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La difficile questione dei tempi

edizioni LOTTA COMUNISTA

Arrigo Cervetto (1981-1984)

 


Edizioni Lotta Comunista
Trascritto per internet da Antonio Maggio (Primo Maggio), agosto 2001

 

capitolo primo

La questione dei tempi nella teoria e nella pratica marxista

La questione dei tempi
La teoria dei tempi
I tempi dell'oceano pacifico
La "questione difficile" dei tempi
I tempi lunghi del revisionista Cunow
La tattica nella strategia dei tempi lunghi
La concezione materialistica nella politica dei tempi lunghi
La restaurazione leninista della questione dei tempi
Il tempo delle forze produttive e del partito
L'accelerazione del tempo imperialistico
Le alleanze del tempo imperialistico
Il tempo del capitale complessivo sociale
I tempi della NEP di Lenin
I tempi di una lotta inedita
Il tempo della chiarezza di Lenin
I tempi della tradizione di classe

La questione dei tempi
Nel 1916 Lenin, nell'articolo "A proposito di una caricatura del marxismo", valutava che la maggior parte dell'umanità non avesse ancora raggiunto lo stadio dello sviluppo capitalistico: "la maggioranza dei paesi e della popolazione della terra non sono nemmeno al grado capitalistico, o sono soltanto all'inizio di tale grado di sviluppo".

In sessantacinque anni la stragrande maggioranza della popolazione della terra è giunta pienamente al grado capitalistico di sviluppo. La storia di questi sessantacinque anni è la storia di tale passaggio. E' un fenomeno sociale di enormi proporzioni. Non era mai accaduto nella storia che il modo di produzione capitalistico si diffondesse, in così breve arco di tempo, con tale estensione di spazio. Non era mai accaduto che il capitalismo si diffondesse con tale velocità.

L'Europa occidentale e il Nordamerica, per giungere al grado capitalistico di sviluppo, impiegarono molto più tempo e procedettero più lentamente.
Amadeo Bordiga, in varie occasioni, ha richiamato ad un importantissimo dibattito il movimento comunista:

"Nella grande discussione del 1926 sorse la questione dei tempi, che abbiamo fondamentalmente chiarita.
Stalin diceva: se qui il pieno socialismo è impossibile, allora dobbiamo lasciare il potere.
Trotsky gridò di credere nella rivoluzione internazionale, ma di doverla attendere al potere anche per 50 anni.
Gli fu risposto che Lenin aveva parlato di 20 anni per la Russia isolata. Documentammo che Lenin intendeva 20 anni di buoni rapporti con contadini, dopo dei quali, anche in Russia economicamente non socialista, si sarebbe scatenata la lotta di classe tra operai e contadini per troncare la microproprietà rurale e il microcapitale privato agrario, tara della rivoluzione".

La questione dei tempi, come la chiama Bordiga, ha sollevato periodiche discussioni le quali, in quanto tali, non potevano fornire soluzioni.
L'importanza della questione sta proprio nel fatto che il marxismo l'abbia posta e la ponga sistematicamente. La discussione è solo un momento e un'occasione per riportare al centro del lavoro teorico e politico una parte integrante di questo lavoro, una costante della elaborazione e della pratica che, a volte e per tutta una serie di cause oggettive, diminuisce di intensità.
Quando viene a mancare, nella elaborazione e nella pratica, il riferimento alla questione dei tempi, quando la soluzione dei problemi immediati del proletariato rivoluzionario viene cercata nel quadro contingente nel quale sono collocati i problemi che si presentano come immediati, quando prevale la esigenza di trovare la soluzione a problemi che insorgono nella contingenza solo perché sono determinati storicamente e solo perché non hanno una natura contingente, si presenta in tutta la sua drammaticità la impossibilità pratica di soluzione dei problemi immediati. La questione dei tempi, trascurata nella elaborazione teorica si traduce nella incapacità pratica di impostare correttamente i problemi immediati e, quindi, di risolverne quella parte che oggettivamente può essere risolta. In astratto tutti i problemi sono immediati e irrisolvibili poiché, se sono problemi reali e non falsi problemi, rappresentano la manifestazione di una contraddizione e, quindi, di un processo dinamico, dato che ciò che è statico non costituisce una contraddizione ma neppure un problema. Non esiste, quindi, problema che non abbia un passato, un presente e un futuro.

Quello che definiamo un problema immediato per una classe è, in realtà, un insieme di aspetti collegati l'uno all'altro, un insieme di nessi reciproci che si influenzano l'uno con l'altro, un insieme di rapporti dialetticamente intrecciati.

Visti nella loro staticità questi aspetti o nessi assumono una priorità equivalente, ossia sembrano tutti primari; siccome è la loro somma a costituire il problema e data la impossibilità di risolverli nella totalità, altrimenti non si sarebbero mai sommati in problema, ne deriva la oggettiva incapacità di sciogliere il nodo determinato.

Ma se sono visti nella loro dinamica mutano anche nella loro disposizione e ciò che ieri era primario, oggi non lo è e domani lo ridiventa.

Il problema, che è un insieme di aspetti, può essere scomposto non in modo arbitrario ma nella elaborazione scientifica e, quindi, nell'azione politica pratica corrispondente. Se la scienza è corretta e la pratica è conseguente, il nodo può essere sciolto. E' la tattica derivata dalla strategia che lo può fare.
Ecco perché la questione dei tempi è una costante del marxismo. Essa permette di analizzare i problemi nel loro corso storico e di seguirne la loro dinamica di formazione, di sviluppo e di maturità. La scienza marxista studia lo sviluppo e, quindi, la dinamica temporale. Più che una questione di tempi è un metodo sul tempo e sullo spazio che, se applicato con tutti i criteri specifici disponibili, trascende la particolare questione dei tempi in quanto la ingloba organicamente.

Se questa periodicamente si pone, indipendentemente dal fatto che nella elaborazione sia stata trascurata l'analisi della dinamica, è anche per la difficoltà dell'analisi stessa, per la mancanza di materiale selezionato o per la insufficienza di strumenti teorici.

Individuare la tendenza di sviluppo e la dinamica del movimento non vuol dire poter disporre ancora delle grandezze che lo costituiscono.

La misura di tempo è la misura di ritmo e la misura di ritmo è quantità. La quantità del movimento sociale che conduce al rivoluzionamento del modo capitalistico di produzione e alla rivoluzione proletaria è vasta quanto il movimento stesso. La vita sociale, economica e politica, è una quantità infinita di atti ed è, perciò, quantificabile.

Il modo capitalistico di produzione, basato sul profitto e sul calcolo di profitto, con lo scambio di valori equivalenti sviluppa al massimo la misura della quantità. Ciò offre al marxismo la possibilità di poter disporre sempre più della statistica sociale, ma la scuola marxista non ha utilizzato appieno tale possibilità. L'opera pionieristica di Lenin sulla questione agraria, sullo sviluppo del capitalismo russo e sull'imperialismo non ha trovato ancora quel seguito che era necessario.

Troppi sono gli anni di ritardo anche in questo campo.

Sono anni che hanno pesato negativamente nella impostazione e nella comprensione della questione dei tempi dibattuta nel corso della rivoluzione russa.

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La teoria dei tempi

La questione dei tempi è al centro di ogni visione strategica del movimento rivoluzionario perché è una questione teorica e di adeguati strumenti tecnici.
Da questo punto di vista marxista occorre vedere, assieme ad altri aspetti, l'affermazione di Lenin secondo la quale senza teoria rivoluzionaria non vi è movimento rivoluzionario.
Senza teoria rivoluzionaria del tempo storico non vi può essere movimento rivoluzionario nel presente. La teoria rivoluzionaria che riguarda i tempi dei processi sociali e dei conseguenti movimenti politici è, in definitiva, una applicazione della fondamentale teoria dello sviluppo capitalistico elaborata da Marx e da Engels.
Questa teoria ebbe uno dei suoi intensi momenti creativi dopo il fallimento delle rivoluzioni del 1848.
Nell'agosto del 1849 Marx si rifugia a Londra, dove passerà gran parte della sua vita. Nel 1850 rilancia la" Neue Rheinische Zeitung, Politisch-Oekonomische Revue", della quale, con tiratura di 2500 copie, usciranno pochi numeri prima di cessare per mancanza di mezzi finanziari.
Con la "Revue" pensa di utilizzare il tempo della tregua per approfondire i tempi della rivoluzione, ossia di fare un bilancio del 1848-1849 per tracciare la prospettiva del futuro.
Marx si propone di "... fornire una trattazione scientifica completa dei rapporti economici che costituiscono la base del movimento politico complessivo".
E quello che lui ed Engels faranno nel primo anno londinese.
Nell'ultimo numero della "Revue", in ottobre, le conclusioni sono tratte: "Data questa prosperità universale, in cui le forze produttive della società borghese si sviluppano con quella sovrabbondanza che è, in generale, possibile nelle condizioni borghesi, non si può parlare di una vera rivoluzione. Una rivoluzione siffatta è possibile solamente in periodi in cui entrambi questi fattori, le forze moderne di produzione e le forme borghesi di produzione, entrano in conflitto tra di loro. Le diverse beghe, a cui attualmente si abbandonano i rappresentanti delle singole frazioni del partito continentale dell'ordine e in cui si compromettono a vicenda, ben lungi dal fornire l'occasione di nuove rivoluzioni, sono al contrario possibili soltanto perché la base dei rapporti è momentaneamente così sicura e, ciò che la reazione ignora, così borghese.
Contro di essa si spezzeranno tutti i tentativi reazionari di arrestare l'evoluzione borghese, come tutta l'indignazione morale e tutti i proclami ispirati dai democratici.
Una nuova rivoluzione non è possibile se non in seguito a una nuova crisi. L'una però è altrettanto sicura quanto l'altra".
Nel 1895 Engels, pubblicando una nuova edizione de "Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850", aggiunse, come quarto capitolo, parti dell'articolo dell'ultimo numero della "Revue", affermando che costituivano "una reale conclusione al tutto". Segno che, a quasi cinquanta anni di distanza, le riteneva sempre valide.
Il bilancio steso nel 1850 non è, perciò, una semplice riflessione sulla rivoluzione del 1848 ma è, soprattutto, una teoria per la rivoluzione del futuro.
La "trattazione scientifica completa dei rapporti economici", che culminerà ne "Il Capitale", analizzerà "la base del movimento politico complessivo"; analizzando il mercato mondiale viene impostata scientificamente la questione dei tempi del "movimento politico complessivo". In tutti i sensi e per tutte le classi e non solo per il proletariato.
Nel momento in cui Marx stabilisce la base oggettiva della rivoluzione nella crisi sottolinea l'impotenza dei reazionari e dei democratici di fronte alla evoluzione delle forze produttive. La lotta delle frazioni della classe dominante diventa, perciò, non una occasione di crisi ma una possibilità' di evoluzione della borghesia.
Nel secondo fascicolo della "Neue Rheinische Zeitung, Politisch-Oekonomische Revue", del febbraio 1850, Marx ed Engels pubblicano, in forma anonima, una "Rassegna" di politica internazionale nella quale, oltre ad una infinità di significative valutazioni, troviamo alcuni passi di estrema importanza: "Mentre negli ultimi due anni il continente è stato in preda a rivoluzioni, controrivoluzioni e al fiume di eloquenza che inevitabilmente vi si accompagna, l'Inghilterra industriale si è dedicata a tutt'altro articolo: la prosperità".
La rivoluzione di febbraio ha allontanato "la concorrenza dell'industria continentale" e "ha aiutato gli inglesi a superare la crisi nel giro di un anno e in maniera del tutto tollerabile".
Solo la passione rivoluzionaria e la fredda genialità scientifica potevano condurre due combattenti a ricercare e a scoprire le cause del fallimento del movimento politico continentale, al quale avevano attivamente partecipato; quindi, anche le cause del fallimento della loro strategia di " rivoluzione in permanenza", basata su scadenze e tempi che oggettivamente non potevano avverarsi.
Lo schema strategico del passaggio dalla rivoluzione democratico-borghese alla rivoluzione socialista -proletaria corrispondeva sì alla dinamica delle lotte delle classi, ma non ad "una trattazione scientifica completa dei rapporti economici" che determinano la dinamica complessiva delle lotte politiche delle classi. Le rivoluzioni, nel continente, hanno favorito il capitalismo inglese e dilazionato la sua crisi.
Una riflessione di questa portata spinge, inevitabilmente, a lanciare lo sguardo oltre l'Oceano.

