia e dall'armata rivoluzionaria durante le eroiche giornate di novembre. Oltre questa soluzione noi vediamo una sola possibilità: un governo esclusivamente bolscevico che si regga per mezzo del terrorismo politico. Il Consiglio dei Commissari del popolo si è messo su questa strada. Noi non possiamo né vogliamo seguirlo. Noi pensiamo che essa conduce alla eliminazione dalla vita politica di grandi organizzazioni proletarie, alla instaurazione di un regime irresponsabile ed all'annientamento della rivoluzione e del paese. Non potendo assumerci tale responsabilità, noi restituiamo allo Zik le nostre funzioni di Commissari del popolo.

Altri commissari, pur non presentando le dimissioni; firmarono questa dichiarazione: Riazanov; Derbiscev, commissario alle tipografie di Stato; Jureniev, commissario della guardia rossa; Feodorov del commissariato del Lavoro e Larin, capo della Sezione dei Lavori legislativi.

Nello stesso tempo Kamenev, Rikov, Miliutin, Zinoviev e Noghin si ritirarono dal Comitato centrale del partito bolscevico, rendendone pubbliche le ragioni:

    ...Noi pensiamo che la formazione di un tale governo (comprendente tutti i partiti socialisti) è indispensabile per evitare un nuovo spargimento di sangue, per evitare la carestia incombente ed infine per evitare lo schiacciamento della rivoluzione da parte di Kaledin. Esso è pure necessario per assicurare la riunione della Costituente all'epoca fissata e la esecuzione del programma di pace accettato dal II Congresso panrusso dei Soviet.
    Non possiamo accettare la politica disastrosa del Comitato centrale, politica condotta contro la volontà della grande maggioranza del proletariato e dei soldati, che aspirano alla pace tra i vari gruppi della democrazia e che non vogliono più spargimento di sangue.
    Lasciamo il Comitato centrale nel momento della vittoria, nel momento della conquista del potere da parte del nostro partito perché non possiamo sopportare più a lungo che la politica dei dirigenti del Comitato centrale porti alla perdita dei frutti della vittoria ed allo schiacciamento del proletariato.

Le masse operaie ed i soldati della guarnigione si agitavano e protestavano, mandando delegazioni a Smolni ed alla Conferenza per la formazione del nuovo governo, dove la scissione delle file bolsceviche causava la massima soddisfazione.

Ma la risposta del gruppo di Lenin fu pronta ed implacabile. Scliapnikov e Teodorovic si sottomisero alla disciplina del partito e ripresero i loro posti. Kamenev fu sostituito dalle sue funzioni di presidente dello Zik e sostituito con Sverdlov. Zinoviev dovette abbandonare la presidenza del Soviet di Pietrogrado. La mattina del 18, la Pravda pubblicava un implacabile proclama al popolo russo scritto da Lenin, che fu tirato a centinaia di migliaia di copie, affisso su tutti i muri e distribuito in tutta la Russia:

