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La difficile questione dei tempi

edizioni LOTTA COMUNISTA

Arrigo Cervetto (1981-1984)

 


Edizioni Lotta Comunista
Trascritto per internet da Antonio Maggio (Primo Maggio), agosto 2001

 

[capitolo primo]

capitolo secondo

IL PARTITO RIVOLUZIONARIO E LE LEZIONI DALLA "DIFFICILE QUESTIONE" DEI TEMPI

I tempi della scienza della rivoluzione
I tempi della storia
I tempi della lotta
I tempi della preparazione rivoluzionaria
I tempi determinati della volontà politica
I tempi lunghi di Karl Marx
Il tempo psicologico
Il tempo del comunismo
I tempi della coscienza comunista

I tempi della scienza della rivoluzione

Con la sua pratica sociale plurisecolare la borghesia ha potuto, in alcune correnti e in alcuni singoli pensatori, elaborare ed impadronirsi di strumenti teorici adeguati ad una visione più corretta della società e ad una conseguente analisi di questa. Dovendo combattere contro le ideologie ed i miti attraverso i quali la classe aristocratica manteneva la direzione politica di una società dove il modo capitalistico di produzione si andava sempre più affermando nella vita economica, la borghesia è stata costretta, per imporsi politicamente e culturalmente, a porsi il problema di affrontare con il metodo scientifico, sviluppatosi da tempo nello studio della natura, la analisi della società. Il cammino verso la scienza applicata alla società è, per la borghesia, un tempo lungo costellato da brevi stagioni fiorenti e da interminabili stagioni aride, da pochi giorni di coraggio e da molti anni di viltà, da guizzi di rivolta e da stagnanti compromessi senza fine. Lento è il tempo di sviluppo delle forze produttive della società borghese in formazione nel grembo della vecchia società, ancor più lento è il tempo della sua presa di coscienza.
Ma quando, al termine della tortuosa traversata nei secoli, la borghesia, tramite i suoi rappresentanti più arditi e più liberi da condizionamenti, giunge alla soglia della scienza applicata alla società subito se ne ritrae perché ormai è diventata la classe dominante nella economia e nella politica. E arrivata all'analisi scientifica dei rapporti sociali proprio nel momento in cui diventa la più interessata alla loro mistificazione. Ha tutto da perdere a farli conoscere nella loro cruda realtà.
La classe dominata che non ha niente da perdere e che ha, perciò, tutto l'interesse ad una conoscenza scientifica della società non ha gli strumenti teorici per farlo.
Ancora una volta il tempo della evoluzione sociale si differenzia in una serie di tempi che regolano le forze produttive, le classi, la consapevolezza delle classi, il loro scontro economico, politico e teorico.
Ideologie e miti si intrecciano a questo ineguale sviluppo della storia dove le sue componenti proseguono con passi diversi, alcune accelerando, altre rallentando, altre ancora indietreggiando.
I rapporti sociali, nella loro oggettività, si impongono nei tempi della coscienza degli uomini divisi nella produzione della vita materiale, divisi nel lavoro intellettuale e nel lavoro manuale, divisi nella detenzione dei mezzi stessi della produzione. Ciò che è diviso nella economia non può essere unito nella cultura.
L'evoluzione sociale, con le sue differenziazioni in classi definite dalla collocazione oggettiva degli uomini nel processo di produzione e di distribuzione del prodotto, porta alla luce la contraddizione della cultura e della scienza.
E' una contraddizione che non può essere risolta nel campo delle idee ma che può essere superata nel campo della pratica partendo dall'antagonismo sociale per giungere a superarlo nella unificazione degli uomini.
La storia ha prodotto una situazione nella quale gli uomini che sono nella condizione oggettiva per avere una visione scientifica del mondo non hanno la preparazione specifica per svilupparla e gli uomini che tale preparazione specifica possono acquisire sono nella condizione oggettiva che deve negare la visione scientifica del mondo per conservare il mondo sociale con la divisione in classi.
Il marxismo è lo sviluppo conseguente della scienza che non si arresta di fronte alle scoperte delle contraddizioni sociali, da un lato, e l'applicazione della scienza nella società, la pratica scientifica da parte di chi non ha nulla da perdere e tutto da guadagnare ad applicarla, dall'altro. Il marxismo è, in quanto coscienza del movimento reale, la scienza della rivoluzione.
La insoluta questione della cultura trova soluzione, partendo dalle scoperte scientifiche del marxismo, nel movimento reale. Da teorica la questione diventa pratica.
Se la libertà è la coscienza della necessità, la scienza è la libertà e lo è perché non è una teoria distaccata dalla pratica ma è la pratica guidata dalla teoria.
Non basta affermare che la scienza e la libertà troveranno la completa unificazione pratica solo in una società comunista mondiale che supera la diseguaglianza di sviluppo fra gli uomini, diseguaglianza determinata dalla divisione sociale e, quindi, politica e culturale.
Questa è solo un'affermazione ideale. Questa è ancora una espressione di una concezione idealistica della realtà, del mondo, della società, della politica. E' un passo indietro nel tempo della coscienza.
E' nella concezione materialistica la consapevolezza che la scienza è libertà solo se è pratica del movimento reale di classe e la libertà è scienza solo se è praticata nelle scelte dell'azione, nelle sue verifiche, nei suoi collaudi, nell'esperienza accumulata e tramandata di generazione in generazione tramite lo strumento partitico adatto allo scopo.
Il Partito è l'organizzazione nel tempo, affronta la questione dei tempi, ma è esso stesso tempo.
In una lettera del 27 ottobre 1890, F. Engels scrive a C. Schmidt:
"L'economia qui non crea nulla ex novo, ma determina il modo della trasformazione e della evoluzione del materiale di pensiero preesistente, e per lo più lo determina in modo indiretto, perché sono i riflessi politici, giuridici e morali quelli che esercitano la più grande azione diretta sulla filosofia".
Engels precisa in questo modo un aspetto importante della questione dei tempi.
L'economia determina, in modo indiretto, la forma del pensiero nel presente trasformando e sviluppando il materiale di pensiero del passato.
Quindi determina il modo nel quale si forma la coscienza di classe fondata sulla visione scientifica, trasformando e sviluppando il materiale di pensiero preesistente.
Lo determina, però, in modo indiretto e in ciò risiede la difficoltà di analisi.
Lo indica Engels stesso in una lettera del 20 settembre 1890 a Joseph Bloch:
"Se così non fosse, l'applicazione della teoria ad un periodo qualunque della storia sarebbe più facile della soluzione di una semplice equazione di primo grado".