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I tempi dell'oceano pacifico

Nello scritto sulla Revue dell'ottobre 1850, Marx ed Engels passano ad occuparsi dell'America: "il fatto più importante che si è qui verificato, più importante ancora della rivoluzione di febbraio, è la scoperta delle miniere d'oro in California. Già ora, dopo solo diciotto mesi, è possibile prevedere che essa avrà conseguenze ancor più grandiose che non la stessa scoperta dell'America
Una costa di trenta gradi di latitudine, una delle zone più fertili e belle del mondo, finora praticamente disabitata, va trasformandosi a vista d'occhio in un paese ricco e civilizzato, densamente popolato da gente di tutte le razze, dallo yankee al cinese, dal negro all'indiano al malese, dal creolo al meticcio all'europeo. L'oro californiano si riversa a fiumi sull'America e sulla costa asiatica dell'oceano Pacifico e trascina gli indocili popoli barbarici nel commercio mondiale, nella civiltà. Per la seconda volta il commercio mondiale subisce un colpo di timone."
Dopo aver previsto, con impressionante lungimiranza, il ruolo della California nello sviluppo del mercato americano e di quello asiatico, Marx ed Engels scrivono che "ben presto" New York e San Francisco soppianteranno Londra e Liverpool quali "empori del commercio mondiale". Dicono di più:
"Il fulcro del traffico mondiale -nel medioevo l'Italia, nell'epoca moderna l'Inghilterra- sarà ora la metà meridionale della penisola nordamericana. L'industria e il commercio della vecchia Europa debbono impegnarsi a fondo se non vogliono finire nella stessa decadenza toccata all'industria e al commercio italiani dal XVI secolo in poi, e se Inghilterra e Francia non vogliono ridursi a quello che oggi sono Venezia, Genova e Olanda.
Grazie all'oro californiano e all'instancabile energia degli yankees, presto ambedue le coste dell'oceano Pacifico saranno popolate, aperte al commercio e industrializzate quanto lo è attualmente la costa da Boston a New Orleans.
Allora l'oceano Pacifico avrà la stessa funzione che ora ha l'oceano Atlantico, e che nel medioevo fu del Mediterraneo, la funzione cioè di grande via marittima del traffico mondiale; e l'oceano Atlantico si ridurrà al ruolo di mare interno, come è ora il Mediterraneo".
Alla luce di queste chiare affermazioni non si può proprio dire che Marx ed Engels avessero una visione ristretta del mercato mondiale e che ne limitassero la potenzialità alle possibilità espansive del capitalismo inglese. Non potevano, quindi, pensare ad un crollo del capitalismo determinato dall'esaurimento della potenzialità del capitalismo inglese sul mercato mondiale e neppure a quelle del capitalismo europeo. Anzi, essi ritengono che oltre al capitalismo inglese, anche quello europeo e, in generale, quello collegato al commercio dell'oceano Atlantico siano destinati al declino di fronte allo sviluppo impetuoso del capitalismo dell'oceano Pacifico.
Se si considera ciò che è stato, per più di un secolo, lo sviluppo della costa occidentale americana, del Giappone e dell'Asia non si può che ammirare una così grandiosa visione storica, tratta dalla scoperta scientifica delle leggi di movimento del modo di produzione capitalistico e applicata alla individuazione di alcune tendenze fondamentali di sviluppo, ma, per forza di cose, non ancora sorretta da quella montagna di fatti concreti e di dati che solo il tempo e il perfezionamento degli strumenti tecnici avrebbero fornito.
Si è molto parlato, da parte di varie correnti revisioniste, di particolarità del capitalismo americano che avrebbero resa non valida per gli Stati Uniti l'analisi de "Il Capitale", analisi tratta dalla esperienza inglese. La corrente di Earl Browder, ad esempio, pretese che, per tali particolarità, non si potessero ritenere operanti nel mercato americano alcune leggi oggettive del capitalismo agenti in Inghilterra.
Il problema di fondo, invece, doveva essere quello indicato da Marx ed Engels, ossia quello del futuro capitalistico del bacino del Pacifico. Il fatto che questo problema sia stato a lungo trascurato, quando non addirittura misconosciuto, è già di per sè un elemento che aiuta a comprendere molte lacune e molti errori di impostazione strategica.
Lenin, invece, ha presente questo problema di fondo nella sua analisi e nella sua strategia, dalle considerazioni sulla guerra russo giapponese al ruolo che assegna all'Asia nella rivoluzione internazionale.
Che il capitalismo sia destinato ad accelerare il suo sviluppo nell'area asiatica è per Lenin connaturale alla dinamica dell'imperialismo. Anche per questo aspetto si riallaccia al vero pensiero di Marx ed Engels, travisato dalle correnti della Seconda Internazionale.
L'equivoco sorge, piuttosto, per altre ragioni.
Marx ed Engels ritengono che lo sviluppo del capitalismo abbracci tutto il mondo ma credono che le contraddizioni di tale sviluppo provochino, nel frattempo, la rivoluzione proletaria in Europa. Lo auspicano apertamente nello scritto che abbiamo citato: "l'unica possibilità, per i paesi europei civilizzati, di non cadere in quella dipendenza industriale, commerciale e politica in cui ora si trovano l'Italia, la Spagna e il Portogallo, sta in una rivoluzione sociale che - finché si è in tempo - muti i sistemi di produzione e di trasporto secondo le necessità della produzione quali scaturiscono dalle moderne forze produttive, e renda così possibile la creazione di forze produttive nuove, che mantengano all'industria europea la sua superiorità compensando in tal modo gli svantaggi della posizione geografica".
In definitiva, solo una rivoluzione sociale può impedire il declino dell'Europa atlantica di fronte all'ascesa del capitalismo americano asiatico del Pacifico poichè solo una rivoluzione sociale può mantenere la superiorità alle forze produttive europee e, di conseguenza, alla nuova forma politico sociale europea di fronte al capitalismo ascendente nelle altre parti del mondo.
Il corso della storia è andato secondo la tendenza individuata da Marx ed Engels. L'estensione del capitalismo nel bacino del Pacifico ha avuto, davvero, "conseguenze ancor più grandiose che non la stessa scoperta dell'America".
Il "colpo di timone" è stato tremendo e l'ha subito anche il movimento rivoluzionario che, trascurando la formidabile scoperta di Marx ed Engels della tendenza alla estensione del capitalismo, non è stato strategicamente in grado di utilizzare tutte le contraddizioni, in primo luogo la estensione mondiale delle guerre, che un tale processo provocava.
Solo il partito di Lenin, che dalla scoperta marxista fa il suo presupposto strategico, fu attrezzato teoricamente, politicamente e organizzativamente a tentare la grande battaglia.
Ma rimase isolato.

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La "questione difficile" dei tempi

Marx ed Engels, nella "Revue" dell'ottobre 1850, collegano la estensione del capitalismo nel bacino del Pacifico e la crisi in Europa, in particolare nell'industria e nel commercio inglese.
La crisi inglese può essere l'unica possibilità per una rivoluzione sociale che blocchi il dominio mondiale del modo capitalistico di produzione, altrimenti inevitabile.
"Finché si è in tempo",ammoniscono i due autori.
E' proprio l'ascesa del capitalismo fuori dell'Europa a provocare la crisi non tanto in Francia o in Germania, come era avvenuto nel 1848, quanto nella Inghilterra che aveva prosperato con la crisi del continente.
Per Marx ed Engels:
"Ben presto, date le colossali forze produttive che l'industria inglese ha aggiunto tra il 1843 e il 1845, nel 1846, 1847 e soprattutto nel 1849, e va ancora aggiungendo, a quelle già esistenti, anche i mercati che ancora rimangono, soprattutto quelli nord e sudamericani e quelli australiani, saranno saturi e al primo sentore di questo fatto si diffonderà il "panic" sia nella produzione che nella speculazione - forse già verso la fine della primavera, o al più tardi in luglio o agosto. Ma questa crisi, per il fatto che dovrà necessariamente coincidere con grandi collisioni sul continente, porterà frutti ben diversi da tutte quelle che l'hanno preceduta. Se, fino ad ora, ogni crisi ha rappresentato il segnale per un nuovo progresso, per una nuova vittoria della borghesia industriale sulla proprietà fondiaria e sulla borghesia finanziaria, questa segnerà l'inizio della rivoluzione inglese moderna, rivoluzione in cui Cobden avrà il ruolo di Necker".
Da alcuni passi può sembrare che per Marx ed Engels la crisi attesa per l'Inghilterra che, coincidendo con una grande guerra nel continente avrebbe determinato una rivoluzione moderna, sia causata da una saturazione dei mercati americani e asiatici.
Ma tenendo presenti i passi precedenti, che abbiamo citato, cade l'equivoco. La saturazione deve essere vista come un fatto congiunturale e non come il risultato finale di uno sviluppo capitalistico nel mondo extraeuropeo, sviluppo giudicato appena agli inizi.
Su questo argomento Marx ed Engels ritorneranno ripetutamente negli anni successivi. Basti ricordare gli articoli sull'India e sulla Cina.
Anche a voler considerare isolatamente la errata previsione del 1850, sulla causalità mercato mondiale-crisi-rivoluzione, si può vedere che la crisi è concepita come coincidenza tra crisi produttiva finanziaria e guerra. In ciò Marx ed Engels continuano le posizioni della Neue Rheinische Zeitung del 1848, così impegnata, specie con Engels, nelle previsioni sul fattore guerra.
Se la previsione del 1850 è errata non è per la crisi economica ma per la mancata coincidenza con la guerra continentale; la guerra di Crimea del 1853 resterà un episodio isolato.
Dal 1850 passerà quasi un ventennio prima di Sadowa e Sedan, ma anche in questo caso Inghilterra e Russia ne resteranno fuori e non si replicherà quella dimensione continentale, presente come analogia storica, delle guerre napoleoniche.
In ogni modo, il concetto di crisi comprende, nel pensiero di Marx ed Engels, il ciclo economico e il ciclo politico, in particolare quello bellico.
Voler trarre esclusivamente dalla teoria del ciclo e riproduzione allargata del capitale una specifica teoria della crisi, senza tenere presente la questione militare, è un mutilare il pensiero di Marx ed Engels e renderlo irriconoscibile.
Lenin, restaurando il marxismo, restaura la teoria della crisi nella sua componente guerra.
La lettura del "Carteggio" contribuirà alla restaurazione.
Nella lettera dell'8 ottobre 1858 Marx scrive ad Engels: "Non possiamo negare che la società borghese ha rivissuto per la seconda volta il suo secolo decimosesto, un secolo decimosesto che spero suonerà a morto per lei così come il primo l'ha chiamata in vita.
Il vero compito della società borghese è la costituzione di un mercato mondiale, almeno nelle sue grandi linee, e di una produzione che poggi sulle sue basi.
Siccome il mondo è rotondo, sembra che questo compito sia stato portato a termine con la colonizzazione della California e dell'Australia e con l'inclusione della Cina e del Giappone.
Ecco la questione difficile per noi: sul continente la rivoluzione è imminente e prenderà anche subito un carattere socialista. Non sarà necessariamente soffocata in questo piccolo angolo di mondo, dato che il movement della società borghese è ancora ascendant su un'area molto maggiore?"
In questa "questione difficile" sta un nodo strategico che pochi, nelle generazioni del marxismo, hanno tentato di sciogliere e molti hanno contribuito ad aggrovigliare.