    Il II Congresso panrusso dei Soviet ha dato la maggioranza al partito bolscevico. Solo un governo formato da questo partito può essere un governo sovietico. Tutti sanno che il Comitato centrale del partito bolscevico, alcune ore prima della costituzione del nuovo governo e prima di presentare la lista dei suoi membri al II Congresso panrusso dei Soviet, ha convocato tre dei membri più influenti della sinistra S.R., i compagni Kambov, Spiro e Karelin ed ha loro offerto di entrare nel nuovo governo. Siamo molto dispiacenti del rifiuto di questi compagni socialisti rivoluzionari e lo consideriamo come inammissibile da parte di rivoluzionari e di difensori della classe operaia; siamo sempre pronti ad ammettere la sinistra S.R. nel governo, ma dichiariamo che, come partito di maggioranza al II Congresso panrusso dei Soviet, noi abbiamo il diritto ed il dovere, di fronte al popolo, di costituire un governo...
    Compagni, alcuni membri del Comitato centrale del nostro partito e del Consiglio dei Commissari del popolo, Kamenev, Zinoviev, Noghin, Rikov, Miliutin e alcuni altri si sono, ieri, 17 novembre, ritirati dal Comitato Centrale e gli ultimi tre dal Consiglio dei Commissari del popolo.
    I compagni che ci hanno abbandonati hanno agito come disertori, perché non solo hanno abbandonato i posti che erano stati loro affidati, ma hanno infrante le istruzioni del Comitato Centrale del nostro partito, secondo le quali essi dovevano, prima di ritirarsi, attendere le decisioni delle organizzazioni bolsceviche di Pietrogrado e di Mosca.
    Noi condanniamo assolutamente questa diserzione. Noi siamo profondamente convinti che tutti gli operai, soldati e contadini coscienti, che appartengono al partito o ne sono simpatizzanti, condannano egualmente la condotta dei disertori.
    Ricordatevi, compagni, che due di questi disertori, Kamenev e Zinoviev, prima dell'insurrezione di Pietrogrado, avevano già agito come disertori e come crumiri: alla seduta decisiva del Comitato Centrale, il 23 ottobre, essi votarono contro l'insurrezione. Non solo: anche dopo la decisione del Comitato Centrale, essi continuarono la loro agitazione contro l'insurrezione, fra i lavoratori. Il possente entusiasmo delle masse, il nobile eroismo dei milioni di lavoratori, di soldati e di contadini di Pietrogrado e di Mosca, del fronte, delle trincee e dei villaggi, spazzarono allora i disertori come un treno spazza i fuscelli sulla sua strada.
    Abbandoniamo alla loro vergogna di uomini di scarsa fede, gli esitanti, i dubbiosi, coloro che si lasciano spaventare dalla borghesia o che capitolano dinnanzi alle grida dei suoi complici diretti od indiretti. Non vi è esitazione tra le masse operaie e tra i soldati di Pietrogrado, di Mosca e di ogni altro luogo.
    Noi non ci inchineremo dinanzi agli ultimatum di gruppi di intellettuali che hanno dietro di sé, non le masse, ma solo i Kornilov, i Savinkov, gli junker e tutti i loro simili...

Tutto il paese fu sollevato come da un soffio di tempesta. In nessun luogo fu permesso ai «disertori» di «spiegarsi», dinnanzi alle masse. La dura condanna popolare piombò sullo Zik con la violenza delle onde sui frangenti. Per parecchi giorni Smolni fu inondata da delegazioni e da Comitati che venivano ad esprimere l'indignazione del fronte, della regione del Volga, delle officine di Pietrogrado. «Perché si sono permessi di uscire dal governo? Sono dunque stati pagati dalla borghesia per uccidere la rivoluzione? Noi vogliamo che essi ritornino e che si sottomettano alle decisioni del Comitato centrale»...

Solo la guarnigione di Pietrogrado era ancora indecisa. Un grande comizio di soldati si tenne il 24 novembre. Dopo che i rappresentanti di tutti i partiti vi ebbero presa la parola, la politica di Lenin fu approvata con una grande maggioranza e la sinistra S.R. fu invitata ad entrare nel governo...

I menscevichi inviarono ancora un ultimatum per esigere che fossero liberati tutti i ministri e tutti gli junker, che fosse restituita la più completa libertà a tutti i giornali, che la guardia rossa fosse disarmata e la guarnigione posta sotto gli ordini della Duma. Smolni rispose che tutti i ministri socialisti e quasi tutti gli junker erano già stati liberati, che tutti i giornali, eccetto la stampa borghese, erano liberi e che il Soviet conservava il comando delle forze militari... Il 19, la Conferenza per la formazione di un nuovo governo si disperse, e, ad uno ad uno, i membri dell'opposizione si recarono a Moghilev, dove, sotto la protezione del Grande Stato Maggiore, continuarono a formare governi su governi fino alla fine...

Nello stesso tempo i bolscevichi avevano lavorato a minare il potere del Vikiel. Un appello dei Soviet di Pietrogrado a tutti i ferrovieri li esortava ad obbligare il Vikiel a restituire i suoi poteri. Il 15, lo Zik, applicando la tattica già usata verso i contadini, convocò per il 1° dicembre il Congresso panrusso dei ferrovieri. Il Vikiel rispose convocando il proprio congresso per due settimane dopo. Il 16 novembre, i membri del Vikiel occuparono i loro seggi allo Zik. Nella notte dal 1° al 2 dicembre, alla seduta di apertura del Congresso panrusso dei ferrovieri, lo Zik offrì ufficialmente il Commissariato delle strade e Comunicazioni al Vikiel che accettò...

