La sacra famiglia

Friedrich Engels, Karl Marx (1844)


Tradotto da Enrico Leone (†1940).

Trascrizione di Vito Leli e coding di Leonardo Maria Battisti, settembre 2019


SESTO CAPITOLO. La Critica assolata, ossia la Critica come signor Bruno.

I. — Prima campagna della Critica assoluta.

a) Lo “Spirito„ e la “Massa„

Fin qui la Critica critica parve più o meno occupata alla elaborazione critica degli oggetti più svariati della massa. Ora la troviamo occupata attorno all’oggetto assolutamente critico, cioè attorno a se stessa. Essa fin qui attinse la sua relativa gloria dall’abbassamento, dalla confutazione e dalla trasformazione critica degli oggetti e delle persone della massa. Ora essa attinge la sua gloria assoluta dall’abbassamento critico e dalla confutazione e trasformazione critica della massa in generale. Alla critica relativa stavan di fronte limitazioni relative. Alla critica assoluta sta di fronte la limitazione assoluta, la barriera della massa, la massa come barriera. La critica relativa, nella sua antitesi a determinate limitazioni, era anche necessariamente individuo limitato. La critica assoluta in antitesi alla generale limitazione, alla pura e semplice limitazione, è necessariamente individuo assoluto. Come gli svariati oggetti e le svariate persone della massa sono mescolati nella impura poltiglia della “massa„, così la critica ancora apparentemente oggettiva e personale si è mutata nella “critica pura„. Fin qui la critica parve più o meno una qualità degli individui critici, Reichardt, Edgardo, Faueher, ecc. Ora è essa subbietto, e il signor Bruno la sua incarnazione.

Fin qui la qualità di massa parve più o meno la qualità degli oggetti e delle persone criticate; ora gli oggetti e le persone sono mutati in “massa„ e la “massa„ in oggetti e persone. Fin qui tutti i rapporti critici si sono risoluti nel rapporto della critica sapienza assoluta all’assoluta ignoranza della massa. Questo rapporto fondamentale appare come il senso, la tendenza, la parola risolutiva delle gesta e delle battaglie critiche.

Conforme al sito carattere assoluto la Critica pura manifesterà subito al suo presentarsi il differenziativo “motto caratteristico„ ma non dovrà ciò non ostante come spirito assoluto subire un processo dialettico. Non prima della fine del suo movimento celeste sarà realizzato veramente il suo concetto originario (Vedi Hegel, Enciclopedia).

“Ancora pochi mesi addietro — annunzia la critica assoluta — la massa si credeva gigantescamente forte e destinata ad un dominio mondiale, la cui prossimità essa credeva di potere contare sulle dita„.

Il signor Bruno Bauer nella “buona causa della libertà„ (s’intende, della sua “propria„ causa) nella “Quistione degli ebrei„, ecc., era proprio lui che contava sulle dita la prossimità del dominio del mondo che si veniva avvicinando, benché non fosse in grado di dare esattamente la data. Nel registro dei peccati della massa egli grava la massa dei suoi propri peccati.

“La massa si credeva in possesso di tante verità, le quali si intendevano da se stesse„.

“Ma una verità non si possiede perfettamente se non... quando la si sia conseguita mercè la sua dimostrazione„.

La verità è pel signor Bauer, come per Hegel, un automaton che si dimostra da se stesso. L’uomo deve seguirla. Come per Hegel, il risultato dello sviluppo reale non è altro che la verità dimostrata, cioè la verità assurta ad autocoscienza. La critica assoluta può perciò domandare con i teologhi più corti di mente:

“A che sarebbe la storia, se essa non avesse appunto per suo còmpito di dimostrare la più semplice di tutte le verità (come il movimento della terra attorno al sole)?„.

Come secondo i teleologi più antichi le piante esistono affinchè siano mangiate dagli animali, e gli animali esistono affinchè sieno mangiati dagli uomini, così la storia esiste affinchè possa servire all’atto di consumazione del cibo teoretico, alla dimostrazione. L’uomo esiste affinchè esista la storia, e la storia esiste perchè con essa si abbia la dimostrazione della verità. In questa forma critica resa triviale si ripete la sapienza speculativa che l’uomo, che la storia esistono solo affinchè la verità arrivi all’auto-coscienza.

La storia diventa perciò, come la verità, una persona a parte, un subbietto metafisico di cui gli uomini reali sono meri sostegni. La critica assoluta si serve perciò delle frasi:

La storia non si lascia burlare; la storia ha adoperato tutti i suoi maggiori sforzi; la storia si è occupata; a che sarebbe la storia? la storia ci offre la esplicita dimostrazione; la storia inette verità sul tappeto„ ecc.

Se secondo l’affermazione della critica assoluta fin qui hanno occupato la storia solamente un paio di tali verità — le più semplici di tutte — le quali alla fine s’intendono da sè, questa penuria, a cui essa riduce tutte le esperienze umane fino a questo momento, dimostra in primo luogo soltanto la sua propria penuria. Dal punto di vista non critico, la storia piuttosto ha per risultato che la più complessa verità, la quintessenza d’ogni verità, gli uomini, insomma, s’intendono da sé.

“Ma verità — dimostra inoltre la critica assoluta — le quali alla massa sembrano essere tanto luminosamente chiare che s’intendono a priori (“von vorn herein„) da se stesse..... che essa ritiene superflua la dimostrazione, non meritano che la storia offra ancora espressamente la loro dimostrazione; esse non formano affatto parte del problema, della cui soluzione si occupa la storia„.

Nel santo zelo contro la massa, la critica assoluta le fa le più eleganti adulazioni. Se una verità è chiara come il sole, perchè pare chiara come il sole alla massa, se la storia si comporta con la verità secondo il parere della massa, il giudizio della massa è dunque assoluto, infallibile, è la legge della storia, la quale dimostra soltanto ciò che alla massa non sembra chiaro come il sole, ma sembra perciò bisognevole di dimostrazione. La massa dunque prescrive alla storia il suo “compito„ e la sua “occupazione„.

La critica assoluta parla di “verità che s'intendono a priori da se stesse„. Nella sua ingenuità critica inventa essa un “a priori„ assoluto ed una “massa„ astratta, immutevole. L’“a priori„ della massa del XIX secolo e l’“a priori„ della massa del XIX secolo sono dinanzi agli occhi della critica così poco diversi come questa massa stessa. La caratteristica appunto d’una verità vera diventata evidente, che s’intende da se stessa, è ch’essa “s’intende da sè a priori„. La polemica della critica assoluta contro le verità le quali s’intendono a priori da sè stesse, è la polemica contro le verità che in sostanza s’intendono da sè stesse.

Una verità che s’intenda da sè ha perduto, per la critica assoluta come per la divina dialettica, il suo sale, il suo senso, il suo valore. È diventata insipida come acqua guasta. La critica assoluta dimostra perciò da un lato tutto ciò che s’intende da se stesso, ed inoltre molte cose che hanno la fortuna di essere irragionevoli, non si spiegheranno perciò mai da se stesse. D’altra parte, tutto ciò che ha bisogno di uno svolgimento s’intende da se stesso. Perchè? Perchè nei problemi reali s’intende da sè che non s’intendono da sè.

Giacché la verità, come la storia, è un etereo subbietto staccato dalla massa materiale, essa non si indirizza agli uomini empirici, ma al “più intimo dell’anima„; afferra, per averne “veritiera esperienza„, l’uomo, non pel suo grossolano corpo che abita forse nelle profondità d’una cantina inglese o nelle altitudini d’una soffitta francese, ma “attraversa„ “da cima a fondo„ le sue budella idealistiche. La critica assoluta rilascia invero alla massa il certificato che essa fin qui sia stata toccata a sua maniera, cioè superficialmente, dalle verità, che la storia veniva cosi clementemente “ponendo sul tappeto„, ma insieme profetizza che il rapporto della massa col progresso storico si trasformerà completamente. Il senso riposto di questa profezia critica non tarderà a farcisi “chiaro come il sole„.

“Tutte le grandi azioni della storia fin qui esistita — noi apprendiamo — erano errate a priori e senza una concatenata successione, perchè la massa si era interessata ed entusiasmata per esse; — ossia esse dovettero riuscire a un fine miserevole perchè la Idea, della quale in esse si trattava, era di tale specie che si accontentava di un’opinione superficiale, onde potè contare anche sul plauso della massa„.

Sembra che un'opinione, che sia sufficiente per un’Idea, cioè corrisponda ad un’Idea, cessa di essere superficiale. Il signor Bruno rileva solo in apparenza un rapporto tra l’idea e la sua appercezione, come solo in apparenza rileva un rapporto dell’azione storica sbagliata alla massa. Se dunque la critica assoluta condanna una qualcosa come “superficiale„ questo qualcosa è semplicemente la storia finora esistita, le cui azioni e le cui idee erano le azioni e le idee della massa. Essa rigetta la storia della massa, al cui posto (si vegga il signor Giulio Faucher sulle questioni del giorno inglesi) essa sostituirà la storia critica. Secondo la storia non critica, fin qui esistita, cioè non concepita nel senso della critica assoluta, si è ben lungi dal distinguere fino a che punto la massa si “interessi„ per degli scopi, e fino a che punto si “entusiasmi„ per essi. L’Idea fece sempre una brutta figura, in quanto era distinta dall’“interesse„. È d’altronde facile concepire che ogni interesse della massa, che viene a mescolarsi nella storia, appena viene alla ribalta mondiale, esorbita molto al di là dei suoi limiti effettivi nell’“Idea„ o nella “rappresentazione„ e si confonde semplicemente con l’interesse umano. Questa illusione forma ciò che Fourier chiama il tono di ciascun’epoca storica. L’interesse della borghesia del 1879, ben lungi dall’essere “perduto„ (verfehlt), ha tutto “guadagnato„ ed ha avuto il più “impressionante successo„, per quanto il “pathos„ sia sfumato e siano appassiti i fiori “entusiastici„, coi quali questo interesse inghirlandò la sua culla.

Questo interesse era cosi potente che trionfò completamente della penna di un Marat, della ghigliottina dei terroristi, della spada di Napoleone, come del Crocifisso e del puro sangue dei Borboni.

La rivoluzione è “perduta„ soltanto per la massa, che nella “idea„ politica non possedeva l’idea del suo effettivo “interesse„, il cui vero principio vitale non coincideva quindi col principio vitale della rivoluzione, le cui effettive condizioni di emancipazione sono essenzialmente diverse dalle condizioni in seno alle quali la borghesia potè emancipare se stessa e la società. Perciò la rivoluzione, la quale può rappresentare tutte le grandi “azioni„ storiche, è fallita, ma è fallita perchè la massa in seno alle cui condizioni vitali essa essenzialmente si fermò, era una massa esclusiva, limitata, che non abbracciava la totalità. Non (fallì) perchè la massa si “entusiasmava„ ed “interessava„ per la rivoluzione, ma perchè la parte più numerosa della massa diversa dalla borghesia non vedeva nel principio della rivoluzione il suo vero interesse, non il suo peculiare principio rivoluzionario, ma soltanto un’idea e perciò soltanto un oggetto di entusiasmo momentaneo e di una sollevazione soltanto apparente.

Con la profondità dell’azione storica aumenterà perciò l’estensione della massa della quale essa è azione. Nella storia critica, secondo la quale nelle azioni storiche non si tratta di masse che agiscono, non dell’avvenimento empirico, nè dell'interesse empirico di questo avvenimento, ma “in loro„ piuttosto “si tratta di un’idea„, le cose debbono avvenire diversamente. Nella massa, essa c’insegna, non altrove, come credono i suoi oratori liberali più precoci, è da ricercarsi il vero nemico dello “spirito„.

I nemici del progresso oltre la massa sono appunto i prodotti obbiettivatisi, dotati di vita propria, dell’abbassamento, dell’auto-macerazione, dell'auto spossessarsi della massa. La massa si rivolge quindi contro i propri vizi col rivolgersi contro i prodotti — esistenti come cose per sè stanti — del proprio abbassamento, come l’uomo col rivolgersi contro l’esistenza di Dio si rivolge contro la propria religiosità. Ma siccome quei pratici spossessamenti di se stessa da parte della massa esistono nel mondo reale in una maniera esteriore, essa li deve ugualmente combattere in una maniera esteriore. Essa non deve affatto ritenere questi prodotti del suo auto-spossessarsi per fantasmagorie ideali, per pure estraniazioni dell’autocoscienza, e volere annientare l’alienazione materiale per mezzo d’una azione spiritualistica puramente interiore. Già il giornale di Loustalot dell’anno 1789 portava il motto:

Les grands ne nous paraissent grands
Qae parceque nous sommes à genoux
Levons nous!

Ma per alzarsi non basta alzarsi col pensiero e lasciar pendere sulla testa vera e sensibile il giogo vero e sensibile che non si può scuotere a forza di speculazioni ideali. Ma la critica ha per lo meno imparato dalla Fenomenologia hegeliana l’arte di trasformare delle catene reali, obiettive, esistenti all’infuori di me, in catene puramente ideali, puramente soggettive, puramente esistenti in me, e di trasformare quindi tutte le lotte esteriori in pure lotte d’idee.

Questa trasformazione critica fonda l’armonia prestabilita della Critica critica e della censura. Dal punto di vista critico la lotta dello scrittore contro il censore non è la lotta di “un uomo contro un uomo„. Il censore, al contrario, non è altro che il mio proprio tatto, personificato per me dalla polizia previdente, il mio proprio tatto, che è in lotta con la mia mancanza di tatto e mancanza di critica. La lotta dello scrittore col censore è soltanto apparente; soltanto per il cattivo sensualismo, qualche cosa di diverso dalla lotta interna dello scrittore con se stesso. Il censore, in quanto esso è un birro di polizia effettivamente ed individualmente da me diverso, che maltratta il mio prodotto spirituale secondo una misura esteriore, estranea all’oggetto, è una immaginazione puramente della massa, una tela di ragno del cervello non critico. Se le tesi di Feuerbach per la riforma della filosofia vennero esiliate dalla censura, la colpa non fu della barbarie ufficiale della censura, ma della incoltura delle tesi di Feuerbach. La critica pura non intorbidata dalla massa e di materia possiede anche nel censore una forma pura, eterea, divisa da ogni realtà di massa.

La critica assoluta ha dichiarato la massa come il vero nemico dello spirito. Essa analizza questo più davvicino:

“Lo spirito sa ora dove ha da cercare il suo unico avversario, nelle frasi, nelle volontarie illusioni e nella mancanza di nerbo della massa„.

La critica assoluta parte dal domma della giustificata esistenza assoluta dello “spirito„. Essa parte inoltre dal domina dell’esistenza ultramondana dello spirito, cioè della sua esistenza fuori della massa dell’umanità. Essa finalmente trasforma da una parte lo spirito, il progresso, dall’altra parte la massa, in esseri fissi, in concetti, e quindi li riferisce uno all’altro come estremi fissi dati come tali. Non viene in mente alla critica assoluta di analizzare lo “spirito„ stesso, di indagare se la “frase„, la “illusione„, la “mancanza di nerbo„ non siano fondate nella sua stessa natura spiritualistica, nelle sue avventate pretensioni. Egli piuttosto è assoluto, ma nello stesso tempo si trasforma disgraziatamente di continuo in mancanza di spirito; i suoi conti sono fatti di continuo senza l’oste. Egli deve perciò avere di necessità un avversario che intriga contro di lui. La massa è questo avversario.

Lo stesso si dica del “progresso„. A malgrado delle pretensioni “del progresso„, vi sono continui regressi ed involuzioni. La critica assoluta, assai lontana dal supporre che la categoria del progresso è totalmente priva di contenuto ed astratta, è al contrario così intelligente da riconoscere “il progresso„ come assoluto, per potere, a spiegazione del regresso, supporre un “avversario personale„ del progresso: la massa. Poiché “la massa„ è null’altro che l’antitesi dello “Spirito„, del “progresso„ della “critica„, essa non può essere determinata se non da questa antitesi immaginaria, ed all’infuori di questa antitesi la critica non sa dire del senso e della esistenza della massa che queste parole prive di senso, perchè affatto indeterminate:

“La massa, in quel senso nel quale la parola abbraccia anche il così detto mondo colto„.

Un “anche„ un “così detto„ basta per una definizione critica. La massa è perciò differente dalle vere masse ed esiste come la massa soltanto per la critica.

Tutti gli scrittori comunisti e socialisti partirono dall’osservazione da una parte che anche le azioni gloriose piu favorevoli sembrano restare senza risultati brillanti, e terminare in trivialità, dall’altra che tutti i progressi dello spirito furono finora progressi contro la massa dell'umanità, la quale venne cacciata in una situazione sempre più disumana. Essi dichiararono perciò (vedi Fourier) “il progresso„ come una frase insufficiente ed astratta: essi supposero (vedi fra altri Owen) un vizio fondamentale del mondo civilizzato; essi sottoposero perciò le vere basi della società odierna ad una critica profondamente corrosiva. A questa critica comunistica corrispose subito praticamente il movimento delle grande massa, in opposizione alla quale aveva avuto luogo lo sviluppo storico antecedente. Bisogna avere imparato a conoscere lo studio, la sete di sapere, l’energia morale, l’istinto instancabile di perfezione degli operai francesi ed inglesi per potersi formare una idea della nobiltà umana di questo movimento.

Come è ora infinitamente intelligente la critica assoluta, la quale riguardo a questi avvenimenti intellettuali e pratici concepisce unilateralmente soltanto un lato del rapporto, il continuo naufragio dello spirito, e cerca nella sua collera per questo fatto ancora un avversario dello “spirito„ che essa trova nella “massa„! Al postutto questa grande scoverta critica si riduce ad una tautologia. Secondo il suo modo di vedere lo spirito ebbe finora una barriera, un ostacolo cioè un avversario, perchè esso aveva un avversario. Chi è ora l’avversario dello spirito? L’assenza dello spirito. Vale a dire la massa è determinata soltanto come “l’antitesi dello spirito„ come l’assenza dello spirito e come le più precise determinazioni di assenza dello spirito, come “indolenza„ “superficialità„ “appagamento di se stessa„. Quale profonda superiorità sugli scrittori comunisti di non avere seguito l’assenza dello spirito, l’indolenza, la superficialità, l’appagamento di se stesso, nei loro focolari, ma di averli condannati in sermoni dal pulpito e di averli scoperti come antitesi dello spirito del progresso! Se queste qualità vengono spiegate come qualità della massa, considerata come un soggetto ancora da loro differente, questa differenza non è che una pseudo-differenza “critica„. Soltanto apparentemente la critica assoluta possiede oltre le qualità astratte dell'assenza dello spirito, dell’indolenza, ecc., anche un soggetto determinato, concreto, perchè la massa nella concezione critica non è altro che quelle proprietà astratte, è un’altra parola per denotarle, è una loro fantastica personificazione.

Il rapporto fra “spirito e massa„ ha frattanto un senso ascoso che nel corso delle dimostrazioni si scovrirà completamente. Noi qui lo accenniamo soltanto. Quel rapporto scoperto dal signor. Bruno non è infatti esso stesso altra cosa che il compimento della concezione storica hegeliana criticamente in caricatura, la quale alla sua volta non è altro che l’espressione speculativa del domma cristiano-germanico dell’antitesi fra spirito e materia, fra Dio e l’universo. Quest’antitesi è essa stessa espressa in seno alla storia, in seno alla società umana istessa in tal maniera che pochi individui eletti stanno di fronte come spirito attivo alla restante umanità come massa priva di spirito, come materia.

La concezione storica di Hegel presuppone uno spirito astratto o assoluto, che si sviluppa in guisa che l’umanità è soltanto una massa, che lo regge con minore o maggiore coscienza. In seno alla storia empirica, exoterica, egli lascia perciò svolgersi una storia speculativa esoterica. La storia dell’umanità si trasforma nella storia dello spirito astratto dell’umanità che è al di là dell’uomo reale.

Parallelamente a questa dottrina hegeliana si sviluppava in Francia l'insegnamento dei dottrinari, i quali proclamarono la sovranità della ragione in opposizione alla sovranità del popolo, per escludere la massa e governare da soli.

Ciò è logico. Se l’attività dell’umanità reale non è altro che l’attività di una massa di individui umani, la generalità astratta, la ragione, lo spirito deve, al contrario, possedere un’espressione astratta, esaurita in pochi individui. Dipende poi dalla posizione e dall'immaginazione d’ogni individuo se esso si vuol dare la veste di rappresentante dello spirito.

Già presso Hegel lo spirito assoluto della storia ha nella massa il suo materiale, e la sua espressione adeguata l’ha soltanto nella filosofia.

Il filosofo frattanto appare soltanto come l’organo in cui Io spi rito assoluto, che fa la storia, viene posteriormente a conoscenza di sè, a movimento finito. A questa posteriore coscienza del filosofo si riduce la sua parte nella storia, poiché il vero movimento è compiuto dallo spirito assoluto in maniera incosciente. Il filosofo perciò arriva post festum.

Hegel si rende colpevole d’una duplice inconseguenza, una volta quando egli dichiara la filosofia come l’esistenza dello spirito assoluto, e nello stesso tempo rifugge dal dichiarare il reale individuo filosofico per lo spirito assoluto; e poi col far fare allo spirito assoluto, come spirito assoluto, soltanto apparentemente la storia. Vale a dire, dal momento che lo spirito assoluto viene nel filosofo alla coscienza di sè come spirito universale creatore, soltanto post festum, la sua fabbricazione della storia esiste soltanto nella coscienza, nell’opinione e nell’immagi- nazione del filosofo, soltanto nella immaginazione speculativa. Il signor Hnino supera l’inconseguenza di Hegel.