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I tempi lunghi del revisionista Cunow

Nel dibattito di fine secolo avviato dal revisionista E. Bernstein un posto a sè occupa la cosiddetta "teoria del crollo" che, dall'autore, viene attribuita a Marx e ad Engels.
K. Kautsky nega che vi sia nell'opera di Marx ed Engels una "teoria del crollo" del capitalismo.
Heinrich Cunow, invece, nel saggio "Per la teoria del crollo" pubblicato sulla "Neue Zeit" del 1898-1899, afferma che tale teoria esiste nel pensiero di Marx ed Engels e, dopo averne difeso gli autori, prosegue criticando i loro presunti errori.
Non ci interessa, in questa sede, tanto affrontare la controversia sulla "teoria del crollo" e le tesi dei suoi protagonisti quanto considerarne un aspetto derivato e che può essere visto, da tre angolazioni diverse, in Cunow, nella Luxemburg e in Lenin.
Per Cunow, la tendenza di sviluppo del capitalismo individuata da Marx era esatta; l'errore era solo nella valutazione del tempo di sviluppo poichè " l'accumulazione non si è compiuta all'incirca con il rapido ritmo che Marx ed Engels avevano previsto alla fine degli anni Quaranta e che il primo di essi ritenne di poter ipotizzare anche all'epoca della pubblicazione del primo volume del Capitale ".
Ossia, quasi due decenni dopo. Perchè Marx continuò a prevedere un rapido ritmo di accumulazione? Cunow non lo dice e ritiene che:
" La ragione del mancato avverarsi della diagnosi di Marx risiede tuttavia come risulta dalla considerazione del cammino sinora percorso da tale sviluppo non nel fatto che egli si sia sbagliato nell'interpretare le tendenze del sistema economico capitalistico, ma nel fatto che come campo di azione di tali tendenze egli assunse erroneamente anche per il futuro il mercato di smercio allora esistente, con le specifiche caratteristiche che la sua limitatezza comportava, e di conseguenza concepì incerto qual modo lo sviluppo successivo come un mero prolungamento del processo che si svolgeva sotto i suoi occhi ".
Anche Henryk Grossmann, nel libro "La legge dell'accumulazione e del crollo del sistema capitalistico" pubblicato nel 1929, criticandolo non rileva la contraddizione presente nella interpretazione di Cunow del pensiero di Marx.
Grossmann riassume così la tesi di Cunow: " Marx si ingannò soltanto in rapporto al tempo dello sviluppo, perché nella sua epoca aveva considerato come dati i mercati di sbocco esistenti. Infatti il capitalismo degli ultimi decenni intese conquistare sempre nuovi mercati per il capitale e per l'industria e ciò agiva in modo mitigante sulla tendenza al crollo del capitalismo ".
Eppure è in tale interpretazione che risiede l'errore di partenza di H. Cunow, dal quale deriva necessariamente il successivo errore sui tempi di velocità del cosiddetto "crollo del capitalismo".
Scrive Cunow:
" Così, Marx ed Engels assunsero il "mercato mondiale" di allora, e il contrasto tra il rapido aumento della produttività e la capacità di consumo del mercato che risultava dalla limitatezza di tale mercato di smercio, come qualcosa di dato, senza esaminare se l'effetto di tale contrasto non subisca modificazioni, se anche il mercato di smercio non si amplii e si differenzi con l'accumulazione capitalistica e in base alle forze produttive ".
E ancora: Quando Marx ed Engels scrissero il Manifesto comunista, lo sviluppo capitalistico viveva ancora il suo periodo eroico ed entrambi lo valutavano su una base di un periodo di sviluppo relativamente breve e nel quadro di un ristretto campo d'osservazione ".
Abbiamo già visto come Marx ed Engels affrontarono, nel 1850 e in seguito, la questione strategica dello sviluppo del mercato mondiale e dei conseguenti tempi. Videro chiaramente l'ascesa del capitalismo nel bacino del Pacifico proprio quando iniziava e quando non poteva ancora produrre tutti quegli effetti da essi previsti.
Meraviglia che H. Cunow non abbia considerato tale elaborazione, vanificando così ogni sua critica, ma ancor più meraviglia che gran parte del dibattito sulla "teoria del crollo" abbia trascurato l'originario pensiero di Marx ed Engels.
Sarebbe semplicistico attribuire ciò ad una scarsa conoscenza dei testi poichè, come ricorderà in seguito Lenin a proposito di Kautsky, non era proprio questa a mancare ai dirigenti teorici della Seconda Internazionale. Anzi, se vi fu un momento nel quale alta era la somma di conoscenza teorica fu proprio quello. Non è un caso che la generazione rivoluzionaria dei Lenin crebbe, sotto l'aspetto teorico, non nel vuoto ma in contrapposizione dialettica ai sostenitori del revisionismo.
La questione dei tempi può essere vista anche in questo senso: più alta ed elaborata è la piattaforma teorica del revisionismo e dell'opportunismo e più intensa è la maturazione teorica della generazione marxista rivoluzionaria che è costretta a combattere e ad intaccare quella piattaforma, pena la sua estinzione. E' in questa selezione delle specie teoriche che avanza la dialettica sociale e ad un Hegel succede un Marx, ad un Ricardo un Engels, ad un Plekanov un Lenin.
La lotta contro i mulini a vento può dare dei generosi don Qujote ma non dei geniali strateghi.
L'evoluzionismo gradualistico della Seconda Internazionale era il meno adatto a restaurare la teoria di Marx e di Engels dello sviluppo del mercato mondiale, teoria che si poneva la questione dei tempi nel ciclo delle rivoluzioni e delle guerre in Europa.
Nella Seconda Internazionale la questione dei tempi è si ritenuta come importante ma in una visione di evoluzione graduale. L'evoluzionismo è ridotto a schematico gradualismo dove scompare ogni dialettica della mutazione, della rottura e della catastrofe nello sviluppo dei modi di produzione e delle formazioni economico sociali. I tempi diventano, così, pura cronologia e non più, come nei fondatori del marxismo, unità di misura delle decelerazioni e delle accelerazioni dello sviluppo storico, della formazione delle classi, delle loro trasformazioni e delle loro lotte.
Una tale incomprensione della dialettica dei tempi storici è presente, come vedremo, in K. Kautsky che pur critica H. Cunow.
La ritroviamo persino nel pensiero di Rosa Luxemburg, la quale non è gradualista ed ha sempre presente il processo di rottura rivoluzionaria nella tendenza alla diffusione del capitalismo nel mercato mondiale.
Eppure, in una lettera del 31 dicembre 1898 a Leo Jogiches, non trova altro da dire sul saggio di H. Cunow che: " A proposito di Cunow credo che ti sia già un po' calmato, e abbiamo compreso che non ha mangiato "i bocconi migliori". Ha sfiorato, si può dire, qualche idea, ma in maniera tanto sbiadita e superficiale che posso senza scrupoli sviluppare lo stesso tema a modo mio, in generale "mi ha deluso" ".
Rosa Luxemburg svilupperà il tema con "L'accumulazione del capitale" che tanto farà riflettere e dibattere la scuola marxista ma, purtroppo, sfiorerà anch'essa la questione dei tempi di una complessiva dialettica di storia e di strategia.

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La tattica nella strategia dei tempi lunghi

Tadeus Kowalik, nella sua opera su "Rosa Luxemburg e il pensiero economico", fa risalire il dibattito tedesco sul revisionismo alla precedente controversia russa sui mercati tra populisti e marxisti degli anni '90. La teoria sui mercati dei populisti Vorontsov e Danielson provoca l'intervento di Plekanov, di Lenin e dei cosiddetti "marxisti legali" S. N. Bulgakov, P. Struve e M. Tugan Baranovskij.
Tugan Baranovskij aveva pubblicato nel 1884 il libro "Le crisi industriali periodiche, storia delle crisi in Inghilterra e teoria generale della crisi" dove, richiamandosi agli schemi di riproduzione e di accumulazione formulati da Marx ne "Il Capitale", riteneva vicina al pensiero di Sismondi la tesi secondo la quale la domanda insufficiente rispetto alla produzione in sviluppo accelerato porta alla sovrapproduzione di merci e, di conseguenza, al crollo del capitalismo. Nelle edizioni successive del libro Tugan Baranovskij vedrà negli scritti di K. Kautsky, di H. Cunow e di K. Schmidt la formulazione più compiuta che porta alla teoria della insufficienza dei mercati.
Il libro, tradotto in tedesco, apre una discussione nella quale va collocata la posizione di Cunow sui tempi lunghi del capitalismo.
Secondo Cunow, l'allargamento dei mercati esteri: "ha creato non soltanto un canale di sfogo per le inesauribili eccedenze" ma anche "ha affievolito la tendenza al prodursi delle crisi".
Senza il mercato estero l'Inghilterra si troverebbe:
"da gran tempo esposta ad un conflitto fra la capacità di consumo del suo mercato interno ed esterno e il gigantesco aumento della sua accumulazione capitalistica...".
E' possibile che temporaneamente da questa situazione traggano vantaggio, accanto agli imprenditori, gli operai stessi, sebbene non nella stessa misura, dice Cunow e rimprovera Bernstein il quale "attribuisce validità generali agli effetti delle tendenze dell'economia che si manifestano in una determinata fase del processo di sviluppo e presume che essi restino stabili in tutti gli stadi".
Insomma, Bernstein non esamina
"se il mercato di smercio non si ampli e si differenzi con l'accumulazione capitalistica e in base alle forze produttive".
H. Cunow fa ancora del crollo del capitalismo una questione di tempi e, sebbene critichi E. Bernstein perché non collega le condizioni della classe operaia metropolitana all'effettivo andamento del mercato mondiale, ne accetta sostanzialmente l'evoluzionismo graduale, anche se temperato dalla preoccupazione sui cicli.
Se è giusto collegare l'analisi delle condizioni della classe operaia all'esame del ciclo e, quindi, non attribuire validità generale agli effetti contingenti, se è giusto, di conseguenza, vedere in termini di tempo le conseguenze sul capitale e sul salario del ciclo del mercato mondiale, è già revisionistico non trarre tutte le conclusioni politiche da questo processo. La teoria del crollo del capitalismo, inaccettabile sul piano scientifico ma passibile di essere assunta da un atteggiamento rivoluzionario di classe, diventa, nella posizione di Cunow, un paravento della pratica riformistica.
La questione dei tempi lunghi, già impostata erroneamente da Cunow, da esigenza scientifica, con tutti i suoi ardui tentativi di soluzione e con tutti gli inevitabili errori tecnici e previsionali, si trasforma in un indefinito futuro, in un astratto e fumoso avvenire, in un comodo alibi per la pratica del presente. Da scienza scade ad ideologia e razzola, assieme alle vecchie religioni e alle altre ideologie, nel cortile delle false coscienze.
Se il comunismo non è la società ideale inventata dall'idea utopica ma, come dice Marx, il movimento reale e se il marxismo è la scienza che scopre il reale movimento sociale, i tempi sono il risultato della capacità di analisi della scienza e non categorie ideologiche del perenne fluire del tempo.
La strategia rivoluzionaria si basa sull'analisi dei tempi non per tracciare l'avvenire, compito del quale un oggettivo movimento reale non sente alcun bisogno, ma per stabilire scadenze temporali che siano di riferimento nello stabilire i compiti immediati del presente, i compiti della tattica.
Non è la tattica ad essere indispensabile alla strategia. E' la strategia che è indispensabile alla tattica. Si può dire che senza strategia vi è solo opportunismo o, nel migliore dei casi, tatticismo, ossia annaspare inconcludente e, spesso, dannoso alla ricerca di una posizione di classe di fronte ai problemi immediati che il presente pone.
La strategia permette non una impossibile soluzione automatica dei problemi tattici bensì una soluzione solida agli inevitabili tentativi di collocazione tattica. La tattica si trova ad affrontare situazioni contingenti che sono una combinazione multiforme, come la definisce Lenin, di processi storici a lungo termine.
Il processo di industrializzazione che, ad esempio, attraversava la Russia, e sul quale si erano affrontati populisti e marxisti con la questione dei mercati, era una questione di tempi lunghi. In questo senso, valida era la strategia, come quella di Lenin, che, dalla analisi scientifica, individuava le tendenze che portavano la società russa a sviluppare un modo di produzione capitalistico che aveva i caratteri fondamentali di quello sviluppato nell'Inghilterra studiata da Marx.
Negando la particolarità, affermata dal populismo, dello sviluppo del capitalismo in Russia Lenin poteva elaborare una strategia a lungo termine, per parecchi decenni, delle lotte delle classi nell'area russa e stabilire, in termini precisi, il ruolo del partito rivoluzionario che avrebbe organizzato l'avanguardia di una classe operaia che, inevitabilmente, lo sviluppo capitalistico avrebbe formato.
I tempi lunghi della questione dei mercati non erano, quindi, una astratta disputa teorica ma la battaglia teorica per il combattimento politico e organizzativo poichè, se le tendenze storiche a lungo termine avessero seguito il loro corso in modo costante, le situazioni contingenti si sarebbero presentate nelle situazioni più imprevedibili, nelle combinazioni multiformi, appunto.
E più salda, cioè del duro acciaio della scienza marxista, era la strategia più flessibile sarebbe stata la tattica, ossia la possibilità di scegliere in ogni combinazione multiforme i contenuti delle classi e gli schieramenti delle classi e la capacità di operare concretamente senza essere trascinati, senza essere scavalcati, senza essere costretti all'impotenza.
La tattica, anche nelle più imprevedibili combinazioni multiformi, non diventa un espediente nell'attesa dello scadere del tempo lungo ma è l'importante azione contingente della strategia di lungo termine.
Solo in questo modo la questione dei tempi diventa una questione strategica. Solo in questo modo questione dei tempi e strategia vivono ogni giorno, si collaudano e si perfezionano.
Altrimenti finiscono, come vedremo, nel socialimperialismo di Cunow.
Scrive H. Grossmann che: "Rosa Luxemburg quindici anni più tardi ha letteralmente ripreso questa teoria e ha tentato di darne un approfondimento teorico".
Mentre Cunow porterà la sua teoria ad uno sbocco favorevole all'imperialismo, Rosa Luxemburg la porterà ad uno sbocco rivoluzionano.
Ha dato il sangue per la bandiera del comunismo ma non poteva dare la strategia.

