Il Capitale

Marx (1867)

 


Trascritto per Internet da Antonio Maggio - Primo Maggio
HTML mark-up: Mishù, febbraio 2004.

 

PREFAZIONE ALLA PRIMA EDIZIONE
POSCRITTO ALLA SECONDA EDIZIONE
PREFAZIONE E POSCRITTO ALL'EDIZIONE FRANCESE
AVVISO AL LETTORE
SULLA TERZA EDIZIONE
PREFAZIONE ALL'EDIZIONE INGLESE
SULLA QUARTA EDIZIONE

Prefazione alla prima edizione

 

Quest’opera, di cui consegno al pubblico il primo volume, costituisce la continuazione del mio scritto Per la critica dell’economia politica, pubblicato nel 1859. La lunga pausa tra l’inizio e la continuazione è dipesa da una malattia durata molti anni che ha interrotto più volte il mio lavoro.

Il contenuto di quel precedente scritto è riassunto nel primo capitolo di questo volume. E’ stato fatto per stabilire un nesso e per completezza: l’esposizione è migliorata. Tutte le volte che era possibile, molti punti, prima solo accennati, sono state qui ulteriormente sviluppati mentre, al contrario, cose che là erano state sviluppate diffusamente, qui sono solo accennate. Le sezioni sulla storia della teoria del valore del denaro sono state eliminate del tutto adesso. Tuttavia il lettore del precedente scritto può trovare nelle note al primo capitolo nuove fonti per la storia di quella teoria.

Ogni inizio è difficile: e questo è valido per qualsiasi scienza. La comprensione del Primo capitolo e soprattutto della sezione che comprende l’analisi della merce presenterà quindi la difficoltà maggiore. Ho dovuto rendere nella forma pi divulgativa quello che concerne più da vicino l’analisi della sostanza di valore e della grandezza di valore [1]. La forma di valore, di cui la forma di denaro è la figura perfetta, è molto povera di contenuto e assai semplice. Eppure invano hanno cercato gli uomini di esaminarla a fondo, mentre invece l’analisi di forme molto più ricche di contenuto e molto più complesse è riuscita in maniera abbastanza approssimativa.

Perché? Perché il corpo già formato è più facile da studiare che la cellula del corpo. D’altra parte né il microscopio né i reagenti chimici possono essere utili per l’analisi delle forme economiche. La forza d’astrazione deve sostituirli entrambi. Ma per la società borghese la forma di merce del prodotto di lavoro, cioè la forma di valore della merce, è la forma economica che corrisponde alla forma di cellula. Agli illetterati può sembrare che l’analisi di tali forme si aggiri tra semplici sottigliezze, ma solo come se ne trovano nell’anatomia microscopica.

Tranne quindi la sezione sulla forma di valore, non si potrà accusare questo libro di essere di difficile comprensione. Io mi rivolgo ai lettori che vogliano imparare qualcosa di nuovo, che dunque vogliano pure pensare a sé.

Il fisco osserva i processi della natura là dove la dove essa si manifestano nella forma più impegnante e meno oscurata da influssi disturbatori, oppure. Ove è possibile, egli fa esperimenti in situazioni tali che gli assicurino un puro svolgersi del processo. Quel che io debbo indagare in quest’opera è il modo di produzione capitalistico e i suoi corrispondenti rapporti di produzione e di scambio. L’Inghilterra fin’ora è la sua classica sede. Questo è il motivo principale per cui essa può essere presa d’esempio per lo svolgimento della mia teoria. Ma qualora il lettore tedesco dovesse farisaicamente alzar le spalle in merito alle condizioni degli operai inglesi, dell’industria e dell’industria o mettesse a tacere la sua conoscenza ottimisticamente pensando che in Germania le cose sono ben lontane da star così male, io debba gridargli: De te fabula narratur! (Si parla proprio di te!).

In se stesso non si parla del maggior o minor grado di sviluppo degli antagonismi sociali, quali sorgono dalle leggi naturali della produzione capitalistica. Si tratta proprio di queste leggi, di queste tendenze che agiscono e si fanno valere con ferrea necessità. Il paese industrialmente più sviluppato non fa che mostrare al meno sviluppato l’immagine del suo avvenire.

Ma lasciamo perdere questo. Dove la produzione capitalistica ha preso piena cittadinanza da noi p.es. nelle fabbriche vere e proprie, le condizioni sono molto peggiori che in Inghilterra, perché non esiste il contrappeso della legislazione sulle fabbriche. In tutti gli altri campi siamo oppressi, come tutto il resto dell’Europa occidentale continentale, non solo dallo sviluppo della produzione capitalistica, ma pure dalla mancanza di tale sviluppo. Accanto ai mali d’oggi incombe tutta una serie di mali ereditari, che derivano dal vegetare di metodi di produzione vecchi e sorpassati, con i loro conseguenti rapporti sociali e politici anacronistici. Noi soffriamo non solo per i viventi, ma anche per i morti. Le mort saisit le vif! (Il morto fa presa sul vivo!).

Nei confronti di quell’inglese, la statistica di sociale della Germania e della rimanente Europa occidentale è ben misera. Tuttavia sollevo il velo abbastanza per far vedere dietro di esso una testa di Medusa. Noi saremo impauriti dalle nostre stesse condizioni, se i nostri governi e i nostri parlamenti istituissero, come in Inghilterra, periodiche commissioni d’inchiesta sulle condizioni economiche, se queste commissioni fossero provviste di pieni poteri per la ricerca di verità, come appunto avviene in Inghilterra, se si riuscisse a trovare a questo scopo uomini altrettanto competenti, imparziali e rigidi degli ispettori di fabbrica inglesi, dei suoi relatori medici sulla «Public Healt» (salute pubblica), dei suoi commissari d’inchiesta sullo sfruttamento delle donne e dei bambini, sulle condizioni delle abitazioni e della nutrizione, ecc. Perseo usava una cappa di nebbia per inseguire i mostri. Noi ci tiriamo profondamente sugli occhi e sulle orecchie la cappa di nebbia, per poter negare l’esistenza dei mostri.

Non ci si deve illudere su questo. Come la guerra d’indipendenza americana del XVIII secolo ha suonato d’allarme per la classe media europea, così la guerra civile del XIX secolo suona d’allarme per la classe operaia europea. In Inghilterra il processo di rivolgimento può essere toccato con mano. Arrivato ad un certo punto esso deve avere un contraccolpo sul continente. Qui si muoverà in forme più brutali o umane, secondo il grado di sviluppo della stessa classe operaia. Per questo motivo ho dato un posto così ampio nel presente volume, tra l’altro, alla storia, al contenuto e ai risultati della legislazione inglese sulle fabbriche. Una nazione deve e può imparare da un’altra. Se pure una società è arrivata a scoprire la legge di natura del proprio movimento- e scopo ultimo di quest’opera è rivelare la legge economica de movimento della società moderna – non può né saltare né togliere di mezzo con decreti le fasi naturali dello svolgimento. Ma può abbreviare e attutire le doglie del parto.

Una parola ad evitare possibili malintesi. Non ritraggo per niente le figure del capitalista e del proprietari fondiario in luce rosea. Ma qui si tratta delle persone solo in quanto sono la personificazione di categorie economiche, che rappresentano determinati rapporti e determinati interessi di classe. Il mio punto di vista, che considera lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale, non si può assolutamente fare il singolo responsabile dei rapporti da cui egli socialmente proviene, pure se soggettivamente possa innalzarsi al di sopra di essi.

