La sacra famiglia

Friedrich Engels, Karl Marx (1844)


Tradotto da Enrico Leone (†1940) e trascritto da Leonardo Maria Battisti, giugno 2019


SECONDO CAPITOLO. La Critica critica come fabbricante, ovvero la Critica critica come signor Giulio Faucher

Dopo che la critica, coll'abbassarsi fino al nonsenso nelle lingue straniere, ha recato un decisivo contributo alla “auto-coscienza„ ed ha nell'ugual tempo liberato il mondo dal pauperismo, essa si prosterna ancora fino al consenso nella prassi e nella storia.

Si agguerrisce delle “quistioni inglesi del giorno„ e dà uno schizzo della storia dell'industria inglese, che è schiettamente critico.

La critica, che basta a se stessa, che si perfeziona in sè in maniera esclusiva, deve naturalmente misconoscere la storia quale si è realmente svolta, perchè riconoscerla significherebbe già far conto della massa nella sua massiccia qualità di massa (massenhaften Massenhaftigkeit), mentre invece si tratta di sciogliere la massa dalla sua qualità di massa. La storia è perciò emendata dalla sua tendenza di massa, e la critica, che si comporta liberamente col proprio oggetto, grida alla storia: Tu ti devi portare così e non così. Le leggi della critica hanno tutte, forza retroattiva; prima dei suoi decreti la storia andava in un modo diverso da quello che è andata dopo di essi. Perciò la storia “della massa„ la così detta storia reale, si discosta notevolmente dalla storia critica, che appunto comincia dal fascicolo VII della Gazzetta di letteratura, pag. 4. Nella storia della massa non s'erano città manifatturiere prema che vi fossero fabbriche; ma nella storia critica, dove il figlio, come già in Hegel, genera il padre, Manchester, Bolton e Preston, sono delle fiorenti città: di fabbriche, prima ancora che si pensasse a delle fabbriche. Nella storia reale l'industria del cotone fu particolarmente fondata dalla Jenny di Hargreaves e dal telaio di Arkwright (macchina a filare), mentre la Mule di Crompton è soltanto un miglioramento della Jenny mercé il nuovo principio scoverto da Arkwright, ma la storia critica sa distinguere, ha in disprezzo la unilateralità della Jenny e del telaio, e dà la palma alla Mule, che è la identità speculativa degli estremi.

In realtà con la scoverta del telaio e della Mule l'applicazione della forza dell'acqua a queste macchine risultava necessariamente: ma la Critica critica distingue i principi gettati alla rinfusa dalla storia greggia, e non lascia introdurre quest'applicazione che solo più tardi, come qualcosa di affatto particolare. Nella realtà la scoverta della macchina a vapore va innanzi a tutte la sopranominate scoverte, ma, nella critica essa, come coronamento di tutte, é l'ultima.

Nella realtà l'unione commerciale di Liverpool e Manchester nella sua odierna importanza é la conseguenza della esportazione delle merci inglesi: nella critica l'unione commerciale é la causa di essa; e tutte due sono la conseguenza della vicinanza di quelle città. Nella realtà le merci vanno quasi tutte al continente da Manchester per Hull, nella critica per Liverpool.

Nella realtà, nelle fabbriche inglesi vi sono tutte le gradazioni del salario, da i scellino e mezzo fino a 40 e più scellini; nella critica viene pagato un solo tasso, ad 11 scellini. Nella realtà é la macchina che-sostituisce il lavoro a mano, nelle critica é il pensiero: Nella realtà una unione di lavoratori per l'elevamento del salario é permessa in Inghilterra, ma nella critica é proibita, poichè la massa deve prima farsi autorizzare dalla critica, se essa vuoi permettersi qualche cosa. Nella realtà il lavoro di fabbrica affatica notevolissimamente e produce delle particolari malattie — vi sono anzi intere opere mediche- su queste malattie; — nella critica lo sforzo eccessivo non può ostacolare il lavoro, perché la forza ricade sulla macchina. Nella realtà la macchina é una macchina: nella critica essa ha una volontà; giacché, siccome essa non riposa, così neanche il lavoratore può riposare ed é soggiogato da una volontà esterna.