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La concezione materialistica nella politica dei tempi lunghi

H. Grossmann, nella sua opera del 1929, sostiene che la legge della caduta del capitalismo è la conseguenza della legge di accumulazione del capitale. Un sistema capitalistico puro ed isolato è, secondo Grossmann, in grado di esistere e di svilupparsi senza la necessità di un'area economica non ancora capitalistica.
La caduta del capitalismo è, quindi, intrinseca allo sviluppo del capitalismo puro e non derivata dall'esaurimento del mercato non capitalistico come, con varie tesi, sostengono H. Cunow, R. Luxemburg e F. Stenberg.
Nella sua polemica contro la teoria del crollo provocato dall'esterno, Grossmann scrive: "Cunow stesso, più tardi, durante la guerra mondiale, ha rinunciato alla sua teoria del crollo: l'espansione capitalistica ha ancora a disposizione una così grande riserva di "terze persone" che soltanto gli utopisti possono parlare di rivoluzione proletaria.
Ciò che è crollato non è il capitalismo, ma la fede in una prossima vittoria del socialismo. Il capitale non ha ancora adempiuto in alcun modo alla sua missione storica e non si può ancora prevedere la fine dello sviluppo capitalistico".
Nel 1915 H. Cunow pubblica un saggio dove porta alle estreme conseguenze ciò che giaceva inespresso nella sua posizione di fine secolo. E' proprio la pratica della guerra mondiale a rendere esplicita e conseguente la sua teoria: "...la nuova fase di sviluppo imperialista è un periodo maturato dalle nuove necessità interne del capitalismo contemporaneo, una fase di transizione necessaria verso il socialismo, tanto quanto lo furono le tappe di sviluppo precedenti, per esempio, la formazione della grande industria di macchine. Essa non è altro che il capitalismo avanzato, potenziato, nel quale ora il ruolo primario è svolto non più dal capitale industriale propriamente detto, ma dal nuovo potere del capitale finanziario".
Se l'imperialismo è "una tappa necessaria sulla via dello sviluppo capitalistico che conduce al socialismo", volerne impedire l'avvento è "un'idiozia" come quella di volere impedire l'avvento della grande industria di macchine.
Preliminare della realizzazione del socialismo è una fase storica nella quale si concentra la produzione "nelle mani di grandi società di capitale", si "separa la direzione della produzione dalla proprietà dei mezzi di produzione" e si "accelera e concentra il processo di espropriazione, creando così certe precondizioni organizzative del modo di produzione socialista".
L'imperialismo, "inteso come fenomeno economico", è, per H. Cunow, "una fase di sviluppo del capitalismo storicamente ed economicamente condizionata, una necessità storico-sociale".
H. Cunow ribadisce: "una necessità" e non "una possibilità". E qui si scontra con K. Kautsky per il quale l'imperialismo è una possibilità che può essere superata"da parte di un diverso tipo di politica dello stesso capitale finanziario".
Come si vede Cunow e Kautsky partono dalla stessa categoria di "capitale finanziario" per giungere a conclusioni diverse, ma non opposte. Per il primo la questione dei tempi lunghi si proietta in un tempo indefinito di imperialismo progressista che prepara l'avvento del socialismo. Per il secondo sbocca in un'era di superimperialismo, con la suddivisione concordata e pacifica, seppure centralizzata, del mercato mondial, alla quale il proletariato non può che opporre la lotta per il ritorno alla democrazia, unica sede dove può accrescere la sua organizzata capacità di direzione.
La lotta della classe dominata, storico acceleratore dei tempi, è subordinata, nelle due versioni del socialimperialismo, alle esigenze della classe dominante.
Nel capitolo VII intitolato "L'imperialismo, particolare stadio del capitalismo" della sua opera sull'imperialismo, Lenin si occupa della polemica di Kautsky contro i ragionamenti "goffi quanto cinici del panegirista tedesco dell'imperialismo, Cunow, il quale argomenta così: l'imperialismo è il moderno capitalismo; lo sviluppo del capitalismo è inevitabile e progressivo; dunque l'imperialismo è progressivo e si deve strisciare servilmente davanti ad esso ed esaltarlo. Ciò ricorda la caricatura che i populisti nel 1894-1895 facevano dei marxisti russi, dicendo che poiché questi ultimi ritenevano inevitabile e progressivo il capitalismo in Russia, dovevano aprir bottega e dedicarsi ad impiantarvelo".
A Cunow obietta Kautsky che l'imperialismo non è il capitalismo moderno, ma una forma della politica del moderno capitalismo, e che il proletariato deve combattere tale politica. Per Kautsky la lotta contro l'imperialismo si esaurisce nella lotta contro una forma di tale politica.
Giustamente Lenin può dire: "L'obiezione si presenta bene, e tuttavia essa non è che una più raffinata e coperta (e perciò più pericolosa) propaganda per la conciliazione con l'imperialismo, giacché una "lotta" contro la politica dei trust e delle banche che non colpisca le basi economiche dei trust e delle banche si riduce ad un pacifismo e riformismo borghese condito di quieti quanto pii desideri".
Contro l'oggettivismo dell'aprir bottega per il capitalismo e contro il soggettivismo del quieto desiderio di pace per conto del capitale, Lenin ristabilisce la via maestra del materialismo nella politica di classe sia per i tempi lunghi che per quelli brevi.

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La restaurazione leninista della questione dei tempi

Posta in termini che inevitabilmente non lasciavano soluzione o che, nel revisionismo, finivano con il capovolgerla, la questione dei tempi doveva trovare in Lenin il teorico e il rivoluzionario che la restaurava nei suoi fondamenti scientifici e strategici.
Restaurando la concezione materialistica della politica doveva per forza ritrovare la questione dei tempi nella originaria impostazione di Marx ed Engels. I fondatori avevano dovuto, nel loro passaggio dalla democrazia al comunismo, fare i conti con la concezione del tempo propria del razionalismo illuministico quale progresso della ragione, del materialismo meccanicistico quale processo atemporale, della dialettica hegeliana, quale movimento contraddittorio dell'idea assoluta.
Marx ed Engels fanno, invece, del tempo una unità di misura del movimento della formazione economico-sociale, dei suoi cicli, delle sue crisi, delle sue accelerazioni e dei suoi rallentamenti. Il tempo diviene misura dello sviluppo delle forze produttive. Il tempo diviene misura della dinamica dei rapporti sociali.
Il tempo diviene, quindi, misura del movimento della sovrastruttura, delle istituzioni politiche, delle lotte politiche, degli sconvolgimenti politici. Il tempo diviene, infine, misura delle lotte di classi e degli sconvolgimenti sociali.
Ci sono giorni che valgono venti anni, dice Marx. Eppure, nel movimento della materia, un giorno è un giorno.
Ponendo alla base della loro concezione materialistica della politica l'analisi dell'anatomia della società, Marx ed Engels stabiliscono le condizioni per studiare con la "esattezza delle scienze naturali " il movimento degli uomini sociali che può essere misurato con la unità di tempo. Hanno scoperto ciò che determina questo movimento e possono, di conseguenza, fare uscire il concetto di accelerazione e di rallentamento dal soggettivismo della ragione, dell'idea e della passione e consegnarlo alla scienza.
Il tempo diventa il tempo delle forze produttive e queste possono essere analizzate con criteri qualitativi e quantitativi scientifici. Accelerazione o rallentamento della politica lo sono in rapporto al tempo delle forze produttive. Ragione, idea o passione lo sono in rapporto a quello.
Consapevolezza o ritardo della consapevolezza lo sono sempre in rapporto allo stesso. Da tale coscienza sorge, in Marx ed Engels, la strategia politica che è calcolo del tempo e non progetto ideale.
La rivoluzione in permanenza, il processo di crescita dalla rivoluzione democratica alla rivoluzione proletaria, è la strategia di Marx ed Engels che è calcolo del tempo nel 1848.
Solo studiando più a fondo il tempo delle forze produttive, Marx ed Engels potranno nel 1850 ricalcolare il tempo della loro strategia politica rivoluzionaria che nel 1848 aveva sottovalutato lo sviluppo delle forze produttive nel bacino del Pacifico.
La loro opera fino al declinare del secolo, nel 1895, costituisce una miniera inesauribile di materiale sulla questione dei tempi posta nei termini scientifici della strategia.
E quando la vecchia mano di Engels poserà per sempre la penna già le dita agili e possenti del giovane Lenin l'hanno afferrata in terra russa. Il problema dei mercati, lo sviluppo del capitalismo in Russia, la strategia per il 1905 restaurano, con Lenin, la questione dei tempi nella originaria formulazione dei fondatori.
"Ritmo americano" e "ritmo prussiano" si aggiungono, con Lenin, alle lancette dell'orologio della strategia e scandiscono i loro battiti con il piano di costruzione del partito bolscevico.
I tempi lunghi del capitalismo diventano così l'accelerazione della fase imperialistica che apre il ciclo delle guerre e delle rivoluzioni.
La discussione teorica che Lenin porta avanti ne "L'imperialismo" è, in vari modi e a volte esplicitamente, anche una risposta alla questione dei tempi.
Nel 7° capitolo dice che Kautsky fa un passo indietro" in confronto al social-liberale Hobson " il quale " più giustamente " considera " due concrete peculiarità "storiche" " del moderno capitalismo:
" 1) la concorrenza di diversi imperialismi
2) la prevalenza del finanziere sul commerciante ".
Non è seria, dice Lenin, la disputa di parole sollevata da Kautsky: " se il recentissimo stadio del capitalismo debba denominarsi "imperialismo" oppure "fase del capitalismo finanziario". Comunque lo si voglia denominare, è lo stesso. L'essenziale è che Kautsky separa la politica dell'imperialismo dalla sua economia interpretando le annessioni come la politica "preferita" del capitale finanziario e contrapponendo ad essa un'altra politica borghese che sarebbe, secondo lui, possibile sulla stessa base del capitale finanziario ".
Nel 10° capitolo "Critica dell'imperialismo" Lenin demolisce la teoria di Kautsky sul "superimperialismo" .
Ammettiamo, dice, che "tutte le potenze imperialistiche formino una lega" per ripartirsi pacificamente l'India, la Cina, l'Indocina. Si avrebbe "il capitalismo finanziario internazionalmente unito" ipotizzato da Kautsky.
Ma non può essere "di lunga durata" perché la "ripartizione delle sfere di interessi e d'influenza" è basata sulla "valutazione della potenza ... della loro generale potenza economica, finanziaria, militare ecc.". Dato lo sviluppo "non uniforme" delle imprese, dei rami d'industria, dei paesi "i rapporti di forza si modificano". Nel corso di 10-20 anni i rapporti di forza tra le potenze non rimangono immutati.
Lenin usa qui il concetto di "tempo" non in termini indefiniti o di attesa messianica di crollo del capitalismo ma in termini scientifici di analisi di tendenze e di valutazione sul "tempo" necessario al maturare delle contraddizioni che le compongono. I "tempi lunghi" diventano, in questo modo, il terreno di verifica degli strumenti dell'analisi scientifica e gli strumenti dell'analisi stessa. Non sono, nè possono essere, la soluzione della strategia rivoluzionaria ma sono la condizione per la quale la coscienza teorica e la volontà politica si organizzano concretamente e specificatamente secondo un piano di utilizzo di classe delle contraddizioni che nei "tempi lunghi" esploderanno.
Lenin, nel 1916, dice che 50 anni prima la Germania non si sarebbe potuta confrontare con l'Inghilterra e il Giappone con la Russia. Nel tempo lungo di mezzo secolo lo sviluppo ineguale del capitalismo provoca uno scontro tra potenze impossibile quando lo sviluppo delle forze produttive lasciava il primato industriale all'Inghilterra e le permetteva di imporre la sua pax.

