La Terza Internazionale dopo Lenin

Trotsky (1928)


Scritto nel 1928.
Tradotto, dalla versione in inglese presente sul MIA, e trascritto da
mishu( www.mishu.supereva.it), Settembre 2001


Prefazione

1) Il Programma della rivoluzione internazionale o il Programma del socialismo in un paese solo?
1. La struttura generale del Programma
2. Gli Stati Uniti d'America e d'Europa
3. Lo slogan degli Stati Uniti Sovietici d'Europa
4. Il principio dell'Internazionalismo
5. La tradizione teorica del partito
6. Dov'è la "deviazione socialdemocratica"?
7. La dipendenza dell'URSS dall'economia mondiale
8. La contraddizione tra le forze produttive ed i confini nazionali come causa dell'utopica e reazionaria teoria del "socialismo in un paese solo"
9. Il problema può esser risolto solo nell'arena della rivoluzione mondiale
10. La teoria del socialismo in un paese solo: una serie di baggianate socialpatriottiche

PREFAZIONE

La bozza del programma, cioè del fondamentale documento su cui si baserà l'intera attività del Comintern [Internazionale Comunista] per molti anni a venire, è stata pubblicata solo un paio di settimane prima della convocazione del Congresso che si tiene quattro anni dopo il Quinto. Questo ritardo nella pubblicazione non può esser giustificato facendo riferimento al fatto che il primo abbozzo era stato pubblicato già prima del Quinto Congresso, poiché da allora molti anni sono passati. La seconda bozza differisce dalla prima nella sua intera struttura ed si sforza di riassumere gli sviluppi degli ultimi anni. Nulla potrebbe essere più sconsiderato e avventato che l'adottare questa bozza al Sesto Congresso, una bozza che si porta addosso i segni di un lavoro frettoloso e persino trasandato, senza alcuna seria critica scientifica preliminare nella stampa o senza un'estesa discussione in tutti i partiti del Comintern.

Durante i pochi giorni a nostra disposizione tra la ricezione della bozza e l'invio di questa lettera, abbiamo potuto soffermarci solo su alcuni dei più importanti problemi che devono essere affrontati nel programma.

A causa della mancanza di tempo, siamo stati costretti a non prendere in considerazione alcuni importanti problemi trattati nella bozza, problemi che oggi appaiono meno urgenti ma che possono diventare di estrema importanza domani. Ciò non implica affatto che sia meno importante criticare questi che quelle sezioni della bozza alle quali è dedicato il presente lavoro.

Dobbiamo anche aggiungere che siamo costretti a lavorare sulla nuova bozza in condizioni nelle quali è impossibile ottenere le informazioni necessarie. È sufficiente menzionare il fatto che non ci è stato possibile procurarci neppure la prima bozza del programma, e che, nell'occuparci di essa, come in altri due o tre casi, abbiam dovuto fare affidamento esclusivamente sulla nostra memoria. Inutile dire che tutte le citazioni sono state prese dalle fonti originali e controllate in modo accurato.  

1) Il Programma della rivoluzione internazionale o il Programma del socialismo in un paese solo?

La questione più importante nell'agenda del Sesto Congresso è l'adozione del programma. La natura di questo può determinare e fissare per lungo tempo la fisionomia dell'Internazionale. L'importanza di un programma non risiede tanto nel modo in cui esso formula concetti teorici generali (in ultima analisi ciò si riassume nel problema della "codificazione", ossia nella concisa esposizione delle verità e generalizzazioni che son state acquisite in modo fermo e decisivo); si tratta invece di tirare un bilancio delle esperienze economiche e politiche mondiali dell'ultimo periodo, ed in modo particolare delle lotte rivoluzionarie degli ultimi cinque anni - così ricche di eventi e di errori come sono. Per i prossimi anni il destino dell'Internazionale Comunista - nel senso letterale del termine - dipende dal modo in cui questi eventi, errori e controversie sono interpretati e giudicati nel programma.

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1. La struttura generale del Programma

Nella nostra epoca, che è l'epoca dell'imperialismo, cioè, dell'economia mondiale e della politica mondiale sotto l'egemonia del capitale finanziario, nessun partito comunista può stabilire il proprio programma procedendo solamente o principalmente dalle condizioni e tendenze di sviluppo del suo proprio paese. Ciò è vero anche per il partito che detiene il potere statale entro i confini dell'URSS. Il 4 agosto del 1914 suonò per sempre la campana a morte dei programmi nazionali. Il partito rivoluzionario del proletariato può basarsi solo su un programma internazionale corrispondente al carattere dell'epoca attuale, l'epoca del più alto sviluppo e del collasso del capitalismo. Un programma comunista internazionale non è in nessun caso la somma totale di programmi nazionali o l'amalgama delle loro caratteristiche comuni. Il programma internazionale deve partire direttamente dall'analisi delle condizioni e delle tendenze dell'economia mondiale e del sistema politico mondiale preso come un unico in tutte le sue connessioni e contraddizioni, cioè, con le interdipendenze mutuamente antagonistiche delle sue parti distinte. Nell'epoca attuale, assai più che nel passato, l'orientamento nazionale del proletariato deve e può scaturire solo da un orientamento mondiale e non viceversa. Qui risiede la principale e basilare differenza tra l'internazionalismo comunista e tutte le varianti di nazionalsocialismo.

Basandoci su queste considerazioni, abbiam scritto nel gennaio di quest'anno: "Dobbiamo cominciare a scrivere il programma del Comintern (quello di Bucharin è il pessimo programma di una sezione nazionale del Comintern, non il programma del partito comunista mondiale)" (Pravda, 15 gennaio 1928).

Abbiamo continuato ad insistere su queste considerazioni sin dal 1923-1924, quando la questione degli Stati Uniti d'America crebbe in tutta la sua portata di problema mondiale e, nel senso più letterale del termine, di politica europea.

Raccomandando la nuova bozza, la Pravda scrisse che il programma comunista "differisce radicalmente dal programma della socialdemocrazia internazionale non solo nella sostanza dei suoi postulati centrali ma anche nel caratteristico internazionalismo della sua struttura" (Pravda, 29 maggio 1928).

In questa formulazione piuttosto nebulosa è ovviamente espressa l'idea che abbiamo indicato più sopra e che è stata in precedenza ostinatamente rigettata. Si può solo accogliere di buon grado la rottura con la prima bozza di programma presentata da Bucharin, che non ha neppur stimolato un serio cambiamento di opinioni; e che anzi, su questa materia, non ne offriva alcuna. Laddove la prima bozza dava una semplice e schematica descrizione dello sviluppo di un astratto paese verso il socialismo, la nuova bozza cerca, sfortunatamente, e, come vedremo, senza consistenza né successo, di prendere l'economia mondiale come base per determinare il destino delle sue singole parti.

Collegando paesi e continenti che si trovano in un diverso livello di sviluppo in un sistema di mutua dipendenza ed antagonismo, ignorando le varie fasi del loro sviluppo e, nel contempo, esagerando subito le differenze tra loro contrapponendo spietatamente un paese all'altro, l'economia mondiale è divenuta una potente realtà che domina la vita economica di singoli paesi e continenti. Questo fatto da solo investe di suprema realtà il partito comunista mondiale. Ponendo l'economia mondiale come un intero nella più alta fase di sviluppo generalmente raggiungibile sulla base della proprietà privata, l'imperialismo, come la bozza afferma piuttosto correttamente nella sua introduzione, "aggrava sino alla tensione più estrema la contraddizione tra la crescita delle forze produttive dell'economia mondiale e le barriere degli stati-nazione".

Senza cogliere il significato di questa proposizione, che è stato per la prima volta rivelato vividamente all'umanità durante l'ultima guerra imperialista, non possiamo fare un singolo passo in avanti verso la soluzione dei maggiori problemi della politica mondiale e della lotta rivoluzionaria.

Potremmo solo dare il benvenuto allo spostamento radicale dell'assetto centrale del programma nella sua nuova versione se non fosse per il contemporaneo sforzo di riconciliare quest'unica corretta posizione con le tenenze di carattere nettamente contrario che trasformano tale bozza in un'arena dalle contraddizioni più spietate, che annullano completamente l'importanza fondamentale del nuovo modo di accostarsi al problema nei suoi aspetti fondamentali.

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2. Gli Stati Uniti d'America e d'Europa

Per qualificare la prima, fortunatamente ritirata, bozza, è sufficiente dire che, per quel che ricordiamo, il nome degli Stati Uniti d'America non era in essa nemmeno menzionato. I problemi essenziali dell'epoca imperialista - che, a causa del carattere proprio di tale epoca, vanno analizzati non solo in modo teorico ed astratto ma anche nella loro concreta e storica interrelazione - erano dissolti nella prima bozza in un morto schematismo riguardo i paesi capitalistici "in generale". La nuova bozza, invece - e questo è certamente un serio passo in avanti - parla dello "spostamento del centro economico del mondo negli Stati Uniti d'America", della "trasformazione della 'Repubblica del dollaro' in sfruttatore del mondo" ed infine che la rivalità (la bozza parla in modo impreciso di "conflitto") tra capitalismo nordamericano ed europeo, innanzitutto inglese, "sta divenendo il centro dei conflitti mondiali". È piuttosto chiaro, oggi, che un programma che non contenesse una chiara e precisa definizione di questi fatti e fattori basilari della situazione mondiale, non avrebbe nulla a che fare col programma del partito rivoluzionario internazionale.

Sfortunatamente i fatti e le tendenze principali dello sviluppo mondiale nell'epoca attuale che abbiamo appena indicato, sono solo menzionati per nome nel testo della bozza, inseriti in essa, come son stati, per mezzo di improvvisate aggiunte teoriche, senza alcuna connessione interna con la sua intera struttura e senza portare ad alcuna conclusione di prospettiva o di strategia.