Nel campo dell’economia politica la libera ricerca scientifica non trova solo gli stessi nemici che trova in tutti gli altri campi. La natura propria della materia che tratta richiama a battaglia contro di lei le passioni più forti, più meschine e più brutte del cuore umano, la Furie dell’interesse privato. L’alta chiesa inglese, ad esempio, indulge all’attacco trentotto dei suoi trentanove articoli di fede, più tosto che ad un trentanovesimo delle sue entrate in denaro. Al giorno d’oggi, a confronto debella critica dei tradizionali rapporti di proprietà. Lo stesso ateismo è ‘culpa levis’ (una colpa leggera). Eppure non si può negare che qui c’è un progresso. Rimandando, ad esempio, al libro azzurro edito nelle ultime settimane: Correspondence with Her Majesty’s Mission abroad, regarding industrial questions and Trades’ Unions (corrispondenza con le missioni estere di sua maestà, riguardanti questioni industriali e sindacali dei lavoratori). I rappresentanti esteri della corona inglese vi fanno presente con dire parole che in Germania, in Francia, insomma in tutti gli stati del continente europeo un cambiamento dei rapporti esistenti tra capitale e lavoro è altrettanto sensibile e invitabile che in Inghilterra. Nello stesso tempo, al di là dell’Oceano Atlantico il signor Wade, Vice presidente degli Stati Uniti d’America settentrionale, spiega in pubblici "meetings": dopo l’abolizione della schiavitù, la trasformazione dei rapporti del capitale e della proprietà fondiaria appare all’ordine del giorno! Questi sono segni dei tempi che non si possono celare sotto mani purpuree o sotto tonache nere. Ma non vogliono dire che domani avverranno miracoli. Stanno a mostrare che anche nelle classi dominanti sorge il presentimento che l’attuale società non è un solido cristallo, ma un organismo suscettibile di trasformazione o in costante processo di svolgimento.

Il secondo volume di questo scritto tratterà il processo di circolazione del capitale (libro II) e le formazioni del processo complessivo (libro III); il conclusivo terzo volume (Libro IV) tratterà la storia della teoria.

Ogni giudizio di critica scientifica sarà da me bene accolto. D’altra parte per i pregiudizi della cosiddetta pubblica opinione, cui non ho mai fatto concessioni, vale per me in ogni caso la sentenza del gran fiorentino:

Segui il tuo corso, e lascia dir le genti! (Dante "Vien dietro a me, e lascia dir le genti")

Karl Marx
Londra, 25 luglio 1867

Poscritto alla seconda edizione

Ai lettori della prima edizione, devo innanzi tutto dare chiarimenti sulle modificazioni fatte nella seconda edizione. Salta agli occhi che la distribuzione del libro è più chiara. Le note aggiunte sono citate come note alla seconda edizione. Per quel che concerne il testo vero e proprio, le cose più importanti sono:

Capitolo I, 1: la deduzione del valore per mezzo delle analisi delle equazioni, in cui si esprime ogni valore di scambio, è effettuata con maggior rigore scientifico, e così viene data evidenza espressamente al nesso, nella prima edizione solamente accennata, tra la sostanza di lavoro e la determinazione della grandezza di lavoro per mezzo del tempo di lavoro socialmente necessario. La 3ª sezione del capitolo I (la forma di valore) ha avuto una completa rielaborazione, come già imponeva la duplice esposizione della prima edizione. – Noto per inciso che quella duplice esposizione era stata fatta dal mio amico dott. L. Kugelmann di Hannover. Mi trovavo in visita da lui nella primavera del 1867, quando giunsero i primi fogli delle bozze di stampa, ed egli mi convinse che per la maggior parte dei lettori si rendeva necessaria un’ulteriore trattazione, più didattica, della forma di valore. – L’ultima trattazione del primo capitolo «Il carattere di feticcio della merce, ecc» è per la maggior parte cambiata. La 1ª sezione del capitolo III (misura dei valori) è stata accuratamente riveduta, perché nella prima edizione era stata trattata con negligenza, rimandandosi all’esposizione data in precedenza in Per la critica dell’economia politica, Berlino 1859. Il Capitolo VII, specialmente nella seconda parte è stato notevolmente rimaneggiato.

Sarebbe inutile entrare singolarmente nei particolari dei parziali mutamenti del testo, che molte volte sono solo stilistici. Essi si estendono a tutto il libro. Eppure ora rileggendo la traduzione francese che esce a Parigi, noto che molte parti dell’originale tedesco avrebbero avuto bisogno qui di una forte rielaborazione, lì di una maggiore correzione stilistica, o anche di una più attenta eliminazione di errori occasionali. Ma non vi è stato tempo, perché solo nell’autunno del 1871, in mezzo ad altri urgenti lavori, ricevetti la notizia che il libro era stato esaurito, e che la stampa della seconda edizione doveva iniziare già nel gennaio del 1872.

La comprensione che Il Capitale ha subito trovato in larghi strati della classe operaia tedesca è la miglior ricompensa del mio lavoro. Un uomo che economicamente rappresenta il punto di vista borghese, il signor Mayer, fabbricante viennese, ha giustamente mostrato in un opuscolo stampato durante la guerra franco-tedesca che il gran senso teorico, ritenuto patrimonio ereditario tedesco, è stato affatto smarrito dalle classi colte della Germania, e al contrario torna a rivivere nella sua classe operaia.

L’economia politica è rimasta sino ad ora in Germania una scienza straniera. Gustan von Gülich in Geschichtliche Darstellung des Handels, der Gewerbe usw., ( Esposizione storica del commercio, delle arti e mestiere e dell’agricoltura dei più importanti Stati commerciali del nostro tempo) e soprattutto nei primi due volumi dell’opera, editi nel 1830, ha già trattato in gran parte le circostanze storiche che hanno ostacolato presso di noi lo sviluppo del modo di produzione capitalistico, e perciò anche il formarsi della moderna società borghese. Veniva meno quindi lo ‘humus’ della economia politica. E questa fu importata dall’Inghilterra e dalla Francia; i professori tedeschi rimasero scolari. L’espressione teorica di una realtà straniera si mutò nelle loro mani in un insieme di dogmi, intesi tra loro nel senso del mondo piccolo borghese che li circondava, quindi malamente intesi. Non potendosi eliminare totalmente la sensazione di impotenza scientifica e l’inquietante consapevolezza di dover pedanteggiare su un argomento in effetti estraneo, si cerco di nasconderle sotto lo sfoggio dell’erudizioni di storia e di letteratura mischiandovi materiali estranei, presi in prestito dalle cosiddette scienze camerali; e questa accozzaglia di cognizioni è il purgatorio attraverso il quale deve passare il candidato che desidera entrare speranzoso nella burocrazia tedesca.

In Germania la produzione capitalistica si è sviluppata rapidamente dopo il 1848, ed oggi è già nel primo fiore dei suoi inganni. Ma ai nostri specialisti la sorte rimane avversa quanto prima. Fintantoché potevano trattare d’economia politica senza timori, non vi erano nella situazione reale tedesca le condizioni economiche moderne. Quando queste condizioni sorsero nella realtà, il loro nascere avvenne in circostanze che non permettevano e non permettono più, entro l’ambito borghese, di studiarle liberamente. L’economia politica, dato che è borghese, cioè dato che intende l’ordinamento capitalistico, invece che come grado di sviluppo storicamente temporaneo, addirittura al contrario come forma assoluta ed ultima della produzione sociale, può restare scienza solo fino a che la lotta delle classi rimane latente o appare solamente in casi sporadici.

Prendiamo l’Inghilterra. La sua economia politica classica avviene nel periodo in cui la lotta tra le classi non era ancora sviluppata. Il suo ultimo grande rappresentate, David Ricardo, assume infine, consapevolmente, l’opposizione tra l’interesse delle classi, tra salario e profitto, tra il profitto e la rendita fondiaria come punto di partenza delle sue indagini, ritenendo ingenuamente quest’opposizione legge naturale della società. Ma in questa maniera la scienza borghese dell’economia era anche giunta al suo limite estremo. Mentre ancora viveva Ricardo, e in contrasto con lui, le si contrappose la critica nella persona di Sismondi. (Vedi il mio scritto: Per la critica dell’economia politica)

Gli anni seguenti 1820-30 si distinguono in Inghilterra per il fervore scientifico nel campo dell’economia politica. Furono gli anni sia della volgarizzazione e diffusione della teoria ricardiana, sia della sua lotta contro altre scuole. Si celebrano magnifici tornei. Le imprese allora condotte sono poche conosciute sul continente europeo, perché la polemica è dispersa per la maggior parte in articoli di riviste, scritti occasionali e "pamphlets". Il carattere spregiudicato di quella polemica – se bene la teoria ricardiana già funzioni, in via eccezionale, anche come arma di offesa contro l’economia borghese – trova spiegazione nelle circostanze del tempo. Da un lato anche la grande industria usciva appena dalla sua infanzia, e già lo riprova il fatto che inizia il ciclo periodico della sua vita moderna solo con la crisi del 1825. D’altro lato la lotta delle classi tra capitale e lavoro era respinta sullo sfondo, politicamente per il disaccordo tra i governi e l’aristocrazia feudale schierati attorno alla santa alleanza, e la massa del popolo condotta dalla borghesia, economicamente per il dissidio tra capitale industriale e proprietà fondiaria aristocratica, che si nascondeva in Francia dietro il contrasto tra piccola proprietà e gran proprietà fondiaria, apertamente scoppiato in Inghilterra dopo le leggi sui grani. La letteratura inglese sull’economia politica di questo periodo ricorda i momenti d’esaltante entusiasmo per l’economia in Francia dopo la morte del dottor Quesnay, ma solo come l’estate di S. Martino ricorda la primavera. Col 1830 subentra la crisi decisiva una volta per tutte.