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I tempi della storia

Nella lettera a Joseph Bloch del 21 settembre 1890 Engels scrive: "Secondo la concezione materialistica della storia, il fattore in ultima istanza determinante nella storia è la produzione e la riproduzione della vita reale. Nulla di più né Marx né io abbiamo mai affermato.
Se ora qualcuno travisa la questione nel senso che il fattore economico sia l'unico, egli trasforma questa proposizione in una frase astratta, assurda, che non dice nulla".
In termini chiari Engels precisa che la "produzione e la riproduzione della vita reale" non può essere ristretta al solo fattore economico e, tanto meno, questo fattore può essere visto come "in ultima istanza determinante" dato che, in questo senso, il fattore determinante è proprio "la produzione e la riproduzione della vita reale" Continua Engels:
"La situazione economica è la base, ma i diversi fattori della sovrastruttura - forme politiche della lotta di classe e i suoi risultati, costituzioni introdotte dalla classe vittoriosa dopo vinta la battaglia ecc., forme giuridiche, e persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di chi vi partecipa, teorie politiche, giuridiche, filosofiche, concezioni religiose e loro ulteriore svolgimento in sistemi di dogmi - esercitano la loro influenza sul corso delle lotte storiche, e in molti casi ne determinano decisamente le forme.
V'è azione e reazione fra tutti questi fattori, azione e reazione attraverso la quale il movimento economico si afferma in ultima istanza come elemento necessario entro la infinita congerie di casi accidentali (cioè di cose ed eventi il cui nesso interno è così remoto o indimostrabile, che possiamo considerarlo inesistente, e quindi trascurabile)"
Non vi può essere analisi della azione e reazione fra tutti i fattori senza il metodo dialettico.
"Quel che manca, a questi signori, è la dialettica. Essi vedono sempre e soltanto qui causa, là effetto. Che questa sia una vuota astrazione, che nel mondo reale queste antitesi polari metafisiche esistano solo nelle crisi, ma che tutto il grande decorso avvenga in forma di azione e reazione -sia pure tra forze molto ineguali, di cui il movimento economico è di gran lunga la più potente, originaria, decisiva ; che qui nulla sia assoluto e tutto relativo, essi non lo vedono neppure-; per essi, Hegel non è neppure esistito", scrive Engels a C. Schmidt nella già citata lettera del 27 ottobre 1890.
Anche in questo passo Engels affronta chiaramente la questione dei tempi. Il "grande decorso" del tempo delle forze produttive e del movimento sociale, in tutti i suoi aspetti di lotte economiche, di lotte politiche, di lotte teoriche che si sviluppano con ritmi differenziati e con differenziate evoluzioni ed involuzioni, avviene in una interazione di forze ineguali. Proprio perché le forze sono ineguali e proprio perché quella economica è la "più potente, originaria, decisiva" il "grande decorso" del tempo è un movimento dinamico e non ristagna in una paralisi provocata da forze eguali e non decisive.
In questo ultimo caso l'unico tempo sarebbe quello geologico e biologico e quello storico si identificherebbe talmente al primo da annullarsi come tempo specifico. La storia degli uomini sarebbe esclusivamente storia della natura e non già storia della trasformazione della natura da parte della componente naturale cosciente.
Nel "grande decorso" le forze ineguali dell'economia, della politica, della struttura e della sovrastruttura si muovono in forma di azione e di reazione in modo incessante. Il risultato immediato è sempre una combinazione multiforme di fattori. In questo senso, nulla è assoluto e tutto è relativo.
Data questa dinamica si determina, in un particolare momento del tempo, una situazione di crisi dove lo scontro delle forze ineguali si addensa in grandi antitesi le quali da vuote astrazioni divengono, nel mondo reale e non nel mondo immaginario, espressione di cause dirompenti e di effetti catastrofici.
In quel momento, la storia degli uomini impone il suo tempo. Un giorno vale un secolo. Quel giorno è stato determinato da un secolo di azioni e reazioni, dove il tempo della coscienza teorica del rovesciamento rivoluzionario della prassi accelera, indietreggia, riaccelera sul tempo delle forze produttive sino a costituirne il fattore risolutore della crisi. Quel giorno è anche l'effetto di un secolo ma è soprattutto la causa di uno nuovo. L'11 aprile del 1893 Engels scrive una lettera al geologo George William Lamplugh che merita di essere riportata quasi per intero:
"La natura è grandiosa, ma la storia mi sembra più grandiosa della natura. La natura ha messo milioni d'anni a generare esseri coscienti, e questi esseri coscienti hanno ora bisogno di migliaia d'anni per agire insieme con coscienza - con coscienza cioè non solo delle loro azioni come individui, ma anche delle loro azioni come massa cooperando e perseguendo uno scopo comune e preventivamente voluto.
A tanto siamo ormai quasi arrivati. E osservare questo processo, questo delinearsi sempre più vicino di qualcosa che nella storia della nostra terra non c'è mai stato, mi sembra uno spettacolo che vale la pena di seguire, e per tutta la mia vita non sono mai riuscito a distoglierne gli occhi.
Ma è sfibrante, soprattutto se a questo processo si crede d'esser chiamati a collaborare; e allora lo studio della natura si rivela un grande sollievo ed una medicina. Giacché, in fin dei conti, natura e storia sono i due elementi in cui viviamo, operiamo e siamo".
Nella grandiosa storia dell'azione collettiva con coscienza si proietta il tempo passato, presente e futuro della lotta di classe, del rovesciamento del dominio di classe, della società senza classi.