Il nuovo ruolo acquisito dall'America in Europa sin dalla capitolazione del Partito comunista tedesco, e la conseguente sconfitta del proletariato tedesco avvenuta nel 1923, non è stato per nulla valutato. Non è stato fatto alcun tentativo per spiegare che il periodo della "stabilizzazione", della "normalizzazione" e della "pacificazione" in Europa, tanto quanto quello della "rigenerazione" della socialdemocrazia, è proceduto in stretta connessione materiale ed ideologica con i primi passi dell'intervento americano negli affari europei.

Non è stato inoltre mostrato che l'inevitabile ulteriore sviluppo dell'espansione americana, la contrazione dei mercati del capitale europeo, inclusi gli stessi mercati europei, implica le più grandi convulsioni militari, economiche e rivoluzionarie, nel confronto delle quali tutte quelle passate cadono nello sottofondo.

Ancora, non si è neppure chiarito il fatto che l'inevitabile ulteriore sviluppo degli Stati Uniti ridurrà la capitalistica Europa ad avere razioni dell'economia mondiale sempre più limitate; e ciò, ovviamente, implica non una mitigazione, ma, al contrario, un mostruoso inasprimento delle relazioni tra gli stati europei accompagnato dal furioso scoppio di conflitti militari, poiché gli stati, tanto quanto le classi, lottano ancor più ferocemente per una magra e calante razione che per una prodiga e crescente.

La bozza non dice che il caos intrinseco degli antagonismi statali in Europa rende senza speranze ogni sorta di seria e vittoriosa resistenza alla sempre più centralizzata repubblica nordamericana; e che la soluzione del caos europeo attraverso gli Stati Uniti Sovietici d'Europa è uno dei primi compiti della rivoluzione proletaria. Quest'ultima (proprio a causa dell'esistenza di barriere) è decisamente assai più vicina in Europa che in America e, quindi, dovrà con ogni probabilità difendersi dalla borghesia nordamericana.

D'altra parte non si è neppure menzionato il fatto (e questo è un aspetto altrettanto importante dello stesso problema) che sono proprio la forza internazionale degli Stati Uniti ed la loro conseguente inarrestabile espansione che li costringono a contenere i depositi di munizioni del mondo intero all'interno della loro struttura, cioè, tutti gli antagonismi tra Oriente e Occidente, le lotte di classe della Vecchia Europa, le rivolte delle masse coloniali e tutte le guerre e le rivoluzioni. Da un lato, ciò trasforma il capitalismo nordamericano nella principale forza controrivoluzionaria dell'epoca moderna, sempre più interessato al mantenimento dell' "ordine" in ogni angolo del globo terrestre; e, dall'altro lato, tutto ciò prepara il terreno per il gigantesco scoppio rivoluzionario all'interno di questa, già dominante ed in continua espansione, potenza imperialistica mondiale. La logica delle relazioni mondiali indica che il tempo per questa esplosione non può essere assai lontano da quello della rivoluzione proletaria in Europa.

La nostra delucidazione sulla dialettica delle interrelazioni tra America ed Europa ci ha resi, negli ultimi anni, obiettivo delle più svariate accuse, da quelle di rifiuto pacifista delle contraddizioni europee sino a quelle di accettazione della teoria kautskyana dell'ultra-imperialismo, ed altri simili peccati. Non c'è qui alcun bisogno di attardarsi su tali "accuse", che sono, nel migliore dei casi, figlie di una competa ignoranza dei processi in atto e della nostra attitudine verso di essi. Non possiamo però trattenerci dall'osservare che sarebbe difficile sprecare sforzi maggiori, nel confondere ed imbrogliare i più vitali problemi mondiali, di quelli già sprecati (per inciso, dagli autori della bozza del programma) nella loro pietosa battaglia contro la nostra formulazione di tali problemi. La nostra formulazione è stata, in ogni caso, confermata dal corso reale degli eventi.

Persino di recente son stati compiuti sforzi - per iscritto - da parte dei principali organismi comunisti per minimizzare, facendo riferimento all'imminente crisi commerciale e industriale negli Stati Uniti, l'importanza dell'egemonia americana. Non possiamo qui soffermarci ad esaminare in profondità il problema particolare della durata della crisi americana e della sua eventuale intensità. Questo è un problema di congiuntura e non di programma. Inutile dire che nella nostra opinione l'inevitabilità di una crisi è assolutamente fuori d'ogni dubbio; né pensiamo, considerando l'attuale portata mondiale del capitalismo americano, che sia impossibile che la prossima crisi raggiunga straordinari livelli per intensità e durezza. Ma non vi è ragione alcuna per dedurre da questo fatto che l'egemonia nordamericana debba restringersi o indebolirsi. Tale conclusione può portare solo agli errori strategici più grossolani.

Il caso è proprio l'opposto: nel periodo della crisi l'egemonia degli Stati Uniti opererà in modo più completo, più aperto e più spietato che nei periodi di rapida crescita economica. Gli Stati Uniti cercheranno di superare la crisi e di liberarsi dalle loro difficoltà e dai loro mali primariamente a spese dell'Europa, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga in Asia, Canada, Sud America, Australia o Europa stessa, ed indipendentemente dal fatto che ciò avvenga in modo pacifico o per mezzo della guerra.

Dobbiamo comprendere nel modo più chiaro che se il primo periodo dell'intervento americano, che resta tutt'oggi in forza ad un livello considerevole e che può sempre ripresentarsi e (particolarmente nel caso di nuove sconfitte del proletariato) divenir ancora più forte, ha avuto come effetto quello di stabilizzare e pacificare l'Europa, la linea generale della politica americana, particolarmente in periodi di crisi e difficoltà economiche interne, genererà le più profonde convulsioni in Europa tanto quanto nel mondo intero.

Da ciò possiamo trarre la conclusione non secondaria che nella prossima decade non ci sarà penuria di situazioni rivoluzionarie. Ecco perché è della massima importanza il comprendere correttamente le molle principali dello sviluppo, così da non esser colti alla sprovvista dalla loro azione. Se nel decennio passato la fonte delle situazioni rivoluzionarie era data dalle conseguenze dirette della guerra imperialista, nel secondo decennio postbellico la fonte più importante delle sollevazioni rivoluzionarie sarà data dalle interrelazioni euro-americane. La crisi americana suonerà l'allarme per nuove guerre e rivoluzioni. Ripetiamo: non ci sarà penuria di situazioni rivoluzionarie. Ciò che accadrà dipende dal partito internazionale del proletariato, dalla maturità del Comintern, dalla sua abilità nella lotta e dalla correttezza delle sue posizioni strategiche e dei suoi atteggiamenti tattici.

Non si trova, nella bozza del programma del Comintern, alcuna espressione di questa linea di pensiero. Un fatto che sembrerebbe di tale importanza come "lo spostamento del centro economico mondiale negli Stati Uniti", è giusto sfiorato da un'accidentale osservazione di stampo giornalistico. È assolutamente impossibile giustificare questo fatto dicendo che vi era scarsità di spazio, perché: a cosa dovrebbe essere destinato spazio in un programma se non alle questioni fondamentali? Si dovrebbe aggiungere, inoltre, che nella bozza in questione viene destinato troppo spazio a problematiche di secondaria o addirittura terziaria importanza; per non dir nulla della generale scioltezza letteraria e delle innumerevoli ripetizioni tolte le quali il programma si ridurrebbe almeno di un-terzo.

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3. Lo slogan degli Stati Uniti Sovietici d'Europa

Non c'è giustificazione per l'omissione dalla nuova bozza del Programma dello slogan degli Stati Uniti Sovietici d'Europa, slogan che è stato accettato dal Comintern nel 1923 dopo una piuttosto lunga battaglia interna. O si tratta forse del fatto che gli autori voglion "ritornare" su tale questione alla posizione di Lenin del 1915? Se le cose stanno così, essi devono prima comprendere in modo corretto i termini della questione.

Lenin, come è ben noto, era esitante, all'inizio della guerra, verso lo slogan degli Stati Uniti d'Europa [si veda Lenin: Sullo slogan degli Stati Uniti d'Europa ]. Esso fu originariamente incluso nelle tesi del Sotsial Demokrat (all'epoca organo centrale del partito) e quindi rigettato da Lenin. Questo fatto, di per sé, indica che il problema che stiamo qui trattando non riguardava la generale accettabilità di principio di tale slogan, ma semplicemente una sua valutazione tattica, una problematica riguardante i suoi aspetti positivi e negativi dal punto di vista di una data situazione. Inutile dirlo, Lenin rifiutò la possibilità che potessero essere realizzati Stati Uniti d'Europa di stampo capitalistico. Questo era anche il mio approccio nel momento in cui ho avanzato lo slogan degli Stati Uniti d'Europa esclusivamente come una possibile forma statale della dittatura proletaria in Europa.

Scrissi a quel tempo: "Una più o meno completa unificazione economica dell'Europa realizzata dall'alto attraverso un accordo tra i governi capitalisti è un'utopia. Lungo tale strada non si può andare oltre compromessi parziali e mezze misure. Ma una tale unificazione economica dell'Europa, che comporterebbe colossali vantaggi tanto per i produttori e consumatori quanto per un generale sviluppo culturale, sta divenendo un compito rivoluzionario del proletariato europeo nella sua battaglia contro il protezionismo imperialista ed il suo strumento - il militarismo" ( Trotsky, "Il programma di pace").

Inoltre: "Gli Stati Uniti d'Europa rappresentano solo una forma - l'unica concepibile - della dittatura del proletariato in Europa" (Ibidem).