La borghesia aveva conquistato il potere politico in Francia e in Inghilterra. Da allora la lotta tra le classi raggiunse aspetti sempre più netti e minacciosi, sia in pratica che in teoria. Quella lotta suonò la campana a morte per la scienza economica borghese. Adesso non era più in questione di saper se quest’o quel teorema fosse vero, ma se fosse utile o dannoso, comodo o scomodo al capitale, se fosse più o meno gradito alla polizia. Attaccabrighe presero il posto di ricercatori disinteressati, la malafede e la malvagia inazione dell’apologetica presero il posto dell’imparziale indagine scientifica. Eppure anche gli importuni trattatelli, che l’«Anticorn Law League» (lega contro le leggi sul grano), con a capo i fabbricanti Cobden e Bright, mise in giro pel mondo, avevano un certo interesse se non scientifico almeno storico, per la loro polemica contro l’aristocrazia fondiaria. La legislazione sul libero commercio dopo Sir Robert Peel ha tolto quest’ultima spina all’economia volgare.

La rivoluzione continentale del 1848 ebbe ripercussioni anche in Inghilterra. Uomini, che ancora reclamavano valore scientifico e pretendevano d’essere più che semplici sofisti o sicofanti delle classi dominanti, cercarono di far accordare l’economia politica del capitale con le rivendicazioni del proletariato, che ormai non si potevano trascurare più a lungo. Ne derivò un sincretismo esamine, come ce lo rappresenta ottimamente John Stuart Mill. È quella dichiarazione di fallimento dell’economia "borghese" che ha già magistralmente messo in luce il grande studioso e critico russo N. Tschernyschewski nella sua opera Lineamenti dell’economia politica secondo Mill .

Dunque in Germania il modo di produzione capitalistico venne a maturazione dopo che il suo carattere antagonistico si era rumorosamente manifestato in Francia e in Inghilterra attraverso lotte storiche, mentre il proletariato tedesco aveva già una teorica coscienza di classe molto più ferma di quella della borghesia tedesca. Appena qui parve divenire possibile una scienza borghese dell’economia politica, essa era ormai ridiventata impossibile.

In questa situazione i suoi portavoce si divisero in due schiere. Gli uni avveduti amanti del guadagno, persone pratiche, si schierarono attorno alla bandiera del Bastiat, il meno profondo e quindi il meglio riuscito esponente dell’apologetica economia volgare; gli altri, fieri della dignità professorale della loro scienza, seguirono S. St. Mill nella speranza di conciliare l’inconciliabile. Anche nel periodo del declino dell’economia borghese i tedeschi restarono semplici scolari, servili imitatori e ripetitori, come lo erano stati nell’età classica dell’economia politica borghese.

Il tipico sviluppo storico della società tedesca escludeva dunque in Germania ogni originale continuazione dell’economia "borghese", ma non escludeva la critica. Se e proprio perché tale critica rappresenta una classe, può rappresentare le classi la cui missione storica è il rovesciare il modo di produzione capitalistico, e, in definitiva, l’abolizione delle classi, cioè il proletariato.

I colti e gli incolti portavoce della borghesia tedesca hanno tentato dapprima di uccidere Il capitale col silenzio, come era già loro riuscito con i miei precedenti scritti. Quando questa tattica non corrisponde più alle condizioni del momento, essi, con il pretesto di criticare il mio libro, presero a scrivere consigli "per la quiete della coscienza borghese", ma nella stampa operaia trovano campioni più forti – si vedano, per esempio, i saggi di Joseph Dietzgen nel Volksstat, ai quali sino ad oggi non hanno ancora risposto [2].

Un’ottima traduzione russa del Capitale ha visto la luce nella primavera del 1872 a Pietroburgo. L’edizione di tremila esemplari è già adesso quasi esaurita. Sin dal 1871 il signor N. Siber (Ziber), professore d’economia politica all’università di Kiev, aveva dimostrato nel suo scritto Teoria tsiennosti i Kapitala D. Riccardo (Teoria del valore e del capitale di D. Riccardo) che la mia teoria del valore, del denaro e del capitale era nelle sue linee essenziali l’ulteriore necessario sviluppo della dottrina Smith-ricardiana. Quello che meravigliato il lettore dell’Europa occidentale nel suo solido libro, è che Sieber si mantiene coerentemente al punto di vista puramente teoretico.

Il metodo applicato nel Capitale è stato compreso poco, come già indicano le interpretazioni contraddittorie.

Così la Revue Positiviste di Parigi mi rimprovera, da un lato, di aver trattato l’economia metafisicamente, d’altro lato –indovinate!- di essermi limitato ad una scomposizione puramente critica del dato, invece di prescrivere ricette (comtiane?) per la trattoria dell’avvenire. Contro il rimprovero della metafisica il prof Siber nota: «Per quel che concerne la teoria vera e propria, il metodo di Marx è il metodo deduttivo di tutta la scuola inglese, i cui difetti e i cui pregi sono comuni ai migliori economisti teorici». Il signor M. Block – Les théoriciennes du socialisme en Allemagne. Extrait du Journal des Economistes, juillet et août 1872 – scopre che il mio metodo è analitico e tra l’altro afferma : «Con quest’opera il signor Marx entra nella schiera dei più eccelsi intelletti analitici». Naturalmente i recensori tedeschi gridano alla sofistica hegeliana. Il Viestnik Evropy di Pietroburgo (Messaggero Europeo) in un articolo che tratta unicamente il metodo del Capitale (numero del maggio 1872, pp. 427-36), trova che il mio metodo di indagine è assolutamente realistico, ma che il mio metodo d’esposizione è purtroppo tedesco-dialettale. Esso dice: «A prima vista, stando alla forma esteriore dell’esposizione, Marx appare come il più grande filosofo idealista, e nel significato tedesco, cioè nel senso cattivo della parola. Ma in effetti egli è infinitamente più realista di tutti i suoi predecessori nel campo della critica economica… Non possiamo affatto chiamarlo idealista». Non so rispondere meglio all’autore che con qualche brano della sua stessa critica, che oltre tutto potrebbe interessare parecchi miei lettori che non possono accedere all’originale russo.