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Il tempo delle forze produttive e del partito

Se esaminiamo la tesi di Lenin sull'imputridimento dell'imperialismo possiamo trovare un'importante risposta alla "questione dei tempi". L'imputridimento dell'imperialismo è, per Lenin, una tendenza che appare sempre più nettamente con l'esportazione dei capitali e la formazione dello "Stato rentier". E' un risultato della centralizzazione del capitale, della concentrazione dei mezzi di produzione, della fusione del capitale industriale con il capitale bancario e della formazione del capitale finanziario. E' una tendenza che può, quindi, incontrare controtendenze che la frenino; il fenomeno individuato da Lenin negli anni '10 ha, però, avuto un pieno dispiegamento in due direzioni.
La prima, nella massa enorme di interessi derivati dalla crescente esportazione di capitali. La seconda, nel rapido incremento del capitalismo rispetto al precedente ritmo.
Putrescenza e accelerazione dello sviluppo del capitalismo sono per Lenin due aspetti dello stesso fenomeno, due facce della stessa medaglia. La maturità del capitalismo nelle vecchie metropoli determina l'imperialistica esportazione del capitale nelle nuove aree. L'import di capitali accelera lo sviluppo dei giovani capitalismi. Lenin vede in questa dialettica un'accelerazione del tempo delle forze produttive e, quindi, dei tempi storici e dei tempi della strategia.
Se l'imputridimento dell'imperialismo avesse portato, come hanno ritenuto parecchi commentatori della teoria di Lenin, alla stagnazione del capitalismo, nel mondo avremmo avuto non un'accelerazione del tempo delle forze produttive, ma un rallentamento. Di conseguenza avremmo avuto un rallentamento dei tempi della strategia rivoluzionaria.
E' una contraddizione quella tra stagnazione del capitalismo e crisi rivoluzionaria che Trotsky non ha potuto risolvere nella sua ricerca dei nodi esplosivi nella situazione degli anni '30. Non si tratta solo di trovare in una situazione di lotta di classe la qualità contraddittoria e storicamente inconciliabile. Sotto questo aspetto ogni situazione lo è. Si tratta, piuttosto, di trovare in una determinata situazione la quantità di accumulo di contraddizioni sociali e politiche che la rendano esplosiva in modo irreversibile.
Trotsky, certamente, nella situazione degli anni vide la preparazione della seconda guerra mondiale imperialista, la quale è stata indubbiamente la massima contraddizione del sistema capitalista. Come tale doveva e poteva costituire il terreno oggettivo di azione della strategia della trasformazione della guerra in rivoluzione. E' mancato lo strumento di tale azione, è mancato il Partito, dato il ritardo storico nella sua formazione, che l'Ottobre non è riuscito a colmare, e che le controrivoluzioni hanno accentuato. Ma non è solo la mancanza del Partito internazionalista durante la seconda guerra mondiale a spiegare il ritardo per il periodo successivo. Se si ragionasse in questo modo ogni situazione contingente andrebbe spiegata con quella precedente ed un giustificazionismo storico prenderebbe il posto dell'indicazione precisa dei compiti che ogni generazione rivoluzionaria deve assolvere.
E' metodo del materialismo storico quello di ricavare, dall'analisi specifica di una data situazione, i caratteri e le possibilità dell'azione rivoluzionaria collegata ai compiti storici del proletariato. Da ogni situazione occorre afferrare l'anello della catena, come dice Lenin. Nel caso del tempo che stiamo affrontando, quello del tempo di formazione e di sviluppo del Partito, occorre analizzare le cause di ciò che viene definito ritardo e che altro non è se non un ritmo temporale estremamente lento rispetto al tempo delle forze produttive.
Solo in questo modo, e non rincorrendo, senza una strategia dei tempi generali, le mille contraddizioni che ogni situazione racchiude, si può afferrare l'anello del ritardo storico del Partito ed operare concretamente per diminuire il suo peso negativo.
Sotto questo aspetto, la "questione dei tempi" si traduce nel costante lavoro di educazione e di organizzazione del proletariato, giorno dopo giorno, senza impazienti attese di occasioni eccezionali.
Anche le situazioni eccezionali richiedono forza organizzata per affrontarle e per non portare acqua al mulino dell'opportunismo. La forza organizzata non si improvvisa e richiede decenni di anonimo, paziente, incessante lavoro per essere selezionata, costruita, addestrata, collaudata.
Lenin affrontò il ritardo storico del Partito nella situazione dell'epoca, lavorando sui "tempi lunghi". Analizzando il tempo di sviluppo delle forze produttive del capitalismo in Russia stabilì il tempo di sviluppo delle forze rivoluzionarie e il tempo di sviluppo del Partito. In questo modo la "questione dei tempi" divenne anche una questione organizzativa. Da difficile divenne una questione meno difficile, perché il lavoro organizzativo la rese una pratica quotidiana con la quale fu possibile, migliorandola, accelerare il tempo di sviluppo del Partito in modo da avvicinarlo al tempo dello sviluppo delle forze produttive.
Quando l'accelerazione della guerra mondiale imperialistica provocò la crisi delle forze produttive e della sovrastruttura politica in Russia, il Partito fu in grado di utilizzarla e non perché il Partito che ha un programma marxista sia meccanicisticamente capace di trasformare una crisi sociale e politica in crisi rivoluzionaria, ma perché questo suo programma si era concretizzato nello sviluppo organizzativo collegato allo sviluppo delle forze produttive e della principale forza produttiva: la classe operaia. Senza sviluppo della classe operaia non ci sarebbe stato sviluppo del Partito bolscevico e senza il rapido sviluppo della prima non vi sarebbe stato il rapido sviluppo del secondo.
La lezione storica non sta, però, in questa semplice correlazione; sta, invece, nella capacità del Partito nel tenere il passo con la crescita della classe operaia, in particolare, e degli strati salariati, in generale, senza scadere nel riformismo e nell'opportunismo e senza abbandonare o diluire gli obiettivi strategici.
La capacità è, appunto, quella di tradurre la strategia nella tattica. In definitiva è la strategia, che calcola il tempo delle forze produttive, a indirizzare il tempo dell'azione, il tempo della tattica.
A questo punto diventa decisiva la valutazione scientifica del tempo dell'imputridimento imperialistico. Se si valuta erroneamente che l'imputridimento significa stagnazione del capitalismo si cade nel tatticismo, che eleva ogni azione ad azione risolutiva di ogni manifestazione di crisi.
Se si valuta scientificamente che l'imputridimento dell'imperialismo significa accelerazione dello sviluppo capitalistico, si opera per un tempo di sviluppo organizzativo del Partito adeguato al tempo di sviluppo delle forze produttive e della loro inevitabile crisi.


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L'accelerazione del tempo imperialistico

Per Lenin l'imputridimento imperialistico accelera lo sviluppo del capitalismo perché lo sviluppo stesso accentua la ineguaglianza di ritmo nelle varie componenti dell'economia mondiale.
E' utile richiamare un passo de "L'imperialismo", al quale ci riferimmo nelle Tesi del 1957. Scrive in modo inequivocabile Lenin: " Sarebbe erroneo credere che tale tendenza alla putrescenza escluda il rapido incremento del capitalismo: tutt'altro.
Nell'età dell'imperialismo i singoli rami dell'industria, i singoli strati della borghesia, i singoli paesi palesano, con forza maggiore o minore, ora l'una o l'altra di queste tendenze.
In complesso il capitalismo cresce assai più rapidamente di prima, sennonché tale incremento non solo diviene più sperequato, ma tale sperequazione si manifesta particolarmente nell'imputridimento dei paesi capitalisticamente più forti ".
Quando Lenin dice che nel complesso il capitalismo cresce più rapidamente di prima non abbrevia il tempo di una rinnovata teoria del crollo.
Niente è più distante da Lenin di questa teoria. La rapidità dello sviluppo accentua la ineguaglianza e questa si manifesta, come abbiamo visto, nell'imputridimento delle metropoli.
Mentre crescono i giovani capitalismi, l'imputridimento delle metropoli alimenta l'opportunismo ed allunga la vita all'imperialismo.
L'accelerazione moltiplica lo scontro interimperialistico ed il conflitto finanziario, commerciale e bellico. Rende impossibile una lunga durata agli accordi di ripartizione del mercato mondiale, rende impossibile, come vedremo, il pacifico cartello superimperialistico ipotizzato da Kautsky.
Il periodo di transizione, aperto dalla definitiva affermazione del capitale finanziario, può durare a lungo essendo il periodo di guerre e rivoluzioni.
Lenin lo enuncia chiaramente:
" ... i rapporti di economia privata e di proprietà privata formano un involucro non più rispondente al contenuto, involucro che deve andare inevitabilmente in putrefazione qualora ne venga ostacolata artificialmente l'eliminazione, e in stato di putrefazione potrà magari durare un tempo relativamente lungo (nella peggiore ipotesi, nella ipotesi che per la guarigione del bubbone opportunistico occorra molto tempo!), ma infine sarà fatalmente eliminato ".
Non vi è, per Lenin, un rapporto meccanico tra l'imputridimento dell'imperialismo e la sua fine nel breve periodo. L'imputridimento può comportare un tempo lungo.
La storia ha dimostrato la giustezza della previsione leniniana e ha posto il compito al partito rivoluzionario di dotarsi di una strategia adeguata alla lunga persistenza dell'imputridimento imperialistico. Ogni semplicismo in questo campo è un ostacolo alla comprensione del compito che incombe sul partito leninista e alla sua capacità di assolverlo. Se l'immediatismo, come ha compreso Trotsky, è sempre fonte di opportunismo, lo è doppiamente nei confronti del tempo lungo dell'imputridimento imperialistico.
La dialettica sociale si manifesta nella contraddizione che vede una accelerazione dello sviluppo capitalistico nel mondo e una prolungata putrefazione delle metropoli.
Questa contraddizione esaspera il conflitto e provoca una accelerazione delle guerre per la ripartizione del mercato mondiale.
La ripartizione pacifica, anche se sempre possibile, è sempre più di minore durata.
Lo sviluppo sperequato muta più rapidamente i rapporti di forza tra le potenze imperialistiche.
E' tutta la vita economica, sociale e politica del capitalismo nella sua fase imperialistica ad essere alla base di una dinamica accelerata delle lotte delle classi.
Per analizzare scientificamente questa dinamica è sempre più indispensabile la concezione materialistica della politica per individuarne la determinazione economica.
Lungi dal semplificare la dinamica, il concetto di determinazione economica delle lotte politiche e delle guerre permette di ricostruirne tutta la complessità.
E nella misura in cui è possibile avere la conoscenza della dialettica complessiva dell'imperialismo si apre la possibilità di affrontarla con una strategia rivoluzionaria adeguata. Si impone, per la stessa ragione, la necessità di operare strategicamente poichè solo in questo modo il proletariato può utilizzare tutte le contraddizioni dell'imputridimento e non esserne imprigionato.
Nel decimo capitolo de "L'imperialismo" scrive Lenin:
" E' noto a tutti quanto il capitale monopolistico abbia acuito tutti gli antagonismi del capitalismo. Basta accennare al rincaro dei prezzi e alla pressione dei cartelli. Questo inasprimento degli antagonismi costituisce la più potente forza motrice del periodo storico di transizione, iniziatosi con la definitiva vittoria del capitale finanziario mondiale."
Il tempo è ormai contrassegnato dalla definitiva vittoria del capitale finanziario mondiale ed è, ormai, questo capitale ad accelerarlo con tutti gli antagonismi che provoca.
Solo la coscienza teorica di ciò che contrassegna il tempo dell'imperialismo può fare si che l'accelerazione diventi una accelerazione rivoluzionaria.