Una volta egli dichiara la critica per lo spirito assoluto e se stesso per la critica. Come l’elemento della critica è esiliato dalla massa, così l’elemento della massa è esiliato dalla critica. La critica si sa perciò incarnata non nella massa, ma in un piccolo gruppo di uomini eletti, nel signor Bauer e nei suoi discepoli.

Il signor Bruno supera inoltre l’altra inconseguenza di Hegel col non fare più la storia come lo spirito di Hegel post festum nella fantasia, ma col fare con coscienza la parte di spirito universale, in opposizione alla massa del rimanente dell'umanità e col porsi di fronte a lei in un rapporto attuale drammatico e coll’inventare e perfezionare la storia a disegno e con matura riflessione.

Da una parte sta la massa come l’elemeuto passivo, mancante di spirito, mancante di storia, elemento materiale della storia; dall’altra parte sta lo spirito, la critica, il signor Bruno e compagni, come l'elemento attivo dal quale parte ogni azione storica. L’atto di trasformazione della società si riduce all’attività cerebrale della Critica critica.

Sì, il rapporto della critica, e quindi anche della critica incarnata nel signor Bruno e compagnia, con la massa, è in verità l’unico rapporto storico del presente. Al movimento reciproco di questi due lati si riduce l’intera storia moderna. Tutte le antitesi si sono risolute in questa antitesi critica.

La Critica critica, che si obbiettivizza soltanto nella sua antitesi della massa, della stupidità, deve perciò di continuo crearsi quest’antitesi, e i signori Faucher, Edgardo e Szeliga hanno dato prove sufficienti della virtuosità ch’essa possiede nella sua specialità, nell’istupidimento, a mo’ di massa, delle persone e delle cose.

Accompagniamo perciò la critica assoluta nelle sue campagne contro la massa.

b) La questione degli Ebrei N. 1. Come si pone la questione.

Lo spirito in antitesi alla massa, si comporta subito criticamente, considerando come assoluta la sua opera singolarmente meschina, la questione degli Ebrei di Bruno Bauer, e considerando soltanto gli avversari di essa come peccatori. Nella replica N. 1 agli attacchi mossi a questo scritto, egli non tradisce alcun sospetto dei suoi difetti, anzi egli assevera inoltre di avere dimostrato ampiamente il “vero„, generale significato della questione degli Ebrei. Nelle repliche ulteriori lo vedremo costretto a confessare la sua “svista„.

“L'accoglienza che il mio lavoro ha trovato è il principio della prova che proprio coloro che fin qui hanno parlato di libertà, e tuttora se ne fanno difensori, debbono ribellarsi più d’ogni altra cosa contro lo spirito: e la difesa che io qui le dedicherò porgerà la prova ulteriore di quanto siano spensierati gli oratori della massa, i quali sanno fare miracoli al segno da marciare per l’emancipazione e per il dogma dei “diritti dell’uomo„.

La massa deve necessariamente incominciare, in occasione di uno scritto della critica assoluta, a dimostrare la sua antitesi allo spirito, poiché la sua esistenza è addirittura condizionata e giustificata dalla antitesi alla critica assoluta.

La polemica di alcuni ebrei liberali e razionalisti contro la questione degli Ebrei del signor Bruno ha naturalmente un ben altro significato critico di quello che abbia la polemica, degna della massa, dei liberali contro la filosofia e dei razionalisti contro Strauss. Di quale originalità sia del resto il passaggio sopra citato si può ricavare dal seguente passo di Hegel:

“La particolare forma della cattiva conoscenza, che si fa manifesta nella specie di eloquenza della quale si pavoneggia quella (la liberale) superficialità, può farsi notare qui accanto, e innanzi tutto in ciò: che essa, là dove è più povera di spirito, ivi parla di più dello spirito, dove è più mortificata e più noiosa ivi ha in bocca la parola “vita„, ecc.

Per ciò che riguarda i diritti dell’uomo è stato dimostrato al signor Bruno (nella “Questione degli Ebrei„ Annali franco-tedeschi) che non già gli oratori della massa, ma piuttosto “egli medesimo„ ne aveva misconosciuto e dogmaticamente trattata male la essenza. Di fronte alla sua scoverta che i diritti umani non sono “innati„, una scoverta che in Inghilterra è stata scoverta da più di 40 anni infinite volte, l’affermazione di Fourier che pescare, cacciare sono diritti conseguenti all'uomo, deve chiamarsi geniale.

Diamo soltanto alcuni esempi della lotta del signor Bruno con Philippson, Hirsch, ecc. Anche questi tristi avversari non soccomberanno alla critica assoluta. Il signor Pililippson non dice affatto, come afferma la critica assoluta, una insulsaggine quando la rimprovera così:

“Bauer concepisce uno Stato di natura particolare.... un ideale filosofico di uno Stato„.

Il signor Bruno, che confondeva lo Stato con l’umanità, i diritti umani con l’uomo, la emancipazione politica con quella umana, a più forte ragione doveva, se non concepire, per lo meno immaginarsi uno Stato di natura speciale, un ideale filosofico di uno Stato.

“Il declamatore (signor Hirsch) invece di scrivere il suo faticoso articolo, avrebbe dovuto, a preferenza, confutare la mia dimostrazione che lo Stato cristiano.... poiché il suo principio vitale è una religione stabilita, non può permettere agli aderenti di un'altra determinata religione nessuna perfetta uguaglianza con le sue condizioni„.

Se il declamatore Hirsch avesse realmente confutato la dimostrazione del signor Bruno, e, come è infatti stato fatto negli Annali franco-tedeschi, avesse dimostrato che lo Stato di classe e del cristianesimo esclusivo non è soltanto lo Stato imperfetto, ma specialmente è lo Stato cristiano imperfetto, allora il signor Bruno avrebbe risposto, come appunto a quella reptazione rispose:

“I rimproveri a tal proposito sono senza importanza„.

Contro la proposizione del signor Bruno: “Gli Ebrei comprimendo le molle della storia ne hanno suscitato lo scatto„, il signor Hirsch giustissimamente ricorda:

“Essi così dovettero essere pur qualche cosa nella formazione della storia, e quando Bauer ne convenisse, avrebbe torto di affermare altrove che essi non abbiano portato nessun contributo alla civiltà dei tempi moderni„.

Il signor Bruno risponde:

“Una spina nell’occhio è anche qualche cosa, ma contribuirà perciò stesso allo sviluppo della mia fisonomia?„.

Una spina che — come il giudaismo nel mondo cristiano — mi si conficcasse nell’occhio fin dal momento della nascita, e vi restasse conficcata, crescendo e formandosi con esso, non è una spina ordinaria, ma una spina meravigliosa, che appartiene al mio occhio, che deve perfino contribuire ad uno sviluppo originalissimo della mia fisonomia. La “spina„ critica non infilza dunque il declamatorio Hirsch. Del resto nella critica sopra citata è stata spiegata al signor Bruno l’importanza del giudaismo per “la civiltà dei tempi moderni„.

Il sentimento teologico della critica assoluta si sente offeso dalle affermazioni di un deputato renano del Landtag “che gli Ebrei sono bislacchi secondo il loro modo ebraico e non secondo il nostro modo così detto cristiano„, fino al punto da richiamarlo al regolamento, sebbene in ritardo, per avere usato questo argomento.

All’affermazione d’un altro deputato:

“Il pareggiamento civile degli Ebrei può aver luogo soltanto là dove il giudaismo stesso non esiste più„,

il signor Bruno osserva:

“Giusto! ma giusto sol quando uon sfugga alla critica l’altra osservazione, che io ho fatta valere nel mio scritto, che cioè anche il cristianesimo deve cessare di esistere„.

Si vede che la critica assoluta nel N. 1 della sua replica agli attacchi contro la Questione degli Ebrei considera ancor sempre l’abolizione della religione, l’ateismo, come condizione dell’uguaglianza civile; sicché nel suo primo stadio non ha ancora acquistata nessun'ampia veduta sulla sostanza dello Stato, come sulla “svista„ della sua “opera„.

La critica assoluta si sente sconcertata se una scoverta scientifica “modernissima„ da lei meditata si palesa per una cognizione già comunemente diffusa. Un deputato renano osserva:

“Non è stato affermato ancora da nessuno che la Francia ed il Belgio si distinguano nella organizzazione dei loro rapporti politici per la particolare chiarezza nella conoscenza dei principi„.

La critica assoluta poteva replicare che questa affermazione sposta il presente nel passato, spacciando la veduta, oggi diventata triviale, della insufficienza dei principi politici francesi come veduta tradizionale. Alla critica assoluta non tornerebbe conto questa replica obbiettiva. Essa deve piuttosto affermare la veduta antica come veduta invalente al giorno d’oggi, e la veduta oggi dominante come un mistero critico che resta ancora da rivelare, mercè i suoi studi della massa.

Essa deve perciò dire:

“Esso (il pregiudizio antiquato) è stato proclamato da molti (dalla massa); ma una approfondita indagine della storia offrirà la prova che, anche dopo i grandi lavori della Francia, è da fare ancor molto per la conoscenza dei principi„.

Dunque la stessa approfondita indagine della storia non può “offrire„ la conoscenza dei principi. Essa, nella sua profondità, non potrà che dimostrare che “c’è da offrire ancora molto„. Un lavoro grosso; grosso specialmente dopo i lavori socialisti.

Per la conoscenza, delle odierne condizioni sociali, frattanto, offre il signor Bruno già molto quando dice:

“La determinatezza oggi dominante è la indeterminatezza. Hegel dice che la dominante determinatezza cinese è l’“essere„, che la dominante determinatezza indiana è il nulla, ecc.: la critica assoluta lo segue nella maniera più “netta„ quando risolve il carattere dei tempi moderni nella categoria logica della indeterminatezza, e tanto più nettamente in quanto anche l’indeterminatezza, al pari dell'“essere„ e del “nulla„, fa parte del primo capitolo della logica speculativa, del capitolo della “qualità„.

Noi non possiamo staccarci dal N. 1 senza un’osservazione generale.

Il còmpito principale della critica assoluta consiste nel portare tutte le questioni di tempo nel loro giusto posto. Essa, cioè, non risponde alle effettive questioni, ma vi sostituisce questioni del tutto diverse. Siccome trasforma tutto, bisogna che trasformi anche prima le questioni del giorno, che le riduca a questioni criticamente critiche. Se si trattasse del Codice di Napoleone, essa dimostrerebbe che si tratti veramente del Pentateuco. La maniera con cui essa pone le questioni è la maniera critica di svisarle e di spostarle. così essa contorse anche la questione degli Ebrei in tal maniera da non occorrerle d’indagare la emancipazione politica, della quale ai tratta in quella questióne, ma da potere invece accontentarsi di una critica della religione ebraica e di una descrizione dello Stato cristiano germanico.

Anche questo metodo, come ogni originalità della critica assoluta, è la ripetizione di una spiritosità speculativa. La filosofia speculativa, vale a dire la filosofia hegeliana, doveva convertire tutte le questioni dalla forma del sano intendimento umano nella forma della ragione speculativa, e doveva trasformare la questione reale in una questione speculativa per poterle rispondere. Dopoché la speculazione mi aveva alterato in bocca là mia domanda e mi aveva posto in bocca, come il catechismo, la sua domanda, essa poteva naturalmente, come il catechismo, avere bell’e pronta la sua risposta per ogni mia domanda.

c/em>) Hinrichs N. 1. Cenni misteriosi di politica, socialismo e filosofia.

“Politico!„. La critica assoluta si atterrisce formalmente dell’esistenza di tale parola nelle lezioni del professore Hinrichs.

“Chi ha seguito lo sviluppo dei tempi più moderni e conosce la storia saprà anche che i moti politici che succedono al presente, hanno una ben altra (!) importanza di quella politica — essi hanno in fondo„ (in fondo! ecco il profondo sapere) “una importanza sociale (!), la quale, come si sa (!), è di tal natura (!) che tutti gl’interessi politici le appaiono senza importanza (!)„.

Pochi mesi prima della pubblicazione della Gazzetta della letteratura critica apparve, come si sa (!), lo scritto fantastico politico del signor Bruno: “Stato, Religione e Partito„.

Se i moti politici hanno una importanza sociale, come gl'interessi politici potrebbero di fronte alla loro importanza sociale apparire “senza importanza?„.

Il signor Hinrichs non sa nulla di nulla nè a casa sua, nè in nessuna parte del mondo. Egli non poteva in nessun luogo esser mai a casa sua, perchè — perchè la critica, che negli ultimi quattro anni ha cominciato e svolta la sua opera nient'affatto politica ma soltanto — sociale (!) gli è restata del tutto (!) ignota ..

La critica stessa che secondo l’opinione della massa non esercita opera “niente affatto politica„ ma del tutto teologica, si contenta ancor adesso di questa parola, pronunziando non soltanto da quattro anni, ma dalla sua nascita letteraria, per la prima volta la parola “sociale„. Dopo che gli scritti socialisti hanno diffusa in Germania la convinzione che tutti gli sforzi e le opere umane, tutte senza eccezione, hanno un'importanza sociale, il signor Bruno può a giusto titolo chiamare sociale la sua opera teologica.

Ma quale pretesa critica è mai questa che il professore Hinrichs debba attingere socialismo dagli appunti degli scritti di Bauer, dappoiché tutte le opere di Bruno Bauer apparse fino alla pubblicazione delle lezioni di Hinrichs là dove traggono pratiche conseguenze, traggono conseguenze politiche! Il professor Hinrichs, a voler parlare in maniera non critica, non poteva completare le opere già pubblicate del signor Bruno con le sue opere non ancora pubblicate. Criticamente considerata, la massa è tenuta veramente a interpretare i “movimenti„ della critica assoluta, tanto politici che quelli di massa, nel senso dell’avvenire e dell’assoluto progresso. Ma affinchè il signor Hinrichs, secondo la sua concezione della Literaturzeitung, non dimentichi mai la parola “sociale„ e non misconosca mai il carattere “sociale„ della critica, essa proibisce per la terza volta al cospetto del mondo la parola “politica„ e ripete solennemente per la terza volta la parola “sociale„.

“Non è più il caso di parlare del significato politico se si tien d’occhio alla vera tendenza della nuova società — ma di significato sociale„, ecc.

Come il professore Hinrichs è la vittima espiatoria dei precedenti moti politici, così egli è la vittima dei correnti moti e detti “hegeliani„ che si succedono nella critica assoluta in modo volontario fino alla pubblicazione della Literaturzeitung, e in modo involontario in essa. Contro Hinrichs viene scagliato una volta il motto caratteristico di “schietto hegeliano„ e due volte quello di “filosofo hegeliano„. Il signor Bruno “spera„ che le “frasi banali„, che ora hanno fatto il loro giro faticoso nei libri della scuola hegeliana (specialmente nei suoi propri libri) nella grande “stanchezza„ nella quale le troviamo nelle letture del professore Hinrichs, possano trovare presto una meta nel loro ulteriore viaggio. Il signor Bruno spera dalla stanchezza del professore Hinrichs la dissoluzione della filosofia di Hegel, e da quella dissoluzione la sua propria redenzione.

Nella sua prima campagna la critica assoluta atterra dunque le singolari deità lungamente adorate: “Politica„ e “Filosofia„ dimostrandole come idoli del professor Hinrichs.

Oh gloriosa prima campagna!

II. — Seconda campagna della Critica assoluta.

a) Hinrichs N. 2. La Critica e Feuerbach. Condanna della Filosofia.

Dopo il successo della prima campagna, la critica assoluta può considerare la “filosofia„ come disfatta, e additarla addirittura come un’alleata della massa.

“I filosofi erano predestinati a compiere i voti del cuore della massa„.

“La massa vuole„ cioè “idee semplici per non aver nulla da fare con la cosa, vuole schibolets per essere atta ad ogni cosa di primo acchito, vuole frasi per annullare con esse la critica„;

e la “filosofia„ soddisfa questa brama della massa!

Barcollante di ebbrezza per i fatti d’arme vittoriosi, la critica assoluta si abbandona ad una frenesia da Pizia. La nascosta caldaia bollente il cui vapore entusiasma fino alla frenesia la testa, ubbriaca dalla vittoria, della critica assoluta è la Filosofia dell’avvenire di Feuerbach. Ella aveva letto nel mese di marzo questo scritto di Feuerbach. Il frutto di questa lettura, ed insieme il criterio della serietà con cui fu fatta, è l’articolo N. 2 contro il professore Hinrichs.

La critica assoluta, la quale non è mai uscita dalla gabbia della concezione hegeliana, strepita qui contro le spranghe di ferro e contro le pareti della carcere. Vien rigettato il “concetto semplice„, la terminologia, tutto il processo mentale della filosofia, anzi tutta la filosofia, con orrore. Al loro posto sottentra d’un tratto “l’effettiva ricchezza dei rapporti umani„, lo “straordinario contenuto della storia l’importanza dell’uomo„. Il mistero del sistema viene proclamato “scoverto„.

Ma chi ha dunque scoverto il mistero del “sistema„? Feuerbach. Chi ha annientato la dialettica del concetto, la lotta divina che era soltanto nota ai filosofi? Feuerbach. Chi ha messo non solo il “significato dell’uomo„ — come se l’uomo avesse anche un altro significato oltre quello di esser uomo! - ma “l’uomo„ al posto del vecchio ciarpame, compresa “l’infinita autocoscienza„? Feuerbach e soltanto Feuerbach. Egli ha fatto anche di più. Egli ha da lungo tempo annientate le stesse categorie nelle quali la critica si imbatte: la ricchezza effettiva dei rapporti umani, l’enorme contenuto della storia, la lotta della storia, la lotta della massa con lo spirito, ecc. ecc.

Una volta riconosciuto l’uomo come sostanza e base di tutta l’attività e di tutti i rapporti umani, la critica può solo ricercare nuove categorie e trasformare l’uomo stesso, come essa fa effettivamente, di nuovo in categoria, con che essa veramente sfonda la strada di salvezza che ancora resta alla più angusta e perseguitata inumanità teologica.

La storia non fa nulla, essa non “possiede alcun enorme potere„, essa non combatte nessuna lotta. È piuttosto l’uomo, l'uomo effettivo e vivente, che fa tutto, che possiede e che combatte; la storia non è una qualche cosa che si serva dell’uomo come mezzo per conseguire coi propri sforzi degli scopi — quasi fosse una persona per sé stante — ma essa è null’altro che l’attività dell'uomo che persegue i suoi scopi.

Basta il semplice fatto che la critica assoluta, anche dopo le geniali dimostrazioni di Feuerbach, ardisce di ritornarci ad ammannire tutta la vecchissima robaccia in forma nuova, nel momento stesso che la rigetta come ciarpame degno della massa — e di far ciò essa ha tanto meno il diritto in quanto che non ha mosso mai un dito per la dissoluzione della filosofia — basta questo semplice fatto per venire a giorno del “segreto„ della critica e per apprezzare la critica ingenuità con la quale essa può dire al professore Hinrichs, la cui stanchezza ancora una volta le rende un così grande servigio:

“Il danno è sopportato da coloro che non hanno avuto alcuno sviluppo, che perciò anche se lo volessero non si potrebbero mutare; e, se ciò accade, il nuovo principio, — anzi meglio, il Nuovo non può neppure mutarsi in frase e non gli potrebbe prendere in prestito particolari aspetti.„

La critica assoluta si ringalluzzisce contro il professore Hinrichs per il dissolvimento “del mistero delle scienze della facoltà.„ Ha forse ella in qualche modo risolto il mistero della filosofia, della giurisprudenza, della politica, della medicina, dell’economia politica, ecc.? Nient’affatto.

Essa ha — si noti! — essa ha nella “buona causa della libertà„ mostrato che la ricerca del pane e la libera scienza, la libertà dell’insegnamento e gli statuti delle facoltà si contradicono.

Se la critica fosse onesta, avrebbe confessato donde essa deriva il suo così detto rischiaramento del mistero della filosofia, benché sia ancor meglio che essa non ponga in bocca a Feuerbach, come ha fatto con altre persone, tali sciocchezze, come i principi fraintesi e svisati ch’essa prese a prestito da lui. È notevole, del resto, dal punto di vista teologico della critica assoluta, che mentre ormai i filistei tedeschi cominciano a capire il Feuerbach e ad appropriarsi i suoi risultati, essa invece non è in grado di intendere giustamente e di utilizzare abilmente un solo principio di lui.

La critica compie il vero progresso sulle gesta della sua prima campagna, allorché essa “stabilisce„ che la lotta della “massa„ con lo “spirito„ è lo “scopo„ di tutta la storia fin’ora esistita, allorché spiega che la massa è il “puro nulla„ della “miserevolezza„, allorché chiama addirittura la massa col nome di materia, e contrappone “alla materia„ lo spirito come il Vero. Non è dunque la critica assoluta legittimamente cristiano-germanica? Dopo che la vecchia antitesi dello spiritualismo e del materialismo è stata combattuta da tutti i lati, e da Feuerbach è stata superata una volta per sempre, la critica ne fa di nuovo, nella forma più acuta, il dogma fondamentale, e fa trionfare lo spirito cristiano-germanico.

Deve infine considerarsi come uno svolgimento del suo mistero ancora occulto nella precedente campagna, se essa qui identifica l’antitesi dello spirito con la massa, con l’antitesi della critica con la massa. Essa più tardi andrà tanto oltre da identificare se stessa con la critica, e da porre se stessa come lo spirito, come l'assoluto e l’infinito, e da porre invece la massa come finita, greggia, bruta, morta ed inorganica poiché questo intende appunto la Critica per materia.