Ma, persino in una tale formulazione del problema, Lenin vide, a quel tempo, un certo pericolo. In assenza di alcuna esperienza di dittatura proletaria in un singolo paese e di chiarezza teorica su tale argomento persino nell'ala sinistra del partito socialdemocratico di allora, lo slogan degli Stati Uniti d'Europa avrebbe potuto far sorgere l'idea che la rivoluzione proletaria deve iniziare in modo simultaneo, quanto meno sull'intero continente europeo. Fu contro tale pericolo che Lenin diede i suoi ammonimenti, ma su questo punto non vi era un briciolo di differenza tra lui e me. Io scrissi a quel tempo: "Nessun paese deve 'aspettare' gli altri nella sua battaglia. Sarebbe utile e necessario ribadire l'idea elementare secondo cui l'inazione temporeggiatrice internazionale non può sostituire l'azione internazionale coordinata. Dobbiamo cominciare e continuare la nostra battaglia sul terreno nazionale senza attendere gli altri, nella piena convinzione che la nostra iniziativa servirà da impulso per la battaglia in altri paesi" (Ibidem).

Quindi seguono quelle mie parole che Stalin ha presentato innanzi al Settimo Plenum del C.E.I.C. [Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista, N.d.T.] come la più degenerata espressione di "trotskysmo", ossia come "mancanza di fiducia" nelle forze interne della rivoluzione e speranza d'aiuto dall'esterno. "E se questo [lo sviluppo della rivoluzione in altri paesi - L.T.] non dovesse realizzarsi, sarebbe impossibile immaginare (come risulta chiaramente dall'esperienza storica e da considerazioni teoriche) che una Russia rivoluzionaria, per esempio, possa resistere di fronte ad un'Europa conservatrice, o che una Germania socialista possa rimanere isolata in un mondo capitalista" (Ibidem).

Sulla base di due o tre simili citazioni si fonda l'intera condanna pronunciata dal Settimo Plenum contro il "trotskysmo", accusato di portare avanti su tale "fondamentale questione" una posizione "che non ha nulla in comune col leninismo". Fermiamoci quindi per un momento ed ascoltiamo le parole di Lenin stesso.

Il 7 marzo 1918 egli disse, a propos della pace di Brest-Litovsk: "Questa è una lezione per noi perché l'assoluta verità è che, senza una rivoluzione in Germania, periremo".

Una settimana dopo disse: "L'imperialismo mondiale non può vivere fianco a fianco con la vittoriosa e avanzante rivoluzione sociale" (Ibidem).

Poche settimane dopo, il 13 di aprile, Lenin disse: "La nostra arretratezza ci ha spinto avanti e noi moriremo se non saremo capaci di tener duro sino al momento in cui incontreremo il potente appoggio degli operai insorti di altri paesi" (discorso pronunciato ad una sessione del Soviet di Mosca, il corsivo nostro).

È stato forse tutto ciò detto sotto la speciale influenza della crisi di Brest-Litovsk? No! Nel marzo 1919 Lenin ha ripetuto nuovamente: "Noi non viviamo semplicemente in uno stato ma in un sistema di stati, e l'esistenza della Repubblica Sovietica fianco a fianco con gli stati imperialisti è inconcepibile per un tempo duraturo. Alla fine l'uno o l'altro deve trionfare".

Un anno più tardi, il 7 aprile 1920, Lenin ripete: "Il capitalismo, se preso su scala internazionale, è ancora più forte, sia dal punto di vista militare che da quello economico, del sistema sovietico. Dobbiamo partire da questa fondamentale considerazione e non scordarlo mai" (Cfr., Discorso tenuto al Terzo Congresso dei sindacati di tutta la Russia).

Il 27 novembre 1920, occupandosi del problema delle concessioni, disse: "Siamo ora passati dall'arena della guerra all'arena della pace, e non abbiamo scordato che la guerra verrà di nuovo. Fintanto che capitalismo e socialismo vivranno fianco a fianco, non potremo vivere pacificamente - uno o l'altro dovranno alla fine vincere. Un necrologio saluterà o la morte del capitalismo mondiale, o la morte della Repubblica Sovietica. Attualmente stiamo vivendo solo un momento di tregua".

Ma può darsi che il perdurare dell'esistenza della Repubblica Sovietica costrinse poi Lenin a "riconoscere i suoi errori" e a rinunciare alla sua "mancanza di fiducia nella forza interna" della Rivoluzione d'Ottobre.

Al Terzo Congresso del Comintern, del luglio 1921, Lenin dichiarò, nelle tesi sulla tattica del Partito comunista russo: "Si è creato un equilibrio che, per quanto estremamente precario ed instabile, consente nondimeno alla repubblica socialista di mantenere la sua esistenza all'interno di un ambiente capitalista, anche se di certo tale situazione non potrà durare a lungo".

Ancora, il 5 luglio 1921, Lenin afferma seccamente, ad una delle sessioni del Congresso: "Ci era chiaro che, senza l'aiuto da parte della rivoluzione internazionale, la vittoria della rivoluzione proletaria è impossibile. Già prima della rivoluzione, tanto quanto in seguito, pensavamo che tale rivoluzione sarebbe scoppiata immediatamente o quanto meno assai presto in altri paesi arretrati e nei paesi capitalisticamente più avanzati, altrimenti saremmo morti. Nonostante tale convinzione, abbiam fatto del nostro meglio per proteggere il sistema sovietico sotto qualsiasi circostanza e ad ogni costo, perché sappiamo che stiamo lavorando non solo per noi stessi ma anche per la rivoluzione internazionale".

Quanto son state soppresse tali parole, così superbe nella loro semplicità e così permeate dello spirito dell'internazionalismo, dalle attuali compiaciute costruzioni degli epigoni!

In ogni caso, abbiamo il diritto di chiedere: in cosa tutte queste affermazioni di Lenin differiscono dalle mie convinzioni dell'anno 1915 che la nascente rivoluzione russa e la nascente Germania socialista non avrebbero potuto resistere da sole se lasciate "isolate in un mondo capitalista"? Il fattore tempo ha mostrato d'esser differente da quello assunto non solo da me, ma anche dalle previsioni di Lenin; ma l'idea sottostante mantiene la sua intera forza ancora oggi - ed in dati momenti è persino maggiore oggi di allora. Invece di condannare quest'idea, come ha fatto il Settimo Plenum del C.E.I.C., sulla base di un discorso incompetente e poco scrupoloso, essa dovrebbe essere inclusa nel programma dell'Internazionale Comunista.

Difendendo lo slogan degli Stati Uniti Sovietici d'Europa, abbiamo indicato nel 1915 che la legge dello sviluppo ineguale non è, in se stessa, un argomento contro tale slogan, poiché, l'ineguaglianza dello sviluppo storico di diversi paesi e continenti è in se stessa ineguale. I paesi europei si sviluppano in modo ineguale l'uno rispetto all'altro. Nondimeno si può asserire con assoluta certezza storica che nessuno di questi singoli paesi è destinato, almeno nell'epoca storica sotto analisi, a correr così avanti rispetto agli altri paesi così come l'America ha fatto nei confronti dell'Europa. Per l'America c'è una scala di inegualità, per l'Europa ce ne è un'altra. Geograficamente e storicamente, le condizioni hanno determinato un tale legame organico tra i paesi europei che non c'è modo per loro di staccarsi da esso. I moderni governo borghesi d'Europa son come assassini incatenati ad un medesimo carro. La rivoluzione in Europa, com'è già stato detto, sarà in ultima istanza d'importanza decisiva anche per l'America. Ma direttamente, nell'immediato corso storico, una rivoluzione in Germania avrà un significato immensamente maggiore per la Francia che per gli Stati Uniti d'America. È precisamente da tale relazione storicamente sviluppatasi che deriva la sua vitalità politica lo slogan della Federazione Sovietica Europea. Parliamo della sua relativa vitalità perché è ovvio che tale Federazione si estenderà, attraverso il grande ponte dell'Unione Sovietica, sino all'Asia, e realizzerà allora l'unione delle Repubblica Socialiste Mondiali. Ma tutto ciò costituirà una seconda epoca, od un conseguente grande capitolo, dell'epoca imperialista, e quando ci avvicineremo maggiormente ad essa troveremo anche le formule corrispondenti per essa.

Si potrebbe mostrare senza difficoltà di sorta, con ulteriori citazioni, che la nostra differenza con Lenin nel 1915 sulla questione degli Stati Uniti d'Europa era ristretta, tattica e, per la sua propria essenza, di carattere temporaneo; ma la miglior prova è fornita dal susseguente corso degli eventi. Nel 1923 l'Internazionale Comunista ha adottato questo controverso slogan. Se fosse stato vero che lo slogan degli Stati Uniti d'Europa era inaccettabile nel 1915 per motivi di principio, come gli autori dell'odierna bozza del programma tentano di sostenere, allora l'Internazionale Comunista non avrebbe potuto adottarlo. La legge dell'ineguale sviluppo, verrebbe da pensare, non aveva perso la sua efficacia durante quegli anni.

L'intera formulazione della questione, come indicata sopra, scaturisce dalla dinamica del processo rivoluzionario preso nella sua interezza. La rivoluzione internazionale viene considerata come un processo interconnesso che non può esser previsto in ogni suo particolare e, per così dire, nel suo concreto susseguirsi, ma che è comunque assolutamente chiaro nei suoi generali lineamenti storici. A meno che quest'ultimo fatto venga ben compreso, un corretto orientamento politico è assolutamente fuor di discussione.