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I tempi della lotta

La storia è storia delle lotte delle classi, il tempo sociale è tempo delle lotte delle classi. "Essere chiamati a collaborare", come dice Engels, al processo storico che portagli uomini ad agire "con coscienza non solo delle loro azioni come individui, ma anche delle loro azioni come massa ", vuol dire intervenire attivamente nel processo storico stesso, spingerlo in una direzione e contrastare tutto ciò che la ostacola, parteggiare, favorire e osteggiare, lottare.
Alla morte di Marx, Engels poteva dire, il 17 marzo 1883, dell'amico e del compagno che scendeva nella tomba: "Marx era prima di tutto un rivoluzionario. Contribuire in un modo o nell'altro all'abbattimento della società capitalistica e delle istituzioni statali che essa ha creato, contribuire alla emancipazione del proletariato moderno, al quale egli, per primo, aveva dato la coscienza della propria situazione e dei propri bisogni, la coscienza delle condizioni della propria liberazione: questa era la sua reale vocazione. La lotta era il suo elemento ".
In questa alta e nobile definizione del rivoluzionario Marx vi è più di un doveroso omaggio. Vi è un giudizio storico, un giudizio sui tempi della teoria marxista.
La lotta di Marx è stata anche quella di dare al proletariato moderno la coscienza della propria situazione, Marx ha contribuito alla emancipazione del proletariato perché ha dato il tempo della teoria, o coscienza del tempo, ai tempi del movimento sociale.
Non poteva farlo in altro modo che lottando.
Criticando l'utopismo e il dogmatismo che imperavano nel movimento socialista ha sgomberato la strada dell'emancipazione da un ostacolo che la bloccava e che frenava il tempo della coscienza teorica.
Per la concezione materialistica della storia e della politica, il dogma è un concetto che rappresenta con una falsa coscienza i nessi esistenti tra una serie di fenomeni che costituiscono la realtà oggettiva e la realtà sociale. Il dogma è un errore non tanto perché è una falsa rappresentazione di una realtà inconoscibile quanto perché impedisce od ostacola una conoscenza relativa, o per gradi di approssimazione, dei nessi esistenti tra i fenomeni della realtà oggettiva e della realtà sociale. Sviluppare la scienza significa, appunto, non solo conoscere i fenomeni materiali e sociali e concepire in vari modi il loro legame, le loro determinazioni o le loro interdipendenze o, infine, le loro autonomie; qualsiasi ideologia, da quella filosofica a quella politica a quella religiosa, lo fa sia in versione deterministica che in versione relativistica.
Sviluppare la scienza significa analizzare la realtà nei suoi nessi reciproci e stabilire ipotesi sulla reciproca influenza dei fattori o componenti e sulla loro dinamica. La pratica sociale e la pratica teorica, nella verifica delle ipotesi, sviluppano la scienza e la sua diffusione.
Il socialismo scientifico si forma in contrapposizione all'utopismo e al dogmatismo. Nel 1846, nella critica che fanno alla corrente democratica di Kriege, Marx ed Engels ne mettono in rilievo il carattere dogmatico: "Ma è una conclusione affatto coerente per questa nuova religione, che come ogni altra odia e perseguita a morte tutti i suoi nemici.
Il nemico del partito è trasformato con tutta coerenza in un eretico: da nemico del partito realmente esistente, con il quale si lotta, è trasformato in un peccatore che offende l'umanità, la quale esiste solo nell'immaginazione, e che deve essere punito ".
Per Marx ed Engels, il dogmatismo è di chi agisce in nome dell'esistente immaginario ossia del prodotto della sua immaginazione. Questo vale non solo per le religioni che il democratico areligioso ritiene dogmatiche solo perché proclamano la indiscutibilità di alcuni articoli di fede; vale anche per il democratico il quale ha altrettanti articoli di fede nella "democrazia", nel "popolo", nella " volontà popolare", ossia in qualcosa che non esiste nella realtà. La democrazia realmente esistente è la democrazia dell'imperialismo, il popolo realmente esistente è la popolazione composta da classi e strati sociali, la volontà popolare realmente esistente è quella della classe che domina l'economia che è la base materiale della popolazione.
Solo la scienza del marxismo va conseguentemente contro il dogmatismo poiché ha dovuto superare il dogma dell'inesistente per formarsi. Il marxismo viene tacciato di dogmatismo perché afferma apertamente la lotta contro i nemici del realmente esistente movimento di emancipazione del proletariato moderno.
La lotta di classe è un fenomeno oggettivo e non una scelta soggettiva. Perciò il marxismo prende posizione su di un fenomeno che esiste indipendentemente dalla sua volontà. Proprio per questo è antidogmatico.
L'antidogmatismo significa proprio la lotta, e non l'accettazione passiva o la tolleranza indifferente, contro chi è oggettivamente il nemico del movimento reale. Il "nemico" non è l'invettiva prodotta dalla invenzione dogmatica ma il termine scientificamente fondato sulla scoperta della lotta di classe e delle sue conclusioni politiche. La passione che nelle ideologie, basate tutte su uno o più dogmi, si esprime nell'odio verso l'eretico, con il marxismo si evolve a scienza perché diventa passione per la lotta rivoluzionaria e per la necessaria intransigenza verso il nemico.