Quale enorme ricchezza della storia, che si esaurisce nel rapporto dell’umanità col signor Bruno!

b) La questione degli Ebrei N. 2. Scoverte critiche sul socialismo. Giurisprudenza e politica (Nazionalità).

Agli ebrei della massa, agli ebrei materiali vien predicata la dottrina cristiana della libertà spirituale, della libertà nella teoria, quella libertà spirituale che s’immagina di essere libera anche nelle catene, che è intimamente contenta dell’idea, ed è soltanto infastidita da ogni esistenza che sappia di massa.

“Per quanto ora gli Ebrei esistono in teoria, essi sono emancipati, e per quanto essi vogliono essere liberi per tanto sono liberi„.

Da questa proposizione si può subito misurare l’abisso critico che separa il comunismo ed il socialismo profano della massa dal socialismo assoluto. Il primo principio del socialismo profano rigetta l’emancipazione in pura teoria come una illusione, e mira a conseguire per la libertà effettiva, all’infuori della volontà idealistica, le condizioni ancor più tangibili e molto materiali. Quanto la massa è profondamente al disotto della sacra critica, la massa che reputa per necessarie le rivoluzioni pratiche e materiali, anche per acquistare il tempo ed i mezzi che sono occorrenti per occuparsi di teoria!

Facciamo un salto per un momento dal puro socialismo spirituale nella politica!

Il signor Riesser afferma contro Bruno Bauer: Il suo Stato (cioè lo Stato critico) deve escludere “ebrei„ e “cristiani„. Il signor Riesser si trova dalla parte della ragione. Poiché il signor Bauer confonde la emancipazione politica con la emancipazione umana, poiché lo Stato sa reagire contro gli elementi riluttanti — Cristianesimo e Giudaismo sono però nella Questione degli Ebrei qualificati come elementi inimicissimi — solamente mercè l’esclusione violenta delle persone che questi elementi rappresentano — come quando, per esempio, il terrorismo volle schiacciare l’accaparramento con le teste degli accaparratori — così il signor Bauer nel suo “Stato critico„ dovrebbe fare impiccare ebrei e cristiani.

Dal momento ch’egli confonde l’emancipazione politica con quella umana, doveva contemporaneamente confondere anche i mezzi politici dell’emancipazione con i mezzi umani di essa. Ma non appena si manifesti alla critica assoluta il senso preciso delle sue deduzioni, essa risponde nell’istessa guisa che Schelling una volta rispose a tutti gli avversari che sostituivano al posto delle sue frasi delle vere idee:

“Gli avversari della critica le sono avversari appunto perchè essi non solo l’assumono secondo il loro criterio dogmatico, ma la ritengono per dogmatica, ossia essi combattono la critica perchè essa non riconosce le loro distinzioni dogmatiche, le loro definizioni e i loro sotterfugi„.

Veramente ci si comporta dogmaticamente per la critica assoluta come pel signor Schelling, non appena si presuppongano in essa senso, idee e convinzioni precise o reali. Per transazione, e tanto per provare al signor Riesser la sua umanità, frattanto la critica si decide a fare delle dogmatiche distinzioni, delle definizioni e specialmente a trovare dei “sotterfugi„.

Così essa dice:

“Se io in quel lavoro (nella Questione degli Ebrei) avessi voluto o potuto discostarmi dalla critica, avrei dovuto (!) parlare (!) non dello Stato ma della società, la quale non esclude nessuno, ma dalla quale si escludono soltanto coloro che non voglion prender parte al suo sviluppo.

La critica assoluta qui fa una distinzione dogmatica fra ciò che avrebbe potuto fare, se non avesse fatto il contrario, e ciò che essa ha realmente tatto. Esso spiega la cortezza di mente della sua Questione degli Ebrei con i “dogmatici sotterfugi„ di un volere e di un potere che le proibirono di allontanarsi dalla critica. Come? La critica deve uscire dalla critica? Questa trovata del tutto volgare s’impone alla critica per la necessità dogmatica di potere da un lato affermale la sua concezione della Questione degli Ebrei, come l'assoluto, come la Critica, e per poter d’altro canto confessare la possibilità di una concezione più idealmente larga.

Il mistero del suo “non volere„ e “non potere„ si scovrirà più tardi come il dogma critico, secondo il quale tutte le apparenti angurie mentali della critica non sono null’altro che necessari accomodamenti commisurati al comprendonio della massa.

Essa non volle!, essa non potè scostarsi dal suo angusto atteggiamento nella questione degli Ebrei ! Però se avesse voluto o potuto, che cosa avrebbe fatto? Essa avrebbe dato una definizione dogmatica. Essa avrebbe parlato della “società„ invece dello “Stato„, ossia non avrebbe indagato i reali rapporti del giudaismo con l’odierna società borghese. Essa avrebbe definito la “società„ a differenza dello Stato per il solo fatto che mentre lo Stato esclude dalla società, invece coloro i quali non vogliono prender parte al suo sviluppo si escludono da sè!

La società procede appunto altrettanto esclusivamente quanto lo Stato, ma solo in una forma più cortese, perchè essa non ti mette alla porta ma piuttosto ti crea in società una situazione tanto incomoda che tu stesso spontaneamente infili l’uscio.

Lo Stato, considerato a fondo, non si conduce diversamente, dappoiché non espelle nessuno che ottemperi a tutte le sue esigenze e ai suoi ordini. Nel suo stadio perfezionato chiude persino gli occhi e dichiara delle antitesi reali, per antitesi che non lo riguardano, impolitiche. Soprattutto ha la critica assoluta stessa dimostrato che lo Stato esclude gli Ebrei perchè e in quanto gli Ebrei escludono lo Stato, ossia essi stessi si escludono dallo Stato. Ora, se questo rapporto differenziale nella “società„ critica riveste una forma più galante, più ipocrita, più astuta, ciò prova soltanto la più grande ipocrisia e la educazione più arretrata della “ocietà critica„.

Seguiamo ancora la critica assoluta nelle sue “distinzioni dogmatiche„ nelle sue definizioni, e specialmente nei suoi “sotterfugi„.

Così il signor Riesser pretende dal critico che egli debba “distinguere ciò che appartiene al terreno del diritto„ da ciò “che sta al di là del suo campo„.

Il critico è indignato per l’impertinenza di questa pretesa giuridica.

“Ma fin qui — egli obietta — abbiamo abbracciato nel diritto il sentimento e il sapere, li abbiamo sempre completati l’un con l’altro, e a cagione della natura che è a base della sua forma dogmatica — non dunque della sua dogmatica esperienza? — debbono sempre completarsi.

Solamente, il critico dimentica che il diritto si distingue d’altra parte in maniera esplicitissima dal sentimento e dal sapere, che questa differenza sta al tondo delle esistenze unilaterali del diritto come della sua forma dogmatica, ed appartiene persino ai dogmi principali del diritto che infine la pratica applicazione di questa differenza forma appunto tanto bene il nocciolo dello sviluppo del diritto quanto la divisione della religione da ogni contenuto profano la fa diventare religione astratta, assoluta. Il fatto che “sentimento e sapere„ sono coinvolti nel diritto è un motivo sufficiente per il critico, perché egli, dove si tratti di diritto, tratti invece di sentimento e di sapere, e dove si tratti di dogmatica giuridica tratti della dogmatica teologica.

Mercè le definizioni e le distinzioni della critica assoluta, siamo sufficientemente preparati a intendere le sue nuovissime “scoverte„ sulla società e sul diritto.

“Quella forma universale che la critica vien preparando e le cui idee essa anzi prepara per prima, non è una forma semplicemente giuridica, è una forma — il lettore si raccolga — una forma sociale, della quale almeno può dirsi tanto — così poco? — che chi non ha contribuito da parte sua alla sua formazione, non vive in essa col suo sapere e col suo sentimento, non può sentirsi a bell’agio in essa e non può partecipare alla sua storia„.

La forma universale preparata dalla critica è determinata non come una forma puramente giuridica, ma sociale. Questa determinazione può avere un duplice significato. Il passo citato, o si può intendere per “non giuridico ma sociale„ oppure per “non semplicemente giuridico, ma anche sociale„. Consideriamo la sua forma secondo le due diverse letture, e cominciamo dalla prima. La critica assoluta ha più sopra determinato ampiamente come società la nuova “forma universale„ differente dallo “Stato„. Essa determina ora là parola generale “società„ col nome particolare di “sociale„. Il signor Hinrichs fu gratificato, in opposizione alla sua parola “politico„, con tre volte la parola “società„; ora, in opposizione alla sua parola “giuridico„, è gratificato con la “società sociale„. Siccome gli schiarimenti dati al signor Hinrichs si riducono a società + società + società = 3a, così la critica assoluta passa nella sua seconda campagna dall’addizione alla moltiplicazione, e il signor Riesser è rinviato alla società moltiplicata per se stessa, alla seconda potenza del sociale, la società sociale = a². Alla critica assoluta, per completare i suoi schiarimenti, non resta che passare alle frazioni, estrarre la radice quadrata della società, ecc.

Leggiamo ora al contrario, conforme alla seconda glossa: “La forma universale non semplicemente giuridica, ma anche sociale„; questa forma universale ibrida non è altro che la forma del mondo oggi esistente, la forma universale della società odierna. È un grande, un venerando miracolo critico, che la, critica prepari dapprima nel suo pensiero primordiale l’esistenza futura della forma mondiale già oggi esistente.

Anche dalla maniera con la quale si comporta con la società non semplicemente giuridica, ma sociale, la critica non può più frattanto dissimulare, come fabula docet, la sua morale. In questa società non si sentirà a bell’agio„ colui che non viva in essa col suo sentimento e col suo sapere. In conclusione, in questa società non vivrà nessuno che non sia “puro sentimento„ e “puro sapere„, cioè che non sia lo spirito, la critica ed i loro adepti. La massa sarà esclusa da essa in uno o in un altro modo, così che la società della massa dimora fuori della “società sociale„.

In una parola, questa società non è che il paradiso critico, dal quale è escluso il mondo reale come inferno non critico. La critica assoluta prepara questa forma universale di antitesi fra “massa„ e “spirito„ nel suo puro pensiero.

Della medesima profondità critica di queste dilucidazioni sulla società sono le spiegazioni che il signor Riesser riceve sul destino delle nazioni.

La critica assoluta, movendo dalla brama di emancipazione degli Ebrei e dalla mania degli Stati cristiani, riesce alle profezie sulla decadenza delle nazionalità per “rubricarli nello schematismo governamentale„, come se non fossero già da molto tempo rubricati nello schematismo governamentale cristiano! Si vede per quale complicata via indiretta la critica assoluta arriva al presente movimento storico, cioè per la via indiretta della teologia. Quale grande risultato essa raggiunga per tale via ne fa lede la radiosa sentenza da oracolo:

“L’avvenire di tutte le nazionalità — è — un — avvenire — assai oscuro!„.

Ma l’avvenire delle nazionalità può, per comodo della critica, essere tanto oscuro quanto essa vuole. L’Uno, che là la Necessità è Chiaro: l’avvenire è la sua opera.

“Il destino - essa esclama - può decidere come vuole; noi oramai sappiamo ch’esso è opera nostra„.

Come Dio lascia il suo arbitrio alla propria opera, l’uomo, così la critica lascia alla sua opera, il destino, il suo arbitrio. La critica — l’opera della quale è il destino — è onnipotente come Dio. Perfino la resistenza ch’essa incontra all’infuori di sè è la sua propria opera.

“La critica crea i propri nemici„.

La “ribellione di massa„ contro di essa è perciò “minacciosa di pericolo„ solo per la massa. Ma se la critica è onnipotente come Dio, essa è anche onnisciente come Dio, ed intende conciliare la sua onnipotenza con la libertà, con la volontà e con la determinazione naturale degl’individui umani.

“Essa non sarebbe la forza che fa epoca se non avesse quest’efficacia di fare di ciascuno ciò ch’egli vuole essere, e di indicare ad ognuno il punto di vista inappellabile che corrisponde alla sua natura e al suo volere„.

Leibniz non potrebbe qui ristabilire in nessuna maniera piu felice di questa l’armonia prestabilita dell’onnipotenza divina con la libertà e con la determinatezza della natura umana.

Se la critica sembra in contrasto della psicologia perchè essa non distingue la volontà di essere qualcosa dall’attitudine ad essere qualcosa, c'è da pensare ch’essa ha delle ragioni decisive per spiegare come “dogmatica„ una tale differenza.

Ed ora prepariamoci per la terza campagna! Ricordiamoci ancora una volta che la “critica si crea i propri nemici„. Ma come potrebbe essa crearsi nemici - le “frasi„ - se non facesse delle frasi?

III.— Terza campagna della critica assoluta.

a) Autoapologia della critica assoluta. Il suo passato “politico„.

La critica assoluta inizia la sua terza campagna contro la massa domandandosi:

“Che cosa è ora l’obiettivo della critica?„.

Nel medesimo fascicolo della Gazzetta di letteratura noi troviamo ammaestramento che

“la critica non vuole che imparare a conoscere le cose„.

La critica avrebbe perciò per oggetto ogni cosa. La ricerca di un oggetto separato dagli altri, esclusivo per la critica, sarebbe assurda.

La contradizione si risolve agevolmente considerando che tutte le cose si “confondono„ in cose critiche, e tutte le cose critiche si “confondono„ in massa, come oggetto della critica assoluta.

Innanzi tutto il signor Bruno descrive la sua infinita misericordia verso la massa. Egli fa oggetto di “uno studio perseverante„ l’“abisso che lo separa dalla folla„. Ei vuole imparare a conoscere il significato di questo abisso per il futuro (appunto questo è l’imparare a conoscere “tutte le cose„ sopra ricordato) ed insieme vuole “abolirlo„. Egli già conosce perciò in verità il significato di quell’abisso. Esso esiste appunto per essere abolito da lui.

Perchè ora ognuno è il più vicino a se stesso, la critica si occupa innanzi tutto di abolire la sua propria qualità di massa, simile agli asceti cristiani, i quali cominciano la guerra dello spirito contro la carne con la mortificazione della loro propria carne. La “carne„ della critica assoluta è costituita dal loro passato letterario veramente di gran massa, che ammonta da 20 a 30 volumi. Il signor Bauer deve dunque liberare la storia della vita letteraria della critica — la quale coincide precisamente con la storia della vita letteraria di lui — dalla sua apparenza di massa, e poscia migliorare e spiegare e “porre al sicuro„ con questo apologetico commentario “i suoi lavori passati„.

Egli comincia con lo spiegare, per un doppio motivo, l’errore della massa, la quale fino alla soppressione degli Annali tedeschi e della Gazzetta renana contava il signor Bauer per uno dei suoi. Una volta si commetteva l’errore di credere che il movimento letterario non si concepisca come “puramente letterario„. Nell'istesso tempo poi si commetteva l’opposto errore di ritenere il movimento letterario come un movimento “puramente„ e “semplicemente„ letterario. Non v’è dubbio che la massa era in ogni modo in errore dal momento che essa commetteva nell’istesso tempo due errori che si escludono reciprocamente.

In questa circostanza la critica assoluta fa appello a coloro che hanno motteggiato la “nazione tedesca„ come una “letterata„ scrivendo:

“Nominate pure una sola epoca storica che non sia stata controdistinta imperiosamente dalla penna, e il cui tracollo non sia stato deciso e in antecedenza diretto da un tratto di penna„.

Il signor Bruno separa con la sua ingenuità critica “la penna„ dal subbietto che scrive, e il subbietto astratto; come “astratto scrittore„ dall’uomo storicamente vivente che scriveva. Per tal modo egli può esaltarsi per la prodigiosa forza della “penna„. Egli potrebbe ugualmente bene pretendere che gli si debba nominare un’epoca storica la quale non sia stata caratterizzata da “animali con penne„ e da “oche„.

Apprenderemo più oltre, dall’istesso signor Bruno, che fin'ora non è stata conosciuta neppure una, non una sola epoca storica. Come la penna, che fin qui non seppe registrare “nessuna singolare„ epoca storica, potrebbe esser poi stata in grado di caratterizzarle tutte?

Il signor Bruno dimostra, ciò non di meno la giustezza della sua convinzione col fatto “che caratterizza„ egli stesso il suo proprio passato con apologetici tratti di penna.

La critica la quale era irretita in tutti i sensi non solo nella generale stupidità mentale del mondo, dell’epoca storica, ma nelle separate e personali stupidità, e nulla di meno a ricordo d’uomini, asseverava in tutte le sue opere di essere la critica “assoluta, perfetta, pura„, dovette acconciarsi semplicemente ai pregiudizi e alle facoltà mentali della massa, come suole fare Dio nelle sue apparizioni all’uomo. Essa doveva arrivare — informa la critica assoluta — alla rottura della teoria coi suoi apparenti alleati.

Ma poiché la critica — che per variare si chiama almeno una volta la teoria — approda al nulla, sebbene al contrario deriva tutto da lei, perchè essa non si svolge nel mondo ma fuori di esso, ed ha tutto predestinato nella sua coscienza divina, che resta sempre uguale a se stessa, così anche la rottura col suo alleato d’altra volta era soltanto apparenza, era un “nuovo aspetto„ solamente per gli altri non un nuovo aspetto in sé, non per lei stessa.

“Ma questo aspetto non era neppure propriamente nuovo. La teoria aveva costantemente nella critica elaborata se stessa„ — (si sa come si sia staccata da essa a forza di lavoro per erigerla a critica di se stessa) — “essa non aveva mai adulato la massa (“tanto più aveva adulato se stessa„) essa si era sempre guardata ilall’irretirsi nei presuppósti dei suoi avversari„.

Il teologo cristiano deve procedere sempre cauto (Cristianesimo svelato di Bruno Bauer, pag. 99). E come accadde allora che la “cauta„ critica però s’irretisse e non manifestasse fin d’allora chiaramente e intelligibilmente la sua “vera„ opinione? Perchè essa non volle parlare schiettamente? Perchè lasciò sussistere la illusione della fratellanza con la massa?

— Perchè tu mi hai tatto questo? — disse Faraone ad Abramo, allorché questi gli restituì sua moglie Sarah. — Perchè tu, dunque, dicesti ch’ella è tua sorella? (Cristianesimo svelato di B. B., pag. l00). Via con la ragione e col linguaggio! — dice il teologo — altrimenti anche Abramo sarebbe un mentitore! Allora la rivelazione sarebbe mortalmente offesa (l. c.).

Abbasso la ragione e la lingua!, dice il critico: se il signor Bauer fosse stato irretito veramente, e non soltanto in apparenza, con la massa, allora nelle sue rivelazioni la critica assoluta non sarebbe offesa in modo assoluto, ossia mortalmente.

“Ci eravamo solo accorti delle sue (della critica assoluta) premure — prosegue la critica assoluta — e vi era inoltre uno stadio della critica in cui essa era costretta ad entrare sinceramente nelle premesse dei suoi avversari e ad accoglierle seriamente per un momento, in breve, là dove essa non aveva completamente la capacità di dare alla massa la persuasione che aveva con lei un solo interesse ed una causa comune„.

Non ci si era neppure accorti delle premure della critica: dunque la colpa pesava sulla massa. D’altra parte la critica confessa che non ci si poteva accorgere delle sue premure, perchè essa non possedeva ancora la capacità di renderle percettibili.

Dio guardi! La critica era costretta — le fu fatta una violenza — “ad entrare sinceramente nelle premesse del suo avversario e ad accoglierle per un momento seriamente Una bella sincerità, una sincerità veiamente teologica, la quale riconosce che una cosa non è realmente seria, ma l’assume come seria “per un momento„, che si è sempre guardata, cioè, in ogni momento, di irretirsi nelle premesse dell’avversario, e che intanto “sinceramente„ s’introduce “per un momento„ in codeste premesse. La sincerità si ingrandisce più ancora nella proposizione successiva. Il medesimo istante nel quale la critica entrava sinceramente nelle premesse della massa era anche quello in cui essa “non aveva ancora la capacità completa„ di distruggere la illusione dell’unità della sua causa con la causa della massa. Essa non ne aveva ancora la capacità, ma ne aveva già la volontà e l’intenzione. Essa non poteva ancora apertamente romperla con la massa, ma la rottura era già avvenuta nel suo intimo, nel suo animo, avvenuta nel momento stesso nel quale essa sinceramente simpatizzava con la massa.

La critica, nel suo connubio con i pregiudizi della massa, non era realmente impigliata in essi; piuttosto essa era veramente immune dalla sua particolare ristrettezza di mente, e possedeva soltanto “non ancora completamente„ la capacità di far ciò manifesto alla massa. Tutta la ristrettezza mentale perciò della critica era pura apparenza, un’apparenza che senza la ristrettezza mentale della massa sarebbe stata superflua e perciò non sarebbe affatto esistita. Perciò ancora una volta la colpa cade sulle spalle della massa.

Per quanto questa apparenza fosse intanto aiutata a manifestarsi dall’“incapacità„ e dalla impotenza della critica, la critica stessa rimaneva imperfetta. Ciò essa confessa nella maniera a lei particolare, altrettanto sincera che apologetica! Malgrado che essa (la critica) sottoponesse l’istesso liberalismo ad una critica dissolvente, si dovette ritenerla per una particolare specie di esso, forse per la estrema sua applicazione; malgrado che le sue vere e decisive dimostrazioni esorbitassero dalla politica, essa dovette però incorrere nell’apparenza di far della politica e questa imperfetta apparenza le aveva guadagnato la più parte degli amici sopra citati.