Regolata così la questione del potere, i bolscevichi si volsero subito verso i problemi pratici. Bisognava prima di tutto nutrire la città, il paese, l'esercito. Squadre di marinai e di guardie rosse percorsero i depositi, le stazioni, visitarono le chiatte sui canali, scoprirono e confiscarono migliaia di pud di viveri, accaparrati dagli speculatori. Furono mandati emissari nelle province, dove, con l'aiuto dei Comitati agrari, furono sequestrati i magazzini dei grandi commercianti di cereali. Distaccamenti di marinai composti di cinquemila uomini e fortemente armati, furono inviati nel sud ed in Siberia con l'incarico di impadronirsi delle città ancora tenute dalle guardie bianche, di ristabilire l'ordine e di trovare dei viveri. Il traffico dei viaggiatori sulla Transiberiana fu sospeso per due settimane e tredici treni, ciascuno sotto la direzione di un commissario, furono spediti verso l'est, carichi di pezze di stoffa e di barre di ferro raccolte dai Comitati di officina per avere in cambio grano e patate dai contadini siberiani.

Kaledin occupò le miniere di carbone del Donez e la questione del combustibile divenne quindi grave. Smolni soppresse la luce elettrica nei teatri, nei magazzini e nei ristoranti, diminuì la circolazione dei tranvai e confiscò le riserve di legna da riscaldamento dei negozianti. Quando le officine di Pietrogrado furono sul punto di chiudere per la mancanza di carbone, i marinai del Baltico ne inviarono agli operai 200.000 pud provenienti dalla flotta...

Verso la fine di novembre si verificarono i saccheggi di cantine: cominciarono in quelle del Palazzo d'Inverno. Per parecchi giorni le strade furono piene di soldati ubriachi. Si riconosceva qui facilmente la mano dei controrivoluzionari, che distribuivano nei reggimenti dei piani topografici con l'indicazione dei magazzini di alcool. I commissari di Smolni si accontentarono dapprima di argomenti e di appelli alla ragione. Ma ciò non arrestava il disordine, che aumentava e degenerava in vere battaglie tra soldati e guardie rosse. Alla fine il Comitato militare rivoluzionario dovette mandare delle compagnie di marinai, armati di mitragliatrici e far sparare senza pietà sui saccheggiatori, molti dei quali furono uccisi. Poi distaccamenti speciali furono incaricati di andare nelle cantine e di spezzare le bottiglie a colpi di scure e di farle saltare con la dinamite...

Compagnie di guardie rosse, disciplinate e ben pagate, erano di servizio giorno e notte negli edifici dei Soviet di quartiere, sostituendo la milizia scomparsa. In tutti i quartieri, gli operai ed i soldati avevano eletto piccoli tribunali rivoluzionari per giudicare i delitti minori...

I grandi alberghi, dove gli speculatori continuavano a trattare affari fruttuosi, furono circondati dalle guardie rosse e gli speculatori gettati in prigione...

Continuamente all'erta, la classe operaia costituì, in modo spontaneo, una vasta rete di spionaggio, sorvegliando le case borghesi per mezzo delle persone di servizio e trasmettendo tutte le informazioni al Comitato militare rivoluzionario, che colpiva con una mano di ferro. Fu scoperto così il complotto monarchico organizzato dall'ex-membro della Duma, Purisckevic e da un gruppo di nobili e di ufficiali, che preparavano una sollevazione di ufficiali ed avevano scritto a Kaledin per chiamarlo a Pietrogrado. Quasi contemporaneamente fu scoperta la cospirazione dei cadetti di Pietrogrado, che mandavano denaro e reclute a Kaledin...

Keratov, spaventato per la collera popolare scatenata dalla sua fuga, ricomparve con i trattati segreti e li consegnò a Trotsky, che ne cominciò subito la pubblicazione sulla Pravda, con grande scandalo del mondo intero...