Dopo una citazione della mia prefazione alla critica dell’economia politica, Berlino, 1859, pp. IV - VII, in cui ho presentato la base materialistica del mio metodo, l’autore continua:

«Per Marx solo una cosa è importante: trovare le leggi dei fenomeni che è volto ad indagare. E per lui è importante non solo la legge che li governa come fenomeni dalla forma compiuta e che sono in una connessione osservabile in un lasso di tempo dato. Per lui è importante soprattutto la legge del loro mangiamento. Del loro svolgimento, cioè dal passaggio da una forma all’altra, da un ordinamento di quel nesso ad un altro. Appena scoperta questa legge, egli indaga nei loro dettagli le conseguenze con cui la legge si manifesta nella vita sociale… In seguito a ciò Marx si sforza solo a una cosa: dimostrare tramite una precisa indagine scientifica la necessità di determinare ordinamenti dei rapporti sociali e constatare nella maniera più perfetta possibile i fatti che gli occorrono come punti di partenza e come punti di appoggio. A tal fine è affatto sufficiente comprovare la necessità dell’ordinamento attuale e la necessità di un ordinamento diverso, in cui il primo deve inevitabilmente trapassare, restando del tutto uguale che gli uomini lo credano o non lo credano, che essi ne siano o non lo siano consapevoli. Marx ritiene il movimento della società come un processo di storia naturale governato da leggi che non dipendono soltanto dalla volontà, dalla coscienza e dalla intenzione degli uomini, ma al contrario deter­minano la loro volontà la loro coscienza e le loro intenzioni... Se l'elemento Cosciente ha nella storia della civiltà un posto così subordinato, allora è evidente che la critica, che ha per oggetto proprio la civiltà, meno d'ogni altra cosa potrà prendere a fondamento una qualunque forma o un qualunque risultato della coscienza. Questo vuol dire che non l'idea, ma solamente il fenomeno esteriore può servirle da punto di partenza. La critica si restringerà alla comparazione e al confronto di un fatto non con l'idea ma con altro fatto. Per essa è importante solo che tutti e due i fatti siano indagati nella maniera più precisa possibile e che rappresentino veramente diversi momenti di sviluppo l'uno di fronte all'altro; ma soprattutto importante è che con non minor precisione sia indagata la serie degli ordinamenti, la successione e il legame in cui si manifestano i gradi dello sviluppo. Però, si può obiéttare, le leggi generali della vita economica sono uniche e medesime; e non importa nulla che si riferiscano al presente o al pas­sato. Marx nega proprio questo. Per lui queste leggi astratte non esistono... Secondo la sua opinione ogni periodo storico ha le sue specifiche leggi... Non appena la vita ha sorpassato un determinato peri6do dello sviluppo e passa da un déterminato stadio ad un altro, comincia anche a esser retta da leggi divèrse. In poche parole, la vita economica Ci mostra un fenomeno analogo a quello della storia dello sviluppo negli altri campi della biologia... I vecchi economisti ignora­vano la natura delle leggi economiche, giacché confrontavano tali leggi con quel­le della fisica e della chimica... Una analisi più approfondita dei fenomeni ha dimostrato che gli organismi sociali si distinguono l'un dall'altro in maniera altrettanto fondamentale che gli 6rganismi vegetali e gli organismi animali... Così il medesimo fenomeno è soggetto a leggi totalmente differenti in seguito alle differenze tra la struttura complessiva di quegli organismi, alla variazione dei loro singoli organi, alle distinzioni delle condizioni nelle quali funzionano, ecc. Marx nega ad esempio che la legge della popolazione sia là medesima in ogni tempo e in ogni luogo. M contrario afferma che ogni grado di sviluppo ha una sua propria legge della popolazione... I rapporti e le leggi che li regolano cambiano di pari passo con la differenza di sviluppo della forza produttiva. Marx, avendo come scopo l'indagine e la spiegazione dell'ordinamento econo­mico capitalistico Visto da tale prospettiva, non fa che formulare con rigore scientifico il fine che deve avere ogni indagine esatta della vita economica... Il valore scientifico di questa indagine sta nella spiegazione delle leggi specifiche che regolano nascita, esistenza, sviluppo, morte di un determinato organismo sociale e la sua sostituzione con un altro, superiore. E proprio questo valore ha in effetti il libro di Marx».

Cos'altro se non il metodo dialettico ha rappresentato l'autore, nell'esporre quel che egli chiama il mio vero metodo, in maniera così precisa e così benevola per quanto riguarda la mia applicazione di esso?

Invero la maniera con cui si espone un argomento deve essere formalmente diversa dalla maniera con cui si compie l'indagine. L'indagine deve far suo il materiale nei particolari, deve analizzare le sue differenti forme di sviluppo e deve delinearne l'interna connessione. Solo una volta che è stato terminato questo lavoro, il movimento reale può essere esposto adeguatamente. Se questo riesce, e se la vita del materiale si riflette in modo ideale, può sembrare che si tratti di una costruzione a priori.

Nei suoi principi basilari il mio metodo dialettico non solo è diverso da quello hegeliano, ma ne sta proprio all'opposto. Per Hegel il processo del pensiero, che egli sotto il nome di Idea trasforma persino in soggetto indipendente, è il demiurgo della realtà, mentre la realtà è solo il suo fenomeno esteriore. Invece per me il fattore ideale è solamente il fattore materiale trasferito e tradotto nella mente degli uomini.

Ebbi a confutare l'aspetto mistificatore della dialettica hegeliana circa trent'an­ni fa, quando era ancora la moda del giorno. Ma proprio mentre lavoravo al primo volume del Capitale gli importuni, presuntuosi e mediocri epigoni che ora dettano legge nella Germania colta, si compiacevano di trattare Hegel come al tempio di Lessing il bravo Moses Mendelsohn trattava Spinoza , cioè come un «cane morto». Per questo mi sono dichiarato apertamente discepolo di quel grande pensatore, e ho addirittura civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, con la maniera di esprimersi che gli era propria. La mistificazione, cui è soggetta la dialettica nelle mani di Hegel, non impedisce in nessun modo che egli sia stato il primo ad averne esposto distesamente e consapevolmente le forme generali di movimento. In lui essa è piantata sulla testa. Occorre rovesciarla per trovare il nocciolo razionale dentro il rivestimento mistico.

La dialettica, nella sua forma mistificata, divenne una moda tedesca, perché pareva che trasfigurasse la realtà delle cose. Nella sua forma razionale essa è scandalo e orrore per la borghesia e per i suoi portavoce dottrinari, perché nella comprensione positiva della realtà delle cose include nello stesso tempo anche la comprensione della negazione di essa e del suo inesorabile declino; perché considera ogni forma divenuta nel fluire del movimento, perciò anche dal suo lato transitorio, perché non si lascia impaurire da nulla, ed essa è critica e rivoluzionaria nel suo intimo.

Quello che più vivamente fa avvertire al pratico borghese il movimento contraddittorio della società capitalistica sono le incerte vicende del ciclo periodico che ha percorso la moderna industria, e il termine ultimo di esse, cioè la crisi generale. Essa si sta di nuovo muovendo, sebbene sia ancora solo agli inizi; e, per l'universalità del suo apparire oltre che per l'intensi­tà dei suoi effetti, caccerà la dialettica persino nella testa dei fortunati parassiti del nuovo sacro impero prusso-tedesco.

Karl Marx
Londra, 24 gennaio 1873

Prefazione e poscritto all'edizione francese

Londra, 18 marzo 1872.
Al cittadino Maurice La Chátre.
Caro cittadino,

plaudo alla vostra idea di pubblicare la traduzione del Capitale a dispense periodiche. In questa forma l'opera sarà più accessibile alla classe operaia; e per me questa considerazione è più importante di tutte le altre.

Questo è il lato bello della vostra medaglia, ma eccone il rovescio: il metodo d'analisi che ho adoprato e che non era ancora mai stato applicato ad argomenti economici, rende abbastanza ardua la lettura dei primi capitoli, ed è da temere che il pubblico francese, sempre impaziente di arrivare alla conclusione, avido, di conoscere il nesso dei princípi generali coi problemi immediati che lo appassionano, s'impenni perché non può subito andare avanti.

Contro questo svantaggio non posso far niente, fuorché, tuttavia, avvertire e premunire i lettori che cercano il vero. Per la scienza non c'è via maestra, e hanno probabilità di arrivare alle sue cime luminose soltanto coloro che non temono di stancarsi a salire i suoi ripidi sentieri.

Vi assicuro, caro cittadino, della mia devozione.
Karl Marx

Avviso al lettore

Il signor J. Roy si era impegnato a dare una traduzione esatta e perfino letterale il più possibile; e ha adempiuto scrupolosamente il suo compito. Ma proprio i suoi scrupoli mi hanno costretto a modificare la redazione del libro per renderla più accessibile al lettore. Questi rimaneggiamenti fatti giorno per giorno, poiché il libro si pubblicava a dispense, sono stati compiuti con cura diseguale e han dovuto produrre discordanze di stile.