La critica aveva conquistati i suoi amici per la imperfetta apparenza che essa faceva della politica. Se fosse apparso perfettamente ch’essa facesse della politica, avrebbe senza fallo perduti i suoi amici politici. Nella sua ansietà apologetica di mondarsi da ogni peccato, essa accusa la falsa apparenza di essere stata una falsa apparenza imperfetta e non una perfetta. Un’apparenza o l’altra, la critica può consolarsi notando che se essa ebbe la perfetta apparenza di voler fare della politica, essa invece non possiede neppure la “imperfetta apparenza„ di avere in qualche parte e quando che sia risoluta la politica. La critica assoluta, non completamente soddisfatta dell’imperfetta apparenza, si chiede ancora una volta:

“Come avvenne allora che la critica fosse coinvolta negli interessi “politici della massa„ che essa — potesse! — perfino! — far della politica!„.

Pel teologo Bauer s’intende da se stesso che la critica dovette essere da tempo infinito teologia speculativa, poiché egli, che è la critica, è pur ben teologo ex professo. Ma far della politica? Ciò dev esser motivato da circostanze del tutto particolari, politiche e personali.

Perchè, dunque, dovè la critica fare perfino della politica? “Essa era accusata — con ciò è risposto alla domanda„ — Per lo meno con ciò è scoverto il “mistero„ della politica baueriana, e non si chiamerà per lo meno impolitica l’apparenza che nella buona causa della libertà e della mia propria causa, di Bruno Bauer, congiunge alla “causa della libertà„ la “causa propria„ con una semplice “e„.

Ma se la critica propugnò la sua “propria causa„ non nell'interesse della politica, ma la politica nell’interesse della propria causa, deve concedersi che non è la critica che deve esser diretta dalla politica, ma piuttosto la politica dalla critica.

Bruno Bauer così dovette essere allontanato dalla sua cattedra teologica: egli era accusato; la critica dovette far della politica, cioè dovette fare il suo processo, cioè il processo di Bruno Bauer! Il signor Bauer non fece il processo della critica, la critica fece il processo del signor Bauer. Perchè la critica dovette fare il suo procèsso?

“Per scagionarsi„. Certamente; soltanto la critica è ben lontana dal limitarsi ad un motivo così personale e profano. Certamente; ma non solo per questo motivo ma principalmente “per dimostrare le contradizioni dei suoi avversari„ e, poteva aggiungere la critica, soprattutto per fare legare in un libro vecchi articoli contro diversi teologi — si vegga fra altro il lungo litigio con Plank, questa faccenda di famiglia tra la teologia: Bauer e la teologia: Strauss.

Dopo che la critica assoluta ha alleggerito il suo cuore con la confessione del vero interesse della sua “politica„ concia di nuovo, col ricordo del suo processo, il vecchio cavolo hegeliano (vedi nella Fenomenologia la lotta della cultura e della fede, vedi tutta la Fenomenologia) già da lungo tempo conciato nella “causa della libertà„ che cioè “il vecchio, che si sostituisce al nuovo, non è più in realtà il vecchio. La critica critica è un animale che ricucina. Alcune briciole cadute dalla mensa hegeliana, come il sopra ricordato principio del “nuovo„ e del “vecchio„ o anche come “lo sviluppo dell’estremo dall’estremo opposto„ e simili, vengono incessantemente fritti e rifritti senza che essa senta neppure una volta il bisogno di fare i suoi conti con la “dialettica speculativa„ diversamente che con la stanchezza del professore Hinrichs. Essa invece “criticamente„ oltrepassa Hegel, ripetendolo, per esempio: “Procedendo la critica e dando alle ricerche una nuova forma, ossia la forma che non si fa più trasformare in una esterna limitazione„, ecc.

Se io trasformo qualcosa io la trasformo sostanzialmente in un’altra. Poiché ora ogni forma è anche una “esterna limitazione„ così nessuna forma si lascia trasformare in una “esterna limitazione„ come tanto meno una mela si lascia “trasformare„ in una mela. Veramente la forma che la critica dà alla ricerca, non si lascia trasformare in nessun altra esterna limitazione per un’altra ragione. Al di là di ogni esteriore limitazione si confonde nella nebbia cenerognola e azzurroscura, la nebbia dell’assurdo.

Ma esso (il combattimento del nuovo e del vecchio) non sarebbe nemmeno allora (cioè nel momento in cui la critica dà alla ricerca “la nuova forma„) possibile quando il vecchio trattasse teoreticamente la questione della tollerabilità o della intollerabilità. Perchè ora il vecchio non tratta questa questione teoreticamente? Perchè

“questo però gli è meno che mai possibile in principio, giacché nel momento della sorpresa„,

cioè in principio, esso non conosce nè se stesso nè il nuovo, cioè a dire non tratta teoricamente nè se stesso nè il nuovo. Neppure possibile quando la “impossibilità„ non fosse purtroppo impossibile!

Se il critico della facoltà teologica inoltre “confessa che egli ha commesso l’errore intenzionalmente, ch’egli lui errato con libera premeditazione e dopo matura riflessione — tutto ciò che la critica lui visto, lui appreso, ha fatto, si trasforma per lei in un prodotto libero, puro, intenzionale una tale confessione del critico lui allora soltanto una imperfetta apparenza di verità. Poiché la Critica dei sinottici posa la cima a fondo sul terreno teologico, poiché è critica del tutto teologica, il signor Bruno, il privato docente di filosofia, poteva insegnarla e scriverla “senza commettere errore„. Lo sbaglio e l’errore erano piuttosto dalla parte delle facoltà teologiche, che non si accorgevano quanto rigorosamente avesse mantenuto il signor Baner la sua promessa, la promessa data nella sua Critica dei sinottici, vol. I. prefazione, pag. XXXIII.

“Se la negazione anche in questo primo volume potesse ancora apparire troppo ardita e troppo lata, noi ricorderemo a tal proposito che il vero positivo solo allora può esser prodotto quando la negazione fu seria e universale. Si mostrerà alla fine (che soltanto la critica più distruttrice del mondo insegnerà la forza creatrice di Gesù e del suo principio„.

Il signor Bauer separa intenzionalmente il signor “Gesù„ ed il suo “principio„ per elevare il senso positivo della sua promòssa al disopra di ogni apparenza di ambiguità. E il signor Bauer ha insegnato così evidentemente la forza “creatrice„ del signor Gesù e del suo principio, che la sua “infinita autocoscienza„ e lo “spirito„ non sono null’altro che creature cristiane.

Però, se questo spiega nella lotta della Critica critica con la facoltà giuridica di Bonn la sua politica d’allora, perchè esso arrivò alla decisione di rendere polìtica questa lotta? Si ascolti:

“A questo punto la critica o avrebbe dovuto fermarsi o andare subito innanzi a ricercare la sostanza politica e manifestarsi come sua avversaria. Come se fosse stato soltanto possibile ch’essa avesse potuto arrestarsi nella lotta di allora e non fosse d’altra parte una legge storica troppo rigorosa che un principio, misurandosi per la prima volta con il suo opposto, si deve lasciare opprimere da esso„.

Deliziosa frase apologetica! “La critica avrebbe dovuto fermarsi„, purché fosse stato possibile “potersi fermare„. Chi - deve, fermarsi? E chi avrebbe dovuto far ciò “che non sarebbe stato possibile.... potere„? Guardiamo il caso contrario. La critica avrebbe dovuto andare innanzi “purché d’altra parte non fosse una rigorosissima legge storica„, ecc. Le leggi storiche sono rigorosissime anche con la critica assoluta. Se esse non stessero da un lato diverso da quello della critica, come sarebbe andata innanzi splendidamente! Ma à in guerre comme à la guerre! Nella storia essa dovette far fare di sé una triste “storia„.

“Se la critica (sempre il signor Bauer) ...dovesse, dovrà insieme ammettersi però che essa si sentì sempre insicura brigandosi di questioni di tale natura (politica) e che essa entrò per tali questioni in una contraddizione coi suoi veri elementi, antitesi che aveva già trovati in quegli elementi la sua dissoluzione„.

La critica dalle rigorosissime leggi della storia era stata costretta a delle debolezze politiche, ma — essa supplica — si dovrà anche però concedere che — sebbene non effettivamente — essa si era mantenuta però superiore a quelle debolezze. Una volta che le aveva superate nel proprio “sentimento„ poiché essa si sentiva sempre insicura nelle sue questioni, le veniva male in politica e non sapeva in che stato essa fosse. Ma v’è dippiù! Essa procedeva in contraddizione coi suoi veri elementi. Ed ora alla più grossa di tutte! La contraddizione nella quale essa cadeva coi suoi veri elementi non trovava la propria soluzione nel corso dello sviluppo, ma “aveva„ piuttosto “già„ trovata la sua soluzione nei suoi veri elementi, esistenti in maniera indipendente dalla contraddizione! Questi elementi critici possono levar vanto di loro: prima ancora che fosse Abramo eravamo noi. Prima che la evoluzione ci produsse l’antitesi, prima di nascere era già nelle nostre viscere caotiche risolta, morta e decomposta. Poiché ora nei veri elementi della critica la sua contraddizione coi suoi elementi “aveva già trovato la sua risoluzione„; e poiché una contraddizione risolta non è più contraddizione, essa non si trovava perciò, per parlare esattamente, in nessuna contraddizione coi suoi veri elementi, in nessuna contraddizione con se stessa, e — lo scopo generale dell’autoapologia sarebbe raggiunto.

L’autoapologia della critica assoluta dispone di un intero dizionario apologetico: “neppure propriamente„, “solo non notato„, “si dava inoltre„ , “neppure ancora interamente , “malgrado — non ostante„, “non solo “però principalmente„, “ugualmente propriamente è„, “la critica avrebbe dovuto soltanto fosse stato possibile e d'altro lato....„, “se.... allora si dovrà subito ammettere però insieme„, “non era ora dunque naturale, non era evitabile„, “anche non„, ecc.

Non troppo tempo addietro la critica assoluta si esprimeva su analoghe applicazioni apologetiche nel modo seguente: “benché„ e “tuttavia„, “veramente„ e “però„, “un celeste no ed un terrestre sì sono le colonne basilari della più moderna teologia “i trampoli sui quali essa incede„, “l’artificio mentale al quale delimita tutto il suo sapere„, “la locuzione che ritorna in tutte le altre sue locuzioni„, il suo alfa ed omega„ (Cristianesimo svelato, pag. 162).

b — La questione degli Ebrei n. 3.

La critica assoluta non si ferma per altro a provare, con la sua autobiografia, la sua speciale onnipotenza, “che crea a dire il vero da se medesima il vecchio al pari del nuovo„. Essa non si limita a scrivere da se stessa, con somma degnazione, l’apologia del suo passato. Ora essa alle terze persone, al restante mondo profano assegna il còmpito, il “compito del quale ora più che d’ogni altro è questione„, cioè l’apologia delle azioni e delle “opere„ baueriane.

Gli Annali franco-tedeschi recarono una critica della Questione degli Ebrei del signor Bauer. Il suo errore fondamentale, la confusione della emancipazione politica con quella umana, fu messo a nudo. Veramente non è la prima volta che la questione degli Ebrei sia stata messa nella sua “giusta posizione„, ma soltanto la questione degli Ebrei fu trattata e risoluta nella “posizione„ che ha offerta la più moderna evoluzione delle vecchie “questioni del giorno„, e mercè cui appunto le ultime sono mutate da “quistioni„ riflettenti il passato in questioni del presente.

Nella terza campagna della critica assoluta si replicherebbe, a quel che sembra, agli Annali franco-tedeschi. Innanzi tutto la critica assoluta confessa:

“Nella Questione degli Ebrei fu commessa la medesima svista di identificare la sostanza umana con quella politica„.

La critica si accorge che

“sarebbe troppo tardi se si volesse muovere rimprovero alla critica a cagione della posizione che essa, ancora due anni addietro, aveva in parte assunto„.

Ciò che preme piuttosto è di spiegare come la critica dovette nientemeno che... far della politica!

“Due anni addietro„?

Contiamo, secondo il calcolo assoluto, dalla nascita del Redentore universale critico, della Gazzetta di letteratura baueriana! Il liberatore critico del mondo nacque nell’anno 1843. Nel medesimo anno vedeva la luce del mondo la seconda edizione accresciuta della Questione degli Ebrei. La trattazione “critica„ della Questione degli Ebrei comparve anche più tardi nel medesimo anno 1843, vecchia èra, in ventun foglio, in Isvizzera. Dopo la fine degli Annali tedeschi e della Gazzetta renana, nel medesimo importantissimo anno 1843, secondo la vecchia èra, o nell’anno I secondo il calendario critico, comparve lo scritto fantastico-politico del signor Bauer: Stato, religione e partiti, che ripeteva a capello i suoi antichi errori sulla “sostanza politica„. L’apologeta è costretto a falsificare la cronologia.

La “spiegazione„ del perchè il signor Bauer “dovette„ “perfino„ far della politica offre solo entro date condizioni un interesse generale.

Se si presuppone, cioè, come dogma la infallibilità, la purezza e l’assolutezza del critico critico come dogma fondamentale, allora veramente si trasformano i fatti che contraddicono a questo dogma in enigmi appunto, ardui, memorabili o misteriosi, così come sono le azioni apparentemente non divine di Dio per i teologi.

Se invece si considera il critico come un individuo limitato, se non lo si stacca dalle barriere della sua epoca, allora ci possiamo dispensare dalla risposta perchè egli sia persona costretta a svolgersi entro il mondo, giacché la questione non esiste nemmeno.

Ma, se frattanto la critica persiste nella sua pretesa, ci si obbliga di fare un piccolo trattato scolastico che deve trattare le seguenti questioni del giorno:

Perchè la concezione di Maria Vergine da parte dello Spirito santo dovette esser dimostrata proprio dal signor Bruno Bauer?

Perchè il signor Bauer dovette provare che l’angelo che apparve ad Àbramo era una reale emanazione di Dio, una emanazione alla quale intanto mancava anche la consistenza necessaria alla digestione del mangiare?

Perchè il signor Bauer dovette ammannire l’apologia della casa reale prussiana e dovette elevare lo Stato prussiano al grado di Stato assoluto?

Perchè il signor Bauer dovè porre nella critica dei sinottici l’infinita autocoscienza al posto dell’uomo? Perchè dovette il signor Bauer ripetere la teoria cristiana della creazione in forma hegeliana?

Perchè il signor Bauer dovè chiedere a se stesso e agli altri la spiegazione del miracolo ch'egli dovette errare?

In attesa della prova di queste necessità appunto altrettanto “critiche„ che “assolute„, prestiamo ancora ascolto alle scuse apologetiche della critica.

“La questione degli Ebrei.... dovette.... esser condotta prima nella sua giusta posizione come una questione religiosa e teologica, e come una questione politica„.

“Come trattazione e soluzione dei due quesiti la critica non è nè religiosa nè politica„.

Negli Annali fraco-tedeschi la trattazione baueriana della questione degli Ebrei è appunto dichiarata come una dissertazione effettivamente teologica e fantastico-politica.

Innanzi tutto, circa il rimprovero della sua limitatezza teologica, la critica risponde:

“La questione degli Ebrei è una questione religiosa. Il razionalismo credette di risolverla indicando come indifferente l’“antagonismo religioso„, o addirittura negandolo. La critica invece lo dovè mostrare nella sua purezza.

Giunti alla parte politica della questione degli Ebrei, vedremo come il teologo, il signor Bauer, anche nella politica non si occupi di politica ma di teologia.

Ma poiché negli Annali franco-tedeschi la sua trattazione della questione degli Ebrei era considerata come una questione puramente religiosa, così egli si occupava specialmente nel suo articolo in ventini fo- riio di rendere libera la capacita dei moderni ebrei e cristiani Questo articolo non ha nulla da tare col vecchio razionalismo. Contiene la convinzione positiva del signor Bauer sulla capacità di emancipazione doli ebreo moderno, e perciò sulla possibilità della sua emancipazione.

La critica dice:

“La questione degli Ebrei è una questione religiosa„.

Essa si chiede appunto che cosa è una questione religiosa, e specialmente che cosa è oggi.

Il teologo giudicherà secondo l’apparenza, e riguarderà in una questione religiosa una questione religiosa. Ma la critica si ricordi della sua asserzione contro il professore Hinrichs che gl'interessi politici del presente hanno un'importanza sociale: che “non è più questione d'interessi politici„.

Col medesimo diritto gli Annali franco-tedeschi le dissero:

“Le questioni religiose del giorno hanno oggi un’importanza sociale. D'interessi religiosi come tali non è più il caso di parlare. Soltanto ancora il teologo può credere che si tratti della religione come religione. Veramente gli Annali commettono l’errore di non fermarsi alla parola sociale. La reale situazione del giudaismo nella moderna società civile fu caratterizzata. Dopo che il giudaismo si era svincolato dalla mascheratura religiosa ed era stato rivelato nel suo nocciolo empirico, terreno e pratico, poteva essere accennato il modo pratico ed effettivamente sociale col quale ora questo nocciolo si deve risolvere. Il signor Bauer si accontenta semplicemente di notare che una questione religiosa è una questione religiosa„.

Non fu per nulla negato, come il signor Bauer ne ha l’aria, che la questione degli ebrei è anche una questione religiosa. Fu piuttosto mostrato che il signor Bauer concepisce solo l’essenza religiosa, ma non la base terrena reale di questa sostanza religiosa. Egli combatte la coscienza religiosa come una sostanza autonoma. Il signor Bauer spiega perciò gli Ebrei effettivi con la religione ebraica, invece di spiegare il mistero della religione ebraica con gli Ebrei effettivi. Il signor Bauer comprende dunque l’ebrèo soltanto in quanto è l'immediato oggetto della teologia, o in quanto è teologo.

Il signor Bauer non sospetta nemmeno che il giudaismo effettivo e reale, e perciò anche il giudaismo religioso, è continuamente prodotto dall’odierna vita borghese e trova nel sistema monetario la sua ultima espressione. Egli non poteva ciò sospettare perchè egli conosceva il giudaismo non come parte del mondo reale, ma come parte del suo mondo, della teologia, perchè come uomo devoto e dedito a Dio non vedeva l’ebreo reale negli ebrei operosi dei giorni di lavoro, ma negli ebrei ipocriti del sabato ebraico. Pel signor Bauer, come superstizioso teologo cristiano, l’importanz.i mondiale del giudaismo deve cessare fin dal primo sorgere del cristianesimo.

La vecchia veduta ortodossa ch'esso debba trionfare a dispetto della storia doveva perciò da lui essere ripetuta: e la vecchia superstizione teologica che il giudaismo esista soltanto come conferma del peccato divino, come prova evidente della rivelazione cristiana, doveva ripetersi da lui nella forma critico-teologica che esso esista e debba esistere soltanto come rozzo dubbio religioso dell'origine sopraterrena del cristianesimo, cioè come pròva evidente contro la rivelazione cristiana.

Fu invece dimostrato che il giudaismo si sia svolto ed affermato attraverso la storia, nella storia e con la storia, ma non all’occhio del teologo, ma all’occhio dell’uomo di mondo, perchè questo sviluppo è da ricercarsi non nella teoria religiosa, ma soltanto nella pratica commerciale ed industriale.

Si spiegò invece perchè il giudaismo pratico raggiunge per la prima volta il suo perfezionamento nel mondo completamente cristiano, perchè è anzi la più completa pratica del mondo cristiano.

Non si spiegò l’essere del moderno ebreo con la sua religione quasi che questa fosse una essenza a parte, esistente per se stessa si spiegò la tenace vita della religione ebraica con gli elementi pratici della società borghese, i quali trovano in quella religione un riflesso fantastico. L’emancipazione dell'ebreo in uomo, ossia la emancipazione umana dal giudaismo non fu perciò concepita come dal signor Baner, come problema speciale dell’ebreo, ma come il problema generale pratico del mondo moderno, il quale è ebreo fin nelle sue intime fibre. Si dimostrò che il problema di abolire la sostanza ebraica è in verità il problema di abolire il giudaismo della società borghese, la inumanità dell’odierno processo sociale pratico, che tocca il suo culmine nel sistema monetario.

Il signor Bauer, come teologo genuino sebbene critico o come criticò teologico, non poteva scostarsi dalla antitesi religiosa. Egli poteva scorgere nel rapporto dell’ebrèo col mondo cristiano solamente il rappòrto della religione ebraica alla religione cristiana. Egli doveva anzi ristabilire criticamente l’antitesi religiosa coll’antitesi tra il rapporto dell’ebreo e del cristiano verso la religione critica: l’ateismo, l’ultimo grado del teismo, il riconoscimento negativo di Dio. Egli doveva infine nel suo fanatismo teologico limitare la capacità del “moderno ebreo e cristiano„ cioè del mondo moderno, a “diventare libero„ alla sua capacità di intendere ed anche di esercitare la critica della teologia. Come, cioè, per il teologo ortodosso l'intero mondo si risolve in “religione e teologia„ (egli potrebbe risolverlo ugualmente bene in politica, economia politica, ecc., e potrebbe designare la teologia, per esempio, come economia politica celeste, dappoiché essa è la dottrina della produzione, della distribuzione, dello scambio e del consumo della “ricchezza spirituale„ e dei tesori nel cielo!), così pel teologo radicale, pel teologo critico la capacità del mondo a rendersi libero si risolve nell’unica capacità astratta di criticare “religione e teologia„ come “religione e teologia„. L’unica lotta ch’egli conosce è la lotta contro l'imbarazzo religioso dell'autocoscienza, la cui critica “purezza„ e la cui “infinità„, non è meno un imbarazzo teologico.

Il signor Bauer trattò dunque la questione religiosa e teologica in maniera teologica e religiosa appunto perchè egli vide nella questione del giorno religiosa una questione “puramente religiosa„. La sua “giusta posizione„ della questione mise la questione soltanto in una “giusta posizione„, per rispondere alla sua propria “capacità„.