Le cose appaiono, però, in modo alquanto differente se si procede dall'idea di uno sviluppo socialista che avviene ed è persino completato in un singolo paese. Abbiamo oggi una "teoria" che ci insegna esser possibile la costruzione completa del socialismo in un paese solo, e che i rapporti di questo paese col mondo capitalista possano esser stabiliti sulla base di una "neutralizzazione" della borghesia mondiale (Stalin). Se viene adottato questo punto di vista, nazional-riformista e non rivoluzionario né internazionalista, scompare così la necessità dello slogan degli Stati Uniti d'Europa, o essa è quantomeno indebolita, ma questo slogan, dal nostro punto di vista, è necessario e d'importanza vitale perché in esso risiede la condanna dell'idea di uno sviluppo socialista isolato. Per il proletariato di ogni paese europeo, anche più che per l'URSS - anche se la differenza è solo di grado - sarà di massima importanza spargere la rivoluzione ai paesi vicini ed appoggiare tali insurrezioni con armi in pugno, senza alcuna astratta considerazione di solidarietà internazionale (che in se stessa non può mettere in moto le classi) proprio per quelle considerazioni che Lenin ha formulato centinaia di volte - ovvero, che senza il tempestivo aiuto da parte della rivoluzione internazionale, non saremo capaci di resistere. Lo slogan degli Stati Uniti Sovietici corrisponde la dinamica della rivoluzione proletaria, che non scoppia simultaneamente in tutti i paesi, ma che si espande da paese a paese e che richiede il più stretto legame tra i paesi, specialmente nell'arena europea, sia in senso difensivo contro i più potenti nemici esterni, sia in vista della costruzione economica.

Si potrebbe, certamente, cercare di obiettare a tutto ciò sostenendo che nei periodi successivi alla crisi della Ruhr, la quale aveva fornito l'impulso decisivo per l'adozione di tale slogan, esso non aveva giocato un ruolo particolarmente importante nell'agitazione dei partiti comunisti europei e che non si era, per così dire, radicato. Ma ciò è altrettanto vero per altri slogan quali "stato operaio", "Soviet" e così via, ovvero per tutti gli slogan del periodo pre-rivoluzionario. La spiegazione di ciò risiede nel fatto che, sin dalla fine 1923, nonostante le erronee valutazioni politiche del Quinto Congresso, il movimento rivoluzionario nel continente europeo è andato scemando. Ma è proprio per questo che è fatale basare il programma, in tutto o in parte, sulle impressioni ricavate esclusivamente in quel periodo. Non è stato un semplice caso che, malgrado tutti i pregiudizi, lo slogan degli Stati Uniti Sovietici d'Europa sia stato adottato proprio nel 1923, in un momento in cui ci si attendeva un'esplosione rivoluzionaria in Germania ed in cui il problema delle intercorrelazioni tra stati europei assumeva un carattere estremamente stringente. Ogni nuovo aggravarsi della crisi europea e mondiale è tale da portare alla ribalta i principali problemi politici e da investire lo slogan degli Stati Uniti d'Europa di nuovo potere attrattivo. È quindi cosa fondamentalmente errata quella di non menzionar neppure nel programma tale slogan, evitando contemporaneamente di rigettarlo, per tenerselo così in qualche modo come riserva, sì da utilizzarlo "in caso d'emergenza". Quando sono involte questioni di principio, fare riserve è cosa futile.

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4. Il principio dell'Internazionalismo

La bozza, come sappiamo, cerca di procedere nelle sue costruzioni dal punto di partenza dell'economia mondiale e dalle sue tendenze interne - un tentativo che merita d'esser riconosciuto. La Pravda dice cose completamente corrette quanto afferma che qui risiede la differenza di principio basilare tra noi e la socialdemocrazia nazional-patriottica. Un programma del partito internazionale del proletariato può esser costruito solo se l'economia mondiale, che domina sulle sue singole parti, è presa come punto di partenza. Ma è proprio nell'analizzare le tendenze principali dello sviluppo mondiale che la bozza in questione rivela non solo l'inadeguatezza che la svalorizza, come abbiamo già osservato sopra, ma mostra anche d'essere grossolanamente unilaterale, cosa che la porta a commettere gravi errori.

La bozza fa riferimento ai ritmi di crescita e, non sempre in modo appropriato, alla legge dell'ineguale sviluppo capitalistico come alla principale e quasi onnicomprensiva legge di tale sistema produttivo. Un certo numero di errori della bozza, compreso uno fondamentale, sono basati teoricamente su un'unilaterale, falsa, non-marxiana e non-leninista interpretazione della legge dell'ineguale sviluppo.

Nel primo capitolo si afferma che "la non linearità dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo. Questa irregolarità della crescita produttiva diviene ancor più accentuata e aggravata nell'epoca dell'imperialismo".

Questo è vero. Tale formulazione, oltre tutto, condanna l'altra recente formulazione della questione fatta da Stalin, secondo il quale tanto Marx quanto Engels ignoravano tale legge, a suo avviso scoperta per la prima volta da Lenin. Il 15 settembre 1925, Stalin scrisse che Trotsky non aveva la benché minima ragione a far riferimento a Engels, perché quest'ultimo scriveva in un periodo in cui "non si poteva neppure parlare [!!] della conoscenza della legge dell'ineguale sviluppo dei paesi capitalistici". Per quanto incredibili possano essere queste parole, Stalin, uno degli autori della bozza, le ha nondimeno ripetute più di una volta. Il testo della bozza, come abbiamo visto, ha fatto al riguardo un passo avanti. Comunque, se mettiamo da parte la correzione di quest'errore elementare, ciò che si dice a proposito della legge dell'ineguale sviluppo resta essenzialmente unilaterale e inadeguato.

In primo luogo, sarebbe più corretto dire che l'intera storia dell'umanità è governata dalla legge dell'ineguale sviluppo. Il capitalismo trova diverse sezioni del genere umano che già sono poste a differenti livelli di sviluppo, ognuno dei quali con le sue profonde contraddizioni interne. L'estrema differenza nei livelli raggiunti, e la straordinaria irregolarità nel tasso di sviluppo delle differenti sezioni dell'umanità durante le varie epoche, serve come punto di partenza del capitalismo. Il capitalismo acquisisce padronanza di tale irregolarità ereditata solo in modo graduale, rompendola e alterandola, impiegando in essa i propri mezzi e metodi. In contrasto coi sistemi economici che l'hanno preceduto, il capitalismo mira costantemente e per sue leggi interne ad un'espansione economica, a penetrare in nuovi territori, a valicare le differenze economiche, a convertire le autosufficienti economie provinciali e nazionali in un sistema di interconnessioni finanziarie. In tal modo esso determina il loro riavvicinamento ed uniforma il livello economico e culturale dei paesi più arretrati. Senza questo fondamentale processo, sarebbe impossibile concepire il relativo livellamento dell'Europa con la Gran Bretagna (prima) e dell'America con l'Europa (poi), l'industrializzazione delle colonie, la decrescente differenza tra India e Gran Bretagna, e anche tutte le conseguenze che scaturiscono dagli enumerati processi su cui si basa non solo il programma dell'Internazionale Comunista, ma persino la sua stessa esistenza.

Avvicinando economicamente i diversi paesi ed uniformando i loro livelli di sviluppo, il capitalismo, però, opera con mezzi suoi propri, ovvero con mezzi anarchici che minano costantemente il suo stesso lavoro, mettendo i diversi paesi gli un contro gli altri ed un ramo dell'industria contro l'altro, sviluppando alcune parti dell'economia mondiale ed intralciando e facendo arretrare nel contempo lo sviluppo di altre. Solo la correlazione di queste due tendenze fondamentali - entrambe derivanti dalla natura del capitalismo - ci spiega il tessuto vivo del processo storico.

L'imperialismo, grazie all'universalità, penetrabilità, mobilità ed alla corsa a rotta di collo della formazione del capitale finanziario come sua forza motrice, dà vigore ad ambo le tendenze. L'imperialismo collega con incomparabili velocità e profondità le singole economie nazionali e continentali in un'unica entità, portandole alla più stretta e vitale dipendenza l'una dalle altre e rendendo i loro metodi economici, le loro forme sociali ed i loro livelli di sviluppo sempre più uguali. Allo stesso tempo, esso raggiunge questo "obiettivo" con metodi così antagonistici, così violenti e con tali incursioni sulle aree ed i paesi più arretrati, che l'unificazione ed il livellamento dell'economia mondiale che esso ha effettuato vengono da esso stesso rovesciati in modo ancor più violento e convulso che nelle epoche passate. Solo una tale comprensione, dialettica e non puramente meccanica, della legge dello sviluppo ineguale permette di evitare l'errore fondamentale che la bozza del programma, presentata al Sesto Congresso, non ha saputo evitare.

Immediatamente dopo la sua parziale caratterizzazione della legge dell'ineguale sviluppo da noi sottolineata, la bozza del programma dice:

"Da qui ne segue che la rivoluzione proletaria internazionale non dev'essere considerata come un atto singolo, simultaneo ed universale. Da qui deriva che la vittoria del socialismo è inizialmente possibile in pochi paesi, o persino in un isolato paese capitalistico".

La rivoluzione proletaria internazionale non può essere un atto simultaneo, su ciò non può ovviamente esservi alcuna disputa tra adulti (almeno dopo l'esperienza della Rivoluzione d'Ottobre, realizzata dal proletariato di un paese arretrato sotto la pressione di particolari necessità storiche e senza attendere minimamente che il proletariato dei paesi avanzati "uscisse allo scoperto"). Entro questi limiti, il riferimento alla legge dell'ineguale sviluppo è assolutamente corretto e ben posto. Ma le cose sono completamente diverse per la seconda parte della conclusione - ossia la seguente asserzione secondo cui la vittoria del socialismo sarebbe possibile "in un isolato paese capitalistico". Per provare questo punto la bozza si limita a dire: "Da qui deriva che...". Si ha l'impressione che ciò derivi dalla legge dell'ineguale sviluppo. Ma non ne deriva affatto. "Da qui deriva", anzi, quasi l'opposto. Se il processo storico fosse tale per cui alcuni paesi potessero svilupparsi non solo in modo ineguale, ma persino indipendente gli uni dagli altri, isolati l'uno dall'altro, allora dalla legge dell'ineguale sviluppo ne seguirebbe indubbiamente la possibilità di costruire il socialismo in un singolo paese capitalistico - inizialmente nei paesi più sviluppati e poi, con la loro maturazione, in quelli più arretrati. Tale era l'abituale e, per così dire, comune idea sulla transizione al socialismo nelle file della socialdemocrazia ante-guerra. Questa è precisamente l'idea che formò la base teorica per il social-patriottismo. Certamente, la bozza non sostiene questo punto di vista, ma inclina verso di esso.