Le restrizioni della libertà di stampa furono aumentate da un decreto che stabilì il monopolio della pubblicità a favore degli organi governativi. Per protesta gli altri giornali sospesero le pubblicazioni, oppure non rispettarono il decreto e furono proibiti... Si sottomisero solo dopo tre settimane.

Nei ministeri, gli scioperi dei funzionari continuavano; proseguivano il sabotaggio e gli ostacoli volontariamente frapposti alla vita economica. Smolni aveva con sé la sola volontà delle masse popolari, immense ma inorganizzate; grazie al loro appoggio, tuttavia, il Consiglio dei Commissari del popolo poté dirigere vittoriosamente la sua azione rivoluzionaria contro il nemico. In proclami eloquenti, diffusi in tutta la Russia, Lenin spiegava al popolo la rivoluzione con parole semplici; l'esortava a prendere lui stesso il potere, a spezzare colla forza la resistenza delle classi possidenti, ad impadronirsi con la forza delle istituzioni governative. L'ordine rivoluzionario! La disciplina rivoluzionaria! Dei conti e un controllo rigoroso! Nessuno sciopero! Niente pigrizia!

Il 20 novembre, il Comitato militare rivoluzionario pubblicò il seguente manifesto:

    Le classi ricche resistono al nuovo governo dei Soviet, al governo degli operai, dei soldati e dei contadini. I loro partigiani impediscono ai funzionari di lavorare, invitando gli impiegati di banca ad abbandonare il servizio, cercano di interrompere le comunicazioni ferroviarie, postali e telegrafiche.
    Li avvertiamo che essi giuocano col fuoco. Il paese e l'esercito sono minacciati dalla carestia; per impedirla è necessario che tutti i servizi funzionino regolarmente. Il governo degli operai e dei contadini sta prendendo tutti i provvedimenti necessari per soddisfare le necessità del paese e dell'esercito.
    Opporsi a questi provvedimenti significa commettere un delitto contro il popolo. Avvertiamo le classi ricche ed i loro partigiani che se il sabotaggio non cesserà e se gli approvvigionamenti saranno interrotti, essi soffriranno per i primi.
    Le classi ricche ed i loro complici saranno esclusi dal diritto di ricevere i viveri. Tutte le loro riserve saranno requisite ed i beni dei principali colpevoli saranno confiscati.
    Noi compiamo il nostro dovere avvertendo coloro che giocano con il fuoco.
    Noi siamo convinti che se questi radicali provvedimenti saranno necessari, avranno l'approvazione intera di tutti gli operai, di tutti i soldati, di tutti i contadini.

Il 22 novembre, le mura delle città furono coperte da un manifesto intitolato:

COMUNICATO STRAORDINARIO

    Il Consiglio dei Commissari del popolo ha ricevuto dallo Stato Maggiore del fronte nord il seguente telegramma, urgente:

      «Impossibile resistere più a lungo: non lasciateci morire di fame. Da qualche giorno l'esercito del fronte nord non ha più una briciola di pane; fra due o tre giorni saranno finiti i biscotti che si distribuiscono attualmente dalle riserve rimaste fino ad oggi intatte. I delegati che arrivano dalle varie unità dichiarano che è indispensabile far ritirare, metodicamente, una parte delle truppe altrimenti, fra qualche giorno, comincerà lo sbandamento generale dei soldati che muoiono di fame, che sono estenuati da tre anni di guerra e di trincea, malati, mal vestiti, senza scarpe e che perdono la ragione in seguito a privazioni superiori alle forze umane».

    Il Comitato militare rivoluzionario denuncia questa situazione alla guarnigione e agli operai di Pietrogrado. I provvedimenti più energici si impongono senza perdere un minuto. Malgrado questo, gli alti funzionari delle istituzioni governative, delle banche, della tesoreria, delle ferrovie, delle poste e telegrafi sabotano e minano l'azione del governo che si sforza di approvvigionare il fronte.
    Ogni ora di ritardo può costare la vita di migliaia di soldati. I funzionari controrivoluzionari si comportano da indegni criminali verso i nostri fratelli che soffrono la fame e che muoiono al fronte.
    Il Comitato militare rivoluzionario rivolge a questi criminali un ultimo avvertimento. Di fronte alla minima resistenza od opposizione da parte loro, si prenderanno provvedimenti la cui severità sarà proporzionata al loro delitto.