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I tempi della preparazione rivoluzionaria

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I tempi determinati della volontà politica

La questione dei tempi è anche una questione delle volontà politiche, del loro formarsi, del loro evolversi, del loro avanzare o indietreggiare nella trama complessa della sovrastruttura.
Le volontà individuali sono determinate dalla situazione economico-sociale generale che si riflette nella coscienza, e quasi sempre nella falsa coscienza, degli individui sociali. Ma è dal movimento e dal mutamento di tale situazione che le azioni dei singoli individui si coalizzano in correnti politiche con proposito più o meno definiti di azione. I riflessi determinati dalla situazione economico-sociale sono estremamente vari, data la varietà della produzione e della distribuzione in una data formazione economico-sociale e data la conseguente stratificazione sociale, dentro le stesse classi.
Così come avviene sul mercato dove operano molti agenti economici e dove il risultato del loro operare è indipendentemente dalle loro singole volontà, anche nel campo della lotta politica il risultato sarà quello non voluto da ogni singolo individuo e da ogni singola corrente partecipante.
In definitiva, la questione dei tempi è una questione delle volontà politiche ma è soprattutto una questione dei loro risultati oggettivi. Scrivono Marx ed Engels ne "L'ideologia tedesca":
"Poiché lo Stato è la forma in cui gli individui di una classe dominante fanno valere i loro interessi comuni e in cui si riassume l'intera società civile di un'epoca, ne segue che tutte le istituzioni comuni passano attraverso l'intermediario dello Stato e ricevono una forma politica. Di qui l'illusione che la legge riposi sulla volontà strappata dalla sua base reale, sulla volontà libera".
Il marxismo ci indica, quindi, che la volontà non è libera dalla determinazione degli interessi.
Nella introduzione a "Per la critica dell'economia politica", redatta tra l'agosto e il settembre del 1857 e non pubblicata nella edizione del 1859 dell'opera, Marx critica la concezione, propria degli economisti politici borghesi, di una produzione data dalla natura ma non determinata dallo sviluppo storico. Vede in questa concezione "un ritorno ad una malintesa vita naturale".
L'economia politica borghese ha della vita naturale una idea che non corrisponde alla reale vita naturale.
"Così come non poggia su un siffatto naturalismo il contract social di Rosseau, che mette in rapporto e in collegamento, mediante un patto, soggetti per natura indipendenti".
Su tali ipotetici individui poggiano anche le teorie di Smith e Ricardo:
"Questa illusione è stata finora propria di una nuova epoca".
Per la concezione materialistica della storia, invece:
"Quando si parla dunque di produzione , si parla sempre di produzione a un determinato stadio dello sviluppo sociale, si parla della produzione di individui sociali".
Gli individui sociali sono, per Marx, gli individui reali, prodotti dallo sviluppo storico, scoperti dall'analisi scientifica applicata alla società che permette il superamento della rappresentazione immaginaria che le ideologie hanno degli individui hanno della specie umana.
Ciò non vuol dire che individui e produzione non abbiano alcuni elementi costanti, comuni a tutte le epoche.
Scrive Marx:
"Ma tutte le epoche della produzione hanno caratteri in comune, certe determinazioni comuni. La produzione in generale è un'astrazione, ma un'astrazione che ha un senso, in quanto mette effettivamente in rilievo l'elemento comune, lo fissa e ci risparmia una ripetizione. Tuttavia questo generale, ossia l'elemento comune astratto e isolato mediante comparazione, è esso stesso un qualcosa di complessivamente articolato che si dirama in differenti determinazioni. Di queste, alcune appartengono a tutte le epoche; altre sono comuni solo ad alcune".
Marx dà, infine, la seguente definizione:
"Ogni produzione è appropriazione della natura da parte dell'individuo, entro e mediante una determinata forma di società".
Se la volontà politica è determinata dagli interessi scaturiti dalla produzione data dallo sviluppo sociale, essa avrà "determinazioni comuni" a tutte le epoche e differenti determinazioni proprie del modo di produzione capitalistico.
La concezione materialistica della politica deve tenere conto delle "determinazioni comuni" se vuole approfondire la questione dei tempi.
Il revisionismo, a cavallo del secolo, non ne tenne conto nella presunzione di volere smentire, a tempi brevi, alcune tendenze dello sviluppo capitalistico previste da Marx.
Lenin, in uno scritto del 1908, lo precisa:
"Si è preteso che le crisi si farebbero oggi più rare, meno acute e che probabilmente i cartelli e i trusts offriranno al capitale la possibilità di eliminarle del tutto. Si è preteso che la "teoria del crollo" verso cui marcia il capitalismo, sarebbe una teoria inconsistente, poiché le contraddizioni di classe tenderebbero ad attutirsi, ad attenuarsi".
Lenin così continua:
"... la realtà ha dimostrato ben presto ai revisionisti che le crisi non avevano fatto il loro tempo: alla prosperità ha tenuto dietro la crisi. Sono cambiate le forme, l'ordine, la fisionomia delle singole crisi, ma le crisi continuano ad essere parte integrante del regime capitalistico. I cartelli e i trusts, mentre hanno concentrato la produzione ne hanno aggravato nello stesso tempo, agli occhi di tutti, l'anarchia, hanno aumentato l'incertezza del domani per il proletariato e l'oppressione del capitalismo, inasprendo così in modo inaudito le contraddizioni di classe".
Cambiano le forme, la fisionomia e l'ordine delle signole crisi, dice Lenin. E' scienza quella che sa analizzare questo processo sociale e i suoi ritmi storici.