L'errore teorico della bozza risiede nel fatto che essa cerca di dedurre dalla legge dell'ineguale sviluppo qualcosa che essa non implica e non può implicare. L'ineguale o sporadico sviluppo di vari paesi agisce costantemente a ribaltare, ma in nessun caso a eliminare, i crescenti legami economici e l'interdipendenza tra quei paesi che, già dal giorno dopo e dopo quattro anni di carneficina infernale, si son trovati costretti a scambiarsi carbone, pane, olio, cipria e giarrettiere l'un con l'altro. Su questo punto, la bozza pone la questione come se lo sviluppo storico procedesse solo sulla base di balzi sporadici, mentre le basi economiche che danno luogo a tali balzi, e sulle quali essi avvengono, vengono completamente ignorate o forzatamente rimosse da parte dei suoi autori. È questo ciò che essi fanno già solo difendendo l'indifendibile teoria del socialismo in un paese solo.

Dopo ciò che è stato detto non è difficile comprendere come l'unica formulazione corretta della questione dovrebbe affermare che Marx ed Engels, già prima dell'epoca imperialista, erano giunti alla conclusione che, da un lato, l'irregolarità dello sviluppo (ovvero lo sporadico sviluppo storico) distende la rivoluzione proletaria su tutta un'intera epoca nel corso della quale le nazioni entreranno, una dopo l'altra, in una piena rivoluzionaria; mentre, dall'altro lato, l'organica interdipendenza di molti paesi, che si sviluppa attraverso la divisione internazionale del lavoro, esclude la possibilità di costruire il socialismo in un solo paese. Ciò significa che la dottrina marxiana, che assume che la rivoluzione socialista può iniziare solo su base nazionale mentre la costruzione dl socialismo in un paese è impossibile, si è mostrata doppiamente e triplamente corretta, ancor più oggi, nell'epoca moderna in cui si è sviluppato l'imperialismo, approfondendo ed acuendo entrambe queste antagonistiche tendenze. Su questo punto, Lenin ha semplicemente sviluppato e concretizzato la formulazione propria di Marx e la sua risposta a questo problema.

Il programma del nostro partito è interamente basato sulle condizioni internazionali sottostanti alla Rivoluzione d'Ottobre e alla costruzione socialista. Per provar ciò è sufficiente trascriver per intero la parte teorica del nostro programma. Qui ci limitiamo a far notare che, durante l'Ottavo Congresso del nostro partito, il defunto Podbelsky inferì dal programma alcune formulazioni che facevano riferimento alla sola rivoluzione in Russia; Lenin replicò, nel suo "Discorso conclusivo al dibattito sul programma del partito" (19 marzo 1919), nel modo seguente:

"Il compagno Podbelsky fa obiezione al fatto che una proposizione [della bozza del programma presentata a quel Congresso] parla dell'imminente rivoluzione sociale. Su queste basi egli sostiene che il programma commette il crimine di 'offendere Sua Maestà la rivoluzione sociale'. Eccoci nel bel mezzo di una rivoluzione sociale ed ancora il programma dice che essa è imminente! La sua argomentazione è ovviamente infondata, in quanto il nostro programma si occupa solo della rivoluzione sociale su scala mondiale".

Non sarà fuori luogo far notare qui che, più o meno contemporaneamente, Lenin suggerì di cambiare il nome del nostro partito da Partito Comunista Russo a Partito Comunista, sì da enfatizzare in modo ancora più netto che esso è il partito della rivoluzione internazionale. Io son stato l'unico a votare a favore della mozione di Lenin al Comitato Centrale. Egli però non la portò innanzi al Congresso, in vista della fondazione della Terza Internazionale. Tale posizione è prova del fatto che, a quel tempo, non c'era neppure un indizio del socialismo in un paese solo. Questa è la sola ragione per cui il programma del partito non condanna tale "teoria" ma semplicemente la esclude.

Ma il programma della Lega dei Giovani Comunisti, adottato due anni dopo, doveva invece contenere un diretto avvertimento contro le illusioni nazionaliste e contro la ristretta mentalità nazionale della questione della rivoluzione proletaria, sì da educare i giovani allo spirito dell'internazionalismo. Avremo modo di dilungarci maggiormente su questo punto più avanti nel nostro scritto.

La nuova bozza del programma del Comintern pone la questione in modo alquanto differente. In armonia con l'evoluzione revisionista dei suoi autori iniziata nel 1924, la bozza, come abbiamo visto, sceglie la strada diametralmente opposta. Ma il modo in cui è risolta la questione del socialismo in un paese solo determina la natura dell'intera bozza come documento marxista oppure revisionista.

Ovviamente la bozza enfatizza e spiega, attentamente e persistentemente, la differenza tra una formulazione del problema comunista ed una riformista. Ma tali assicurazioni non risolvono il problema. Siamo qui in una situazione in cui è come se ci si trovasse sul punte di una nave ben equipaggiata, e persino sovraccarica, con numerosi dispositivi e macchinari marxisti, ma la cui vela maestra è sollevata in modo tale da essere volutamente gonfiata da qualsiasi vento riformista e revisionista.

Chiunque abbia appreso qualcosa dall'esperienza degli ultimi tre decenni, e particolarmente dalla straordinaria esperienza in Cina negli anni recenti, comprende la potente interdipendenza dialettica tra la lotta di classe ed i documenti programmatici del partito, e comprenderà la nostra affermazione che la nuova vela revisionista può annullare qualsiasi sicura applicazione del marxismo e del leninismo. Questo è il motivo per cui siamo costretti a duellare in gran dettaglio contro tale questione cardinale, che determinerà per lungo tempo lo sviluppo ed il destino dell'Internazionale Comunista.

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5. La tradizione teorica del partito

La bozza, nelle precedenti citazioni, usa deliberatamente l'espressione "vittoria del socialismo in un paese" così da assicurare un'esterna e puramente verbale somiglianza tra il suo testo ed un articolo di Lenin del 1915, che è stato utilizzato in modo spietato, per non dire criminale, durante la discussione sulla costruzione di una società socialista in un solo paese. La bozza ricorre ogni volta al medesimo metodo "rinviando" per conferma alle parole di Lenin. Questa è la "metodologia scientifica della bozza".

Dalla ricca letteratura marxiana e dal tesoro dei lavori di Lenin - ignorando direttamente tutto ciò che Lenin ha detto, scritto e fatto, ignorando il programma del partito ed il programma della Lega dei Giovani Comunisti, ignorando le opinioni espresse da tutti i leader del partito, senza eccezione alcuna, nel periodo della Rivoluzione d'Ottobre, quando la questione fu posta in modo categorico (e quanto categorico!), ignorando quello che gli autori della bozza stessa, Stalin e Bucharin, han detto fino al 1924 incluso - solo due citazioni estrapolate da Lenin (una dal suo articolo sugli Stati Uniti d'Europa del 1915 e l'altra dalla sua opera postuma e incompleta sulla cooperazione scritta nel 1923) sono state usate in difesa della teoria del socialismo nazionale, la quale è stata creata tra la fine del 1924 e l'inizio del 1925 per incontrare le esigenze della lotta contro il cosiddetto "trotskysmo". Ogni cosa che contraddice queste due citazioni di un paio di righe ciascuna - ovvero l'intero marxismo e leninismo - è stato semplicemente messo da parte. Queste due citazioni, artificialmente create e grossolanamente interpretate dagli epigoni, sono prese come base della nuova e completamente revisionista teoria, la quale ha sconfinate e gravi conseguenze politiche. Stiamo testimoniando agli sforzi di innestare, per mezzo di sofismi e di metodi scolastici, nel tronco marxiano un ramo ad esso assolutamente alieno, che, se innestato, avvelenerà inevitabilmente ed ucciderà l'intero albero.

Al Settimo Plenum del C.E.I.C. Stalin dichiarò (non per la prima volta): "La questione della costruzione di un'economia socialista in un solo paese fu avanzata nel partito da Lenin già dal 1915". (Verbali, Settimo Plenum del C.E.I.C.).

Si ammette così che prima del 1915 non è mai stata fatta alcuna menzione alla questione del socialismo in un paese. Ergo, Stalin e Bucharin non si azzardano ad affrontare l'intera tradizione del marxismo e del partito sulla questione del carattere internazionale della rivoluzione proletaria. Teniamo ciò a mente.

Lasciateci, però, vedere ciò che ha detto Lenin "per la prima volta" nel 1915 [il 23 agosto nel suo articolo " Sullo slogan degli Stati Uniti d'Europa", N.d.T.] in contrapposizione a ciò che Marx, Engels, e lo stesso Lenin han detto in precedenza.

Nel 1915 Lenin ha detto: "L'ineguale sviluppo economico e politico è una legge incondizionata del capitalismo. Da qui deriva che il trionfo del socialismo è, per cominciare, possibile in pochi, o persino in un singolo paese capitalistico. Il vittorioso proletariato di quel paese, avendo espropriato i capitalisti ed avendo organizzato la produzione socialista al suo interno, sarebbe in armi contro il resto del mondo capitalista, attraendo dalla sua parte le classi oppresse degli altri paesi, causando in tali paesi insurrezioni contro i capitalisti, e agendo, in caso di necessità, persino col potere militare contro le classi sfruttatrici dei loro governi".