La massa degli operai e dei soldati fu percorsa da una ondata di indignazione e di collera che scosse tutta la Russia. Nella capitale, i funzionari e gli impiegati di banca diffusero centinaia di proclami e di appelli per protestare e per difendersi. Eccone uno:

ALL’ATTENZIONE DI TUTTI I CITTADINI

    La Banca di Stato è chiusa! Perché?
    Perché le violenze dei bolscevichi contro la Banca di Stato hanno reso impossibile ogni lavoro. Il primo passo del Commissario del popolo fu di reclamare dieci milioni di rubli. Il 27 novembre i bolscevichi esigettero 25 milioni senza dare alcuna giustificazione dell'uso di tale cifra.
    Noi, funzionari della Banca di Stato, non possiamo partecipare al saccheggio del patrimonio nazionale. Noi abbiamo abbandonato il lavoro...
    Cittadini, il denaro della Banca di Stato è il vostro denaro, il denaro che voi avete guadagnato con il vostro lavoro, con il sudore della vostra fronte, con il vostro sangue.
    Cittadini, salvate dal saccheggio la ricchezza della nazione. Proteggeteci contro le violenze e noi torneremo immediatamente al lavoro.

    Gli impiegati della Banca di Stato.

Dal ministero degli Approvvigionamenti, dal ministero delle Finanze, dal Comitato speciale di Approvvigionamento, piovevano le dichiarazioni; tutte sostenevano che il Comitato militare rivoluzionario rendesse il lavoro impossibile ai funzionari e chiamavano la popolazione in aiuto contro Smolni. Ma la massa degli operai e dei soldati non vi credeva; nel popolo si era formata la certezza che i funzionari sabotavano, affamavano l'esercito e la popolazione. Nelle code del pane, che continuavano ad allungarsi nelle strade ghiacciate, non si protestava più contro il governo, come sotto Kerenski, ma contro i cinovnki, contro i sabotatori; perché il governo ora era il loro governo, i loro Soviet, contro i quali lottavano i funzionari dei ministri...

Il cuore dell'opposizione era la Duma, con il suo organo di lotta, il Comitato di Salute, che protestava contro tutti i decreti del Consiglio dei Commissari del popolo, che si pronunciava in ogni occasione contro il riconoscimento del governo sovietico e che collaborava apertamente con tutti gli pseudo-governi controrivoluzionari di Moghilev... Il 17 novembre, il Comitato di Salute rivolse a «tutti i Consigli municipali, zemstvo, organizzazioni democratiche rivoluzionarie di contadini, operai e soldati o altri cittadini», il seguente appello:

    1° Non riconoscete il governo bolscevico e lottate contro di esso.
    2° Formate dei Comitati locali per la salvezza della patria e della rivoluzione, allo scopo di collaborare, attraverso l'unione di tutte le forze democratiche, con il Comitato di Salute panrusso; tenetevi in stretto collegamento gli uni con gli altri e con il Comitato panrusso.

Tuttavia, le elezioni all'Assemblea Costituente, a Pietrogrado diedero una maggioranza enorme ai bolscevichi, tanto che gli stessi menscevichi internazionalisti dichiararono che si doveva eleggere una nuova Duma, perché quella esistente aveva cessato di rappresentare la composizione politica della popolazione di Pietrogrado... Le organizzazioni operaie, le unità militari ed anche i contadini dei dintorni rovesciavano sulla Duma mucchi di risoluzioni dichiarandola controrivoluzionaria e kornilovista ed esigendo le sue dimissioni. Gli ultimi giorni della Duma trascorsero in discussioni tempestose, provocate dai reclami degli operai comunali che esigevano dei salari decenti e minacciavano lo sciopero...

Il 23, un decreto del Comitato militare rivoluzionario sciolse il Comitato di Salute. Il 29, il Consiglio dei Commissari del popolo ordinò lo scioglimento e le nuove elezioni della Duma municipale di Pietrogrado.