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I tempi lunghi di Karl Marx

"Il suo nome vivrà nei secoli e così la sua opera !"
La mente di Karl Marx aveva cessato di pensare da poche ore e Friedrich Engels la consegnava al futuro.
Un secolo è passato e sono passate alcune generazioni di militanti marxisti. Di tanti avversari, affossatori di Karl Marx la polvere della storia non ha lasciato tracce come ne lascerà dei loro epigoni moderni professionalmente intenti a decretare ogni giorno il superamento del marxismo.
L'opera di Marx, invece, vive e si appresta a proseguire il suo lungo cammino nel secolo accompagnata dalla serena certezza del vecchio Engels. Essa vive perché gli uomini possono fermarsi ma non la storia. Essa vive perché ha ancora da rivelare e dispiegare tutta la sua potenza di comprensione scientifica e di trasformazione rivoluzionaria del mondo.
"Così come Darwin ha scoperto la legge dello sviluppo della natura organica, Marx ha scoperto la legge dello sviluppo della storia umana" - dice Engels - "la produzione dei mezzi materiali di esistenza e, con essa, il grado di sviluppo economico di un popolo e di un'epoca in ogni momento determinato costituiscono la base sulla quale si sviluppano le istituzioni statali, le concezioni giuridiche, l'arte ed anche le idee religiose degli uomini, e partendo dalla quale esse devono venire spiegate, e non inversamente, come si era fatto finora".
L'opera di Marx vive perché è la scoperta scientifica di ciò che determina il movimento storico. L'enorme montagna dei fatti concreti dell'ultimo secolo, l'infinita somma dei rapporti sociali stabiliti e movimentati da miliardi di uomini, la sterminata mappa di risultati oggettivi, il gigantesco cimitero delle idee, delle volontà, dei desideri, delle passioni degli individui e delle classi, stanno a testimoniare come la storia è stata determinata dai fattori costanti che il genio di Marx ha scoperto e definito come legge di sviluppo.
I detrattori di Marx sostengono che la sua opera è utopica e millenaristica perché affida alla storia un fine che non può avere. La concezione materialistica della storia non può attribuire fini allo sviluppo della specie umana, sviluppo che è un aspetto della dialettica della natura: quando Engels paragona Marx a Darwin questo lo sa perfettamente. Invece di perdere tempo in noiose confutazioni dell'inesistente, i critici di Marx dovrebbero cercare di dimostrare che la storia di un secolo ha avuto un corso diverso dal movimento scoperto da Marx. Ma non possono farlo.
La storia si è sviluppata secondo la legge scoperta da Marx. Creazione di un mercato mondiale, estensione del modo capitalistico di produzione nell'intero pianeta, centralizzazione del capitale e concentrazione dei mezzi di produzione, maturazione del capitalismo in imperialismo, imputridimento parassitario, burocratizzazione, militarizzazione, ingrandimento dello Stato che nelle varie forme politiche rappresenta la dittatura del capitale, sono tutti aspetti di un processo di evoluzione sociale che alla luce della scoperta scientifica di Marx è possibile è possibile cogliere nella sua complessità e comprendere nella sua essenzialità. Nell'opera di Marx questo processo di evoluzione sociale è analizzato e indicato nelle sue tendenze. Non c'è importante fenomeno sociale di questo nostro secolo che non sia stato previsto dalla scienza di Marx. Solo chi non conosce l'opera di Marx può irridere sulla legge dello sviluppo della storia umana poiché non sa quanta analisi specifica di ogni singolo aspetto della vita sociale parte dalla ipotesi di una legge generale e giunge, con una serie di criteri scientifici metodologicamente fondati, a comprovarla.
Crisi cicliche economiche, crisi politiche, guerre mondiali, rivoluzioni: ecco la dimostrazione e la conferma della vitalità di Marx.
A proposito del libro di Bernstein scriveva Antonio Labriola il 15 aprile 1899:
"Vi sono, per la verità, di quelli che ad ogni pié sospinto si mettono a discutere da capo la teoria del valore, la dialettica, il materialismo storico, la lotta delle classi, l'ipotesi catastrofica, l'avvenire del mondo e la società futura. Ma possiamo veramente lasciarci imporre tutti i giorni l'obbligo di fare una revisione critica, ora per ora, di tutta l'enciclopedia?".
Perché la scienza della rivoluzione che, per sua natura, non può essere rimessa in discussione tutti i giorni subisce una sorte che non è riservata ad altri rami della scienza?
E' lo stesso Antonio Labriola a spiegarlo acutamente:
"In verità, al di sotto di tutto questo rumore di disputa, c'è una questione grave ed essenziale: le speranze ardenti, vivissime, precoci di qualche anno fa - quelle aspettative dai dettagli e dai contorni troppo precisi - vengono a cozzare ora contro la più complicata resistenza dei rapporti economici e contro i più imbrogliati congegni del mondo politico. E coloro che non possono mettere il loro tempo psicologico (vale a dire la pazienza e lo spirito di osservazione) all'unisono coi ritmi del tempo delle cose, si arrestano a metà del cammino e deviano. I proletari soli possono contare sul tempo indefinito, e il loro numero soltanto si aumenta indefinitamente. Il mondo capitalistico, si complichi quanto voglia, non potrà fare a meno di moltiplicarli e di educarli". Il tempo delle cose è il tempo delle classi. Il tempo psicologico deve essere il tempo della costanza continua e della lunga passione rivoluzionaria.