Che cosa aveva in mente Lenin? Solo che la vittoria del socialismo, nel senso di instaurazione della dittatura del proletariato, è inizialmente possibile in un paese che, per questo stesso motivo, sarà contrapposto al mondo capitalista. Lo stato proletario, per poter resistere agli attacchi ed assumere una propria offensiva rivoluzionaria, dovrà innanzitutto organizzare "la produzione socialista al suo interno", dovrà cioè organizzare la conduzione delle fabbriche espropriate ai capitalisti. Questo è tutto. Tale "vittoria del socialismo" è stata, come si vede, raggiunta per prima cosa in Russia, ed il primo stato operaio, per potersi difendere dall'intervento mondiale, ha dovuto prima di tutto organizzare "la produzione socialista al suo interno", o creare trust "di un tipo coerentemente socialista". Con la vittoria del socialismo in un solo paese, Lenin non nutriva, di conseguenza, alcuna fantasia su una autosufficiente società socialista, ed in un paese arretrato per giunta, ma qualcosa di più realistico, ovvero ciò che la Rivoluzione d'Ottobre è riuscita ad ottenere nel nostro paese nel suo primo periodo di vita.

Tutto ciò necessita forse d'esser provato? Si possono addurre così tante prove che l'unica difficoltà risiede nel far la scelta migliore.

Nelle sue tesi su guerra e pace (7 gennaio 1918 ["Tesi sull'immediata conclusione di una pace separata senza annessioni", punto 5, N.d.T.]) Lenin parlò della "necessità di un certo periodo di tempo, almeno molti mesi, per la vittoria del socialismo in Russia...."

Dopo l'inizio dello stesso anno, ovvero del 1918, Lenin, nel suo articolo intitolato "Sull'infantilismo di sinistra e le tendenze piccolo borghesi", diretto contro Bucharin, scrisse quanto segue: "Se, per esempio, fra sei mesi si instaurasse da noi il capitalismo di Stato, ciò sarebbe un enorme successo e rappresenterebbe la più sicura garanzia che tra un anno il socialismo sarebbe da noi definitivamente consolidato e reso invincibile".

Come ha potuto, Lenin, stabilire un così breve lasso di tempo per la "definitiva instaurazione del socialismo"? Quale contesto sociale e produttivo-materiale ha egli ipotizzato in queste parole?

Tale questione apparirà in una luce differente se ricordiamo che il 29 aprile 1918 Lenin disse, nel suo Rapporto al Comitato Esecutivo Centrale del governo dei Soviet di tutta la Russia: "È difficile potersi aspettare che la prossima generazione, che sarà assai più sviluppata della nostra, conseguirà una completa transizione al socialismo"

Il 3 dicembre 1919, Lenin si espresse ancor più recisamente, dicendo: "Sappiamo che non possiamo attualmente costruire un ordine socialista. Sarà già positivo se i nostri figli o addirittura i nostri nipoti riusciranno a farlo".

In quale di questi due casi aveva ragione Lenin? Quando parlava di una "definitiva vittoria del socialismo" entro dodici mesi, o quando lasciò ad i nostri figli se non ai nostri nipoti il compito di "costruire un ordine socialista"?

Lenin aveva ragione in ambo i casi, poiché egli aveva in mente due fasi completamene differenti e assolutamente incomparabili di sviluppo socialista.

Con "definitiva vittoria del socialismo" nella prima citazione, Lenin non intendeva la costruzione di una società socialista nel giro di un anno o "molti mesi", non intendeva che le classi sarebbero state eliminate, come anche le contraddizioni tra città e campagna; egli intendeva la ripresa della produzione nei mulini e nelle fabbriche nelle mani dello stato proletario, assicurando così la possibilità di scambi di prodotti fra città e campagna. La stessa eccessiva brevità del tempo indicato è una chiave sicura per comprenderne l'intera prospettiva.

Certamente, anche per questo compito elementare, il tempo indicato era troppo breve all'inizio del 1918. È proprio questo pratico "errore di calcolo" ciò che Lenin derise al Quarto Congresso del Comintern quando disse "eravamo più sciocchi di quanto siamo ora". Ma "avevamo una corretta prospettiva generale e non abbiamo creduto neppure per un momento di poter instaurare un completo 'ordine socialista' nel corso di dodici mesi ed in un paese arretrato come il nostro". Il compito di raggiungere questo principale obiettivo finale - la costruzione di una società socialista - era lasciato da Lenin a tre intere generazioni: la nostra, quella dei nostri figli e quella dei nostri nipoti.

Non è chiaro che, nel suo articolo del 1915, Lenin intendeva per organizzazione della "produzione socialista" non la creazione di una società socialista ma l'incomparabilmente più elementare compito che è stato già effettuato nell'URSS? Altrimenti si arriverebbe all'assurda conclusione che, secondo Lenin, il partito proletario, avendo conquistato il potere, "pospone" la guerra rivoluzionaria sino alla terza generazione.

Questa è la spiacevole conclusione del corpo centrale della nuova teoria per quel che concerne la citazione del 1915. Quello che però è ancora più amaro è il fatto che Lenin scrisse questo passaggio non in applicazione della realtà russa. Egli parlava dell'Europa in contrasto alla Russia. Ciò scaturisce non solo dal contenuto del citato articolo, dedicato alla questione degli Stati Uniti d'Europa, ma anche dall'intera posizione di Lenin a quel tempo. Pochi mesi dopo, il 20 novembre 1915 ["Sulle due linee della rivoluzione", N.d.T.],egli scrisse, facendo particolare riferimento alla Russia:

"Il compito del proletariato segue ovviamente dall'attuale stato di cose. È il compito di un'audace, eroica e rivoluzionaria battaglia contro la monarchia (lo slogan della conferenza del gennaio 1912 - i "Tre Pilastri"), una battaglia che dovrebbe attrarre tutte le masse democratiche, prima di tutto, cioè, i contadini. Allo stesso tempo bisogna ingaggiare una spietata battaglia contro lo sciovinismo, una battaglia per una rivoluzione socialista in Europa in alleanza col suo proletariato [...] La crisi bellica ha rafforzato i fattori politici ed economici che costringono la piccola borghesia, contadini inclusi, verso sinistra. Qui risiede la base oggettiva per la possibilità della vittoria della rivoluzione democratica in Russia. Che le condizioni oggettive per una rivoluzione socialista in Europa sono pienamente mature, è già stato riconosciuto prima della guerra da tutti i più eminenti socialisti di tutti i paesi avanzati".

Così, nel 1915, Lenin parlava chiaramente di una rivoluzione democratica in Russia e di una rivoluzione socialista nell'Europa occidentale. Di passaggio, come parlando di un qualcosa di ovvio ed auto-evidente, egli ha menzionato il fatto che nell'Europa occidentale, distinta dalla Russia, in contrasto con la Russia, le condizioni per una rivoluzione socialista erano "pienamente mature". Ma gli autori della nuova teoria, gli autori dell'attuale bozza, semplicemente ignorano tale questione che - fra le altre - si riferisce in modo diretto e chiaro alla Russia, così come essi ignorano centinaia di altri passaggi, così come essi ignorano tutto dei lavori di Lenin. Invece di prender atto di ciò, essi si aggrappano, come abbiamo visto, ad un passaggio che fa riferimento all'Europa occidentale, attribuendogli un significato che esso non contiene e non può contenere, attribuendo questo errato significato alla Russia, un paese al quale questo passaggio non fa riferimento alcuno, e su tali "fondamenta" essi costruiscono la nuova teoria.

Qual era la posizione di Lenin nel periodo appena precedente l'Ottobre? Lasciando la Svizzera dopo la rivoluzione del febbraio 1917, Lenin indirizzò una lettera ai lavoratori svizzeri dichiarando loro:

"La Russia è un paese contadino, uno dei più arretrati paesi d'Europa. Il socialismo non può, lì, trionfare immediatamente, ma il carattere contadino del paese con grossi tratti di terra nella mani dell'aristocrazia feudale e dei grossi proprietari terrieri può, sulla base dell'esperienza del 1905, dare una forte accelerazione alla rivoluzione democratico-borghese russa e fare della nostra rivoluzione il preludio della rivoluzione socialista mondiale, un passo verso di essa... il proletariato russo non può, affidandosi unicamente alle proprie forze, completare vittoriosamente la rivoluzione socialista. Ma può dare alla rivoluzione russa una dimensione tale da creare le condizioni più favorevoli ad essa, e in tale modo, in un certo senso, la inizierà. Esso può facilitar le cose per l'ingresso nella battaglia decisiva del suo principale e più fidato alleato, il proletariato socialista europeo ed americano".

Tutti gli elementi del problema son contenuti in queste poche righe. Se Lenin avesse creduto nel 1915, in tempo di guerra e di reazione, come cercano di convincerci ora, che il proletariato russo avrebbe potuto costruire da solo il socialismo sì da poter addirittura, dopo aver compiuto questo lavoro, dichiarare guerra agli stati borghesi, come avrebbe potuto egli, all'inizio del 1917, dopo la rivoluzione di febbraio, parlare così chiaramente dell'impossibilità per l'arretrata Russia contadina di costruire il socialismo con le sue proprie forze? Si dovrebbe almeno essere logici in qualche modo e, per metterla in modo più brusco, mostrare un minimo di rispetto per Lenin.

Sarebbe superfluo aggiungere ulteriori citazioni. Dare un profilo integrale della visione economica e politica di Lenin, condizionata dal carattere internazionale della rivoluzione socialista, richiederebbe un lavoro separato tale da ricoprire molte materie, ma non la questione della costruzione di un'autosufficiente società socialista in un solo paese, perché Lenin non conosceva neppure tale questione.

Ci sentiamo, però, costretti qui a soffermarci su un altro articolo di Lenin - "Sulla cooperazione" [dettato tra il 4 e il 6 gennaio 1923]- poiché la bozza sembra citare in modo estensivo quest'articolo postumo, utilizza cioè alcune delle sue espressioni per propositi che sono completamene alieni dal senso dell'articolo stesso. Ci riferiamo qui al quinto capitolo della bozza, nel quale si afferma che i lavoratori della Repubblica Sovietica "possiedono nel paese tutti i pre-requisiti necessari e sufficienti" per la completa costruzione del socialismo".