La Duma si riunì, votò delle risoluzioni fanfarone nelle quali affermava che avrebbe difeso la sua posizione «fino all'ultima goccia di sangue» ed esortò disperatamente la popolazione a salvare la «sua rappresentanza municipale liberamente scelta». Ma la popolazione rimaneva indifferente od ostile. Il 31, il sindaco Schreider ed alcuni consiglieri furono arrestati, sottoposti ad interrogatorio e poi rimessi in libertà. Lo stesso giorno e l'indomani la Duma continuò a riunirsi, frequentemente interrotta da guardie rosse e da marinai, che venivano cortesemente ad invitare l'assemblea a sciogliersi. Alla seduta del 2 dicembre un ufficiale ed alcuni marinai entrarono nella sala Nicola, mentre parlava un oratore, ed ingiunsero ai presenti di uscire, minacciando di usare la forza. L'assemblea ubbidì protestando fino alla fine, «non cedendo che alla violenza».

La nuova Duma, che fu eletta dieci giorni dopo ed alle elezioni della quale i socialisti «moderati» rifiutarono di prendere parte, fu quasi intieramente bolscevica.

Rimanevano parecchi centri temibili di opposizione, fra l'altro le Repubbliche di Ucraina e di Finlandia, che manifestavano delle tendenze assolutamente antisovietiche. Contemporaneamente, ad Helsingfors ed a Kiev, i governi riunivano le loro truppe più sicure e cominciavano la lotta per schiacciare il bolscevismo; contemporaneamente disarmavano ed espellevano le truppe russe. La Rada ucraina aveva esteso il suo dominio su tutta la Russia del Sud e mandava rinforzi ed approvvigionamenti a Kaledin. La Finlandia e l'Ucraina iniziarono trattative segrete con i tedeschi e furono subito riconosciute dai governi alleati che prestarono loro delle somme enormi, alleandosi con le classi possidenti, per creare le basi controrivoluzionarie di attacco alla Russia sovietica. Finalmente, quando il bolscevismo vinse anche in questi due paesi, la borghesia sconfitta chiamò i tedeschi in aiuto...

Ma la minaccia più formidabile contro il governo sovietico veniva dall'interno. Era duplice: il movimento di Kaledin ed il Grande Stato Maggiore di Moghilev alla testa del quale si trovava il generale Dukonin.

Muraviov, che pareva avere il dono dell'ubiquità, fu nominato al comando delle operazioni contro i cosacchi e cominciò a reclutare un esercito rosso tra gli operai delle officine. Centinaia di propagandisti furono mandati sul Don. Il Consiglio dei Commissari del popolo, in un proclama rivolto ai cosacchi, spiegò loro che cos'era il governo sovietico e come le classi possidenti, funzionari, proprietari agrari ed i generali cosacchi, tentassero di schiacciare la rivoluzione per impedire la confisca delle loro ricchezze da parte del popolo.

Il 27 novembre, una commissione di cosacchi si presentò a Smolni per vedere Trotsky e Lenin. Domandarono se era vero che il governo sovietico non aveva l'intenzione di distribuire le terre cosacche ai contadini della Grande Russia.
— No, — rispose Trotsky.
I cosacchi si consultarono.
— Bene, — dissero, — ma il governo sovietico ha l'intenzione di confiscare le terre dei grandi proprietari cosacchi e di dividerle tra i lavoratori cosacchi?
Lenin rispose:
— Questo, spetta a voi farlo. Noi sosterremo i lavoratori cosacchi in tutte le loro azioni. Il miglior metodo è che voi cominciate a costituire dei Soviet cosacchi. Voi potrete così essere rappresentati allo Zik ed il governo sovietico diventerà anche il vostro governo.

I cosacchi se ne andarono e discussero tra di loro queste dichiarazioni. Due settimane dopo, il generale Kaledin riceveva una delegazione delle sue truppe.
Volete, — gli si domandò, — prometterci di dividere i beni degli agrari cosacchi tra i lavoratori cosacchi?
— Piuttosto morire! — rispose Kaledin.
Un mese dopo, vedendo il suo esercito svanire sotto i suoi occhi, Kaledin si fece saltare le cervella. Il movimento cosacco era finito...