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Il tempo psicologico

Il "tempo psicologico", come lo chiama Antonio Labriola, può essere considerato, dal punto di vista della scienza marxista e della strategia rivoluzionaria, la deformazione soggettivistica della "questione dei tempi". Un "tempo psicologico" che riflettesse il movimento reale dei processi economici e sociali sarebbe in sintonia con il "tempo delle cose" e rappresenterebbe il corretto atteggiamento del fattore soggettivo nella dialettica delle lotte di classe e del rovesciamento della prassi. Ma se il movimento del pensiero è un riflesso del movimento della realtà e, in ultima istanza, anche il comportamento psicologico è una forna particolare di tale riflesso dinamico, non lo è in modo lineare, meccanico, immediato. Se lo fosse, Antonio Labriola non avrebbe ragione di parlare di "tempo psicologico" in riferimento a problemi politici e non tanto, come sarebbe il caso, a problemi d'ordine fisiologico e biologico. Se esiste un problema di "tempo psicologico" nell'attività politica è perché la "questione dei tempi" nel movimento rivoluzionario non può essere risolta con il semplice adeguamento della strategia ad una corretta analisi scientifica del movimento reale. La strategia rivoluzionaria è azione e volontà e, quindi, è comportamento psicologico della minoranza organizzata di classe e della maggioranza della classe che hanno tempi differenziati tra loro e, comunque, spesso differenziati rispetto al "tempo delle cose".
Alla fine del secolo, Antonio Labriola vedeva il "tempo psicologico" dell'impazienza, dell'incapacità di osservazione, delle speranze precoci.
Pochi anni dopo, nel 1908 durante un momento duro della controrivoluzione, Lev Trotsky vede il "tempo psicologico" in un'altra delle sue facce. Può iniziare il suo scritto con una citazione: "Amo il mio secolo perché è la patria che posseggo nel tempo" per proseguire con una delle migliori definizioni dell'internazionalismo che siano state scritte in termini di comportamento psicologico:
"L'amo già perché mi permette di allargare di molto i limiti della mia patria nello spazio.
...
Io amo la mia patria nel tempo, questo ventesimo secolo nato tra tempeste e procelle. Esso reca in sé possibilità illimitate. Il suo territorio è il mondo".
Il tempo è ormai il mondo che si muove:
"Sotto i nostri occhi si è sollevato dal suo non essere il Giappone isolano e si è presentato come il pioniere della cultura capitalistica, davanti al grande continente asiatico così come un tempo la sua maestra, l'isolana Inghilterra, si presentò davanti al continente. Il Giappone ha celebrato il suo esordio storico dando agli ariani una dura lezione, che in cerchi concentrici si è ripercossa in tutta l'Asia".
Il "tempo psicologico" di Trotsky cammina non sulle nubi dell'impaziente attesa ma piantato sulla terra dei fatti concreti:
"Al principio del del secolo scorso l'Inghilterra era la fabbrica dell'Europa. Verso la fine di questo secolo l'Europa era diventata la fabbrica del mondo. Adesso l'Inghilterra, fatta retrocedere dall'industria dell'America e della Germania, non è che il forziere del capitalismo mondiale. E ben presto, forse, tutta l'Europa arretrerà di fronte all'industria dell'Asia, che dalla decrepitezza passa a una giovinezza nuova e si appresta a trasformare la ricca, decrepita Europa nella propria casa bancaria.
Queste non sono prospettive lontane e nebulose. I rivolgimenti e i mutamenti che, secondo i vecchi criteri, avrebbero richiesto secoli, oggi si compiono nel corso di decenni, persino di anni. La storia è diventata frettolosa, molto più frettolosa del nostro pensiero".
Ha ragione Trotsky: la storia frettolosa non attende il pigro pensiero così come non rincorre l'inconcludente e vanitosa impazienza.
I giganteschi rivolgimenti del secolo intravisti da Trotsky hanno marciato alla velocità di decenni travolgendo continenti e miliardi di uomini.
Il ritardo del fattore soggettivo della trasformazione rivoluzionaria si è accumulato con effetti devastanti che la specie umana paga con guerre che non terminano mai. Trotsky osserva acutamente: "I signori reazionari credono che la psicologia sia il fattore più distruttivo: il pensiero, ecco l'infame! Non c'è nulla di più errato. La psiche è l'elemento più conservatore. Essa è pigra ed ama l'ipotesi della routine".
Lenin parlerà del ruolo conservatore dell'abitudine. Ma se così è, come possono le masse reagire e rovesciare la situazione? La risposta che ne da Trotsky è iscritta alla concezione materialistica della politica:
"E se non ci fossero fatti turbolenti, l'inerzia del pensiero sarebbe la migliore garanzia dell'ordine. Ma i fatti turbolenti hanno una loro logica interna. Il nostro infingardo pensiero si ostina a non riconoscerli fino all'ultimo minuto. Esso scambia la propria limitatezza presuntuosa per una lucidità superiore. Povero pensiero! Finisce sempre per sfracellarsi contro il muro dei fatti.
...
I grandi avvenimenti - quelli che come pietre miliari indicano le svolte del cammino storico - si creano all'intersezione di grandi cause. E queste ultime, indipendentemente dalla nostra volontà, si formano nel corso della nostra esistenza sociale. E qui sta la loro forza insormontabile.
Noi non facciamo gli avvenimenti. E' già tanto se li prevediamo".