Ed ora passiamo alla parte politica della questione degli Ebrei.

Gli Ebrei (come i Cristiani) sono in diversi Stati politicamente del tutto emancipati. Gli Ebrei e i Cristiani sono ben lungi dall’essere emancipati umanamente. Deve perciò esservi una differenza tra emancipazione politica ed umana. È perciò da indagare la sostanza della emancipazione politica, cioè dello Stato civilizzato moderno. Gli Stati invece che non potrebbero ancora emancipare politicamente l’ebreo si debbono raffrontare agli Stati politicamente perfetti e dimostrarli come Stati imperfetti. Era questo il punto di vista dal quale doveva trattarsi la “emancipazione politica„ dell’ebreo e dal quale è trattata negli Annali franco-tedeschi.

Il signor Bauer difende la questione degli Ebrei della critica nel modo seguente:

“Dimostreremo agli Ebrei che essi erano incappati in una illusione circa la condizione di cose dalla quale pretendevano la libertà„.

Il signor Bauer ha veramente dimostrata l’illusione dell’ebreo tedesco di richiedere diritti politici in un paese dove non esiste alcuno spirito di comunanza politica, alcuna partecipazione alla comunità politica, dove esistono soltanto privilegi politici. Si è invece provato al signor Bauer che non meno degli Ebrei egli stesso fu impigliato in “illusioni„ sullo “Stato di cose politico tedesco„. Egli si spiegò, cioè la condizione degli Ebrei nello Stato tedesco partendo dal criterio che’ lo Stato cristiano„ non possa emancipare gli Ebrei politicamente. Egli schiaffeggiò i fatti, costruì lo Stato dei privilegi, lo Stato cristiano-germanico, come lo Stato assoluto cristiano. Gli fu invece dimostrato che lo Stato moderno, perfetto politicamente, che non conosce nessun privilegio religioso, è anche lo Stato cristiano perfetto, che perciò lo Stato pm lèttamente cristiano non solo può emancipare gli Ebrei ma li ha emancipati, e può emanciparli conforme alla sua essenza.

“Si proverà agli Ebrei„, che essi si fanno la più grande illusione su se stessi pensando di ottenere la libertà ed il riconoscimento della lucra umanità, mentre per loro si tratta e si può trattare soltanto d’un particolare privilegio.

Libertà! Riconoscimento dell’umanità libera! Privilegio particolare! Parole edificanti, per scansare apologeticamente problemi definiti!

Libertà? Si trattava della libertà politica. Si è dimostrato al signor Bauer che se l’ebreo esige la libertà e perciò non intendo abolire la sua religione “fa della politica„ e non pone nessuna condizione contrastante con la libertà politica. Si dimostrò al signor Bauer che la separazione dell’uomo in cittadino non religioso e in uomo privato religioso non contraddice in nessun modo all’emancipazione politica. Gli si provò che come lo Stato si emancipa dalla religione, emancipandosi dalla religione dello Stato e abbandonando a se stessa la religione nel seno della società borghese, così l'uomo singolo si emancipa politicamente dalla religione riguardandola non più come una faccenda pubblica, ma come un fatto privato. Gli si dimostrò finalmente che l’andamento terroristico della rivoluzione francese, in materia di religione, ben lungi dal respingere questa concezione, la rafforza.

Invece di indagare il vero rapporto dello Stato moderno con la religione, dovè il signor Bauer immaginare uno Stato critico, uno Stato che non è altro se non quello che il critico della teologia ha gonfiato per Stato nella sua fantasia. Se il signor Bauer è impigliato nella politica, egli tiene impigliata sempre più la politica nelle sue credenze, le credenze critiche. Finché egli si occupò dello Stato, lo trasformò sempre in un argomento contro l’avversario, la religione e la teologia non critica. Lo Stato serve come esecutore dei desideri cordiali critico-teologici.

Quando il signor Bauer si fu liberato primieramente dalla teologia ortodossa non critica, l’autorità politica si sostituì per lui al posto dell’autorità religiosa. La sua credenza in Geova si tramutò nella credenza nello Stato prussiano. Nello scritto sulla Chiesa nazionale evangelica di Bruno Bauer, non soltanto lo Stato prussiano, ma ciò che era la conseguenza, anche la Casa reale prussiana, fu costruito in modo assoluto. Ma in realtà il signor Bauer non prese alcun interesse politico a questo Stato, il cui merito, agli occhi della critica, consisteva piuttosto nella dissoluzione dei dogmi con l’Unione e nella soppressione poliziesca delle sette dissidenti.

Il movimento politico che cominciò nell'anno 1840 redense il signor Bruno dalla sua politica conservatrice e lo sollevò per un momento alla politica liberale. Ma ancora una volta la politica non era veramente che un pretesto per la teologia. Nello scritto: La vera causa della libertà e la mia propria causa, il libero Stato è il critico della facoltà teologica di Bonn ed un argomento contro la religione. Nella Questione degli Ebrei l'antitesi dello Stato e della religione torna l’interesse principale, sicché la critica dell'emancipazione politica si trasforma in una critica della religione ebraica. Nell'ultimo scritto politico: Stato, religione e partiti, è finalmente manifestato il più segreto e cordiale desiderio del critico gonfiamente erettosi a Stato. La religione è immolata allo Stato o piuttosto lo Stato è solo il mezzo per togliere la vita all’avversario della critica, alla religione e alla teologia non critiche.

Finalmente dopo che, almeno apparentemente, la critica si è redenta da ogni politica mercè le idee socialiste diffuse dal 1843 in poi in Germania così come si era redenta dalla sua politica conservatrice o movimento politico posteriore al 1840, finalmente essa può dichiarare per i sociali i suoi scritti contro la teologia non critica e liberamente esercitare la sua propria teologia critica, l’antitesi dello spirito e della massa, come l’annunciazione del Redentore critico e del salvatore del mondo.

Torniamo al nostro tema!

Riconoscimento della umanità libera? L’ “umanità libera„ la cui proclamazione gli Ebrei non pensavano a chiedere, ma realmente chiedevano, è l’istessa “umanità libera„ che ha trovato il suo classico riconoscimento nei cosìdetti diritti generali dell’uomo. Il signor Bauer stesso trattò lo sforzo degli Ebrei pel riconoscimento della loro umanità libera espressamente come il loro sforzo pel godimento dei diritti generali dell’uomo.

Negli Annali franco-tedeschi fu ora dimostrato al signor Bauer che questa “libera umanità„ ed il suo “riconoscimento„ non è altro che il riconoscimento dell’individuo egoistico borghese e del movimento sfrenato degli elementi spirituali e materiali, che formano il contenuto della sua situazione sociale, il contenuto della sua odierna vita civile; gli fu dimostrato che i diritti umani dell’uomo non lo liberano dalla religione, ma gli danno la libertà religiosa; non lo liberano dalla proprietà, ma gli procacciano la libertà della proprietà; non lo liberano dalla sozzura del guadagno ma gli apprestano piuttosto la libertà dell’industria.

Si provò poscia che il riconoscimento dei diritti dell’uomo da parte dello Stato moderno non ha alcun altro significato che il riconoscimento della schiavitù da parte dello Stato antico. Come cioè lo Stato antico aveva per base naturale la schiavitù, così lo Stato moderno ha per base naturale la società borghese, come pure l’uomo della socetà borghese, cioè l’uomo indipendente, congiunto con gli altri uomini solo col legame degli interessi privati e della inconscia necessità naturale, schiavo della propria industriosità e del suo proprio bisogno egoistico, come nel bisogno altrui.

Lo Stato moderno ha riconosciuto questa sua base di natura come tale nei diritti generali dell’uomo. Ed esso non la creò. Come esso era il prodotto della società borghese partorita dal suo stesso svolgersi dai vecchi legami politici, così esso ora da sua parte riconobbe coi diritti dell’uomo il suo proprio nascimento e la propria base fondamentale.

Che gli Ebrei siano dunque emancipati, e che siano loro accordati i “diritti dell'uomo„ sono atti che si determinano scambievolmente. Il signor Riesser esprime esattamente il senso che ha per gli ebrei il desiderio del riconoscimento della umanità libera, allorché egli, fra le altre cose, desidera la libertà di andare, di restar fermo, di viaggiare, di industriarsi e simiglienti. Queste manifestazioni della “umanità libera„ sono espressamente riconosciute nella proclamazione francese dei diritti dell’uomo come tali. L’ebreo ha tanto maggiore diritto a questo riconoscimento dell'umanità libera inquantochè la “libera società borghese„ è di essenza completamente ebraica-commerciale ed egli è, a tutta prima, il suo necessario membro. Si dimostrava inoltre negli Annali franco-tedeschi perchè il membro della “società borghese„ par eccellence è chiamato “l’uomo„ e perchè i diritti dell’uomo si chiamino “diritti innati„.

La critica non seppe quindi dir niente di critico sui diritti dell’uomo, fuor che essi non sono innati, ma storicamente generati, eie che Hegel aveva già saputo dire. Alla loro affermazione, finalmente, che ebrei e cristiani, per concedere e ricevere i diritti universali dell’uomo dovettero immolare il privilegio della fede — il teologo critico subordina ad ogni cosa la sua unica idea fissa — si contrapponeva specialmente il fatto presente in tutte le proclamazioni non critiche dei diritti dell’uomo, che il diritto di credere a ciò che si voglia, il diritto di esercitare il culto di una qualunque religione è esplicitamente riconosciuto come un diritto generale dell’uomo.

La critica poteva sapere soprattutto che fu combattuto il partito Hebert specialmente col pretesto di un attacco ai diritti dell’uomo, perché si attentava alla libertà di religione; che appunto perciò, nell’ulteriore restaurazione della libertà di culto, si fece appello ai diritti dell’uomo.

“Per ciò che si attiene all’essenza politica, la critica segui le contradizioni di essa fino al punto dove la contradizione fra teoria e pratica era stata studiata da cinquantanni nel modo più profondo fino al sistema rappresentativo francese, dove è sconfessatala libertà della teoria dalla pratica e dove la libertà della vita pratica cerca nella teoria invano la sua espressione„.

“Dopoché ora anche l’illusione fondamentale era abolita, la contraddizione, che si era dimostrata nei dibattiti della Camera francese, la contraddizione della libera teoria e della pratica validità dei privilegi, della validità legale dei privilegi e di una situazione pubblica nella quale l’egoismo del puro individuo cerca di dominare l’esclusività privilegiata, dovrebbe potersi concepire come una contraddizione universale in questo campo„.

La contradizione, che la critica indicava nelle discussioni della Camera francese, non era altro che una contradizione del costituzionalismo. Se essa lo avesse concepito come contradizione generale, avrebbe compreso la contradizione generale del costituzionalismo. Se essa fosse andata più oltre, come secondo le sue opinioni “sarebbe potuta„ andare, se essa si fosse cioè spinta fino all’abolizione di questa contraddizione generale, essa sarebbe giunta direttamente dalla monarchia costituzionale allo Stato rappresentativo democratico, al perfetto Stato moderno. Ben lunge dall’aver criticato l’essenza dell’emancipazione politica e dall’avere scandagliato il suo determinato rapporto con l’essenza umana, essa sarebbe giunta prima al fatto della emancipazione politica, allo Stato moderno evoluto, ossia sarebbe giunta prima là dove l’esistenza dello Stato moderno corrisponde alla sua essenza, dove perciò anche i vizi, non solo relativi ma assoluti, i vizi che costituiscono la sua stessa essenza, possono essere intuiti e caratterizzati.

Il passo “critico„ sopra citato è tanto più prezioso in quanto dimostra fino all’evidenza che la critica, nell'istesso istante in cui ella riguarda profondamente sotto di sé l’“essenza politica„, anzi nel momento in cui sta profondamente al disotto di questa essenza, deve ancora trovare nell’essenza politica la soluzione delle sue contradizioni e sempre più persevera nelle sue complete assurdità sul principio statale moderno

La critica contrappone alla “libera teoria„, la “pratica validità„, i “privilegi„ e alla “legale validità dei privilegi„ lo “stato pubblico„.

Per non fraintendere l'opinione della critica, richiamiamoci alla mente la contradizione da lei indicata nelle discussioni della Camera Francese, quella istessa contradizione che “avrebbe potuto concepirsi„ come contradizione più generale. Si trattava, fra le altre cose, di stabilire un giorno della settimana nel quale i fanciulli debbano restare liberi dal lavoro. La domenica fu scelta come tal giorno. Un deputato propose a tal proposito di omettere nella legge la menzione della domenica come incostituzionale. Il ministro Martin (du Nord) scorse in questa proposta il proposito di far dichiarare che il cristianesimo sia cessato di esistere. Il signor Cremienx dichiarò, in nome degli Ebrei francesi che gli Ebrei, per rispetto alla religione della grande maggioranza dei francesi, non avrebbero nulla da obbiettare contro la menzione della domenica. Ora, secondo la libera teoria, cristiani ed ebrei sono su d’un piede di eguaglianza; secondo questa pratica i cristiani posseggono un privilegio di fronte agli Ebrei, perché come potrebbe altrimenti la domenica cristiana trovare il suo posto in una legge che è emanata per tutti i Francesi? E non avrebbe il sabato ebraico il medesimo diritto, ecc.? Oppure l'ebreo nella vita pratica francese non è realmente oppresso dai privilegi cristiani, ma la legge non osa manifestare questa pratica uguaglianza. Di questa natura sono tutte le contradizioni dell’essenza politica, che il signor Bauer dimostra nella Questione degli Ebrei, contraddizioni del costituzionalismo, che è in generale la contradizione fra lo Stato moderno rappresentativo e il vecchio Stato dei privilegi.

Il signor Bauer commette ora un fondamentalissimo sbaglio, quando pensa con la intuizione e la critica di questa contradizione come un “universale„ sollevarsi dall’essenza politica all’essenza umana. Egli si sarebbe tutt al più sollevato dalla parziale emancipazione politica a quella completa, dallo Stato costituzionale a quello rappresentativo democratico.

Il signor Bauer crede di abolire con l'abolizione del privilegio l’oggetto del privilegio. Egli dice in rapporto all’espressione del signor Martin (del Nord):

“Non vi ha più religione, se non vi ha più alcuna religione privilegiata. Togliete alla religione la sua forza di esclusività, ed essa non esiste più„.

Ma come l’attività industriale non cessa di esistere abolendo i privilegi dell’industria, delle maestranze e delle corporazioni, ma piuttosto proprio dopo l’abolizione di questi privilegi s'inizia la vera industria: come la proprietà terriera non è abolita solo perchè si abolisca il possesso terriero privilegiato, ma piuttosto è solo con l’abolizione dei suoi privilegi che comincia il suo movimento universale nei liberi parcellamenti e nelle libere alienazioni; come il commercio non è abolito con la soppressione dei privilegi commerciali, ma è veramente per prima realizzato nel libero commercio; così la religione si spiega nella sua pratica universalità (si pensi ai liberi Stati nord-americani) solo là dove non esiste alcuna religione privilegiata. Il moderno “stato pubblico„, la civilizzata e moderna essenza dello Stato, non ha per base, come pensa la critica, la società dei privilegi, ma la società dai privilegi aboliti e dissolti, la società borghese evoluta, nella quale sono resi liberi gli elementi della vita ancora politicamente legati ai privilegi. “Nessuna esclusività privilegiaria„ contrasta nè con le condizioni pubbliche nè con le altre condizioni. Come la industria libera e il libero commercio tolgono di mezzo la esclusività privilegiaria e quindi la lotta reciproca tra le esclusività dei privilegi, e invece sostituiscono al suo posto un uomo sciolto dal privilegio - che lo svincola dall’insieme generale e nello stesso tempo lo lega ad un insieme esclusivo più piccolo - un uomo non legato più neppure in apparenza da un vincolo generale all'altro uomo, e producono una lotta generale dell’uomo contro l’uomo, dell’individuo contro l'individuo, così la intera società borghese è questa guerra di tutti contro tutti gl’individui vieppiù isolati, l’uno dall’altro, dalla propria individualità, ed il generale sfrenato movimento delle potenze elementari della vita liberata dalle catene del privilegio.

L’antitesi dello Stato rappresentativo democratico e della società borghese è il compimento dell'antitesi classica della cosa pubblica e della schiavitù. Nel mondo moderno ognuno è insieme membro della schiavitù e della comunità. Ma appunto la schiavitù della società borghese è secondo l’apparenza la maggiore libertà, perchè è l'indipendenza apparentemente perfetta dell’individuo, il quale assume per sua particolare libertà il movimento sfrenato dei suoi estrinsecati elementi di vita, come per esempio la proprietà, la industria, la religione, ecc., non più legato da vincoli generali e non più dipendente da altri uomini, mentre questa libertà è invece la sua perfetta soggezione e disumanità (Unmenschlickeit). Al posto del privilegio è qui sottentrato il diritto.

Proprio qui dove, per prima, non ha luogo alcuna contradizione tra la libera teoria e la pratica validità dei privilegi, ma anzi l'annientamento pratico dei privilegi, la libera industria, il libero commercio, ecc., corrisponde alla libera teoria, dove allo stato pubblico non si contrappone nessuna esclusività privilegiata, dove è abolita la contraddizione svolta dalla critica, è qui clic esiste il perfetto Stato moderno.

Qui domina inoltre il capovolgimento addirittura della legge, che manifesta il signor Bauer in accordo con il signor Martin (du Nord), in occasione dei dibattiti parlamentari francesi.

“Come il signor Martin (du Nord) vide nel progetto di eliminare la menzione della domenica nella legge una proposta di dichiarare che il cristianesimo sia cessato di esistere, così con ugual diritto, e questo diritto è perfettamente giustificato, dichiarare che la legge del sabato non abbia più alcuna obbligatorietà per gli ebrei, sarebbe proclamare l’abolizione del giudaismo„.

Nello Stato evoluto moderno accade precisamente il contrario. Lo Stato dichiara che la religione, come gli altri elementi della vita civile, hanno cominciato ad esistere nella loro piena estensione solo quando esso li dichiara non politici e perciò li abbandona a se stessi. Alla soppressione della loro esistenza politica, come forse, alla dissoluzione della proprietà mercè l'abolizione del censo elettorale, al dissolvimento della religióne con l'abolizione della Chiesa di Stato, insomma a questa proclamazione della loro morte come elemento dello Stato corrisponde la loro vita più vigorosa che ubbidisce indisturbata alle sue prolude leggi e spiega tutto l’impeto della sua esistenza.

L’anarchia è la legge della società borghese emancipata dai privilegi strutturali, e l’anarchia della società borghese è la base del moderno Stato pubblico, come lo Stato pubblico è a sua volta la garanzia di questa anarchia. così come essi si contrappongono, si determinano anche vicendevolmente.

Si vede quanto sia grandemente capace la critica di appropriarsi il “nuovo„. Ma restando nei confini della pura critica c’è da domandarsi perchè essa non abbia concepito la sua contradizione, sviluppata in occasione delle discussioni della Carriera francese, come contradizione generale, ciò che secondo la sua stessa opinione “avrebbe dovuto„ fare?

“Ma il passo era allora impossibile — non solo perchè... non solo perchè... ma anche perché senza questo ultimo resto d’interno ingarbugliamento con le sue antitesi la critica era impossibile, e non sarebbe potuta arrivare al punto in cui rimaneva a farsi ancora un solo passo„.

Era impossibile... perchè... era impossibile! La critica assicura inoltre che era impossibile il fatale “Un Passo„ per potere arrivare al punto in cui restava e solo “un altro passo„.

E chi ci troverà a ridire? Per potere arrivare ad un punto dove resta ancora “Un Passo„ è impossibile fare Un altro passo, che conduca al di là del punto dietro il quale resta ancora “Un Passo„.

Tutto è bene ciò che finisce bene! Alla chiusa dell’attacco contro la massa nemica della sua “questione degli Ebrei„, la critica confessa che la sua concezione dei “diritti dell’uomo„, il suo “apprezzamento della religione nella rivoluzione francese„, la essenza politica libera, alla quale rimandò talvolta alla fine delle sue “discussioni„, in breve tutta

“l’èra della rivoluzione francese per la critica non era nè più nè meno che un simbolo — non dunque precisamente e nel prosaico senso di quel tempo dei tentativi rivoluzionari dei francesi — un simbolo, quindi soltanto una espressione fantastica delle forme che essa vedeva alla fine„.

Noi non vogliamo rubare alla critica la consolazione che se essa pecchi politicamente ciò le accada soltanto alla “chiusa„ e alla “fine„ delle sue opere. Un noto ubbriacone soleva rassicurarsi che non fosse mai ubbriaco prima della mezzanotte.

Sul terreno della Questione degli Ebrei la critica ha incontestabilmente guadagnato sempre più spazio sul nemico. Il N. 1 della “questione degli Ebrei„ era ancora lo scritto assoluto della critica difeso da Bruno Bauer, ed aveva scoverto la “vera„ e “generale„ importanza della “questione degli ebrei„. Il N. 2 “volle e dovette„ non esorbitare dalla critica. Il N. 3 avrebbe potuto fare ancora un passo, ma era “impossibile„ — perchè “impossibile,. Non il suo “volere e dovere„ ma l'essersi ingarbugliata nella sua “antitesi„ le ostruì questo “Un Passo„. Essa avrebbe veramente volentieri oltrapassata l’ultima barriera, ma sfortunatamente era rimasto appena un ultimo resto della massa nella corsa critica fatta a gran passi di un miglio l'uno.

c) — Battaglia critica contro la rivoluzione francese.