Se l'articolo dettato da Lenin durante la sua malattia, e pubblicato dopo la sua morte, veramente affermasse che lo stato sovietico possiede tutti i necessari e materiali, cioè, prima di tutto, produttivi, pre-requisiti per un'indipendente costruzione di un completo socialismo, si potrebbe solo supporre o che Lenin ha commesso un errore nella sua dettatura, o che lo stenografo ha commesso un errore nella sua trascrizione. Ambo queste congetture sono in ogni caso più probabili del fatto che Lenin abbia abbandonato il marxismo ed i suoi stessi insegnamenti di tutta una vita con due semplici colpi avventati. Fortunatamente, però, non c'è il minimo bisogno di ricorrere a tale spiegazione. Il rimarcabile, per quanto non finito articolo "Sulla Cooperazione" - che è strettamente collegato per unità di pensiero con altri non meno rimarcabili articoli del suo ultimo periodo di vita che costituiscono solo un capitolo dell'incompleto libro che si occupa del posto occupato dalla Rivoluzione d'Ottobre nella catena di rivoluzioni in occidente ed in oriente - non parla affatto di quelle cose che i revisionisti del leninismo così spensieratamente gli attribuiscono.

In questo articolo Lenin spiega che le cooperative "di scambio" possono e devono cambiare il loro ruolo nello stato operaio e che esse, attraverso una politica corretta, devon dirigere l'integrazione degli interessi privati dei contadini con gli interessi generali dello Stato lungo linee socialiste. Lenin sostanzia quest'irrefutabile idea nel modo seguente:

"Come dato di fatto il potere dello Stato su tutti i grandi mezzi di produzione, il potere dello Stato nelle mani del proletariato, l'alleanza di questo proletariato con svariati milioni di contadini con piccole proprietà e la sicura leadership dei proletari nelle loro relazioni coi contadini - tutto ciò non è forse necessario per le cooperative, e per esse sole, che son state in precedenza trattare come meri commercianti (e che, da un certo punto di vista, abbiamo ancora il diritto di trattare come tali persino ora sotto la N.E.P.), non è forse tutto ciò necessario per la costruzione di una completa società socialista? Non è ancora la società socialista, ma è tutto ciò che è necessario e sufficiente per questa costruzione"

Il testo del passaggio che include questa frase lasciata incompleta ["per le cooperative, e per esse sole" (?), L.T.] prova irrefutabilmente che ci troviamo innanzi ad una bozza che è stata dettata e scritta ma che non è stata corretta. È un errore inammissibile quello di avvinghiarsi a poche isolate parole senza neppur cercare di comprendere l'idea generale dell'intero articolo. Fortunatamente, però, persino la lettera del citato passaggio, e non solo il suo spirito, non dà a nessuno il diritto di usarla nel modo improprio con cui è stata usata dagli autori della bozza del programma. Parlando dei pre-requisiti "necessari e sufficienti", Lenin limita strettamente in questo articolo il loro soggetto. In esso egli si occupa unicamente della questione riguardante le vie ed i mezzi con cui raggiungeremo il socialismo attraverso le atomizzate e diffuse imprese agricole e senza nuove sollevazioni di classe, avendo come nostra base i pre-requisiti del regime sovietico. L'articolo è interamente devoto alle forme socio-organizzazionali della transizione dalla piccola produzione privata all'economia collettiva, ma non alle condizioni materiali-produttive per tale transizione. Si mostrasse oggi vittorioso il proletariato europeo e venisse ad assisterci con la sua tecnologia, la questione della cooperazione sollevata da Lenin, come metodo socio-organizzazionale per coordinare gli interessi privati e quelli sociali, manterrebbe ancora tutta la sua significatività. La cooperazione indica la via attraverso la quale la tecnologia avanzata può riorganizzare ed unire i milioni di imprese agricole, una volta che esiste il regime sovietico. Ma la cooperazione non può esser sostituita alla tecnologia ed essa non può neppure creare tale tecnologia. Lenin non si limita a parlare di pre-requisiti necessari e sufficienti in generale, ma, come abbiamo visto, egli li enumera chiaramente. Essi sono: (1) "potere dello Stato su tutti i grandi mezzi di produzione" (frase non riveduta e corretta); (2) "potere dello Stato nelle mani del proletariato"; (3) "l'alleanza di questo proletariato con svariati milioni di contadini"; (4) "sicura leadership dei proletari nelle loro relazioni coi contadini". È solo dopo aver enumerato queste condizioni puramente politiche - nulla viene qui detto riguardo le condizioni materiali - che Lenin giunge alla sua conclusione, ovvero che "ciò" (tutto quel che si è detto sopra) "è tutto quello che è necessario e sufficiente" per la costruzione della società socialista. "Tutto ciò che è necessario e sufficiente" sul piano politico, ma nulla di più. Ma, aggiunge correttamente Lenin subito dopo, "non è ancora la costruzione della società socialista". Perché no? Perché le condizioni politiche da sole, per quanto sufficienti possano essere, non risolvono il problema. Resta ancora la questione culturale. "Solo" questa, dice Lenin, sottolineando la parola "solo" per enfatizzare l'importanza dei pre-requisiti che ci mancano. Lenin sapeva tanto quanto noi che la cultura è strettamente connessa alla tecnologia. "Per essere acculturati" - egli dice ai revisionisti per riportarli sulla terra - "è necessaria una certa base materiale". È sufficiente menzionare il problema dell'elettrificazione che Lenin, a proposito, univa coscientemente alla questione della rivoluzione socialista internazionale. La battaglia per la cultura, dati i "necessari e sufficienti" pre-requisiti politici (ma non materiali), assorbirebbe tutte i nostri sforzi, se non fosse per il problema dell'ininterrotta e inconciliabile lotta economica, politica, militare e culturale che il paese ha ingaggiato per costruire una società socialista su basi arretrate contro un capitalismo mondiale che, seppur sia in declino, è tecnologicamente potente.

"Son pronto ad affermare [sottolinea Lenin con particolare enfasi verso la fine del suo articolo] che il centro di gravità si sposterebbe per noi al lavoro culturale, se non fosse per il nostro dovere di lottare per le nostre posizioni su scala internazionale".

Questa è la reale idea di < Lenin se analizziamo il suo l'articolo sulla cooperazione, anche mettendo da parte tutti gli altri suoi lavori. In che altro modo, se non come falsificazione, possiamo definire la formula usata dagli autori della bozza del programma che prendono deliberatamente le parole di Lenin sul possesso da parte nostra dei pre-requisiti "necessari e sufficienti" aggiungendo ad essi i basilari pre-requisiti materiali, malgrado Lenin parli in modo chiaro dei pre-requisiti materiali dicendo che son proprio quelli che ci mancano e che dobbiamo guadagnare nella lotta "per le nostre posizioni su scala internazionale", cioè in connessione con la rivoluzione proletaria internazionale? Ecco come stanno le cose con la seconda, ed ultima, roccaforte difensiva della nuova teoria.

Non ci siamo, di proposito, occupati qui degli innumerevoli articoli e discorsi dal 1915 al 1923 in cui Lenin afferma e ripete nel modo più categorico che senza una vittoriosa rivoluzione mondiale saremo destinati al fallimento, che è impossibile sconfiggere economicamente la borghesia in un singolo paese, particolarmente in un paese arretrato, che il compito di costruire una società socialista è nella sua stessa essenza un compito internazionale - da cui Lenin trae la conclusione che potrebbe apparire "pessimistica" ai promulgatori della reazionaria utopia nazionale ma che è sufficientemente ottimistica dal punto di vista dell'internazionalismo rivoluzionario. Abbiam qui concentrato i nostri argomenti unicamente ai passaggi che gli autori stessi della bozza hanno scelto per poter creare i pre-requisiti "necessari e sufficienti" della loro utopia. E abbiam visto che l'intera loro struttura si sbriciola non appena viene toccata.

Riteniamo, però, che sia opportuno presentare almeno una delle dichiarazioni di Lenin che si occupa direttamente della questione qui dibattuta e che non necessita di alcun commento e non può esser soggetta a false interpretazioni.

"Abbiamo enfatizzato in molti dei nostri lavori, in tutti i nostri discorsi e su tutta la nostra stampa che la situazione in Russia non è la stessa presente nei paesi capitalistici avanzati, che in Russia disponiamo di una minoranza di operai industriali e di una schiacciante maggioranza di piccoli artigiani. Una rivoluzione sociale in tale paese potrebbe divenir finalmente vittoriosa solo a due condizioni: primo, a condizione che giunga un tempestivo appoggio dalla rivoluzione sociale di uno o più paesi avanzati ... secondo, che ci sia un accordo tra il proletariato, che stabilisce la dittatura e che tiene nelle sue mani il potere dello Stato, e la maggioranza della popolazione contadina...

"Sappiamo che solo un accordo con i contadini può salvare la rivoluzione socialista in Russia fintantoché non giunge la rivoluzione in altri paesi". (1921)

Ci auguriamo che tale passaggio sia sufficientemente istruttivo. Primo, Lenin stesso enfatizza in esso che le idee da lui avanzate son state sviluppate "in molti dei nostri lavori, in tutti i nostri discorsi e su tutta la nostra stampa"; secondo, questa prospettiva era presa da Lenin non nel 1915, due anni prima della Rivoluzione d'Ottobre, ma nel 1921, il quarto anno dopo tale rivoluzione.

Per quel che concerne Lenin, ci arrischiamo a pensare che tale questione sia sufficientemente chiarita. Ci resta da chiederci ancora una cosa: qual era in precedenza l'opinione degli autori della bozza sulle questioni che ci troviamo ora innanzi?

Su questo punto, Stalin ha detto, nel novembre 1926: "Il partito ha sempre preso come punto di partenza l'idea che la vittoria del socialismo in un paese significa la possibilità di costruire il socialismo in quel paese, e che questo compito può esser realizzato con le forze di un singolo paese". (Pravda, 12 novembre 1926.)