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Il tempo del comunismo

Nella prefazione del 19 settembre 1923 A "Letteratura e rivoluzione" L. Trotsky scrive:
"La fede nell'onnipotenza dell'idea astratta è ingenua. L'idea deve farsi carne per diventare una forza. Al contrario, la carne sociale, anche se ha perso del tutto la propria idea, resta ancora una forza.
Una classe storicamente superata è ancora capace di reggersi per anni e decenni con la possanza delle proprie istituzioni, con l'inerzia della propria ricchezza e con una cosciente strategia controrivoluzionaria. La borghesia mondiale è ora questa classe superata, che combatte contro di noi, armata di tutti i mezzi di difesa e di attacco".
La concezione materialistica della storia si forma nella critica e nella negazione della concezione idealistica, propria delle correnti borghesi riformistiche, che vede il corso storico come un progresso. Tanto è forte questa concezione idealistica che riesce, da un secolo e mezzo, ad influenzare il movimento operaio e a costituire il clima ideologico nel quale prosperano tutte le forme di opportunismo e di controllo borghese sugli strati salariati.
Ciò ha una spiegazione. La concezione idealistica e progressista della storia è stata l'arma ideologica che ha accompagnato la ascesa della borghesia nella vittoria contro l'aristocrazia. Ne ha segnato anche i suoi tempi psicologici nel corso dei secoli. Era naturale che si diffondesse nella piccola borghesia e nel proletariato.
Ironia della storia è che la massima diffusione si abbia avuto quando, dilaniata da due guerre mondiali, l'alta borghesia ha perso sempre più la fede nel proprio progresso ed è approdata al cinismo della democrazia imperialista.
Il tempo psicologico nella concezione materialistica della storia, invece, poggia sull'individuo sociale.
Nei "Lineamenti fondametali" Marx scrive:
"La società non consiste di individui, bensì esprime la somma di riferimenti, di relazioni in cui gli individui stanno gli uni rispetto agli altri".
La società è, per Marx, non la somma degli individui ma la somma dei rapporti sociali. Ne possiamo dedurre che i tempi non sono quelli dei rapporti sociali.
Già ne "L'ideologia tedesca" Marx ed Engels erano pervenuti alla conclusione che:
"La produzione della vita, tanto della propria nel lavoro quanto dell'altrui nella riproduzione, appare come un duplice rapporto: naturale da una parte, sociale dall'altra; sociale nel senso che si attribuisce alla cooperazione di più individui, non importa sotto quali condizioni, in quale modo e per quale scopo".
Produzione e riproduzione della vita sono, per il marxismo, il risultato della cooperazione di più individui; appunto, il risultato degli individui sociali.
Non c'è contrasto fra il rapporto naturale e il rapporto sociale nella produzione e riproduzione della vita.
La contraddizione è tra lo sviluppo delle forze produttive, determinato dalla cooperazione degli individui, e lo sviluppo dei rapporti sociali che dalla divisione del lavoro giungono alla divisione in classi antagoniste.
"Nella storia fino ad oggi trascorsa è certo un fatto empirico che i singoli individui, con l'allargarsi dell'attività sul piano storico universale, sono stati sempre asserviti a un potere loro estraneo, a un potere che è divenuto sempre più smisurato e che in ultima istanza si rivela come mercato mondiale".
Il mercato mondiale, massimo risultato della cooperazione tra più individui, diventa, per Marx ed Engels, il massimo potere che domina gli individui stessi.
Ma esso crea le condizioni per il movimento reale che supera questa contraddizione la quale può portare alla paralisi e al decadimento della società e delle sue forze produttive.
Il comunismo non è, quindi, la utopia di una versione della concezione idealistica e progressista della storia elaborata da Marx. Proprio perché si contrappone a tutte le versioni di tale concezione, Marx è in grado, già nei "Manoscritti del 1844", di superare ogni utopia e di scoprire il comunismo nel movimento reale provocato dallo sviluppo contraddittorio delle forze produttive. Il comunismo "è, in quanto compiuto naturalismo, umanismo, e in quanto compiuto umanismo, naturalismo ... è la verace soluzione del contrasto dell'uomo con la natura e con l'uomo, la verace soluzione del conflitto tra esistenza ed essenza ..., tra individuo e genere. E' il risolto enigma della storia".
Il tempo del comunismo è il tempo dell'uomo nella natura, è il tempo dell'individuo sociale.
Il comunismo è il tempo che risolve l'enigma della storia.
In Marx la scienza si esprime con la passione dell'epica:
"Il comunismo è la forma necessaria e l'energico princìpio del prossimo avvenire; ma esso non è come tale il termine dell'evoluzione umana - la forma dell'umana società".