A Moghilev si erano riuniti il vecchio Zik, i capi socialisti «moderati» da Avxentiev a Cernov, i capi degli antichi Comitati dell'esercito e gli ufficiali reazionari. Lo Stato Maggiore si rifiutava ostinatamente di riconoscere il Consiglio de Commissari del popolo. Aveva riunito intorno a sé i Battaglioni della Morte, i Cavalieri di San Giorgio e i cosacchi del fronte e si teneva in collegamento segreto con gli addetti militari alleati, con il movimento di Kaledin e con la Rada ucraina.

I governi alleati avevano lasciato senza risposta il Decreto sulla pace dell'8 novembre, in cui il Congresso dei Soviet reclamava un armistizio generale.

Il 20 novembre Trotsky indirizzava agli ambasciatori alleati, la seguente nota:

    Signor Ambasciatore.

    Ho l'onore di informarvi che il Congresso panrusso dei Soviet dei D.O.S. [Deputati Operai e dei Soldati] ha costituito, l'8 novembre, un nuovo governo della Repubblica russa sotto torma dei Commissari del popolo. Il presidente di questo governo è Vladimiro Ulianov Lenin, ed io, in qualità di Commissario del popolo agli Affari Esteri, ho la direzione della politica estera.
    Attirando la vostra attenzione sul testo, approvato dal Congresso panrusso dei Soviet, della nostra proposta d'armistizio e di pace democratica, senza annessioni né indennità, fondata sul diritto dei popoli a disporre di se stessi, ho l'onore di pregarvi di considerare questo documento come una proposta ufficiale d'armistizio immediato su tutti i fronti e di apertura immediata delle trattative di pace. Il governo della Repubblica russa rivolge contemporaneamente la stessa proposta a tutti i popoli belligeranti ed ai loro governi.
    Vogliate gradire, signor Ambasciatore, l'assicurazione della stima profonda del governo sovietico per il vostro popolo che non può non desiderare la pace, come tutti i popoli insanguinati e spossati da questo macello senza precedenti.

Nella stessa notte, il Consiglio dei Commissari del popolo telegrafò quanto segue al generale Dukonin:

    Il Consiglio dei Commissari del popolo ritiene indispensabile proporre un armistizio immediato a tutti i popoli belligeranti, siano essi alleati o in stato d'ostilità con noi. Un comunicato in questo senso è stato rivolto dal Commissario del popolo agli Affari Esteri a tutti i rappresentanti alleati a Pietrogrado.
    Il Consiglio dei Commissari del popolo vi incarica, cittadino Comandante Supremo, in esecuzione della decisione del Congresso panrusso dei Soviet degli D.O.S., di rivolgere, non appena ricevuto il presente telegramma, una proposta di cessazione immediata delle ostilità alle autorità militari nemiche, in attesa di cominciare le trattative di pace.
    Incaricandovi di condurre queste trattative preliminari, il Consiglio dei Commissari del popolo vi ordina:

    1° di tenerlo al corrente, regolarmente, per filo diretto, dell'andamento delle trattative con i plenipotenziari degli eserciti nemici;
    2° di non firmare l'atto d'armistizio senza l'approvazione dei Commissari del popolo.

Gli ambasciatori alleati accolsero la nota di Trotsky con un silenzio sdegnoso, accompagnato, nei giornali, da interviste anonime, piene di amare ironie. L'ordine a Dukonin era apertamente qualificato di tradimento...

Dukonin, lui, non diede segno di vita. Nella notte del 22 novembre, gli fu chiesto telefonicamente se era disposto a eseguire l'ordine ricevuto. Rispose che ciò gli sarebbe stato possibile soltanto se l'ordine fosse stato diramato «da un governo sostenuto dall'esercito e dal paese».

Per telegramma, egli fu immediatamente destituito da Comandante Supremo e Krilenko nominato al suo posto. Fedele alla sua tattica di appello diretto alle masse, Lenin comunicò per radio a tutti i soldati e marinai dell'esercito e della marina, il rifiuto di Dukonin e ordinò «ai reggimenti del fronte di eleggere dei delegati per entrare in trattative con le forze avversarie che stavano loro dinanzi...».