Ma questo non è ancor niente! La critica non può affatto dichiararsi contenta dei partiti di massa dell'Inghilterra; essa ne crea dei nuovi: crea. un partito di fabbrica, perchè la storia possa ringraziarla. Essa mette invece fabbricanti e lavoratori di fabbrica in un solo fascio — perché in fondo ci si dovrebbe affliggere per tali piccolezze? — e decreta che i lavoratori di fabbrica, se non hanno contribuito al fondo dell'Anti-corn-law-league, non lo hanno fatto nè per cattiva volontà ne per chartismo, come gli sciocchi fabbricanti credono, ma semplicemente per miseria. Essa decreta inoltre che, con l'abolizione delle leggi inglesi sul grano, i giornalieri di campagna dovranno acconciarsi ad una riduzione dei salari; a che noi umilissimamente possiamo osservare che codesta misera classe non può più privarsi neppure d'un centesimo senza morir di fame addirittura.

Essa decreta che nelle fabbriche inglesi si lavora 16 ore, benché la sciocca e punto “critica„ legge inglese ha procurato che non si possa lavorare al di là delle 12 ore. Essa decreta che l'Inghilterra deve essere il grande laboratorio del mondo, quantunque gli Americani, i Tedeschi ed i Belgi, gente plateale e per nulla critica, sottraggono gradualmente agli inglesi un mercato dopo l'altro. Essa decreta infine che l'accentramento del possesso e le sue conseguenze per le classi operaie, non sono note in Inghilterra nè alla classe nullatenente nè alla classe abbiente, malgrado che i chartisti credano di conoscerle molto bene, e quantunque i socialisti pensino di avere diffusamente esposto queste conseguenze nei loro particolari, senza contare che gli stessi tories e whigs, come Carlyle, Alison e Gaskell, abbiano dimostrato di avere questa conoscenza nelle loro opere.

La critica decreta che la legge delle dieci ore di lord Ashley é una povera mezza misura e che l'istesso lord Ashley è “una vere immagine dell'azione costituzionale„ mentre i fabbricanti, i chartisti, i proprietari fondiari, insomma l'intera moltitudine dell'Inghilterra, fin qui han riguardato questa misura come l'espressione più possibilmente mitigata d'un principio del tutto radicale, perché essa mette la scure alla radice stessa del commercio internazionale, epperciò alla radice del sistema di fabbrica ; e non soltanto ve la mette ma vi vuol colpire profondamente. La Critica critica ne sa dippiù. Essa sa che la questione della legge delle 10 ore fu trattata dinanzi ad una “commissione„ della Camera dei Comuni, quantunque i giornali non critici ci vogliano far sapere che questa commissione sia stata l'istessa Camera e precisamente un “Comitato di tutta la Camera„: ma la critica deve necessariamente abolire questi procedimenti bizzarri della costituzione inglese. La Critica critica, che crea la sciocchezza della massa, sua antitesi, ci mostra anche la sciocchezza di sir James Graham e gli pone in bocca, mediante una interpretazione critica della lingua inglese, delle cose che il non critico ministro degl'interni non ha mai detto; e ciò semplicemente perchè di fronte alla sciocchezza di Graham tanto più luminosamente splenda la sapienza della critica.

Essa afferma che Graham dica che le macchine sarebbero logore in 12 anni circa nelle fabbriche se fossero applicate indifferentemente per 10 o 12 ore al giorno, e così un bili delle 10 ore renderebbe impossibile al capitalista di riprodurre in 12 anni con il lavoro delle macchine il capitale in esse impiegato. Così la critica dà prova che con ciò mette sulle labbra di sir James Graham una madornalità, perché una macchina che quotidianamente lavora 'h meno di tempo, è naturalmente utilizzabile per un più lungo periodo.

Per quanto sia giusta quest'osservazione della Critica critica contro i suoi stessi sofismi, deve d'altra parte riconoscersi a sir James Graham che egli stesso disse che la macchina dovrebbe, vigendo una legge delle 10 ore di lavoro, tanto più celeremente lavorare, quanto più le vien limitato il tempo di lavoro, ciò che anche la stessa critica cita (VIII, pag. 32), e che con questo presupposto, il tempo di logoramento resta l'istesso, cioé 12 anni.

Ciò deve esser riconosciuto tanto più perchè questo riconoscimento torna a gloria e ad onore della critica, perché la critica ha costruito da se stessa il sofisma e da se stessa lo ha risolto.