Una volta intrapreso questo lavoro di revisione, sono stato indotto a rivolgerlo anche alla sostanza del testo originale (la seconda edizione tedesca), a semplificare qualche svolgimento, a completarne qualcun altro, a dare materiali storici o statistici addizionali, ad aggiungere osservazioni critiche, ecc. Quali si siano dunque le imperfezioni letterarie di questa edizione francese, essa possiede un valore scientifico indipendente dall'originale, e deve essere consultata anche dai lettori che conoscono la lingua tedesca.

Riporto qui sotto le parti del poscritto alla seconda edizione tedesca che si riferiscono allo sviluppo dell'economia politica in Germania e al metodo adoprato in quest'opera.

Londra, 28 aprile 1875.
Karl Marx

Sulla terza edizione

Non fu dato a Marx di preparare personalmente per la stampa questa terza edizione. Il pensatore potente, alla cui grandezza s'inchinano ora anche gli avversari, è morto il 14 marzo 1883.

Su me, che in lui ho perduto l'amico d'un quarantennio, l'amico migliore e più costante, al quale sono debitore più di quanto si possa esprimere in parole, è caduto ora il dovere di curare la pubblicazione di questa terza edizione come pure del secondo volume, lasciato manoscritto. Devo render conto al lettore del modo con cui ho adempiuto alla prima parte di quest'obbligo.

Marx aveva da principio l'intenzione di rielaborare in gran parte il testo del primo volume, di formulare più nettamente alcuni punti teorici, di inserirne altri, di completare fino all'epoca più recente il materiale storico e statistico. Il suo cattivo stato di salute e l'impetuoso desiderio di arrivare alla redazione finale del secondo volume, l'indussero a rinunciare a tale intenzione. Solo le cose più necessarie dovevano essere modificate e dovevano essere inserite solo le aggiunte già contenute nella edizione francese (Le Capital. Par Karl Marx. Paris, Lachatre, 1873) pubblicata nel frattempo.

Fra le carte lasciate da Marx si trovò infatti anche un esemplare tedesco, da lui corretto in vari punti e corredato di riferimenti all'edizione francese; si trovò anche un esemplare francese in cui egli aveva indicato con precisione i passi da usare. Queste modificazioni e aggiunte si limitano, con poche eccezioni, all'ultima parte del libro, la sezione: Il processo d'accumulazione del capitale. Qui il testo fino ad allora usato seguiva più che in altri casi l'abbozzo originario, mentre le sezioni precedenti erano state elaborate più a fondo. Lo stile era quindi più vivace. più fuso ma anche più negletto, disseminato di anglicismi, e qua e là poco chiaro; l'andamento delle idee svolte aveva qualche lacuna qua e là, giacché alcuni momenti importanti dello svolgimento erano solo accennati.

Quanto allo stile, Marx stesso aveva riveduto a fondo parecchie sottosezioni, indicandomi così, oltre che in frequenti accenni orali, in che misura potevo eliminare espressioni tecniche inglesi e altri anglicismi. Marx avrebbe certo rielaborato le aggiunte e le integrazioni e avrebbe sostituito al nitido francese il proprio tedesco così denso; io ho dovuto accontentarmi di tradurle attenendomi il più possibile al testo originale.

Dunque in questa terza edizione non è cambiata nessuna parola di cui io non sappia con certezza che l'autore stesso l'avrebbe cambiata. Non poteva venirmi in mente di introdurre nel Capitale il gergo corrente in cui sogliono esprimersi gli economisti tedeschi, quello strano pasticcio linguistico in cui, per esempio, colui il quale si fa dare del lavoro da altri contro pagamento in contanti, si chiama il datore il datore di lavoro, e prenditore di lavoro si chiama colui al quale viene preso il proprio lavoro contro pagamento di un salario. Anche in francese travail si usa nella vita di tutti i giorni con il significato di «occupazione». Ma a ragione i francesi riterrebbero pazzo l'economista che chiamare il capitalista donneur de travail, e l'operaío receveur de travail.

Nè mi sono permesso di ridurre la moneta, i pesi e le inglesi, usati in tutto il testo, ai loro equivalenti tedeschi di nuovo conio. Quando apparve la prima edizione, vi erano in Germania tante specie di pesi e misure quanti giorni in un anno, inoltre vi erano due specie di marco (il marco imperiale aveva valore soltanto nella mente del Soetbeer che l'aveva inventato verso il 1840), fiorini di due specie e talleri di alme specie, fra i quali uno la cui unità era il « nuovo due terzi». Nelle scienze naturali dominavano pesi e misure del sistema metrico decimale, sul mercato mondiale quelli inglesi. In tali circostanze usare le unità di misura inglesi era cosa ovvia in un libro costretto ad attingere la documentazione dei dati di fatto quasi esclusivamente alla situazione industriale inglese. E quest'ultima ragione rimane decisiva anche oggi, tanto più che la situazione rispettiva del mercato mondiale non è quasi affatto mutata, e i pesi e le misure inglesi dominano ancor oggi esclusivamente, particolarmente nelle industrie d'importanza decisiva: ferro e cotone.

Infine ancora poche parole sul modo di citare di Marx, che è stato poco compreso. Quando si tratta di semplici indicazioni e illustrazioni di dati di fatto, le citazioni, p. es. quelle dai libri azzurri inglesi, servono com'è ovvio da semplici riferimenti. Ma il caso è diverso quando sono citate opinioni teoriche di altri economisti; in questi casi la citazione non deve far altro che constatare dove, quando e da chi un pensiero economico, risultato nel corso dello svolgimento, sia stato espresso chiaramente per la prima volta. In questo caso, conta soltanto che l'idea economica in questione abbia importanza per la storia della scienza, che sia l'espressione teorica più o meno adeguata della situazione economica del suo tempo. Invece non conta niente che tale idea, dal punto di vista dell'autore, abbia ancora un valore, assoluto o relativo, oppure che appartenga ormai soltanto alla storia. Dunque queste citazioni costituiscono semplicemente un ininterrotto commento al testo, mutuato dalla storia della scienza economica, e fissano i singoli progressi più importanti della teoria economica, in base alla data e all'autore. E ciò era estremamente necessario per una scienza i cui storici si sono distinti sinora solo per una ignoranza tendenziosa che rasenta il carrierismo. Si comprenderà ora anche per quale ragione Marx, in armonia con il poscritto alla seconda edizione, si trovi a citare economisti tedeschi solo in via del tutto eccezionale.

Il secondo volume potrà uscire, speriamo, nel corso dell'anno 1884.
Londra, 7 novembre 1883.
Friedrich Engels

Prefazione all'edizione inglese

La pubblicazione di un'edizione inglese del Capitale non ha bisogno di giustificazione. Al contrario, vedendo che da alcuni anni le teorie sostenute in questo libro sono sempre state citate, attaccate e difese, interpretate e snaturate, nella stampa periodica e nella letteratura d'attualità sia d'Inghilterra che di America, ci si potrebbe aspettare una spiegazione dei motivi per cui questa edizione inglese sia stata rimandata sino ad oggi.

Allorché, subito dopo la morte dell'autore nell'anno 1883, divenne evidente la reale necessità di un'edizione inglese dell'opera, il signor Samuel Moore, da lunghi anni amico di Marx e di chi scrive queste righe, e che ha forse più di chiunque altro familiare questo libro, si dichiarò disposto ad assumersi la traduzione che agli esecutori letterari di Marx premeva di presentare al pubblico. Era inteso che io avrei confrontato il manoscritto della traduzione con l'originale e avrei proposto le modificazioni che avessi ritenuto consigliabili. Quando a mano a mano risultò che gli impegni professionali impedivano al signor Moore di portare a termine la traduzione con la rapidità da noi tutti desiderata, accettammo volentieri l'offerta del dott. Aveling di assumersi parte del lavoro; allo stesso tempo la signora Aveling, figlia minore di Marx, si offrì di controllare le citazioni e di ristabilire il testo originale dei numerosi passi riportati da autori inglesi e da libri azzurri, tradotti da Marx in tedesco. Il che è stato fatto per tutto il libro, a meno di poche eccezioni inevitabili.