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I tempi della coscienza comunista

Sviluppo del capitalismo e creazione del mercato mondiale sono, per Marx ed Engels, due aspetti dello stesso fenomeno storico. Per la prima volta nella storia dell'umanità le relazioni economiche che legano i singoli individui assumono un carattere qualitativo ed una dimensione quantitativa universale. Esse sono le molecole di un unico corpo sociale universale: il mercato mondiale.
Il tempo ha provveduto a rendere chiara ed evidente la scoperta della scienza marxista che, alla sua prima formulazione, poteva apparire una astratta enunciazione di princìpio della concezione materialistica della storia e della politica. Che l'unità infinitesimale potesse essere determinata dalla totalità del mondo poteva apparire un postulato filosofico e non, com'era, una scoperta della scienza. Come poteva l'individuo essere determinato, nella sua pratica e nelle sue idee, da un'entità che è l'insieme delle molteplici relazioni degli individui sociali, quale è appunto il mercato mondiale?
Lo sviluppo del capitalismo e delle sue contraddizioni lo aveva già dimostrato e lo avrebbe ancora di più dimostrato nel suo futuro. Il princìpio della scoperta scientifica era anche il princìpio del comunismo scientifico.
Ne "L'ideologia tedesca" del 1845-46 Marx ed Engels vedevano la tendenza al capovolgimento della prassi:
"... la dipendenza universale, questa forma spontanea della cooperazione degli individui sul piano storico universale, è trasformata in questa rivoluzione comunista nel controllo e nel dominio cosciente di queste forze le quali, prodotte dal reciproco agire degli uomini, finora si sono imposte ad essi e li hanno dominati come forze assolutamente estranee".
Il mercato mondiale capitalistico, creato dalla cooperazione degli individui, si impone ad essi e li domina fino al punto di provocare la rivoluzione comunista ad opera degli individui dominati.
Ciò ad opera degli individui appartenenti alla classe dominata per eccellenza il proletariato.
"Ciò che conta è che cosa esso è e che cosa esso sarà costretto storicamente a fare in conformità a questo suo essere. Il suo fine e la sua azione storica sono indicati in modo chiaro, in modo irrevocabile, nella situazione della sua vita e in tutta l'organizzazione della società civile moderna", avevano già scritto Marx ed Engels ne "La sacra famiglia" del 1844.
Il proletariato sarà costretto a fare la rivoluzione comunista; questo punto fondamentale della concezione materialistica della storia e della politica ha dato luogo ad un'infinità di equivoci interpretativi, di tipo meccanicistico e di tipo soggettivistico.
Eppure è di una chiarezza cristallina.
Il proletariato non fa la rivoluzione comunista perché vuole contrapporre la idea del comunismo ad altre idee. Esso è costretto a fare la rivoluzione comunista ed è costretto non perché non ne abbia coscienza ma proprio perché è costretto a prendere coscienza di ciò che deve fare. Non è un processo meccanico dove non esiste la coscienza, ma è un processo dialettico dove la coscienza è determinata dalla dinamica della realtà sociale.
Ne "L'ideologia tedesca" Marx ed Engels sostengono che:
"Di conseguenza la morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre la parvenza dell'autonomia. Esse non hanno storia, non hanno sviluppo, ma gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza. Nel primo modo di giudicare si parte dalla coscienza come individuo vivente, nel secondo modo, che corrisponde alla vita reale, si parte dagli stessi individui reali viventi e si considera la loro coscienza soltanto come la loro coscienza".
E' la vita reale che determina la coscienza degli individui reali viventi che non sono gli individui "inventati" dalle ideologie o dalle "false coscienze":
"... tutte le forme e prodotti della coscienza possono essere eliminati non mediante la critica intellettuale, risolvendoli nell'"autocoscienza" o trasformandoli in "spiriti", "fantasmi", "spettri", ecc., ma solo mediante il rovesciamento pratico dei rappori sociali esistenti, dai quali queste fandonie idealistiche sono derivate; che non la critica, ma la rivoluzione è la forza motrice della storia, anche della storia, della religione, della filosofia e di ogni altra teoria".
Le ideologie, e le forme di coscienza corrispondenti, non hanno storia perché non sono autonome e sono determinate da specifici rapporti sociali. Non è la critica delle ideologie che ne mette in crisi le corrispondenti coscienze. E' la crisi dei rapporti sociali che ne determina le crisi, anche se in tempi differenti e non meccanicisticamente correlati.
Il comunismo è la scienza della necessità storica del proletariato "... classe che forma la maggioranza di tutti i membri della società e dalla quale prende le mosse la coscienza della necessità di una rivoluzione che vada al fondo, la coscienza comunista".
La coscienza comunista: la scienza, la consapevolezza, la coscienza della necessità della storia.

capitolo terzo


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Ultima modifica 12.09.2001