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Le alleanze del tempo imperialistico

Nel tempo dell'imperialismo variano anche i ritmi delle alleanze tra le potenze, "Le alleanze "interimperialistiche" o "ultraimperialistiche" non sono altro che un "momento di respiro" tra una guerra e l'altra, qualsiasi forma assumano dette alleanze, sia quella di una coalizione imperialista contro un'altra coalizione imperialista, sia quella di una lega generale tra tutte le potenze imperialiste. Le alleanze di pace preparano le guerre e a loro volta nascono da queste; le une e le altre forme si determinano reciprocamente e producono, su un unico e identico terreno, dei nessi imperialistici e dei rapporti dell'economia mondiale e della politica mondiale, l'alternarsi della forma pacifica e non pacifica della lotta".
In questo modo Lenin critica, ne "L'Imperialismo", la ipotesi di Kautsky e ne stabilisce la durata. Le alleanze interimperialistiche sono solo un " momento di respiro ". Sorgono dalla guerra e la preparano. Non possono fermare il tempo dell'imperialismo perché sono proprio la manifestazione del ritmo accelerato del suo sviluppo.
" Invece della connessione viva tra i periodi di pace imperialista e i periodi di guerre imperialiste, Kautsky presenta agli operai una astrazione morta per riconciliarli con i loro capi morti ", scrive Lenin. Kautsky " stacca uno dall'altro gli anelli di un'unica catena, stacca l'odierna alleanza pacifica, dal conflitto non pacifico di domani che prepara per dopo domani un'alleanza nuovamente "pacifica" ". La catena è costituita da anelli che alternano accordi e conflitti in un ritmo sempre più rapido dove le stesse potenze stabiliscono alleanze pacifiche per una zona mentre sono in conflitto per un'altra. " Ecco la realtà viva dell' "ultraimperialismo", degli accordi pacifici nel loro indissolubile rapporto coi conflitti puramente imperialistici! ".
La diffusione del capitalismo nelle nuove zone acuisce i contrasti e risveglia grandi masse. Lenin cita un passo di Hilferding: " La vecchia struttura sociale viene totalmente sovvertita; i ceppi che inchiodavano da millenni le "nazioni senza storia" ad una economia meramente agricola si infrangono e queste nazioni vengono risucchiate nel calderone capitalistico. A poco a poco, però, lo stesso capitalismo finisce col suggerire ai popoli assoggettati i princìpi e i metodi della loro liberazione. Quella che un tempo era stata la più alta aspirazione delle nazioni europee, e cioè la costituzione di Stati unitari per la conquista della libertà economica e culturale, incomincia a diffondersi anche fra quei popoli ".
E' un altro fattore che determina la durata degli accordi imperialisti e ne provoca i conflitti. La creazione generalizzata di Stati nazionali, come prodotto della diffusione del capitalismo nel mondo, esaspera il fenomeno. La loro dinamica rende impossibili accordi imperialistici, per la suddivisione delle sfere d'influenza, che resistano a lungo in una singola zona. Li rende addirittura impossibili quando si propongono di regolare tutte le zone. Accordi e conflitti vengono a fondersi nello stesso anello temporale della catena imperialista.
Più di cinquant'anni di storia hanno elevato al massimo splendore la purezza scientifica della teoria di Lenin sul tempo delle alleanze imperialiste. Kautsky ipotizzava un periodo di alleanza pacifica imperialista che, da allora, non c'è mai stato. Accordo e conflitto sono la manifestazione, oltre che sequenziale, contemporanea dell'imperialismo unitario.
La legge di movimento delle alleanze imperialiste, individuata da Lenin al suo primo dispiegarsi, si è ormai rivelata in tutti i suoi caratteri fondamentali. Ha seguito, in questo senso, l'evoluzione della legge della concentrazione del capitale della quale è, del resto nel campo delle relazioni internazionali e del rapporto fra gli Stati, il portato nella sovrastruttura. La concentrazione del capitale non ha condotto ad un supercartello ma ad accordi rotti in continuazione dalla concorrenza, tra giganti economico-finanziari. Lo sviluppo dell'imperialismo non ha condotto ad un superimperialismo ma ad accordi rotti in continuazione dalla lotta tra grandi, medie e piccole potenze. Gi accordi monopolistici su di un mercato o su di un prodotto vedono, nello stesso tempo, i contraenti dilaniarsi su altri mercati e su altri prodotti. Così è per le alleanze.
L'opportunismo se la cava usando, per questo processo la espressione " intreccio ".
Ma, dice Lenin: " Che cosa significa la parola "intreccio"? Essa indica soltanto il carattere più appariscente di un processo che si va compiendo sotto i nostri occhi. Essa dimostra semplicemente che l'osservatore vede i singoli alberi, ma non si accorge del bosco.. Essa traduce servilmente il lato esteriore, casuale, caotico, e tradisce nell'osservatore un uomo che è sopraffatto dalla copia del materiale e non ne capisce più il significato e la importanza ".
L'intreccio, dice Lenin, non è casuale: " Ma il substrato di questo intreccio, ciò che ne costituisce la base, sono le relazioni sociali di produzione che si vanno modificando ".
E conclude: " ... diventa chiaro che si è in presenza di una socializzazione della produzione e non già di un semplice "intreccio"; che i rapporti di economia privata e di proprietà privata formano un involucro non più corrispondente al contenuto ... ".
Le contraddizioni nelle alleanze imperialiste, le successioni di accordi e di conflitti che le contraddistinguono, le manifestazioni nel loro seno di compromessi e di scontri che le accompagnano, scandiscono il tempo della fase suprema del capitalismo, il tempo della socializzazione delle forze produttive.

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Il tempo del capitale complessivo sociale

"Oggetto dell'economia politica non è affatto la "produzione dei valori materiali", come spesso si dice (questo è l'oggetto della tecnologia), ma i rapporti sociali tra gli uomini nel processo di produzione. Solo se si intende la "produzione" nel primo senso è possibile separare da essa la "distribuzione", e allora nella "sezione" che tratta della produzione, il posto delle categorie di forme storicamente determinate dell'economia sociale viene occupato dalle categorie che si riferiscono al processo lavorativo in generale: di solito queste vuote banalità servono esclusivamente a occultare le condizioni storiche e sociali (esempio: il concetto di capitale) .
Ma se consideriamo coerentemente la "produzione" come l'insieme dei rapporti sociali di produzione, la "distribuzione" e il "consumo" perdono ogni significato autonomo.
Una volta chiariti i rapporti di produzione, si chiarisce automaticamente anche tutto ciò che riguarda la parte di prodotto che spetta alle diverse classi, e quindi, la "distribuzione" e il "consumo".
E, inversamente, se non si chiariscono i rapporti di produzione (se, per esempio, non si comprende il processo di produzione del capitale complessivo sociale nel suo insieme), ogni ragionamento sul consumo e sulla distribuzione si riduce a una banalità o a un pio desiderio romantico ".
Riportiamo estesamente questo ed altri passi del saggio " Le caratteristiche del romanticismo economico ", scritto da Lenin nella primavera del 1897, perché pone in termini estremamente chiari il problema di analisi del " processo di produzione del capitale complessivo sociale nel suo insieme ". Solo in questi termini può essere analizzata, di conseguenza, la questione dei tempi, la quale non è questione della produzione, della distribuzione e del consumo ma questione del capitale complessivo sociale.
La questione posta da Lenin può sembrare una questione astrattamente teorica. In realtà è una questione strategica perché riguarda direttamente la pratica del movimento rivoluzionario marxista. Il processo di produzione del capitale complessivo sociale si svolge con un movimento ciclico. I rapporti sociali tra gli uomini in questo processo di produzione seguono un analogo movimento ciclico.
Per meglio dire, i rapporti sociali tra gli uomini costituiscono il ciclo del processo di produzione del capitale complessivo sociale.
L'analisi strategica marxista affronta le contraddizioni dei rapporti sociali, il loro manifestarsi in contrasti, il loro manifestarsi in lotte, la loro intensità, la loro estensione.
La strategia rivoluzionaria stabilisce i tempi dell'azione del proletariato nelle lotte delle classi, lotte che seguono un movimento ciclico come la riproduzione del capitale sociale anche se si manifestano nei rapporti di distribuzione e di consumo del prodotto sociale. Ma se la distribuzione e il consumo del prodotto sociale, del reddito complessivo, non sono concepiti come aspetti del processo di produzione del capitale sociale, inevitabilmente si cade nel romanticismo economico e nel soggettivismo politico. Si confonde una fase del ciclo del capitale sociale con il ciclo stesso. Si confonde una concezione soggettiva del tempo con il tempo oggettivo della crisi del capitale sociale.
Lenin riporta alcuni passi de " Il Capitale ", III libro, di estrema importanza:
" L'analisi scientifica del modo di produzione capitalistico dimostra che... le condizioni della ripartizione sono in sostanza identiche alle condizioni della produzione, costituiscono il rovescio di queste ultime, sicché le une e le altre hanno uno stesso carattere storicamente transitorio... il salario presuppone il lavoro salariato, il prodotto presuppone il capitale. Queste forme determinate di ripartizione presuppongono quindi determinati caratteri sociali delle condizioni della produzione e determinati rapporti sociali tra gli agenti della produzione. Un determinato rapporto di ripartizione è, di conseguenza, solo l'espressione di un rapporto di produzione storicamente determinato... Ogni forma di ripartizione scompare insieme con la forma di produzione determinata, a cui essa corrisponde e da cui deriva ".
Per Marx:
" La concezione che considera storicamente solo i rapporti di distribuzione e non anche i rapporti di produzione è, da un lato, la concezione di una critica iniziale, ancora timida dell'economia borghese ".
Lenin individua in questa concezione una caratteristica del romanticismo economico che dalla critica di Sismondi a Ricardo giunge al populismo russo. L'influenza di questa concezione proseguirà nelle posizioni, tipo quella di Trotsky, che nella analisi della natura sociale dell'URSS dissociano la produzione dalla ripartizione, giungendo a vedervi rapporti di distribuzione borghese distinti e contraddittori rispetto a presunti rapporti socialisti di produzione, compiendo così un passo indietro in confronto alla scoperta di Marx del processo di produzione del capitale complessivo sociale.
In termini di strategia un passo indietro significa ritardare il tempo dell'azione in confronto al tempo della teoria che ha scoperto scientificamente il tempo del capitale sociale, delle forze produttive, della loro contraddizione.
Lenin cita la " Critica del programma di Gotha " dove Marx scrive:
" Prescindendo da quanto si è detto sin qui, era soprattutto sbagliato fare della cosiddetta ripartizione l'essenziale e porre su di essa l'accento principale. (...) che ripartizione degli oggetti di consumo è ogni volta soltanto conseguenza della ripartizione delle condizioni di produzione... Il socialismo volgare ha preso dagli economisti borghesi (e, a sua volta, una parte della democrazia l'ha ripresa dal socialismo volgare) l'abitudine di considerare e trattare la distribuzione come indipendente dal modo di produzione... "
Lenin dice giustamente che solo Marx:
" è riuscito a risolvere il problema. Non solo. La soluzione stessa del problema è consistita nell'analisi della riproduzione del capitale sociale.
L'autore non ha impostato separatamente nè il problema del consumo nè quello della distribuzione, ma l'uno e l'altro si sono pienamente chiariti da sè, non appena è stata condotta a termine l'analisi della produzione.
Non vi può essere, aggiungiamo, soluzione strategica che non parta dall'analisi della riproduzione del capitale sociale.