Sono state tradotte dal dott. Aveling le seguenti parti del libro [3]: 1. I capitoli X (La giornata lavorativa) e XI (Saggio e massa del plusvalore); 2. La sezione sesta (il salario, comprendente i capitoli XIX-XXII); 3. Del capitolo XXIV, § 4 (Circostanze che ecc.) fino alla fine del libro, il che comprende l'ultima parte del capitolo XXIV, il capitolo XXV e tutta la sezione settima (i capitoli dal XXVI fino al XXXIII); 4. Le due prefazioni dell'autore. Tutto il resto del libro è stato curato dal signor Moore. Così mentre ognuno dei traduttori è responsabile soltanto della sua parte di lavoro, io ho la responsabilità complessiva di tutto il lavoro.

La terza edizione tedesca, base di tutto il nostro lavoro, era stata preparata da me nel 1883 con l'aiuto di appunti lasciati dall'autore, che indicavano quei passi della seconda edizione che dovevano essere sostituiti con passi segnati nel testo francese pubblicato nel 1873 [4]. Le modificazioni effettuate in tal modo nel testo della seconda edizione concordano in generale con i cambiamenti prescritti da Marx in una serie di istruzioni manoscritte per una traduzione inglese, progettata dieci anni fa in America ma poi lasciata cadere principalmente per la mancanza di un traduttore valente e adatto. Questo manoscritto ci è stato messo a disposizione dal nostro vecchio amico, il signor F. A. Sorge, di Hoboken, New Jersey. Vi sono indicate alcune ulteriori interpolazioni dall'edizione francese; ma essendo esso di tanti anni anteriore alle istruzioni finali per la terza edizione, non mi sono ritenuto autorizzato a valermene se non con molta parsimonia e specialmente in quei casi in cui ci aiutava a superare difficoltà. Allo stesso modo si è fatto ricorso al testo francese come indice di quanto l'autore stesso era pronto a sacrificare, dovunque nel tradurre dovesse essere sacrificato qualcosa del significato completo dell'originale.

Rimane, tuttavia, una difficoltà che non abbiamo potuto risparmiare al lettore: l'uso di certi termini con un significato diverso non solo dall'uso della lingua d'ogni giorno, ma anche da quello dell'economia politica comune. Ma ciò era inevitabile. Ogni concezione nuova di una scienza racchiude una rivoluzione nelle espressioni tecniche di questa scienza. Questo si vede meglio che altrove nella chimica dove l'intera terminologia viene radicalmente mutata ogni vent'anni circa e dove sarà ben difficile trovare una combinazione organica che non abbia avuto tutt'una serie di nomi diversi. L'economia politica si è accontentata in generale di prendere i termini della vita commerciale e industriale così com'erano, e di operare con essi, non avvedendosi affatto che in tal modo si limitava alla ristretta cerchia delle idee espresse in quelle parole. Così, la stessa economia politica classica, pur consapevole perfettamente che sia il profitto sia la rendita non sono che suddivisioni, frammenti di quella parte non retribuita del prodotto che l'operaio deve fornire al suo imprenditore (che è il primo ad appropriarsela benché non ne sia il possessore ultimo, esclusivo), non è mai andata al di là delle nozioni comunemente accettate di profitto e di rendita, non ha mai esaminato nel suo complesso, come un tutto unico questa parte non retribuita del prodotto (che è chiamata da Marx plus prodotto), e dunque non è mai giunta a una chiara comprensione né della sua origine e della sua natura, né delle leggi che regolano la successiva distribuzione del suo valore. Similmente viene compresa indiscriminatamente sotto il termine di «manifattura» ogni industria che non rientri nell'agricoltura o nell'artigianato e in tal modo viene cancellata la distinzione fra due grandi periodi della storia economica, essenzialmente differenti: il periodo della manifattura in senso proprio, fondata sulla divisione del lavoro manuale, e il periodo dell'industria moderna fondata sulle macchine. Ma è ovvio che una teoria la quale consideri la produzione capitalistica moderna come un puro e semplice stadio transeunte della storia economica dell'umanità, deve usare termini diversi da quelli abitualmente usati da scrittori che considerano imperitura e definitiva tale forma di produzione.

Non saranno fuori luogo alcune parole sul metodo usato dall'autore nelle citazioni. Nella maggioranza dei casi le citazioni servono, com'è consuetudine, da prove documentarie in appoggio alle affermazioni fatte nel testo. Ma in molti casi sono citati passi di economisti allo scopo di mostrare quando, dove e da chi sia stata enunciata chiaramente per la prima volta una determinata opinione. Ciò avviene nei casi in cui la proposizione citata ha importanza quale espressione più o meno adeguata delle condizioni di produzione sociale e di scambio vigenti in una data epoca, e avviene del tutto indipendentemente dal fatto che Marx ne riconosca o meno la validità generale. Queste citazioni forniscono quindi il testo di un commento continuo tratto dalla storia della scienza.

La nostra traduzione comprende solo il primo libro dell'opera. Ma questo primo libro è un tutto in sé in misura notevole, ed è stato considerato per vent'anni come un'opera indipendente. Il secondo libro, edito da me in tedesco nel 1885, è certamente incompleto senza il terzo che non potrà essere pubblicato prima della fine del 1887. Quando il libro III sarà stato pubblicato nell'originale tedesco, si farà in tempo a pensare alla preparazione di un'edizione inglese di entrambi.

Il Capitale è spesso chiamato, sul continente, «la Bibbia della classe operaia». Chiunque abbia familiare il movimento operaio non negherà che le conclusioni acquisite in questo libro stanno diventando sempre più, di giorno in giorno, i principi basilari del grande movimento della classe operaia, non solo in Germania e in Svizzera, ma anche in Francia, in Olanda e in Belgio, in America ed anche in Italia e in Spagna; e che dappertutto la classe operaia riconosce sempre più in queste conclusioni la espressione più adeguata delle proprie condizioni e delle proprie aspirazioni. E anche in Inghilterra le teorie di Marx esercitano, proprio in questo momento, un influsso potente sul movimento socialista che si sta diffondendo nelle file delle «persone colte» non meno che nelle file della classe operaia. Ma non basta. Si avvicina rapidamente il momento in cui si imporrà come necessità nazionale irresistibile un'indagine completa e a fondo della situazione economica inglese. Il funzionamento del sistema industriale inglese, che è impossibile senza una costante e rapida estensione della produzione e quindi dei mercati, sta per arrivare a un punto morto. Il libero scambio ha esaurito le sue risorse; perfino Manchester dubita di questo vangelo economico che fu già il suo [5]. L'industria straniera, che è in via di rapido sviluppo, affronta dappertutto la produzione inglese, non soltanto nei mercati protetti ma anche nei mercati neutrali e perfino al di qua della Manica. Mentre la forza produttiva cresce in proporzione geometrica, l'estensione dei mercati progredisce, nel migliore dei casi, in proporzione aritmetica. Il ciclo decennale di stagnazione, prosperità, sovrapproduzione e crisi, sempre ricorrente dal 1825 al 1867 sembra invero aver compiuto il suo corso; ma solo per farci approdare nel pantano di disperazione d'una depressione permanente e cronica. L'agognato periodo dì prosperità non vuole venire; ogni qualvolta crediamo di scorgere i sintomi che lo annunziano, questi svaniscono di nuovo nell'aria. Intanto ogni inverno che si succede torna a proporre il problema: « Che cosa fare dei disoccupati?». Ma mentre il numero dei disoccupati cresce di anno in anno, non vi è nessuno che possa rispondere a quel problema; e possiamo quasi calcolare l'epoca in cui i disoccupati perderanno la pazienza e prenderanno la loro sorte nelle proprie mani. Certo, in tale momento si dovrebbe ascoltare la voce di un uomo, tutta la teoria del quale è il risultato di una vita intera dedicata allo studio della storia economica e della situazione economica inglese, e che da tale studio è stato condotto alla conclusione che, per lo meno in Europa, l'Inghilterra è l'unico paese in cui l'inevitabile rivoluzione sociale possa essere attuata per intero con mezzi pacifici e legali. Certo egli non ha dimenticato di aggiungere che difficilmente si aspettava che le classi dominanti inglesi si sarebbero assoggettate a tale rivoluzione pacifica e legale senza una «proslavery rebellion».