La limitatezza della massa aveva costretto lo spirito, e la critica aveva costretto Bruno Bauer a non considerare la rivoluzione francese come l’epoca del tentativo rivoluzionario dei francesi in “senso prosaico„ ma “solo„ come “il simbolo e l’espressione fantastica„ della tela di ragno del proprio cervello. La critica fa ammenda del suo “errore„ sottoponendo la rivoluzione francese ad un nuovo esame, fissa punisce nell’istesso tempo il corruttore della sua innocenza: — “la massa„ partecipandole i risultati di questo “nuovo esame„.

“La rivoluzione francese fu un esperimento che appartenne del tutto ancora al XVIII secolo„.

Che un esperimento del XVIII secolo, come la rivoluzione francese, è del tutto ancora un esperimento dèl XVIII e non del XIX secolo, questa verità cronologica sembra - ancora del tutto appartenere alle verità che “s’intendono da se stesse di primo acchito„. Ma una tale verità nella terminologia della critica, che è infatuatissima delle verità “chiare come il sole„, ha il significato di un “esame„ e trova perciò il suo posto naturale in un “nuovo esame della rivoluzione„.

“Le idee che la rivoluzione francese aveva suscitato non condussero al di là dello Stato ch’esse volevano abolire con la violenza„.

Le idee non potrebbero mai condurre al di là delle vecchie condizioni mondiali, ma potrebbero soltanto condurre al di là delle idee delle vecchie condizioni del mondo. Le idee non potrebbero affatto condurre a nulla. Perchè le idee si traducano in fatti, occorre l’uomo che eserciti una forza pratica. Nel suo senso letterale, dunque, la tesi critica è ancora una volta una verità che si comprende da sè stessa, perciò è di nuovo un “esame„.

Ciò che risulta incontestato da questo esame è che la rivoluzione francese ha suscitato idee che hanno condotto al di là delle idee del vecchio stato del mondo. Il movimento rivoluzionario, che cominciò nel Cercle social nel 1789, che nel mezzo del suo cammino ebbe per rappresentanti principali Leclerc e Roux, e che infine soccombè per un momento con la congiura di Baboeuf, aveva suscitato l’idea comunistica che Buonarroti, amico di Baboeuf, tornò ad introdurre in Francia, dopo la rivoluzione del 1830. Questa idea, elaborata in maniera conseguente, è l'idea del nuovo stato mondiale.

“Dopo che la rivoluzione perciò (!) aveva abolito le limitazioni feudali dalla vita del popolo, fu costretta a soddisfare ed anche ad aizzare il puro egoismo della nazionalità, così come fu costretta, d’altra parte, ad imbrigliarlo con il suo necessario complemento: il riconoscimento d’una più alta esistenza, con questa più alta sanzione dello Stato universale che deve combinare insieme i singoli atomi egoistici„.

L’egoismo della nazionalità è lo schietto egoismo dello Stato universale, in antitesi all’egoismo delle delimitazioni feudali. La più alta esistenza è la più alta sanzione dello Stato universale e quindi anche della nazionalità. La più alta esistenza deve ciò non di meno infrenare l’egoismo della nazionalità, cioè dello Stato universale. È veramente un problema critico infrenare un egoismo con la sua sanzione e piu propriamente con la sua sanzione religiosa, cioè col riconoscimento di esso come d’una esistenza sovrumana, epperciò libera anche da freni umani! I creatori della più alta esistenza non seppero nulla di questa loro critica intenzione.

Il signor Buchez, che basa il fanatismo della nazionalità sul fanatismo della religione, conosce meglio il suo eroe Robespierre.

Roma e la Grecia naufragarono nella nazionalità. La critica non dice perciò nulla di specifico sulla rivoluzione francese quando essa la la naufragare nella nazionalità. Essa dice ben poco sulla nazionalità quando determina l’egoismo di questa come puro. Questo puro egoismo sembra piuttosto come un egoismo oscurissimo, transustanziato in carne e sangue, un egoismo spontaneo se lo si paragona in qualche modo con il puro egoismo dell’Io fìchtiano. Ma la sua purezza e solamente relativa, in antitesi all’egoismo delle limitazioni feudali: non occorreva perciò alcun “nuovo esame della rivoluzione„ per scoprire che l’egoismo che ha per contenuto una nazione è più onerale e più puro dell’egoismo che ha per contenuto un particolare “ceto„, una particolare corporazione.

I sotterfugi della critica attorno allo Stato non sono meno istruttivi. Essi si riducono a costatare che lo Stato deve tenere congiunti i singoli atomi egoistici.

Per parlare esattamente e in senso prosaico, i membri della società borghese non sono affatto degli atomi. La proprietà caratteristica dell’atomo consiste nel non avere all’infuori di sè nessuna proprietà, e perciò alcun rapporto, determinato dalla sua speciale necessità naturale, con altre sostanze. L’atomo è senza bisogni, sufficiente a se stesso; il mondo fuori di esso è il vuoto assoluto, cioè esso è senza contenuto, senza senso, inesprimibile, appunto perchè possiede in se stesso tutta la pienezza. L’individuo egoistico della società borghese si può arrogare solo nella sua idea sbagliata e nella sua astrazione non vivente di essere atomo, cioè un essere beato senza rapporti, sufficiente a se stesso, senza bisogni, assolutamente perfetto. La sciagurata realtà sensibile non si cura della sua immaginazione, costringe ciascuno dei suoi sensi a credere nel senso del mondo e degl’individui fuori di lui, e il suo stesso stomaco profano ricorda quotidianamente che il mondo fuori di lui non è vuoto, ma è ciò die veramente riempie. Ciascuna delle attività della sua esistenza e delle sue proprietà, ogni suo impulso vitale, è mutato in bisogno, in necessità, che muta il suo egoismo nella ricerca di altre cose ed uomini fuori di lui. Ma poiché il bisogno dell'uno individuo non ha nessun senso che si comprenda da se stesso per l’altro individuo egoistico che possiede il mezzo di soddisfare quel bisogno, cioè non ha nessun immediato connubio con l’appagamento, ogni individuo deve creare questo connubio, diventando parimenti il ruffiano tra il bisogno altrui e l’oggetto di questo bisogno. La necessità naturale dunque, le proprietà umane dell’esistenza per quanto possano apparire alienate, l’interesse, mantengono in coesione fra di loro i membri della società borghese: il vincolo reale è la vita civile, non la vita politica. Non è dunque lo Stato che mantiene insieme gli atomi della società borghese, ma il fatto che essi sono atomi soltanto nella rappresentazione, nel cielo della loro fantasia, ma in realtà sono esseri ben differenti dagli atomi, non sono, cioè, divinamente egoistici, ma uomini egoisti. Solo la superstizione politica s’immagina ancora oggi che la vita borghese debba essere tenuta in piedi dallo Stato, mentre, al contrario, nella realtà è lo Stato che è tenuto in piedi dalla società borghese.

“L’idea colossale di Robespierre e Saint-Just di formare un popolo libero, che viva soltanto secondo le regole della giustizia e della virtù — si vegga, ad esempio, la relazione di Saint-Just sul delitto di Danton e l’altra sulla polizia generale — potè solo reggere mediante il Terrore per un certo tempo — ed era una contradizione, contro la quale gli elementi egoistici e volgari dello Stato reagirono nella maniera vile e perfida — che solo da loro poteva aspettarsi„.

Questa frase critica-assoluta, che caratterizza un popolo libero come una contraddizione contro la quale gli elementi egoistici e volgari della popolazione (Volkswesen) debbano reagire, è tanto più assolutamente vacua, in quanto che libertà, giustizia, virtù nel senso di Robespierre e di Saint-Just, possono essere solo manifestazione vitale di un popolo e solo qualità della essenza popolare. Robespierre e Saint-Just parlano espressamente delle “libertà, giustizia, virtù„ antiche, proprie soltanto all’“essenza popolare„: Spartani, Ateniesi e Romani, al tempo della loro grandezza, sono “popoli liberi, giusti, virtuosi„.

“Quale - dice Robespierre nel discorso sui principi della morale pubblica (seduta della Convenzione del 5 febbraio 1794) - è il principio fondamentale del governo democratico e popolare? La virtù. Io parlo della virtù pubblica, che oprò così grandi meraviglie nella Grecia e in Roma, e che oprerà più meravigliosamente ancora nella trancia repubblicana; della virtù, che altra cosa non è se noti l'amore della patria e delle sue leggi„.

Cosicché Robespierre designa esplicitamente Ateniesi e Spartani come peuples libres. Egli richiama continuamente alla memoria l’antico civismo, e cita i suoi eroi, come i suoi pervertitori: Licurgo, Demostene, Milziade, Aristide, Bruto e Catilina, Cesare, Clodio, Risone.

Saint-Just, nella reazione sull’arresto di Danton - alla quale la critica rimanda - dice esplicitamente:

“Il mondo è vuoto dai tempi dei Romani, e soltanto il ricordo di loro lo riempie e profetizza ancora la libertà„.

La sua accusa è, all’antica maniera, diretta contro Danton come un Catilina.

Nell’altra relazione di Saint-Just sulla polizia generale, il repubblicano viene descritto completamente in stile antico, rigido, frugale, semplice, ece. La polizia deve essere, conforme alla sua essenza, un istituto corrispondente alla Censura romana. Non mancano Codro, Licurgo, Cesare, Catone, Catilina, Bruto, Antonio, Cassio. Infine Saint-Just caratterizza la “libertà, giustizia e virtù„ ch’egli propugna, con una parola, allorché dice:

Que les hommes revolutionnaires soient des Romains.

Robespierre, Saint-Just ed il loro partito decaddero perchè essi confusero l’antica comunità realista-democratica, che si basava sulla reale schiavitù, con lo Stato rappresentativo moderno spiritualista-democratico, che poggia sulla schiavitù emancipata, sulla società borghese. Qual colossale illusione dovere sanzionare e riconoscere nei diritti dell’uomo la moderna società borghese, la società dell’industria, della concorrenza universale, dei privati interessi liberamente diretti al loro scopo, dell’anarchia, dell’individualità spirituale, naturale, da se stessa straniata, e nell’istesso tempo volere annullare le manifestazioni vitali di questa società posponendole ai singoli individui, e volere formare alla maniera antica la testa politica della società!

Tragica illusione questa, quando Saint-Just, nel giorno della sua esecuzione, indicò la tabella ilei diritti dell’uomo appesa nella sala della Conciergerie, e con orgoglioso sentire di sé esclamò:

C’est pourtant moi qui ai fait cela!

Proprio questa tabella proclamava il diritto d’un uomo, che non può essere l’uomo dello Stato antico, così come i suoi rapporti economici e industriali non sono quelli antichi.

Non è qui il luogo di giustificare storicamente l’illusione dei terroristi.

“Dopo la caduta di Robespierre la civilizzazione politica ed il movimento politico precipitarono verso il punto in cui essi furono vittima di Napoleone, il quale non molto tempo dopo il 18 brumaio potè dire: “Coi miei prefetti, coi miei gendarmi e coi miei preti io posso fare della Francia ciò che voglio„.

La storia profana invece riferisce: Dopo la caduta di Robespierre comincia la cultura politica che aveva voluto gareggiare, ch’era stata proclivissima a realizzarsi prosaicamente per prima.

Sotto il governo del Direttorio la società borghese — la rivoluzione stessa l’aveva liberata dai vincoli feudali e riconosciuta officialmente, per quanto il terrorismo la volesse sacrificare all’antica vita politica — irrompe nelle vigorose correnti della vita„.

Vertiginosa spinta alle intraprese commerciali, brama di arricchire, barcollamento della nuova vita borghese, il cui primo godimento è ancora sfrontato, leggiero, frivolo, inebbriante; reale cultura del suolo e dei fondi francesi, la cui organizzazione feudale il martello della rivoluzione aveva dissolto coi suoi colpi, e che ora la prima eccitazione febbrile dei molti nuovi proprietari sottopone a coltura intensiva; i primi movimenti dell’industria diventata libera — questi sono alcuni dei segni caratteristici della nuova società borghese venuta alla luce. La società borghese è positivamente rappresentata dalla borghesia. La borghesia inizia così il suo regime. I diritti dell'uomo cessano di esistere soltanto in teoria.

Ciò che fu vittima di Napoleone nel 18 brumaio, non fu, come la critica crede in ossequio ad un signor di Rotteck e Welker, il movimento rivoluzionario in generale, fu la borghesia liberale. Non si ha che da leggere i discorsi dei legislatori di allora per convincersene. Si crede di essere trasportati dalla Convenzione nazionale in una odierna Camera dei deputati.

Napoleone era l’ultima lotta del terrorismo rivoluzionario contro la società borghese proclamata parimente dalla rivoluzione e contro la sua politica. Napoleone veramente possedeva di già la convinzione circa la sostanza dello Stato che questo poggiasse sullo sviluppo inostacolato della società borghese, sul libero movimento degli interessi privati. Ei si decise a riconoscere e a proteggere questa base. Egli non fu punto un terrorista retorico. Ma Napoleone considerava ancora nell’istesso tempo lo Stato come scopo a se stesso, e la società borghese solo come tesoriera e come suo subalterno, che non debba avere alcuna volontà propria. Egli completò il terrorismo, sostituendo al posto della rivoluzione permanente la guerra in permanenza. Egli appagò fino alla piena sazietà l’egoismo della nazionalità francese, ma egli pretese anche il sacrificio degli affari, dei godimenti, della ricchezza borghesi tutte le volte che lo dominava lo scopo politico della conquista. Se egli opprimeva dispoticamente il liberalismo della società borghese — l’idealismo politico della sua pratica quotidiana — ei non risparmiava nemmeno i suoi sostanziali interessi materiali, commercio ed industria, ogni volta che essi venissero in conflitto con i suoi interessi politici. Il suo disprezzo per gl’indastriali, hommes d’affaires, era il complemento del suo disprezzo per gl’ideologi. In fondo in fondo ei combatteva nella società borghese l’avversario dello Stato che valga come assoluto scopo a se stesso. Così egli dichiarò al Consiglio di Stato che non tollererebbe che il possessore di estesissime terre le coltivasse oppur no a suo piacimento. Così egli concepì il piano, con l’appropriazione del materiale rotabile, di sottoporre il commercio allo Stato. I commercianti francesi attendevano preparati l’avvenimento che scuotesse per primo la potenza di Napoleone. Gli aggiotatori parigini lo costrinsero con una carestia artificiosamente creata a rimandare l’apertura della guerra russa quasi di due mesi e di rimetterla perciò in una stagione troppo inoltrata.

Come alla borghesia rivoluzionaria in Napoleone si opponeva ancora una volta il terrorismo rivoluzionario, così nella Restaurazione, nei Borboni, le venne di fronte ancora una volta la contro-rivoluzione. Finalmente realizzò essa nel 1830 i suoi desideri del 1780, con la sola differenza che la sua cultura politica ora era perfetta, che essa non pensava più di aspirare, nello Stato rappresentativo-costituzionale, all’ideale dello Stato, alla salute del mondo e di tutti i fini umani, ma essa lo aveva piuttosto riconosciuto come l’espressione ufficiale del suo potere esclusivo e come riconoscimento politico dei suoi particolari interessi.

La storia vera della rivoluzione francese, che data dal 1789 in poi, non è neppure compiuta con l'anno 1830, in cui uno dei suoi momenti, ora arricchito dalla coscienza della sua importanza sociale, ne riportò la vittoria.

d) Battaglia critica contro il materialismo francese.

“Lo spinozismo aveva dominato il secolo XVIII tanto nella sua evoluzione francese che faceva della materia la sostanza, come nel teismo che dava alla materia un nome più spirituale.... La scuola spinoziana francese e i seguaci del teismo erano soltanto due sette che disputavano intorno al vero senso del loro sistema... Il semplice destino di questa evoluzione filosòfica (Aufklärung) fu la sua dissoluzione nel romanticismo dopo che essa si era dovuta dar prigioniera alla reazione che ebbe principio fin dal movimento francese„.

Fin qui la critica.

Noi opporremo, in un breve schizzo, alla storia critica del materialismo francese la sua storia profana propria della massa. Noi riconosceremo devotamente l’abisso fra la storia come essa è effettivamente avvenuta e la storia come essa avviene secondo il decreto della critica assoluta, la creatrice imparziale del vecchio e del nuovo. Noi finalmente, ubbidendo alle prescrizioni della critica, faremo “oggetto di uno studio attento„ il perchè? il donde? il dove? della storia critica.

“Per dirla in senso preciso e volgare„, la rivoluzione filosofica francese del XVIII secolo e specialmente il materialismo francese fu non solo una lotta contro le istituzioni politiche esistenti, come contro la esistente religione e teologia, ma ugualmente una lotta aperta, manifesta contro la metafisica del secolo XVIII e contro ogni metafisica, specialmente contro quella di Descartes, Malebranche, Spinoza e Leibnitz. Si oppose la filosofia alla metafisica, come Feuerbach al suo primo deciso opporsi contro Hegel contrappose alla briaca speculazione la sobria filosofia. La metafisica del secolo XVII, la quale era stata battuta dalla rivoluzione filosofica francese e specialmente dal materialismo francese del secolo XVIII, ebbe la sua vittoriosa e valida restaurazione nella filosofia tedesca, e specialmente nella filosofia speculativa tedesca del secolo XIX. Dopo che Hegel l’ebbe riunita in una maniera geniale con tutta la metafisica precedente e con l’idealismo tedesco e fondato un impero universale metafisico, corrispose di nuovo, come nel secolo XVIII, all’assalto alla teologia l’assalto alla metafisica speculativa ed a ogni metafisica.

Essa soccomberà per sempre al materialismo, perfezionato ormai dal lavoro della speculazione stessa e coincidente coll’umanismo. Ma come Feuerbach nel campo teorico così il socialismo e il comunismo francesi ed inglesi rappresentavano nel campo pratico il materialismo che coincide con l’umanismo.

“Per dirla in un senso preciso e volgare„ esistono due correnti del materialismo francese, di cui l’una deriva la propria origine da Descartes, l’altra da Locke. L’ultima è specialmente un elemento di coltura francese e sbocca dirèttamente nel socialismo. Il primo, il materialismo meccanico, si perde come un rivolo nella scienza naturale francese propriamente detta. Ambedue le correnti si incrociano nel corso del loro sviluppo. Del materialismo francese derivante direttamente da Descartes non è il caso di occuparsi più davvicino come del pari della scuola francese di Newton e in generale dello sviluppo della scienza naturale francese.

Basti soltanto questo: nella sua fìsica Descartes aveva conferito alla materia una forza auto-creatrice, e ne aveva concepito il movimento meccanico come una manifestazione vitale. Egli aveva diviso la sua fisica interamente dalla metafìsica. In seno alla sua fìsica la materia è l’unica sostanza, l'unico fondamento dell’essere e della conoscenza.

Il materialismo meccanico francese fu seguace della fisica di Descartes in antitesi alla sua metafisica. I suoi discepoli furono antimetafisici per professione, cioè fìsici.

Col medico Leroy comincia questa scuola, col medico Cabanis essa raggiunge il suo apice, il medico Lamettrie è il suo centro. Descartes viveva ancora quando Leroy applicò la costruzione cartesiana dell’animale — come similmente nel secolo XVIII Lamettrie — all’anima umana, e spiegò l’anima come un modo del corpo e le idee come movimenti meccanici. Leroy anzi credette die Descartes avesse velato la sua vera opinione. Descartes protestò. Alla fine del secolo XVIII Cabanis condusse a compimento il materialismo cartesiano nel suo scritto: Rapports du phisique et du morale de l'homme.

Il materialismo cartesiano esiste fino al giorno d’oggi in Francia. Esso ha i suoi grandi successi nella scienza naturale meccanica, alla quale, per dirla in senso preciso e volgare, si può rimproverare meno che ad ogni altro il romanticismo.

La metafisica del secolo XVII, rappresentata per la Francia principalmente da Descartes, ebbe fin dalla sua nascita il materialismo come antagonista. Personalmente esso si contrappose al Descartes nella persona di Gassendi, il restauratore del materialismo epicureo. Il materialismo francese ed inglese restò sempre in un rapporto intimo con Democrito ed Epicuro. Un’altra opposizione ebbe la metafisica cartesiana nel materialista inglese Hobbes. Gassendi e Hobbes trionfarono molto tempo dopo la loro morte sul loro nemico nello stesso momento in cui questo come potere officiale imperava in tutte le scuole francesi.

Voltaire ha osservato che la indifferenza dei francesi del secolo XVIII contro le dissensioni gesuitiche e giansenistiche, fu causata meno dalla filosofia che dalla speculazione finanziaria di Law. Così il tracollo della metafisica del secolo XVII può essere spiegato come causato dalla teoria materialistica del secolo XVIII, solo in quanto si spiega questo movimento teorico stesso come causato dalla formazione pratica della vita francese d'allora. Questa vita era rivolta verso il presente immediato, verso il godimento mondano, gl’interessi mondani e verso il mondo terreno. A questa pratica antiteologica, antimetafisica, materialistica, dovevano corrispondere teorie antiteologiche, antimetafisiche, materialistiche. La metafisica aveva praticamente perduto ogni credito. A noi basta accennarne qui brevemente lo svolgimento teorico.

La metafisica nel secolo XVII (si pensi a Descartes, Leibnitz, ecc.) ancora recava delle traccie di contenuto positivo profano. Essa faceva delle scoverte nella matematica fisica e in altre determinate scienze che parevano appartenerle. Già al principio del secolo XVIII, questa appartenenza era distrutta. Le scienze positive s’erano separate da lei e s‘erano formate delle sfere autonome. Tutta la ricchezza metàfisica consisteva oramai in entità ideali e in cose celesti, proprio quando le entità reali, le cose terrene cominciavano a concentrare in sè ogni interesse La metafisica era divenuta insipida. Nello stesso anno in cui morivano gli ultimi grnadi metafisici francesi del secolo XVII, Malebranche e Arnauld nacquero Helvetius e Condillac.