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I tempi della NEP di Lenin

Dal punto di vista del processo mondiale della riproduzione del capitale sociale la Rivoluzione d'Ottobre ha rappresentato una momentanea (nel tempo) e parziale (nello spazio) rottura dell'unità organica che esiste fra produzione e consumo.
Nell'area russa del mercato mondiale veniva a determinarsi una isolata e violenta alterazione tra le condizioni della produzione e le condizioni della ripartizione nella formazione economico-sociale capitalistica.
Significava forse che la teoria di Marx, per la quale la" ripartizione degli oggetti di consumo è ogni volta soltanto conseguenza della ripartizione delle condizioni di produzione ", non era più valida?
Significava forse che la soluzione di Marx andava rivista?
Al contrario, il "comunismo di guerra" ne era la piena conferma. La violenta modificazione della " ripartizione degli oggetti di consumo "operata dalla dittatura del proletariato, in sostanza, non era molto diversa da quella "economia di guerra" instaurata in Germania con l'intervento del capitalismo di Stato inteso più come controllo che come proprietà. Lenin, in varie occasioni, aveva analizzato il capitalismo di Stato tedesco e indicato la necessità che il potere politico del proletariato lo imitasse per stabilire il controllo sul capitalismo privato, e in particolare sul piccolo capitalismo, nel corso della guerra civile. Molti dirigenti bolscevichi, teorizzando con il "comunismo di guerra" del consumo un impossibile comunismo della produzione, non tennero conto delle indicazioni di Lenin. La paralisi economica venne a restaurare la validità della teoria di Marx sulla riproduzione del capitale sociale.
La NEP rappresentava la fine dell'alterazione nel rapporto fra produzione e consumo provocata dalla "economia di guerra" e la ripresa di un rapporto più equilibrato tra le condizioni della produzione e le condizioni della ripartizione nella riproduzione del capitale sociale.
E' di estremo interesse rileggere come Lenin spiega la nuova fase della rivoluzione proletaria internazionale. Lo fa ricorrendo, anche nella terminologia, ad esempi tratti dalla storia militare.
Nel rapporto del 17 ottobre 1921 sulla NEP spiega quella che definisce " ritirata strategica ":
" Poiché i comunisti pongono coscientemente il problema della Nuova Politica Economica, non può esserci alcun dubbio che noi abbiamo subito una sconfitta economica assai grave sul fronte economico. E naturalmente, è inevitabile che ci sia della gente esasperata, quasi sgomenta, gente che di fronte alla ritirata sia quasi presa dal panico. E' inevitabile"
Lenin dice che anche l'Esercito rosso si ritirava. Ma:
"Le sue vittorie cominciavano con una fuga davanti al nemico... ... ogni volta risultava che dopo una batosta noi confermavamo la giustezza del proverbio che dice: "Chi è stato battuto una volta vale il doppio". Battuti una volta, ricominciavamo ad avanzare lentamente, sistematicamente e con cautela.
Certo, sul fronte economico i compiti sono assai più difficili di quelli sul fronte militare, ma fra questi due abbozzi elementari di strategia esiste una certa affinità ".
Dalla ritirata la strategia rivoluzionaria deve preparare la nuova avanzata più sistematica della vecchia: questo è il primo insegnamento che si trae dalla tesi di Lenin.
In questo senso, è proprio vero che chi è stato battuto una volta vale il doppio. A condizione, però, che analizzi coscientemente le ragioni della sua sconfitta.
I tempi delle battaglie strategiche assumono, cosi, un più preciso connotato. Vengono accelerati perché, nella coscienza strategica, le ragioni della sconfitta sono, nello stesso tempo, già le ragioni della nuova avanzata.
Lo si vede bene dal seguente passo del discorso di Lenin:" I contadini costituiscono una parte enorme di tutta la popolazione e di tutta l'economia, e perciò sulla base di questo libero commercio non può non svilupparsi il capitalismo.
Si tratta qui delle nozioni economiche più semplici insegnate dalla scienza economica più elementare; in Russia, per di più, queste nozioni ce le impartisce ogni piccolo speculatore, individuo che ci insegna a conoscere bene l'economia, indipendentemente dalla scienza economica e politica. Il problema fondamentale consiste, dal punto di vista strategico, nel vedere chi saprà approfittare prima di questa nuova situazione ".
La dialettica delle battaglie strategiche è una dialettica di difesa e di attacco, di ritirata e di offensiva. Da tale dialettica emerge l'obiettivo specifico c h e caratterizza ogni singola fase e che deve essere colto scientificamente dall'analisi puntuale della dinamica dei rapporti di forza.
Importante è superare ogni "ideologia" che ogni lotta inevitabilmente produce e riportare sempre e comunque lo studio teorico e pratico al metodo proprio del marxismo e alla concezione materialistica della politica.
Osserva Lenin:
" In quattro anni siamo passati attraverso molte battaglie serie e abbiamo imparato che una cosa è una battaglia seria e tutt'altra cosa sono le chiacchiere su questa battaglia, chiacchiere fatte soprattutto da chi è rimasto a sedere in disparte. Bisogna imparare a non lasciarsi deviare da tutta questa "ideologia", da tutte queste chiacchiere, e vedere invece la sostanza delle cose. E la sostanza è questa: la lotta sarà ancora più disperata, ancora più aspra di quanto sia statala lotta contro Kolciak e Denikin. Questo perché la lotta militare è una cosa abituale.
Per centinaia e migliaia di anni si è sempre combattuto.
Grandi successi si sono ottenuti nell'arte di uccidere in guerra il prossimo, (...)
Risolvere un problema militare è, nonostante tutto, più facile che risolvere quello di fronte al quale ci troviamo ora, Si può risolvere un problema militare con un assalto, con un colpo di mano, con l'entusiasmo, con la semplice forza fisica...".
Quattro anni di battaglie proletarie di fronte a migliaia di anni di esperienza militare: facendo tesoro del lungo tempo storico Lenin cerca di accelerare il tempo della strategia rivoluzionaria nella inedita guerra di utilizzo di classe del tempo delle forze produttive in Russia e della riproduzione del capitale sociale nel mondo.

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I tempi di una lotta inedita

"E' questa l'ultima battaglia" si chiede Lenin nel titolo di un paragrafo del rapporto tenuto il 27 ottobre 1921 e risponde: "La dittatura del proletariato è una guerra accanita. Il proletariato ha vinto in un paese, ma rimane ancora debole sul piano internazionale".
Conclude: " Una lotta come questa non c'è mai stata ancora nella storia, ma di guerre fra i contadini e i grandi proprietari nella storia ce ne sono state più d'una, a partire dai primi tempi della schiavitù.
Più di una volta ci sono state guerre simili, ma una guerra combattuta dal potere statale contro la borghesia del proprio paese e contro la borghesia unita di tutti i paesi prima d'ora non c'era mai stata.
O sapremo organizzare i piccoli contadini sulla base dello sviluppo delle loro forze produttive, e dando a questo sviluppo l'appoggio dello Stato proletario, oppure i capitalisti li asserviranno: da questo dipende l'esito della lotta.
Ciò si è già verificato in decine di rivoluzioni, ma una guerra simile il mondo non l'aveva mai vista. Il popolo non può avere esperienza di simili guerre. Siamo noi che dobbiamo crearla, e in questa esperienza possiamo fare affidamento soltanto sulla coscienza degli operai e dei contadini ".
I nuovi compiti che si pongono al proletariato nel corso della rivoluzione russa sono, come dice Lenin, inediti perchè non hanno precedenti nella storia. Non esiste, in questo campo, il tempo della esperienza perché di ciò che non è mai accaduto non vi può essere esperienza.
Senza il tempo dell'esperienza la classe rivoluzionaria può contare solo sulla coscienza per creare la esperienza della guerra sociale e politica che la storia non conosce ancora.
La questione dei tempi, quando il presente rivoluzionario la pone in tali termini, diventa ardua sino a rasentare l'incognito.
Ma da grande dialettico materialista Lenin afferra saldamente l'unico anello disponibile, quello della coscienza teorica, per impadronirsi della catena dell'avvenimento inedito.
Riesce a utilizzare la coscienza teorica del marxismo sulla storia militare per analizzare i nuovi compiti: " Noi pensavamo che ad un cenno dei comunisti si sarebbero potute effettuare la produzione e la distribuzione in un paese che ha un proletariato declassato. Dovremo modificare tale stato di cose perché altrimenti non potremo far capire al proletariato in che cosa consiste questo passaggio. Nella storia non ci si era ancora mai trovati di fronte a problemi simili.
Abbiamo tentato di risolvere questo problema nel modo più diretto, con un attacco frontale, per così dire, ma abbiamo subìto una sconfitta.
Sbagli di questo genere se ne fanno in tutte le guerre, e non vengono neanche considerati sbagli. Quando l'attacco frontale non riesce, si tenta l'aggiramento, si ricorre all'assedio e alla trincea ".
Lenin riesce a ridurre alla essenzialità i nuovi compiti della strategia rivoluzionaria: con i concetti di assalto frontale e di assedio pone la guerra sociale e politica inedita in una visione generale dove la coscienza teorica può esercitare la potenza derivata dall'accumulo di scienza realizzato nel tempo lungo della lotta di classe.
Tradotti nella terminologia militare i nuovi compiti strategici diventano chiari.
In una relazione del 29 ottobre 1921 ritorna sul problema della NEP. Per chiarirlo fa ancora riferimento ad esempi di battaglie militari.
L'esempio della presa di Port Arthur, durante la guerra russo-giapponese, da parte del generale giapponese Nogi " ci aiuterà a farci un'idea più precisa del rapporto che esiste fra i vari sistemi e procedimenti politici in una rivoluzione qual è quella che è in corso da noi ".
La presa di Port Arthur avvenne " in due fasi ben distinte ". La prima caratterizzata " da una serie di accaniti attacchi che finirono in altrettanti insuccessi e costarono al famoso condottiero giapponese perdite eccezionalmente elevate ". La seconda vide il passaggio " a un assedio lungo, duro, difficile, della fortezza, condotto a regola d'arte ".
La fase degli attacchi era sbagliata, ma " non è difficile vedere che nella soluzione di un simile problema, che presentava moltissime incognite, era difficile, senza la necessaria esperienza pratica, determinare con assoluta esattezza o anche con un sufficiente grado di approssimazione quali fossero i procedimenti da applicare contro la fortezza nemica. Era impossibile determinarlo senza aver praticamente sondato la forza rappresentata dalla fortezza, la potenza delle sue difese, la consistenza della sua guarnigione, ecc. ", Lenin aggiunge un'altra considerazione: " E non era neanche possibile stabilire quale fosse il giusto procedimento per espugnare la fortezza, anche per uno dei migliori condottieri come era indubbiamente il generale Nogi.
D'altra parte il fine che la guerra si proponeva e le condizioni necessarie per concluderla vittoriosamente esigevano la più rapida delle soluzioni possibili di questo problema; al tempo stesso era molto probabile che le perdite, anche se molto elevate ma necessarie per conquistare d'assalto la fortezza, sarebbero state compensate ad usura ".
Ma quando il generale Nogi giunse alla conclusione che, malgrado gli assalti, la fortezza non sarebbe stata conquistata dovette riconoscere che la tattica si era dimostrata errata e passare " con decisione, precisione e chiarezza " alla tattica dell'assedio. Da questa pagina di storia militare Lenin può cosi giungere alla pagina bianca che la rivoluzione russa deve ancora scrivere:" Penso che questo esempio valga a chiarire la situazione in cui si è venuta a trovare la nostra rivoluzione quando si è trattato di risolvere i problemi socialisti nel campo dell'edificazione economica ".
I tempi della rivoluzione internazionale sono cosi posti nel processo storico.