5 novembre 1886.
Friedrich Engels

Sulla quarta edizione

La quarta edizione esigeva che io stabilissi il testo e le note in maniera quanto più possibile definitiva. Ecco in breve come ho corrisposto a questa esigenza:

Ho confrontato di nuovo l'edizione francese con le note manoscritte di Marx, e ho accolto nel testo tedesco alcune altre aggiunte tratte da essa. Si trovano a p. 80 (terza edizione, p. 88), pp. 458-60 (terza edizione, pp. 509-10), pp. 547-51 (terza edizione, p. 600), pp. 591-93 (terza edizione, p. 644) e p. 596 (terza edizione, p. 648) nella nota 79. Così pure ho collocato nel testo, seguendo l'edizione francese e quella inglese, la lunga nota sui minatori (terza edizione, pp. 509-15) (quarta edizione, pp. 461-67). Altre piccole modificazioni sono di natura puramente tecnica.

Inoltre ho fatto ancora note aggiuntive a carattere esplicativo, specialmente là dove ciò sembrava richiesto dalle circostanze storiche mutate. Tutte queste note aggiuntive sono poste fra parentesi quadre e contrassegnate con le mie iniziali o con «L'E.» [6].

Una revisione completa delle numerose citazioni era necessaria dopo l'edizione inglese ch'era uscita nel frattempo. Per quest'ultima, la figlia minore di Marx, Eleanor, si era presa cura di confrontare con gli originali tutti i passi citati, cosicché per le citazioni, di gran lunga predominanti, di fonti inglesi non vi appare una ritraduzione dal tedesco, ma il testo originale inglese. Dovevo quindi consultare questo testo per una quarta edizione, e in quest'occasione trovai diverse piccole inesattezze. Indicazioni di pagina inesatte, parte errori di scrittura nel ricopiare dai quaderni, parte errori di stampa accumulati nel corso di tre edizioni. Virgolette o puntini collocati male come avviene inevitabilmente citando con gran copia da quaderni di estratti. Qua e là, nelle traduzioni, un termine non molto felice. Alcuni passi citati dai vecchi quaderni parigini del 1843-45, quando Marx non conosceva ancora l'inglese e leggeva gli economisti inglesi in traduzione francese, dove alla duplice traduzione corrispondeva un lieve mutamento della sfumatura, p. es. in Stuart, Ure e altri, per i quali ora occorreva usare il testo inglese. E altre piccole inesattezze e negligenze del genere. Confrontando ora la quarta edizione con le precedenti ci si convincerà che tutto questo faticoso processo di rettificazione non ha cambiato la benché minima parte del libro che sia degna di menzione. Non si è potuta trovare soltanto una citazione, quella tratta da Richard Jones (IV edizione, p. 562, nota 47) [7]; Marx ha preso probabilmente una svista scrivendo il titolo del libro. Tutte le altre citazioni conservano il loro pieno vigore dimostrativo o lo rafforzano nella loro attuale forma esatta.

Ma qui sono costretto a tornare su di una vecchia faccenda.

Infatti mi è noto un solo caso in cui l'esattezza di una citazione di Marx sia stata messa in dubbio. Ma siccome questo caso si è protratto fino dopo la morte di Marx, non posso lasciarlo passare sotto silenzio.

Nella Concordia di Berlino, organo della Lega dei fabbricanti tedeschi, apparve in data 7 marzo 1872 un articolo anonimo dal titolo Come cita Karl Marx. Con abbondantissimo sfoggio di indignazione morale e di espressioni poco parlamentari vi si affermava che la citazione del discorso sul bilancio di Gladstone in data 16 aprile 1863 (nell'Indirizzo inaugurale dell'Associazione Internazionale degli Operai del 1864, ripetuta nel Capitale, I, p. 617, quarta edizione, p. 671, terza edizione) [8] era falsificata. La frase: «Questo inebriante aumento di ricchezza e di potenza... è del tutto limitato alle classi possidenti», non si troverebbe affatto nel resoconto stenografico (semiufficiale) dello Hansard. «Questa frase non si trova in nessun punto del discorso di Gladstone. Vi è detto proprio il contrario. (In grassetto) Marx vi ha interpolato, mentendo formalmente e materialmente, questa frase!

Marx al quale questo numero della Concordia fu mandato nel maggio successivo, rispose all'anonimo autore nel Volksstaat del 1° giugno. Ma non ricordando più in base a quale resoconto giornalistico avesse citato, si limitò a dimostrare il testo della citazione in due scritti inglesi che ne riportavano una versione identica e a citare il resoconto del Times secondo il quale Gladstone dice: «That is the state of the case as regards the wealth of this country. I must say for one, I should look almost with apprehension and with pain upon this intoxicating augmentation of wealth and power, if it were my belief that it was confined to classes who are in easy circumstances. This takes no cognizance at all of the condition of the labouring population. The augmentation I have described and which is founded, I think, upon accurate returns, is an augmentation entirely confined to classes of property».

Quindi Gladstone dice qui che gli rincrescerebbe se le cose stessero così, ma che stanno così: che quest'aumento inebriante di potenza e di ricchezza è esclusivamente limitato alle classi possidenti. E quanto al semiufficiale Hansard, Marx continua: «Nella sua edizione, potata a cose fatte, il signor Gladstone è stato tanto intelligente da fare sparire il passo che in bocca a un Cancelliere dello Scacchiere inglese era, certo, compromettente. E’ questa del resto consuetudine della tradizione parlamentare inglese e non è certo una invenzione del piccolo Lasker contro Bebel ».

L'anonimo s'impermalisce sempre più. Nella sua risposta (Concordia, 4 luglio), scarta le fonti di seconda mano ed accenna pudicamente che è «costume» citare i discorsi parlamentari secondo il resoconto stenografico; ma anche il resoconto del Times (dove si trova la frase «menzogneramente interpolata») e quello dello Hansard (dove manca) «concordano materialmente in tutto», e così pure, secondo lui, il resoconto del Times contiene «proprio l'opposto di quel passo famigerato dell'Indirizzo inaugurale», passando con cura sotto silenzio il fatto che l'Indirizzo contiene appunto accanto a quel cosiddetto «opposto» proprio anche «il passo famigerato»! Malgrado tutto ciò l'anonimo sente di essere bene inchiodato e che solo un nuovo tiro mancino può salvarlo. Dunque lardella sì il suo articolo (che, come s'è dimostrato or ora, strabocca di «sfacciate e continue menzogne») con insulti edificanti come «mala fides», «disonestà», «indicazione menzognera», «quella citazione menzognera», «sfacciate e continue bugie», «citazione che era del tutto falsificata», «questa falsificazione», «semplicemente infame», ecc., ma trova necessario di spostare in altro campo la questione che si sta disputando, e promette quindi di «esporre in un secondo articolo, quale significato attribuiamo noi» (l'anonimo non «menzognero») «al contenuto delle parole di Gladstone». Come se questa sua opinione senza autorità alcuna avesse a che fare minimamente con la cosa! Questo secondo articolo si trova nella Concordia dell'11 luglio.

Marx rispose ancora una volta nel Volksstaat del 7 agosto, riportando il resoconto del passo in questione dal Morning Star e dal Morning Advertiser del 17 aprile 1863. In base a entrambi Gladstone dice che guarderebbe con preoccupazione a questo inebriante aumento di ricchezza e di potenza, se lo ritenesse limitato alle classi realmente abbienti (classes in easy circumstances). Ma dice anche che questo aumento è limitato a classi proprietarie (entirely confined to classes possessed of property). Quindi anche questi resoconti riportano alla lettera la frase che l'anonimo pretende sia «interpolata con una menzogna». Inoltre Marx stabilì ancora una volta, confrontando i testi del Times e quello dello Hansard, come la frase che, secondo la constatazione di resoconti giornalistici di egual tenore, pubblicati il mattino dopo, indipendenti l'uno dall'altro, era stata realmente pronunciata, manca nel resoconto dello Hansard rivisto secondo il noto «costume»; che Gladstone l'aveva, per usare le parole di Marx, «fatta scomparire in un secondo tempo», e dichiara infine di non aver tempo di intrattenere ulteriori rapporti con l'anonimo. Anche questi pare averne avuto abbastanza; per lo meno Marx non ricevette altri numeri della Concordia.