L’uomo che teoricamente privò d’ogni suo credito la metafisica del secolo XVII e ogni altra metafisica, fu Pietro Bayle. La sua arma fu lo scetticismo, foggiata con le stesse formule magiche della metafisica. Egli stesso cominciò col partire dalla metafisica cartesiana. Come Feuerbach combattendo la teologia speculativa fu trascinato a combattere la filosofia speculativa, appunto perché egli riconobbe nella speculazione l’ultimo sostegno della teologia, perchè egli doveva costringere i teologi ad abbandonare la pseudo-scienza per rifugiarsi di nuovo nella fede rozza e ripugnante, così il dubbio religioso spinse il Bayle al dubbio nella metafisica, che sosteneva questa fede. Egli sottopose perciò a metafisica, in tutto il suo svolgimento storico, alla critica. Egli ne fu lo storiografo per scrivere la storia della sua morte. Egli combattè specialmente Spinoza e Leibnitz. Pier Bayle preparò non soltanto al materialismo e alla filosofia del buon senso umano il loro accoglimento in Francia, con il dissolvimento scettico della metafisica. Egli annunziò anche la società ateistica che doveva cominciare ad esistere fra breve con la dimostrazione che possa esistere una società composta per intero da atei, che un ateo possa essere un uomo dabbene, che l’uomo si degrada non con l’ateismo ma con la superstizione e l’idolatria.

Pietro Bayle era, secondo l’espressione di uno scrittore francese,

“l’ultimo dei metafisici nel senso del secolo XVII, ed il primo dei filosofi nel senso del XVIII„.

Oltre la confutazione negativa della teologia e della metafisica del secolo XVII, vi era necessità di un sistema positivo antimetatìsico. Occorreva un libro che rinchiudesse in un sistema la pratica della vita d’allora e ne facesse la motivazione teorica. Lo scritto di Locke sulla Origine dell’intelletto umano, venne a proposito dall'altra riva del Canale. Esso venne accolto entusiasticamente come un ospite ansiosamente atteso.

Si pone adesso il quesito:

“È Locke forse uno scolare dello Spinoza?„

La storia profana potrebbe rispondere: il materialismo è il figlio autoctono della Gran Bretagna. Già il suo scolastico, Duns Scotus si chiese “se la materia possa pensare„.

Per realizzare questo miracolo, egli si rifugiò presso la onnipotenza divina, cioè egli costrinse la stessa teologia a predicare il materialismo. Egli fu inoltre nominalista. Il nominalismo si trova come un elemento fondamentale presso i materialisti inglesi, come del resto esso è la prima espressione del materialismo.

Il vero capostipite del materialismo inglese e di ogni scienza moderna sperimentale è Bacone. La scienza naturale è per lui la vera scienza, e la fisica sensibile la parte principale della scienza naturale. Anassagora con le sue “omeomerie„ e Democrito con i suoi “atomi„ sono sovente le sue autorità. Secondo la sua dottrina i sensi non possono ingannarsi e sono la fonte di ogni conoscenza. La scienza è scienza sperimentale e consiste nell’applicare un metodo razionale ai dati sensibili. Induzione, analisi, comparazione, osservazione, esperimento, sono le condizioni principali d’un metodo razionale. Era le qualità ingenite alla materia, il movimento è la prima e più importante, non solo come movimento meccanico e matematico, ma più ancora come istinto, spirito vitale, energia, come tormento — per adoperare una espressione di Giacomo Böhm — della materia. Le forme primitive di quest’ultima sono forze essenziali, viventi, individualizzanti, ad essa inerenti, che producono le differenze specifiche.

In Bacone, come suo primo creatore, il materialismo cela in sè in una maniera ingenua ancora i germi di uno sviluppo generale. La materia sorride all'uomo intero, circonfusa di splendore poetico-sensibile. La dottrina aforistica stessa al contrario formicola ancora di inconseguenze teologiche.

Nel suo sviluppo ulteriore, il materialismo diviene unilaterale. Hobbes è il sistematizzatore del materialismo baconiano. Il sensibile perde il suo fiore e diventa il sensibile astratto del geometra. Il movimento tìsico viene sacrificato al movimento meccanico e matematico: la geometria viene proclamata la scienza principe, il materialismo diviene misantropico. Per potere trionfare sullo spirito misantropico, senza carne, nel suo proprio campo, il materialismo deve mortificare la propria carne e diventare asceta. Esso si presenta come un essere di ragione, ma sviluppa anche le conseguenze della ragione spregiudicatamente. Se il sensibile fornisce tutte le conoscenze all’uomo — dimostra Hobbes partendo da Bacone — allora percezione, pensiero, rappresentazione, ecc., non sono altro che fantasmi del mondo corporeo, svestito più o meno della sua forma sensibile. La scienza può dare soltanto un nome a questi fantasmi. Un nome, può essere anche applicato a vari fantasmi. Possono esistere anche nomi di nomi. Sarebbe però una contraddizione di lasciare trovare da un lato a tutte le idee la loro origine nel mondo sensibile, ed affermare dall’altro lato che una parola sia più d'una parola, che oltre gli esseri che ci rappresentiamo, e che sono sempre esseri particolari, esistano ancora esseri generali. Una sostanza incorporea è al contrario la stessa contraddizione, come un corpo incorporeo. Corpo, essere, sostanza è la stessa e unica idea reale. Non si può separare il pensiero da una materia la quale pensa. Essa è il soggetto di tutti i mutamenti. La parola infinito è priva di senso, se non significa la capacità del nostro spirito di aggiungere senza fine. Appunto perchè soltanto ciò che è materiale è percepibile, apprendibile, non si sa nulla della conoscenza di Dio. Soltanto la mia propria esistenza é sicura. Ogni passione umana è un moto meccanico che termina o principia. Gli oggetti degl'impulsi formano il bene. L’uomo è sottoposto con la natura alle medesime leggi. Potenza e libertà sono identiche.

Hobbes aveva sistematizzato Bacone, ma non aveva motivato meglio il suo principio fondamentale, l’origine della conoscenza e delle idee del mondo sensibile.

Locke motiva il principio di Bacone e di Hobbes nel suo Saggio sull’origine dello sviluppo umano.

Come Hobbes annientò i pregiudizi ateistici del materialismo baconiano così Collins, Dodwall, Coward, Hartley, Priestley, ecc., annientarono ultima barriera teologica di sensualismo di Locke. Il teismo non è altro che una manovra comoda e sbarazzina di liberarsi della religione, almeno per i materialisti.

Noi abbiamo già accennato come sia venuta a proposito l'opera di Locke per i Francesi. Locke aveva fondato la filosofia del bon sens, del buon senso umano, cioè aveva letto indirettamente che non esistono filosofi che si allontanano dai sani sensi umani e dalla ragione basata su di essi.

Il discepolo immediato e l’interprete francese di Locke, Condillac rivolse il sensualismo di Locke immediatamente contro la metafisica del secolo XVII. Egli dimostrò che i Francesi l’avrebbero rigettata con ragione come un puro artificio della forza immaginativa e di pregiudizi teologici. Egli pubblicò una confutazione dei sistemi di Descartes, Spinoza, Leibnitz e Malebranche. Nel suo scritto Essai sur l’origine des connaissances humaines, egli svolse il pensiero di Locke e dimostrò che non soltanto l’anima, ma anche i sensi, non solo l’arte di fare le idee ma anche l’arte delle impressioni sensibili, sia cosa dell’esperienza o dell’abitudine. Perciò dalla educazione e dalle circostanze esteriori dipende tutto l’intero sviluppo dell’uomo. Condillac è stato eliminato dalle scuole francesi soltanto dalla filosofia eclettica.

La differenza fra il materialismo francese e quello inglese è la differenza delle due nazionalità. I Francesi prestarono al materialismo inglese spirito, carne e sangue, eloquenza. Essi gli danno lo slancio che gli manca e la grazia. Essi lo civilizzano.

In Helvetius, che parte anche lui da Locke, il materialismo riceve il vero carattere francese. Egli lo concepisce subito in rapporto alla vita sociale (HELVETIUS, De l’homme). Le qualità sensibili e l'egoismo, il godimento e l’interesse personale beninteso sono la base d’ogni morale. L’uguaglianza naturale delle intelligenze umane, l’unità fra il progresso della ragione e il progresso delle industrie, la naturale bontà dell’uomo, l’onnipotenza dell’educazione sono punti principali del suo sistema.

Una riunione fra il materialismo cartesiano e quello inglese si ritrova negli scritti di Lamettrie. Egli fa uso della fisica di Descartes fin nei particolari. Il suo L’homme machine è una dimostrazione secondo il modello dell’animale-macchina di Descartes. Nel Systeme de la nature di Holbach la parte fisica consiste del pari in una sintesi del materialismo francese ed inglese, come la parte morale si basa principalmente su la morale di Helvetius. Il materialista francese, che è ancora più degli altri in relazione con la metafisica, e che è perciò anche lodato da Hegel, Robinet (De la nature), si riferisce espressamente a Leibniz.

Di Volney, Dupuis, Diderot, ecc., non abbiamo bisogno di parlare, come del pari dei fisiocrati, dopo che abbiamo dimostrato la doppia origine del materialismo francese dalla fìsica di Descartes e dal materialismo inglese, come l’opposizione del materialismo francese contro la metafisica del secolo XVII, contro la metafisica di Descartes, Malebranche, Spinoza e Leibnitz. Questa opposizione potè essere rilevata dai Tedeschi soltanto da quando essi stessi si trovarono in opposizione con la metafisica speculativa.

Come il materialismo cartesiano sbocca nella scienza naturale propriamente detta, così l’altra corrente del materialismo francese sbocca direttamente nel socialismo e nel comunismo.

Non occorre un grande sforzo mentale per comprendere, date le dottrine del materialismo sulla bontà primitiva, stilla uguale intelligenza degli uomini, sulla onnipotenza dell'esperienza, dell’abitudine, dell’educazione, sull’influenza delle circostanze esteriori sopra l’uomo, sull'alta importanza dell’industria, sul diritto al godimento, ecc., il suo legame necessario col comunismo e col socialismo. Se l’uomo si forma tutte le conoscenze e tutte le impressioni, ecc., dal mondo sensibile e dalla esperienza del mondo sensibile, tutto sta a ordinare il mondo empirico in guisa ch’esso provi in esso ciò che è veramente umano, che ci si abitui, che esso si senta come uomo. Se l’interesse beninteso è il principio d’ogni morale, tutto sta a che l’interesse privato dell’uomo coincida con l’interesse umano. Se l’uomo è schiavo in senso materialistico, cioè libero non per la forza negativa di evitare questo o quello, ma per la forza positiva di far valere la sua vera individualità, non bisogna punire il delitto nel singolo, ma distruggere i focolari antisociali del delitto e dare ad ognuno spazio sociale per le sue essenziali manifestazioni vitali. Se l'uomo è formato dalle circostanze, bisogna formare umanamente le circostanze. Se l'uomo per sua natura è sociale, egli sviluppa la sua vera natura soltanto nella società, e bisogna misurare la potenza della sua natura, non con la potenza del singolo individuo, ma con la potenza della società.

Queste ed altre proposizioni si ritrovano quasi testualmente nei più antichi materialisti francesi. Non è qui il caso di giudicarle. Sintomatico per la tendenza socialistica del materialismo è l’apologià dei vizi di Mandeville, uno dei più antichi scolari inglesi di Locke. Egli dimostra come i vizi nella società odierna siano indispensabili ed utili. Ciò non era un’apologià della società odierna.

Fourier parte immediatamente dalla dottrina dei materialisti francesi. I babuvisti erano materialisti rozzi non civilizzati, ma anche il comuniSmo sviluppato data direttamente dal materialismo francese. Questo infatti riemigra nella forma datagli da Helvetius nella sua madre-patria, in Inghilterra. Bentham fonda sulla morale di Helvetius il suo sistema dell’interesse beninteso, come Owen, partendo dal sistema di Bentham, fonda il comunismo inglese. Esiliato in Inghilterra, il francese Cabet viene incitato dalle idee comunistiche indigene, ritorna in Francia per diventarvi il più popolare, ma anche il più superficiale, rappresentante del comunismo. I francesi comunisti più scientifici. Dezami, Gay, ecc., sviluppano, come Owen, la dottrina del materialismo, come la dottrina dell’umanismo reale e come la base logica del comunismo.

Dove ora il signor Bauer, o la critica, ha saputo procurarsi i documenti per la storia critica del materialismo francese ?

1°. La Storia della filosofìa di Hegel rappresenta il materialismo francese come la realizzazione della sostanza spinoziana, il che in ogni caso è molto più comprensibile che non sin “la scuola francese dello Spinoza„.

2°. Il signor Bauer aveva letto per conto suo nella Storia della filosofia di Hegel che il materialismo francese segue la scuola di Spinoza. S’egli ora trovava in un’altra opera di Hegel che teismo e materialismo sono due partizioni di uno stesso principio fondamentale, vuol dire che Spinoza aveva due scuole che disputavano sul senso del suo sistema. Il signor Bauer poteva trovare questa meditata spiegazione nella Fenomenologia di Hegel. Qui si trova letteralmente:

“Intorno a quell’essere assoluto la rivoluzione filosofica (Aufklärung) viene a trovarsi in lotta con se stessa… e si divide in due correnti. L’una.... chiama quell’assoluto senza predicato.... l’ente supremo assoluto.... l’altra lo chiama materia.... l’una e l'altra hanno lo stesso concetto; la differenza non sta nella cosa, ma puramente nel diverso punto di partenza di ambedue le formazioni (Hegel, Fenomenologia, pag. 420, 421, 422).

3°. Finalmente il signor Bauer poteva trovare anche in Hegel che la sostanza, se non procede fino al concetto ed all’autocoscienza, si perde nel romanticismo. Simili cose hanno dimostrato ai loro tempi gli Annali di Halle.

Ad ogni costo però lo spirito doveva fare incombere sul suo «avversario», il materialismo, uno «scempio destino».*1

e) — Sconfitta finale del socialismo.

«I Francesi hanno eretto una serie di sistemi sul come sia da organizzare la massa; ma essi dovettero fantasticare vedendo nella massa, quale è, un materiale utilizzabile».

I Francesi e gl’inglesi hanno, piuttosto, dimostrato fin nei dettagli che l’ordinamento sociale odierno organizza la massa «quale essa è» ed è quindi la sua organizzazione. La critica, secondo l’uso della Gazzetta generale, si disfà, con la parola decisiva «fantasticare», di tutti i sistemi socialistici e comunistici.

II socialismo ed il comunismo stranieri sono stati per questo schiacciati dalla critica; essa trasferisce le proprie operazioni guerresche in Germania.

«Allorché i filosofi dell’emancipazione (Aufklärer) si videro d'un tratto delusi nelle loro speranze del 1842, e nel loro smarrimento non sapevano che cosa fosse ora da fare, essi ebbero ancora in tempo opportuno notizia dei nuovi sistemi francesi. Essi poterono ora parlare dell’elevamento delle classi inferiori, e a questo prezzo poterono tralasciare di porsi il quesito se essi stessi non appartenessero alla massa, che appunto non è da ricercarsi tutta negli strati più bassi».

Si vede che la critica ha esaurito nell'apologia del proprio passato letterario tutta la intera sua provvista di benevoli argomenti, al punto che essa sa spiegare il movimento socialista tedesco soltanto con lo smarrimento dei filosofi emancipatori nell’anno 1842. «Per fortuna ebbero notizia dei nuovi sistemi francesi». E perchè non degli inglesi? Per l'argomento decisivo critico che il signor Bauer, dal libro di Stein, Il comunismo e il socialismo della Francia odierna, non aveva attinto notizia dei nuovi sistemi inglesi. È lo stesso argomento decisivo per il quale, per la critica, nel suo cicaleccio sui sistemi socialisti, esistono soltanto sistemi francesi.

I filosofi tedeschi dell’emancipazione - spiega la critica più oltre - commettono un peccato contro lo Spirito Santo. Essi si occuparono delle «basse classi popolari» già esistenti nell’anno 1842, per sollevare la quistione, che allora non esisteva ancora, quale grado esse fossero chiamato ad assumere nell’anno 1843 nell’ordinamento critico del mondo da fondarsi: Capra o becco, critica critica o massa impura, lo spirito o la materia? Ma soprattutto avrebbero dovuto pensare seriamente alla loro propria salute critica, perchè, che mi giova tutto il mondo, comprese le basse classi popolari, se io mi faccio danno all'anima?

«Ma un’essenza spirituale non può elevarsi, se non sarà trasformata, e non può trasformarsi se prima non ha provato l’esterna resistenza».

Se la critica fosse a cognizione del movimento delle classi popolari inferiori, saprebbe che la resistenza esterna, che esse hanno esperimentato nella vita pratica, le trasforma ogni giorno.

La nuova letteratura prosaica e poetica, che vien fuori in Inghilterra e in Francia dalle classi inferiori del popolo, le insegnerebbe che anche senza mettersi direttamente all’ombra dello Spirito Santo della critica critica, le umili classi popolari si sanno elevare spiritualmente.

«Coloro, fantastica inoltre la critica, il cui unico possesso è la parola organizzazione della massa, ecc.».

Dell’«organizzazione del lavoro», è stato molto parlato, sebbene questa «frase caratteristica» non sia venuta fuori dai socialisti ma dal partito politico radicale in Francia, che cercava una conciliazione fra politica e socialismo. Dell’«organizzazione della massa» come il primo problema ancora da risolvere, non parlò nessuno prima della critica critica. Fu all'opposto dimostrato che questa organizzazione è la società borghese, emanazione della società fondale. La critica cita la sua scoverta tra virgolette (in tedesco si chiamano: piedi d’oca N. d. T.). L’oca che pel signor Bauer ha starnazzato quella parola per salvare il Campidoglio, non è altro che la sua stessa oca, la critica critica. Essa ha organizzato unicamente la massa, costruendola come avversaria dello spirito. L’antitesi dello spirito e della massa è l’ «organizzazione» critica «della società» per cui lo spirito, cioè la critica, rappresenta il lavoro da organizzarsi, la massa la materia prima e la storia il fabbricato.

Ora noi ci chiediamo, dopo l’ultima vittoria che la critica assoluta ha riportato nella sua terza campagna sulla rivoluzione, sul materialismo e sul socialismo, qual’è l’ultimo risultato di queste fatiche d’Èrcole. Nient’altro che quei movimenti rovinarono, senza risultato, perchè era(no) ancora critica mescolata con la massa, o spirito mescolato con la materia. Persino nello stesso passato letterario del signor Bauer la critica scovrì una molteplice contaminazione della critica per opera della massa. Ma, se qui essa, invece di una critica, scrive un’apologia, invece di arrendersi «sta sicura», invece di trovare nella mescolanza dello spirito con la carne la morte anche dello spirito, trova piuttosto proprio la cosa contraria e, nella mescolanza della carne con lo spirito, trova anzi la vita della carne baueriana; essa, è all’opposto sfrenatamente e decisamente terroristica, non appena la critica imperfetta e confusa con la massa non è più l’opera del signor Bauer, ma l’opera di tutti i popoli e d’una schiera di Francesi ed Inglesi profani; non appena la critica imperfetta non significa più questione degli ebrei o la buona causa della libertà, o Stato, religione e partito, ma significa la rivoluzione, il materialismo, il socialismo, il comunismo. La critica ha così sterminato l’inquinamento dello spirito con la materia e della critica con la massa, risparmiando le sue carni e crocifiggendo le carni altrui.

In una maniera o nell’altra, lo «spirito mescolato con la carne» o la «critica mescolata con la massa» è in ogni modo tolto di mezzo. Quest’antitesi nella sua forma storica mondiale, come forma il vero interesse storico del presente, è l’antitesi del signor Bauer e consorti o dello spirito con l’altro residuo del genere umano come materia.

La rivoluzione, il materialismo ed il comunismo hanno dunque raggiunto il loro scopo storico. Essi hanno con la loro sconfitta preparata la sua strada al signore critico. Osanna!

f. — Il circolo speculativo della critica assoluta e la filosofia dell’auto-coscienza.

La critica, perchè si era esercitata in un preteso campo, perfetto e puro, commise dunque soltanto uno sbaglio «soltanto» una «inconseguenza», quando non fu perfetta «e pura» in tutti i campi del mondo. L’«Un» campo critico non è altro che il campo della teologia. Il puro oggetto di questo campo si estende dalla critica dei sinottici di Bruno Bauer fino al cristianesimo svelato di Bruno Bauer come estremo stabile confine.

«Con lo Spinozismo» - si dice - «la più moderna critica era finalmente venuta in chiaro; era perciò una inconseguenza, quando essa - fosse stato anche solo in singoli punti erronei - presupponeva disinvoltamente la sostanza in un campo».

Se dianzi la confessione dell’imbroglio della critica nei pregiudizi politici fu attenuata subito col dire che questo imbroglio è stato «in fondo tanto debole», ora, qui, la confessione dell’inconseguenza è temperata con a ragione surrettizia che essa fu solo commessa in alcuni particolari punti di erronea deduzione. La colpa non era da addossare al signor Bauer, ma ai falsi punti, che, come sfrenati ronzini, si sviano con la critica.