Essa è parimenti generosa verso lord John Russel, al quale falsamente attribuisce l'intenzione di mutare la forma politica dello Stato e del sistema elettorale, per cui noi siamo costretti a concludere, che o lo sforzo della critica è quello di produrre sciocchezze, d'una forza straordinaria, oppure lord John Russel deve essere diventato negli ultimi otto giorni un critico critico.

Ma è veramente grandiosa la critica nella sua fabbrica di sciocchezze, quando fa la scoverta che i lavoratori d'Inghilterra — i quali in aprile e maggio tennero comizi su comizi e ammucchiarono petizioni su petizioni, e tutto ciò per il bill delle 10 ore di lavoro, e i quali erano così -concitati come mai da due anni erano stati da un capo di distretto di fabbrica all'altro — prendano soltanto un “interesse parziale„ alla questione; benché ciò mostri che “anche la limitazione legale del tempi di lavoro abbia occupato la loro attenzione„; quando fa la grande, la magnifica, la inaudita scoverta che “il miglioramento apparentemente più immediato derivante dall'abolizione della legge sul grano assorbe la maggior parte dei desideri dei lavoratori, e ciò sarà tino a che l'adempimento ormai indubitabile di quest'aspirazione non abbia ormai loro dimostrato la sua inutilità. Questa inutilità dovrebbe esser dimostrata a quei lavoratori, che sono abituati in tutti i pubblici comizi a cacciare via dalle tribune degli oratori gli abolizionisti della legge sul grano, e che sono riusciti al punto da non fare più arrischiare la Lega contro la legge sul grano a tenere un pubblico comizio in alcuna “città di fabbrica„ inglese; a quei lavoratori che considerano la Lega come la lor unica nemica, e che durante la discussione del bill delle 10 ore, come del resto sempre per lo innanzi in questioni simili, furono sostenuti dai tories. Ed è pur bello che la critica scovra che “i lavoratori si lasciano ancor sempre attrarre dalle promesse più avvincenti del chartismo„, che non è altro che l'espressione politica della pubblica opinione dei lavoratori. È pur bello che la critica sia fatta accorta dal profondo del suo spirito assoluto che “la doppia divisione in partiti, il partito politico e quello della proprietà terriera ed industriale, già non vuole più fondersi e combaciare„; mentre fin qui non era ancor noto che la divisione in partiti della proprietà industriale e fondiaria pel piccolo numero di entrambe le classi di proprietari e per gli uguali loro diritti politici (ad eccezione del piccolo numero dei Pari) era così estesa che invece d'essere l'espressione più conseguente, cioè l'esponente dei partiti politici, è invece tutt'una cosa coi partiti politici. È bello vedere la critica attribuire agli abolizionisti della legge sul grano la sua pretesa che essi non sapessero che, coeteris paribus, un ribasso del prezzo del pane debba avere per conseguenza anche un ribasso del salario e che tutto resti come per l'innanzi; mentre questa gente dalla ammessa caduta del saggio di salario, e perciò dei costi di produzione, si attendeva una estensione del mercato e con ciò una diminuzione della concorrenza fra i lavoratori, mercé la quale il salario, rispetto al prezzo del pane, si tenga di qualche quantità più alto di quello che non sia ora.

La Critica, che nelle libere creazioni della sua antitesi, dello assurdo, si muove con beatitudine artistica, quella stessa critica che da due anni viene esclamando: “La critica parla tedesco, la teologia latino„, quella istessa critica ha ormai imparato l'inglese, e i possessori fondiari li chiama proprietari di terra (landοwners), i possessori di fabbrica li chiama proprietari di molino (millowners) — mill indica in inglese ogni fabbrica, le cui macchine sono mosse dal vapore o dalla forza idraulica — e i lavoratori li chiama mani (hands): essa dice invece di “ingerenza„ interferenza (interference) e nella sua infinita misericordia per la lingua inglese gonfia di peccaminosa volgarità, si degna perfino di correggerla, e mette da banda la pedanteria, con la quale gli Inglesi fanno sempre precedere al pronome, il titolo “Sir„ dei cavalieri e dei baronetti. La massa dice: Sir James Graham, la critica: Sir Graham.

Che la critica trasformi la storia e la lingua inglese in base ai principi e non per leggerezza lo dimostrerà subito la profondità con la quale essa tratta la storia del signor Nauwerck.



Ultima modifica 2019.06.18