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Il tempo della chiarezza di Lenin

Sempre nella relazione del 29 ottobre 1921 alla VII Conferenza di partito, Lenin ritorna su di una polemica di tre anni prima che non aveva ricevuto, da parte di tutta l'organizzazione, la considerazione corrispondente alla sua estrema importanza: "Quando, in polemica con una parte dei compagni che non approvavano la pace di Brest, noi sollevammo, ad esempio nella primavera del 1918, la questione del capitalismo di Stato, tale questione non venne posta nel senso che noi dovessimo andare indietro verso il capitalismo di Stato, ma nel senso che la nostra situazione sarebbe stata più facile e la soluzione dei nostri problemi socialisti sarebbe stata più vicina se, da noi, in Russia, il sistema economico dominante fosse stato un capitalismo di Stato".
La questione del capitalismo di Stato, come dice Lenin, non significava un indietreggiamento ma, al contrario, una soluzione dei problemi socialisti .
Il processo storico poneva, in quei termini, i tempi della rivoluzione internazionale del proletariato. L'estensione della rivoluzione in Germania avrebbe potuto unire il potere politico russo e le forze produttive tedesche e risolvere i problemi socialisti della produzione e della distribuzione. Il tempo politico russo si sarebbe fuso con il tempo economico tedesco facendo compiere uno scatto alle lancette dell'orologio della evoluzione sociale.
Mancando la Germania all'appuntamento, il tempo in Russia doveva segnare la cadenza delle sue forze produttive. Il capitalismo di Stato poteva essere la massima accelerazione possibile. L'assalto al cielo - potremmo dire l'assalto al tempo - subiva una pausa obbligata, Lenin lo vede chiaramente e torna onore al capo rivoluzionario quello di essere l'inflessibile e appassionato combattente e lo scienziato che freddamente legge la realtà: " Verso la primavera del 1921 appare chiaro che era stato frustrato il nostro tentativo di passare ai princìpi socialisti di produzione e distribuzione con il sistema "dell'assalto", cioè con il mezzo più breve, rapido e diretto. La situazione politica della primavera del 1921 ci rivelò che per una serie di questioni economiche non potevamo non ripiegare sulla posizione del capitalismo di Stato, non passare dall'"assalto" all'"assedio".
Se questo passaggio provoca in qualcuno lagnanze, piagnistei, scoraggiamento, indignazione, bisogna dire: non è tanto pericolosa la sconfitta, quanto la paura di riconoscere la propria sconfitta, quanto la paura di trarne tutte le conclusioni ".
C'è in questo passo di Lenin tutto l'insegnamento del materialismo storico. In poche chiare e semplici parole, dette da un marxista che non si nasconde dietro ai giochi verbali, ma che a testa alta affrontala lotta nell'avversità, c'è tutta la lezione della storia.
La storia di ogni classe rivoluzionaria, oggi per il proletariato come ieri per la borghesia, non può che essere una storia di sconfitte, dato che è un susseguirsi di avanzate e di ritirate, quando ha direzioni politiche consapevoli, o di esplosioni spontanee e di disfatte disordinate, quando non le ha.
Un movimento rivoluzionario cosciente non può aver paura della sconfitta e, quindi, non può aver paura di riconoscerla come tale.
Deve avere timore, come acutamente rileva Lenin, della paura a riconoscere la propria sconfitta, quando cioè passioni umane quali lo scoraggiamento, l'indignazione, l'orgoglio soggettivistico frenano, se non addirittura impediscono, di trarre tutte le conseguenze da ciò che è accaduto.
Quando un movimento rivoluzionario cade in preda a un tale infantilismo è compromesso l'avvenire perché senza l'analisi della sconfitta, delle cause che l'hanno provocata, dei reali rapporti di forza dentro ai quali è avvenuta, dei punti che hanno avvantaggiato il nemico, delle debolezze che hanno minato il movimento, degli errori commessi da ambo le parti, è impossibile creare le condizioni soggettive della ripresa, della nuova offensiva.
Se un movimento rivoluzionario non riesce a compiere una tale analisi scientifica rimane paralizzato. Anche il suo tempo di evoluzione diventa stagnante.
Il partito paga, così, duramente il suo ritardo storico, Non aver tratto tutte le conclusioni che Lenin ha consegnato con estrema chiarezza al movimento rivoluzionario è costato decenni di ritardo storico, Non c'è possibilità di equivoco. Lenin è stato spietatamente chiaro, Nella "Pravda" del 67 novembre 1921 scrive:
" L'unica cosa che la nostra rivoluzione ha portato completamente a termine è la sua opera democratica borghese. E noi abbiamo il diritto più che legittimo d'esserne fieri. La parte proletaria o socialista della sua opera si riduce a tre punti principali... " che sono stabiliti ne:
" 1) l'uscita rivoluzionaria dalla guerra imperialistica mondiale
2) La creazione del regime sovietico, forma di realizzazione della dittatura del proletariato.
3) L'edificazione delle basi economiche del regime socialista. "
Nella costruzione delle basi economiche " l'essenziale non è ancora stato fatto ".
E' nella forma di realizzazione della dittatura del proletariato che l'opera rivoluzionaria ha inciso nel tempo. La costruzione delle basi economiche doveva diventare il tempo, tuttora in corso, del capitalismo di Stato.
La forma di realizzazione della dittatura del proletariato, anche se poi la storia la destinava ad una sconfitta contingente, inaugurava, invece, una nuova fase nel tempo della lotta delle classi, la fase delle guerre imperialistiche e delle rivoluzioni proletarie, Lenin lo vede chiaramente:
"Si è compiuta una svolta di importanza mondiale. L'epoca del parlamentarismo democratico borghese è finita. E' incominciato un nuovo capitolo nella storia del mondo: l'epoca della dittatura del proletariato".

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I tempi della tradizione di classe

Nel tempo della lotta delle classi la conoscenza scientifica del contenuto e della forma della lotta stessa non è comune alle classi e alle frazioni di classe interessate. I tempi della consapevolezza, i tempi della coscienza dei processi sociali e delle loro dinamiche sono, perciò, diversi e, in generale, rapportati alla pratica. E' in definitiva dalla pratica sociale che le teorie costituenti il"materiale di pensiero", come lo definisce Engels, subiscono quello sviluppo di modificazione, di rottura e di superamento che le porta ad una conoscenza per approssimazione della realtà. Questo sviluppo, determinato dalla base materiale e spinto dalla pratica sociale, costituisce il cammino della scienza.
La borghesia ha secoli di pratica sociale durante i quali ha condotto una lotta economica in primo luogo, una lotta politica in secondo luogo e, infine, una lotta teorica contro la classe dominante feudale, contro l'aristocrazia, contro l'assolutismo, contro le Chiese. I tempi lunghi della borghesia hanno visto fasi alterne in grande quantità: periodi frequenti e prolungati di stagnazione e di compromesso, periodi di retrocessione e di ritirate catastrofiche e periodi brevi e non frequenti di avanzata rivoluzionaria. Anche il fronte teorico della borghesia, conseguentemente, ha riflesso tali fasi alterne anche se, nel corso dei secoli, ha finito con l'elaborare strumenti fondamentali nella conoscenza scientifica della realtà sociale e, in alcune sue correnti, ha rappresentato il massimo di scienza possibile nel momento dato,
La scoperta della lotta di classe e della legge del valore segnano l'approdo alla scienza, nella teoria della borghesia, e il risultato della necessità di conoscere il sistema economico-politico contro il quale combatteva, nella sua pratica.
Divenuta classe dominante ha usato l'enorme esperienza teorica e pratica, accumulata in decine di generazioni nei suoi tempi lunghi, contro la nuova classe che soggiogava, il proletariato, classe che non aveva e non ha analoga esperienza pratica, ma che può avere una propria esperienza teorica, culminata nella vittoria scientifica del marxismo sulle teorie borghesi regredite ad ideologia, per esigenze di conservazione.
Scrive Marx, nel " 8 brumaio di Luigi Bonaparte" 1852: "Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione.
La tradizione di tutte le generazioni scomparse pesa come un incubo sul cervello dei viventi e proprio quando sembra ch'essi lavorino a trasformare se stessi e le cose, a creare ciò che non è mai esistito, proprio in tali epoche di crisi rivoluzionaria essi evocano con angoscia gli spiriti del passato, per prenderli al loro servizio... ".
Marx si riferisce alla Rivoluzione francese, ma la sua pagina può essere utile anche per leggere il capitolo della Rivoluzione russa nella storia della lotta delle classi e dei loro tempi di coscienza.
Molto del dibattito che precedette e che seguì le tre rivoluzioni russe fa esplicito ricorso alle correnti politiche e ai processi politici della Rivoluzione francese, evocando "gli spiriti del passato" dal girondinismo al giacobinismo, dall'hebertismo al babeuvismo. Uno dei grandi protagonisti dell'Ottobre, Lev Trotsky, avrà venti anni di tempo per meditare teoricamente sull'epoca di crisi rivoluzionaria nella quale ha operato collettivamente "a creare ciò che non è mai esistito" ed evocherà ampiamente e costantemente, fino all'ultimo giorno della sua eroica battaglia contro lo stalinismo ed il capitalismo statale, "gli spiriti del passato" del Termidoro, del Bonapartismo e della Restaurazione.
Anche se tali categorie politiche egli cerca di sostanziarle con nuovi contenuti sociali, analizzando le classi moderne emerse dall'industrializzazione capitalistica, esse finiscono con il pesare come un incubo sulla sua riflessione. Riveste di quelle forme politiche fenomeni sociali che appartengono ormai allo stadio di maturità del capitalismo, allo stadio imperialistico. Sarebbe ancora un minor male se non gli impedisse di vedere chela democrazia non è più la forma politica congeniale ad un giacobinismo che non può risorgere, se non come caricatura degenerata, nelle metropoli ma che è divenutala forma politica più adeguata alla concentrazione imperialistica, che è divenuta insomma la democrazia imperialista.
Gli uomini, dice Marx, fanno la loro storia rivoluzionaria nelle circostanze che trovano nell'immediato e che sono già determinate dai fatti e dalla tradizione. Gli uomini non possono scegliere le circostanze poiché non possono scegliere i fatti e la tradizione.
Questo richiamo di Marx alla tradizione è estremamente importante perché viene messo sullo stesso piano dei fatti. La tradizione è un fatto e non un'idea astratta e arbitraria anche se, quasi sempre, essa riveste i panni ideologici della falsa coscienza, del mito, del travolgimento dei reali fatti del passato, del capovolgimento delle cause che li hanno determinati, della fantastica ricostruzione storica dei fatti stessi, della inesatta misura dei tempi che li hanno regolati.
La tradizione è un fatto, perché è la pratica sociale del passato, è in definitiva l'esperienza che ogni classe o corrente di classe ha accumulato. Spesso non si dà la necessaria attenzione scientifica al fattore rappresentato dalla tradizione, si ritiene che il nuovo possa quasi annullarlo o renderlo secondario. "La tradizione di tutte le generazioni scomparse" diventa, cosi, un incubo che pesa "sul cervello dei viventi", invece di essere l'inevitabile e necessario patrimonio di esperienza nella lotta e nella creazione di "ciò che non è mai esistito".
Diventa un rallentatore invece di costituire l'indispensabile acceleratore dei tempi della coscienza rivoluzionaria.
Lenin, che aveva elevato la tradizione di classe ad elemento propulsivo della scienza, depurandolo da ogni incrostazione ideologica che favorisce l'opportunismo, individua nella rivoluzione russa il compimento di "una svolta di importanza mondiale".
Il tempo si proiettava nell'avvenire. L'immaturità del movimento rivoluzionario lo ha fatto riprecipitare nel passato

capitolo secondo


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Ultima modifica 24.12.2003