Alcune citazioni mostreranno che la critica col superare lo Spinozismo, per elevarsi all’idealismo hegeliano, arrivò dalla «sostanza» ad un altro mostro metafisico, al «abbietto», alla «sostanza come processo» all’ «infinita autocoscienza», e che il risultato finale della critica «perfetta e pura» è la riproduzione della teoria cristiana della creazione nella forma speculativa, hegeliana.

Guardiamo dapprima la critica dei sinottici: Strauss rimane fedele al punto di vista pel quale la sostanza à l’assoluto. La tradizione in questa forma dell’universalità che non ha ancora raggiunto la determinatezza reale e razionale della universalità, che si può raggiungere solo nell’autocoscienza, nella sua isolatezza e nella sua infinità, è nient’altro che sostanza che è uscita fuori dalla sua semplicità logica e come la forza della comunità ha assunto una determinata forma dell’esistenza. (Critica dei sinottici) voi. I, prefazione pag. VI).

Lasciamo al loro destino la «universalità, che raggiunge una determinatezza» la «singolarità e l’infinità - il concetto hegeliano. Invece di dire che la costruzione che nella teoria straussiana è dedotta dalla «forza della comunità» e dalla «tradizione» ha la sua espressione astratta, il suo logico metafisico geroglifico nella rappresentazione spinoziana della sostanza, il signor Bauer fa in modo che «la sostanza esca fuori dalla sua logica semplicità e che assuma nella forza della comunanza una determinata forma dell’esistenza». Egli applica il miracoloso apparato hegelano, che le categorie metafisiche, — le astrazioni estratte dalla realtà — fa saltare fuori dalla logica, in cui esse si risolvono nella semplicità della idea, e fa loro assumere «una determinata forma» dell’esistenza fisica umana, le fa incarnare. Hinrichs aiuta!

«È misteriosa» prosegue la critica contro Strauss - «è misteriosa questa veduta, perchè in ogni momento, se essa vuole spiegare e mettere in evidenza il processo al quale la storia evangelica deve la sua origine, non può produrre che solo e sempre l’apparenza d’un processo; la proposizione: la storia evangelica ha nella tradizione le sue sorgenti e la sua origine assume due volto la stessa cosa: la tradizione e la storia evangelica; le pone entrambe, è vero anche, in rapporto, ma non ci dice a quale intimo processo della sostanza la dimostrazione e l’interpretazione debba la sua origine».

Secondo Hegel la sostanza deve concepirsi come processo interiore. Egli caratterizza lo sviluppo dal punto di vista della sostanza, come segue:

«Considerato più davvicino questo svolgimento, si dimostra che non è giunto al grado che l’uno ed istesso avrebbe assunte figure diverse, ma è la vuota ripetizione dell'uno e dello stesso che sola... contiene una noiosa apparenza di diversità» (Fenomenologia, prefazione p. 12).

Hinrichs aiuta!

Il signor Bauer prosegue:

«La Critica, così, deve rivolgersi contro se stessa e risolvere la sostanzialità misteriosa.. là dove tende lo sviluppo della sostanza stessa, alla generalità e determinatezza della Idea e alla sua reale esistenza, all’infinita autocoscienza».

La critica di Hegel contro il punto di vista della sostanzialità prosegue:

«La natura chiusa della sostanza è da escludere, e questa deve erigersi ad autocoscienza». (l. c. p. 7).

Anche in Bauer l'autocoscienza è la sostanza elevata ad autocoscienza, ossia l’autocoscienza come la sostanza, l’autocoscienza è trasformata da un predicato dell’uomo in un subbietto per se stante. È la caricatura metafisico-teologica deU'uomo nella sua separazione dalla natura. L’essenza perciò di questa autocoscienza non è l’uomo, ma l’idea, di cui quella è la reale esistenza. È l’idea umanizzata e perciò anche infinita. Tutte le proprietà umane perciò si trasformano in maniera misteriosa in proprietà dell’immaginaria «autocoscienza infinita». Il signor Bauer dice dunque espressamente di questa autocoscienza infinita «che tutto trova in lei la sua origine e la sua spiegazione, cioè la sua base esistenziale». Hinrichs aiuta!

Il signor Bauer continua:

«La forza dei rapporti della sostanzialità è nel suo impulso che ci conduce al concetto, all’idea ed all’autocoscienza».

Hegel dice:

«Così il concetto è la verità della sostanza».

«Il passaggio del rapporto della sostanzialità avviene mercè la sua propria immanente necessità e non è altro se non che il concetto è la sua verità».

«L’Idea è il concetto adeguato... giunto alla esistenza libera... non è altro che l’io, ossia la pura autocoscienza». (Logica, Opere di Hegel, 2° Edizione, 5 Volume, p. 6, 9, 229, 73).

Hinrichs aiuta!

È comicissimo che il signor Bauer dica ancora nella sua Gazzetta di Letteratura:

«Già Strauss decadde perchè egli non potè condurre a compimento la critica del sistema hegeliano, abbenchè anche con la sua mezza critica dimostrasse la necessità del suo perfezionamento, ecc.».

Il signor Bauer credette anche, nella sua critica dei sinottici, non di dare la critica perfetta del sistema hegeliano, ma tutt’al più il perfezionamento del sistema hegeliano; per lo meno nella sua applicazione alla teologia.

Egli designa la sua critica (Prefazione ai Sinottici, p. XXI) come «l’ultimo fatto d’un determinato sistema» che non è altro sistema se non quello hegeliano.

La lotta fra Strauss e Bauer sulla sostanza e sull’autocoscienza è una lotta interiore della speculazione hegeliana. In Hegel sono tre elementi: la sostanza spinoziana, l'autocoscienza fichtiana, la unità hegeliana di entrambi, necessariamente contradittoria, lo spirito assoluto. Il primo elemento è la natura metafisicamente travestita nella sua separazione dall’uomo, il secondo è lo spirito metafisicamente travestito nella sua separazione dalla natura, il terzo è l’unità di entrambi metafisicamente travestita, l’uomo reale e il reale genere umano.

Strauss conseguentemente, completò l’Hegel dal punto di vista spinoziano, Bauer completò l’Hegel dal punto di vista fichtiano nel campo teologico. Entrambi criticarono l’Hegel, in quanto che in lui ognuno dei due elementi viene falsificato dall’altro, mentre essi svilupparono ognuno di essi nel suo unilaterale, epperciò conseguente, svolgimento. Entrambi oltrepassarono nella loro critica Hegel, ma entrambi restarono fermi al di dentro della sua speculazione, e ciascuno si rappresentò solo un lato del sno sistema. Per primo Feuerbach, che completò e criticò l’Hegel da un punto di vista hegeliano, risolvendo l’assoluto spirito metafisico nell’ «uomo reale sulla base della natura», perfezionò la critica della religione, gettando le grandi e magistrali basi per una critica della speculazione hegeliana e quindi di ogni metafisica.

Nel signor Bauer veramente non è più lo Spirito Santo, ma è l’infinita autocoscienza che detta all'evangelista.

«Non può più esservi alcun mistero che la esatta concezione della storia evangelistica abbia anche le sue basi filosofiche, e l’abbia propriamente nella filosofia dell’autocoscienza». (Bruno Bauer, Critica dei sinottici, Prefazione, p. XV).

Questa filosofia baueriana dell’autocoscienza, al pari dei risultati che il signor Bauer consegue dalla sua critica della teologia, debbono essere caratterizzati da alcuni squarci del Cristianesimo svelato, cioè del suo ultimo scritto filosofico-religioso.

Nel luogo citato egli si esprime così sui materialisti francesi:

«Se la verità del materialismo ha scoverto la filosofia dell’autocoscienza, ed ha riconosciuto l’autocoscienza come il Tutto, come la soluzione degli enigmi della sostanza spinoziana e come la vera causa sui... a che cosa serve allora lo spirito? A che l’autocoscienza? Come se questa autocoscienza — mentre pone il mondo, la differenza, ed in ciò che produce produce se stessa, perchè essa riannulla la differenza di ciò che è stato prodotto da sè stessa, e quindi è identica a sè stessa solo nel movimento - come se non avesse il suo scopo e non si possedesse per prima in questo movimento, il quale è essa stessa». (Cristianesimo svelato).

«I materialisti francesi hanno veramente concepiti i movimenti dell’autocoscienza come i movimenti dell’essere in generale, della materia, ma non possono ancora vedere che il movimento dell’universo realmente per sè stesso è stato come il movimento dell’autocoscienza e si è ridotto ad unità con sè stesso». (1. c. p. 115)

Hinrichs aiuta!

Il primo periodo in tedesco significa:

«La verità del materialismo è il contrario del materialismo, l’idealismo assoluto, cioè esclusivo e sovrabbondante. L’autocoscienza, lo spirito è il Tutto. Fuor di esso nulla esiste. L’«autocoscienza», lo «spirito» è l’onnipotente creatore del mondo, del cielo e della terra. Il mondo è una manifestazione di vita dell'autocoscienza, che deve estrinsecarsi ed assumere una forma subordinata, come la differenza del mondo dall’autocoscienza è soltanto una differenza apparente. L’autocoscienza non differenzia da sè nulla di reale. Il mondo è piuttosto una distinzione metafìsica, un tèssuto del proprio etereo giudizio ed una immaginazione di questo. Si riannulla perciò l’apparenza che qualche cosa esista all’infuori di esso, e non riconosce nel proprio «prodotto» alcun oggetto reale, cioè alcun oggetto separato da sè realmente. Ma, attraverso questo movimento, l’autocoscienza si produce come assoluto, perchè l’idealista assoluto, necessariamente, per essere idealista assoluto, deve costantemente rifare il processo sofistico di mutare prima il mondo fuori di sè in una esistenza apparente, in un mero incidente del proprio cervello, e dopo spiegare questa forma fantastica per ciò che è, per una mera fantasia, per potere infine proclamare la sua esistenza unica, esclusiva e non infastidita più dall’apparenza di un mondo esterno».

Il secondo periodo significa in tedesco:

I materialisti francesi hanno veramente concepito i movimenti della materia come moti spirituali, ma essi non hanno potuto vedere che essi non sono dei movimenti materiali ma ideali, movimenti dell’autocoscienza, cioè puri movimenti di idee. Essi non hanno potuto ancora vedere che il reale movimento dell’universo veramente e realmente, è stato per primo il movimento ideale dell’auto-coscienza, libero e liberato dalla materia, cioè dalla realtà; ciò che significa che un movimento materiale diverso dall’ideale nostro cerebrale esiste solamente in apparenza. Hinrichs aiuta!

Questa teoria speculativa della creazione si trova, quasi parola per parola, in Hegel e si può trovare già nella sua prima opera, nella sua Fenomenologia.

«La estrinsecazione dell’auto-coscienza è quale l’oggettività la pone... In questa esternazione si pone come oggetto, o l’oggetto come sè stesso. D’altra parte nell’istesso tempo è qui inerente quest’altro momento che ha tolto ed ha riassunto in sè stesso questa esternazione e oggettivazione... È questo il movimento della coscienza» (l. c. p. 583).

«L’autocoscienza ha un contenuto, che si distingue da sè... Questo contenuto è nella sua stessa distinzione l’Io, poiché è il movimento dell’eliminare sè stesso... Questo contenuto, dato in forma più determinata, non è altro che lo stesso movimento ora espresso; perchè egli è lo spirito che si svolge in sè o per sè come spirito» (l. c. p. 583).

In rapporto a questa teoria della creazione di Hegel, Feuerbach nota:

«La materia è l’auto-straniazione dello spirito. Perciò la materia stessa diventa spirito e ragione — ma nell’istesso tempo essa è posta di nuovo come un’esistenza nulla, non vera, in quanto solo ciò che si produce da questa esternazione, ossia, la materia, l’essere che elimina il sensibile si esprime come l’essere nella sua perfezione, nella sua vera forma ed immagine. Il sensibile naturale, materiale, è, dunque, anche qui ciò che si deve negare, come nella teologia la natura avvelenata dai peccati» (Filosofia dell’avvenire, p. 35).

Il signor Bauer difende dunque il materialismo contro la teologia non critica, nell’istesso tempo rimproverandogli di non essere «ancora» teologia critica, teologia razionale, speculazione hegeliana. Hinrichs! Hinrichs!

Il signor Bauer, il quale ora trasporta attraverso tutti i campi la sua antitesi con la sostanza, la sua filosofia dell’autocoscienza e dello spirito, ha da fare perciò in tutti i campi soltanto con le orditure del suo proprio cervello.

La critica è fra le sue mani lo strumento per sublimare tutto ciò che ancora afferma fuori dell’autocoscienza infinita una materiale esistenza, in pura apparenza e in puro pensiero. Non combatte nella sostanza la illusione metafisica, ma il nocciolo mondano - la natura; tanto la natura così come essa esiste fuori dell’uomo che come essa è la sua propria natura.

Non presupporre la sostanza in alcun campo - egli si esprime ancora così - significa dunque per lui: non riconoscere nessun essere distinto dal pensiero, nessuna energia di natura diversa dalla spontaneità spirituale, nessuna forza essenziale umana distinta dalla ragione, nessuna passione distinta dall’attività, nessuna attività degli altri distinta dalla propria attività, nessun sentimento e volontà distinti dal sapere, nessnn cuore distinto del cervello, nessun obbietto distinto dal subbietto, nessuna pratica distinta dalla teoria, nessun uomo distinto dal critico, nessuna effettiva comunità distinta dall’astratta generalità, nessun io distinto dal tu. É perciò conseguente, se il signor Bauer arriva al punto da identificarsi con l’infinita auto-coscienza, con lo spirito, cioè di porre al posto di questa sua creatura il suo creatore. È del pari tanto conseguente, spregiare il mondo restante, che persevera ostinato ad essere qualche cosa di distinto dal suo prodotto come ostinata massa e materia. Ed ora, così egli spera,

Non troppo durerà
E col corpo sotterra su ne andrà.

Il suo speciale malumore di non potere fin’ora paragonarsi

A qualche cosa di questo goffo mondo

viene ora costruito da lui in modo del pari conseguente come auto malumore di questo mondo, e il disprezzo della sua critica per la evoluzione dell’umanità vien costruito da lui come disprezzo volgare dell’umanità contro la sua critica, contro lo spirito, contro il signor Bruno Bauer e consorti.

Il signor Bauer fu un teologo dall’origine del mondo ma non un teologo corrente, sibbene un teologo critico, ovvero un critico teologico. Già, come ultimo estremo dell’ortodossia vecchio hegeliana, come speculativo regolatore di ogni nonsenso religioso e teologico, egli dichiarò costantemente come sua proprietà privata, la critica. Egli designò allora la critica straussiana come critica umana, e fece valere espressamente in antitesi di essa il diritto della critica divina. Il gran sentimento di sè stesso, o auto-coscienza, che è il nocciolo o carattere di questa divinità, egli lo sgusciò più tardi dalla maschera religiosa, lo oggettivò come uno speciale essere e lo eresse sotto la firma «L’Infinita Coscienza» a principio della critica. Nel suo proprio movimento egli rettificò il movimento che descrive la «filosofia dell'auto-coscienza» come atto vitale assolnto. Egli abolì nuovamente la «differenza del prodotto», dell’auto-coscienza dal produttore, cioè da sè stesso, e riconobbe che nel suo movimento «era solo lui stesso», che perciò il movimento dell’universo è veramente e realmente primo nel suo ideale auto-movimento.

La critica divina nel suo ritorno in sè è riprodotta in modo razionale critico, consaputo; l’essere in sè è diventato l’essere in sè e per sè, e per la prima volta in conclusione è diventato il principio completo, realizzato, rivelato. La critica divina a differenza della umana, si è rivelata come critica, come la pura critica, come la critica critica. Al posto dell’apologià del Vecchio e nuovo Testamento è sottentrata l’apologià delle opere vecchie e nuove del signor Bauer. L’antitesi teologica di Dio e dell’uomo, dello spirito e della carne, dell’infinito e del finito, è trasformata in antitesi critico-teologica, antitesi dello spirito, della critica o del signor Bauer con la materia, la massa, o con il mondo profano. L’antitesi teologica della fede e della ragione si è risolta nell’antitesi critico-teologica della sana ragione umana e del puro pensiero critico. La rivista di teologia speculativa si è trasformata nella Gazzetta critica di letteratura. Il Salvatore del mondo infine si è trasformato nel salvatore critico del mondo, nel signor Bauer.

Non è punto un’anomalia l’ultimo studio del signor Bauer, e (nella) sua evoluzione è il ritorno in sè mercè l’obbiettivazione. S’intende che il momento in cui la critica divina si obbiettivava ed usciva fuori di sè, coincide col momento in cui essa in parte si tradiva e creava l’umano.

La critica assoluta ritornata al suo punto di partenza ha terminato il suo circolo speculativo e perciò il suo corso vitale. Il suo ulteriore movimento è un cerchio chiuso in sè stesso, messo al disopra d’ogni volgare interesse ed è perciò senz'alcun altro interesse per la massa.


*1. Nota. La connessione del materialismo francese con Descartes o con Locke, e l’antitesi della filosofia del secolo XVIII con la metafisica del secolo XVII sono esposte diffusamente nella massima parte delle moderno storie francesi della filosofia. Noi qui non avremmo che da ripetere cose già note, di fronte alla Critica critica. Invece la connessione del materialismo del XVIII secolo con il comunismo inglese o francese ha bisogno ancora di una esposizione estesa. Noi ci limitiamo qui a citare alcuni passi espressivi di Helvetius, Holbach e Bentham.

1. Helvetius:

«Gli uomini non sono cattivi, ma soggetti ai loro interessi. Non si deve dunque deplorare la natura cattiva dell’uomo, ma l’ignoranza dei legislatori, i quali han sempre posto l’interesse particolare in antitesi con l’interesse generale».

«I moralisti fin qui non hanno avuto alcun suooesso, perchè si deve scavare nella legislazione per divellere la radice generatrice del vizio. Nella Nuova Orleans le donne possono ripudiare i loro mariti, non appena ne sono stanche. In questo parse non si trovano delle mogli ingannatrici, perchè non hanno nessun interesse ad esserlo».

«La morale è solamente una scienza frivola se non la si unisce con la politica e con la legislazione».

«I moralisti ipocriti si riconoscono da un lato per l’indifferenza con la quale considerano i vizi che dissolvono i regni, e d’altro lato per l’iracondia con la quale strepitano contro il vizio privato».

«Gli uomini non sono nati nè buoni nè cattivi, ma adatti ad essere l'uno o l’altro secondo che un interesse comune li unisce o li divide».

«Poiché il cittadino non potrebbe operare il suo bone particolare senza operare il bene pubblico, non vi sarebbero viziosi tranne che i matti». (De l’esprit» Paris, 1822, I, p. 117, 240, 291, 299, 351, 369, 339).

Come, secondo Helvetius, l’educazione - nella quale (cf. l. c., pag. 390) egli non comprende soltanto l’educazione comunemente intesa, ma la generalità dei rapporti di vita d’un individuo - forma l’uomo; se è necessaria una riforma che tolga l’antitesi fra l’interesse particolare e quello generale, occorre d’altra parte, per propugnare tale riforma, una trasformazione della coscienza:

«Lo grandi riforme si possono attuare solo a patto di indebolire la stupida venerazione del popolo por le vecchie leggi e le vecchie abitudini» (pag. 260, l. c.), o, come dice altrove, di abolire l'ignoranza.

2. - Holbach:

«Ce n’est que lui méme que l'homme peut aimer dans les objets qu’il aime: ce n’est que lui-même qui peut affectionner dans les étres de sen espèce. L’homme ne peut jamais se séparer de lui-même dans aucun instant de sa vie; il ne peut se perdre de vue. C’est toujours notre utilitè, notre intérét... qui nous fait hair ou aimer les objets» (Système social, t. 1, Paris, 1822, pag. 80, 122),

ma

«l’homme pour son propre intérêt doit aimer les autres hommes, puisqu’ils sont nécessaires à son bien être... La morale lui prouve que de tous les êtres le plus nécessaire à l’homme est l’homme (pag. 76).

La vraie morale, ainsi que la vraie politique, est celle qui cherche à approcher les hommes afin de les faire travailler par dea efforts réunis à leur bonheur mutuel. Toute morale qui sépare nos intérêts de ceux de nos associés est fausse, insensée, contraire à la nature (pag. 116).

Aimer les autres... c’est confondre nos intérêts avee ceux de nos associés, afin de travailler à l’utilité commune... La vertu n’est que l’utilité des hommes réunis en société (pag. 77).

Un homme sans passion ou sans désirs cessorait d’être un homme... Parfaitement détaché de lui-même, comment pourrait-on le dóterminer à s’attacher à d’autres? Un homme indifférent pour tout, privé de passione, qui se suffirait à lui-même, ne serait plus un être sociable... La vertu n’ est que la communication du bien (l. c., pag. 118).

La morale religieuse ne servirait jamais à rendre les mortels plus sociables (pag. 36, l. c.).

3. - Bentham. - Citiamo di Bentham un sol passo, in cui combatte l’ «intérêt général» nel senso politico:

«L’intérêt des individus... doit céder à l’intérêt public. Mais... qu’est-ce que cela signifie? Chaque individu n’est-il pas partie du public autant que cheque autre? Cet intérêt public, que vous porsonnifiez, n’est qu’un terme abstrait: il ne répresente que la masse des intérêts... individuels... S’il était bon de sacrifier la fortune d’un individu pour augmenter celle des autres, il serait, encore mieux d’en sacrifier un sécond, un troisième, sans qu’on puisse assigner aucune limite... Les intérêts individuels sont les seuls intèrêts réels» (Théorie des peines et des récompenses. Paris, 1835).

[Nota dell'autore]



Ultima modifica 2019.12.06