Sappiamo già che il partito non ha mai preso questo come punto di partenza. Al contrario, "in molti dei nostri lavori, in tutti i nostri discorsi e su tutta la nostra stampa", come ha detto Lenin, avanzava proprio dalla posizione opposta, che ha trovato la sua massima espressione nel programma del PCUS. Ma uno potrebbe immaginarsi che quantomeno Stalin abbia proceduto "sempre" dal falso punto di vista secondo cui "il socialismo può esser realizzato con le forze di un singolo paese". Verifichiamo.

Non abbiamo alcuno strumento per poter dire quale fosse la prospettiva di Stalin su tale questione negli anni 1905 o 1915, poiché non esiste in materia alcun documento. Ma, nel 1924, Stalin presento il punto di vista di Lenin sulla costruzione del socialismo nel modo seguente:

"Abbattere il potere della borghesia e stabilire il potere del proletariato in un paese non equivale a garantire la completa vittoria del socialismo [...] Il compito principale del socialismo " l'organizzazione della produzione socialista " è ancora avanti. Può questo compito essere realizzato, è possibile ottenere la vittoria del socialismo in un solo paese, senza lo sforzo combinato dei proletari di svariati paesi avanzati? No, ciò è impossibile. Gli sforzi di un paese sono sufficienti ad abbattere la borghesia " questo è ciò che la storia c'insegna. Per la vittoria finale del socialismo, per l'organizzazione della produzione socialista, gli sforzi di un solo paese, specialmente un paese contadino come la Russia, non sono sufficienti " per questo sono necessari gli sforzi dei proletari di svariati paesi avanzati [...]
"Questi, nel complesso, sono i tratti caratteristici della teoria leninista della rivoluzione proletaria" ( Stalin, Principi del Leninismo, prima edizione russa, 1924).

Bisogna ammettere che "i tratti caratteristici della teoria leninista" sono qui presentati in modo piuttosto corretto. Nelle successive edizioni del libro di Stalin questo passaggio è stato alterato, giungendo a dire esattamente l'opposto e ad etichettare, nel giro di un anno, "i tratti caratteristici della teoria leninista" come... trotskysmo. Il Settimo Plenum del C.E.I.C. ha approvato le sue decisioni non sulla base dell'edizione del 1924, ma di quella del 1926.

Ecco come stanno le cose con Stalin. Nulla ci può essere di più deplorevole. Potremmo certamente riconciliarci con questo fatto, se la faccenda non fosse altrettanto deplorevole per quel che concerne il Settimo Plenum del C.E.I.C.

Non è possibile nemmeno affermare che Bucharin, il vero autore della bozza, abbia "sempre proceduto" dalla possibilità di realizzare il socialismo in un solo paese. Verifichiamo anche questo.

Ecco ciò che Bucharin ha scritto in tema nel 1917: "Le rivoluzioni sono le locomotive della storia. Persino nell'arretrata Russia, l'insostituibile macchinista di questa locomotiva può esser solo il proletariato. Ma il proletariato non può star più entro l'ordinamento delle relazioni di proprietà della società borghese. Esso marcia verso il potere e verso il socialismo. Comunque, questo compito che è messo 'all'ordine del giorno' in Russia, non può essere realizzato 'entro i confini nazionali'. Qui la classe operaia incontra un muro insormontabile [Osservate: 'un muro insormontabile' -- L.T.] che può essere abbattuto solo dalla testa d'ariete della Rivoluzione Operaia Internazionale". ( Bucharin, Lotta di classe e rivoluzione in Russia, pp. 3f., edizione Russa, 1917).

Non si sarebbe potuto esprimere più chiaramente. Queste erano le prospettive tenute da Bucharin nel 1917, due anni dopo i presunti "cambiamenti" di Lenin del 1915. Ma ha forse la Rivoluzione d'Ottobre insegnato a Bucharin qualcosa di diverso? Ancora, lasciateci verificare.

Nel 1919 Bucharin scrisse, sull'organo teorico dell'Internazionale Comunista, riguardo "La dittatura proletaria in Russia e la rivoluzione mondiale", dicendo:

"Nell'esistente economia mondiale e data la connessione tra le sue parti, con la mutua interdipendenza di vari gruppi borghesi nazionali, è auto-evidente che la battaglia in un paese non può concludersi senza una decisiva vittoria di una o dell'altra parte in svariati paesi civilizzati".

A quel tempo ciò era addirittura "auto-evidente". Egli procede:

"Nella letteratura marxiana e quasi-marxiana del periodo pre-bellico, è stata molte volte sollevata la questione se la vittoria del socialismo fosse possibile in un singolo paese. Molti degli autori replicarono a questa domanda in modo negativo [e cosa a proposito di Lenin nel 1915? -- L.T.] da cui non si deve però affatto concludere che sia impossibile o inammissibile iniziare tale rivoluzione per prendere il potere in un singolo paese".

Perfetto! Nello stesso articolo leggiamo:

"Il periodo della crescita delle forze produttive può iniziare solo con la vittoria del proletariato in diversi paesi principali. Da qui segue che un ampio sviluppo della rivoluzione mondiale e la formazione di una forte alleanza economica dei paesi industriali con la Russia sovietica è necessario". (N. Bucharin, "La dittatura proletaria in Russia e la rivoluzione mondiale," Internazionale Comunista, No. 5, 1919).

L'affermazione di Bucharin secondo cui una crescita delle forze produttive, ovvero un reale sviluppo socialista, comincerà nel nostro paese solo dopo la vittoria del proletariato degli avanzati paesi europei, è l'identica affermazione che è stata usata come base di tutti gli atti d'accusa contro il "trotskysmo", inclusa l'accusa al Settimo Plenum del C.E.I.C. L'unica cosa peculiare è che Bucharin, che deve la sua salvezza alla sua scarsa memoria, era avanti nella veste di accusatore. Al fianco di questa ironica circostanza, c'è un'altra che però è tragica, ovvero che tra gli accusati c'era anche Lenin, il quale ha espresso dozzine di volte la medesima elementare idea.

Infine, nel 1921, sei anni dopo il presunto cambiamento di Lenin del 1915 e quattro anni dopo la Rivoluzione d'Ottobre, il Comitato Centrale guidato da Lenin ha approvato il programma della Lega dei Giovani Comunisti, ch'era stato redatto da una commissione diretta da Bucharin. Nel paragrafo 4 di questo programma si legge:

"In URSS il potere dello Stato è già nelle mani della classe operaia. Nel corso di tre anni di eroica battaglia contro il capitalismo mondiale, il proletariato ha mantenuto e rafforzato il governo sovietico. La Russia, malgrado possieda enormi risorse naturali, è, nondimeno, da un punto di vista industriale, un paese arretrato nel quale predomina una popolazione piccolo borghese. Essa può giungere al socialismo solo attraverso la rivoluzione proletaria mondiale, nella cui epoca di sviluppo siamo ora entrati".

Questo singolo paragrafo del programma della Lega dei Giovani Comunisti (non un articolo occasionale, ma un programma!) rende ridicoli e veramente infami tutti i tentativi degli autori della bozza di provare che il partito ha "sempre" sostenuto che la costruzione di una società socialista è possibile già in un solo paese e, oltretutto, proprio in Russia. Se fosse stato "sempre" così, perché allora Bucharinha scritto tale paragrafo nel programma della Lega dei Giovani Comunisti? Dove guardava Stalin a quel tempo? Come avrebbero potuto Lenin e l'intero Comitato Centrale approvare tale eresia? Com'è accaduto che nessuno nel partito abbia notato tale "sciocchezza" o sollevato la propria voce contro di essa? Non sembra esso un sinistro gioco che si sta trasformando in una vera e propria parodia del partito, della sua storia e del Comintern? Non è tempo di porre fine a questo gioco? Non è ormai tempo di dire ai revisionisti: non osate nascondervi dietro Lenin e dietro la tradizione teorica del partito!?

Al Settimo Plenum del CEIC, così da poter fornire le basi per la risoluzione di condanna al "trotskysmo", Bucharin, la cui salvezza risiede nella sua scarsa memoria, ha fatto la seguente affermazione:

"Nella teoria della rivoluzione permanente del compagno Trotsky - e il compagno Trotsky propone questa teoria perfino oggi - si trova addirittura l'asserzione che, a causa della nostra arretratezza economica, dovremo inevitabilmente perire se non ci sarà una rivoluzione internazionale" (Verbali, p. 115.)

Al Settimo Plenum io parlai delle lacune della teoria della rivoluzione permanente così come io la formulai nel 1905-1906. Ma naturalmente non mi è mai passato per la testa di rinunciare a nulla di questa teoria che fosse fondamentale, che mi ha portato ad essere così vicino a Lenin e che rende per me completamente inaccettabile l'attuale revisione del leninismo.

Vi erano due proposizioni fondamentali nella teoria della rivoluzione permanente. Primo: che, malgrado l'arretratezza storica della Russia, la rivoluzione avrebbe potuto trasferire il potere nelle mani del proletariato russo prima ancora che il proletariato dei paesi avanzati fosse capace di prenderlo. Secondo: che lo sbocco di quelle contraddizioni che avrebbero portato alla dittatura proletaria in un paese arretrato, circondato da un mondo di nemici capitalisti, sarebbe stato trovato nell'arena della rivoluzione mondiale. La prima proposizione è basata su una corretta comprensione della legge dell'ineguale sviluppo. La seconda dipende da una corretta comprensione dell'indissolubilità dei legami economici e politici tra paesi capitalisti. Bucharin ha ragione nel dire che tutt'oggi continuo a sostenere queste due proposizioni basilari della teoria della rivoluzione permanente. Oggi ancor più di ieri. Poiché, nella mia opinione, esse son state completamente verificate e provate; teoricamente, nei lavori di Marx e Lenin; in pratica, dall'esperienza della Rivoluzione d'Ottobre.


Ultima modifica 24.12.2003