Il 23, gli addetti militari delle nazioni alleate, agendo sulle istruzioni dei loro governi, presentavano a Dukonin una nota, mettendolo solennemente in guardia contro «una violazione dei trattati conclusi tra le potenze dell'Intensa». La nota diceva che, se si fosse concluso l'armistizio separato con la Germania, questo atto avrebbe avuto le « conseguenze più gravi» per la Russia. Dukonin portò immediatamente questa comunicazione a conoscenza dei Comitati dei soldati...

All'indomani Trotsky inviava un altro appello alle truppe, nel quale caratterizzava la nota dei rappresentanti alleati come una intromissione flagrante negli affari interni della Russia e come un tentativo arrogante per «costringere, con le minacce, l'esercito ed il popolo russo a continuare la guerra per eseguire i trattati conclusi dallo zar».

Da Smolni partivano proclami su proclami, denunciando Dukonin e gli ufficiali controrivoluzionari che lo circondavano, denunciando i politicanti reazionari riuniti a Moghilev, agitando, lungo migliaia di chilometri di fronte, milioni di soldati malcontenti e diffidenti. Nello stesso tempo Krilenko, accompagnato da tre distaccamenti di marinai fanaticamente devoti, marciava verso il Grande Stato Maggiore, profferendo minacce di vendetta, ovunque accolto da frenetiche ovazioni dei soldati: una vera marcia trionfale. Avendo il Comitato centrale dell'esercito pubblicato una dichiarazione in favore di Dukonin, diecimila uomini marciarono su Moghilev.

Il 2 dicembre, la guarnigione di Moghilev si sollevò e si impadronì della città, arrestando Dukonin ed il Comitato dell'esercito: poi essa uscì, con gli stendardi rossi vittoriosi, ad incontrare il nuovo Comandante Supremo. Entrando a Moghilev, il mattino seguente, Krilenko trovò una folla urlante, ammassata intorno ad un vagone ferroviario, nel quale era stato rinchiuso Dukonin. Egli scongiurò i soldati di non fare del male a Dukonin, che sarebbe stato condotto a Pietrogrado e giudicato dal tribunale rivoluzionario. Ma quando ebbe finito di parlare, Dukonin apparve lui stesso al finestrino, come se volesse arringare la folla. Questa, invadendo il vagone con urla feroci, si impadronì del vecchio generale e lo trascinò sulla piattaforma e lo linciò.

Così terminò la ribellione del Grande Quartiere Generale...

Potentemente rafforzato per la caduta dell'ultimo baluardo importante del potere militare ostile in Russia, il governo soviettista si mise con fiducia all'opera per organizzare lo Stato. Molti vecchi funzionari vennero a schierarsi sotto la sua bandiera e numerosi membri di altri partiti entrarono al servizio dello Stato. Quelli che erano spinti da avidità di guadagno furono disillusi dal decreto sul trattamento dei funzionari che fissava lo stipendio dei Commissari del popolo al massimo di 500 rubli (circa 50 dollari) mensili. Lo sciopero dei funzionari, diretto dalla Unione delle Unioni fallì, avendo gli ambienti finanziari ed i commercianti cessato di sostenerlo. Gli impiegati di banca ritornarono ai loro posti...

Con il decreto sulla nazionalizzazione delle banche, la creazione del Consiglio supremo dell'economia nazionale, l'applicazione effettiva del Decreto sulla terra, la riorganizzazione democratica dell'esercito, con i cambiamenti radicali operati in tutti i rami dello Stato e della vita sociale, con tutti questi provvedimenti, che solo la volontà della massa degli operai, dei soldati e dei contadini poteva realizzare, cominciò a forgiarsi lentamente, attraverso molti errori e molti urti, la Russia proletaria...

I bolscevichi non avevano conquistato il potere con un compromesso con le classi possidenti e coi diversi capi politici, né conciliandosi l'antico apparato governativo. E neppure con la violenza organizzata di una piccola consorteria. Se in tutta la Russia le masse non fossero state pronte per l'insurrezione, essa sarebbe fallita. La sola ragione del successo dei bolscevichi era la realizzazione da parte loro delle vaste ed elementari aspirazioni degli strati popolari, ai quali essi avevano fatto appello per distruggere il vecchio regime e per edificare sulle sue rovine ancora fumanti un mondo nuovo.

 


Ultima modifica 4.2.2004