E con questo la faccenda sembrava morta e sepolta. Vero è che poi voci misteriose ci arrivarono una o due volte da parte di gente che era in rapporti con l'università di Cambridge, voci di un indicibile delitto letterario che Marx avrebbe commesso nel Capitale; ma, malgrado tutte le ricerche, non fu assolutamente possibile sapere notizie più precise. Ed ecco, il 29 novembre 1883, otto mesi dopo la morte di Marx, apparire nel Times una lettera datata dal Trinity College di Cambridge, e firmata Sedley Taylor; in questa lettera, finalmente, quest'omiciattolo trafficante in cooperativismo del tipo più timorato ha dato dei chiarimenti non solo sui mormorii di Cambridge, ma anche sull'anonimo della Concordia, con un pretesto qualsiasi.

«Quel che appare estremamente singolare», dice l'ometto del Trinity College, «è il fatto che sia stato riservato al Professor Brentano (allora a Breslavia, ora a Strasburgo)... svelare la mala fede che evidentemente aveva dettato la citazione del discorso di Gladstone nell'Indirizzo (inaugurale). Il sig. Karl Marx il quale... cercava di difendere la citazione, nell'agonia (deadly shifts) in cui lo gettarono subito gli attacchi magistrali di Brentano, ebbe la temerarietà di affermare che il signor Gladstone aveva potato e aggiustato il resoconto del suo discorso nel Times del 17 aprile 1863 prima che apparisse nello Hansard, per sottrarne un passo che per un Cancelliere dello Scacchiere inglese era, certo, compromettente. Allorchè Brentano dimostrò con un raffronto dei testi fino nei particolari che i resoconti del Times e dello Hansard concordavano nell'escludere assolutamente il significato che una citazione furbescamente isolata aveva insinuato nelle parole di Gladstone, Marx si ritirò con il pretesto della mancanza di tempo!».

Quest'era dunque il nocciolo del can barbone! E la campagna anonima del signor Brentano della Concordia si rifletteva così gloriosamente nella fantasia del cooperativista produttivo di Cambridge! Ecco come s'era messo, ed ecco come maneggiava la spada in «un attacco condotto magistralmente», questo San Giorgio della Lega dei fabbricanti tedeschi, mentre l'infernale drago Marx spira ai suoi piedi, «subito contorcendosi nell'agonia!».

Ma tutta questa ariostesca descrizione di battaglia serve solo a coprire i trucchi del nostro San Giorgio. Qui già non si parla più di «interpolazione menzognera», di «falsificazione», ma di «citazione furbescamente isolata» dal contesto (craftily isolated quotation). Tutta la discussione era spostata, e San Giorgio e il suo scudiero di Cambridge sapevano molto bene il perché.

Eleanor Marx rispose nel mensile To-day, febbraio 1884, giacchè il Times aveva rifiutato di accogliere l'articolo, riconducendo la polemica sull'unico punto di cui si era trattato: ha aggiunto Marx quella frase «con una menzogna» o no? Al che il signor Sedley Taylor ribatte: «La questione se nel discorso del signor Gladstone vi sia stata o no una certa frase», è a suo parere «d'importanza molto secondaria» nella polemica fra Marx e Brentano, «a paragone della questione se la citazione era stata fatta nell'intenzione di riportare il significato datole da Gladstone o di svisarlo». E poi ammette che il resoconto dei Times «contiene realmente una contraddizione nelle parole»; ma, ma, il rimanente contesto, spiegato esattamente, vale a dire nel senso liberale-gladstoniano, indicherebbe quello che il signor Gladstone aveva voluto dire. (To-day, marzo 1884). La cosa più buffa è che ora il nostro ometto di Cambridge insiste che il discorso non dev'essere citato secondo lo Hansard, com'è invece «costume» secondo l'anonimo Brentano, ma secondo il resoconto del Times che quello stesso Brentano definisce «necessariamente raffazzonato». Naturalmente, poiché la frase fatale manca nello Hansard!

Fu facile a Eleanor Marx volatilizzare questa argomentazione nello stesso numero di To-day'. O il signor Taylor aveva letto la polemica del 1872. In tal caso ora aveva «mentito», non solo «aggiungendo qualcosa», ma anche «togliendo qualcosa». Oppure non l'aveva letta. In quest'ultimo caso aveva l'obbligo di starsene zitto. Comunque, era certo che neanche per un momento osò mantenere l'accusa del suo amico Brentano che Marx avesse «compiuto una interpolazione menzognera». Anzi, ora Marx non avrebbe interpolato, falsificando, una frase, ma avrebbe tolto in mala fede una frase importante. Ma questa stessa frase, è citata a p. 5 dell'Indirizzo inaugurale, poche righe prima della frase che secondo Brentano fu «interpolata menzogneramente». E quanto alla «contraddizione» nel discorso di Gladstone, non è forse proprio Marx che nel Capitale, p. 618 (3. edizione p. 672) nota 105 [9], parla delle «continue stridenti contraddizioni nei discorsi sul bilancio tenuti da Gladstone dal 1863 al 1864»! Solo ch'egli non si arroga di risolverle alla Sedley Taylor, compiacendosene come un liberale. E così il riassunto conclusivo della risposta di E. Marx suona: «Al contrario, Marx non ha né soppresso qualcosa che fosse degno d'essere citato, né interpolato menzogneramente un bel nulla. Invece ha ristabilito e tolto dall'oblio una certa frase di un discorso gladstoniano che indubbiamente era stata pronunciata, che aveva trovato però in un modo o nell'altro la sua via d'uscita dallo Hansard».

Così anche il signor Sedley Taylor ne ebbe abbastanza, e il risultato di tutto questo intrigo professorale tramato per due decenni e fra due grandi paesi, è stato che non si è più osato intaccare la coscienziosità di Marx scrittore; e inoltre che d'allora in poi il signor Sedley Taylor concederà ai bollettini di guerra letteraria del signor Brentano quella stessa scarsa fiducia che il signor Brentano concederà all'infallibilità papale dello Hansard.

Londra, 25 giugno 1890.
F. Engels

 

Note

1. Questo è sembrato tanto più necessario, perché perfino quella sezione dello scritto di F. Lassalle contro Schulze-Delitzsch, che a dire dell'autore dà la «quintessenza spirituale» del mio svolgimento di quei temi, contiene notevoli malintesi. En passant: il Lassalle ha preso a prestito dai miei scritti, quasi alla lettera, fino a servirsi della terminologia creata da me, tutte le proposizioni teoriche generali dei suoi lavori economici, p. es. quelle sul carattere storico del capitale, sul nesso fra rapporti di produzione e modo di produzione, ecc., e non ha mai citato le sue fonti: ma tale procedimento è stato determinato certo da considerazioni di propaganda. Naturalmente, non parlo delle sue amplificazioni dei particolari né delle sue applicazioni pratiche, con le quali io non ho niente a che fare.

2. I vociferatori sbrodoloni dell'economia volgare tedesca mi sgridano per lo stile e l'esposizione del mio lavoro. Nessuno giudicherà più severamente di me le manchevolezze letterarie del Capitale. Tuttavia, a maggior vantaggio e letizia di quei signori e del loro pubblico, voglio citare qui un giudizio inglese e uno russo. La Saturday Review, che è assolutamente ostile alle mie opinioni, disse annunciando la prima edizione tedesca: l'esposizione «conferisce un certo fascino particolare anche alle questioni economiche più aride». La S.-P. Viedomosti (Gazzetta di Pietroburgo) osserva fra l'altro nel suo numero del 20 aprile 1872: «L'esposizione, eccezion fatta di poche parti troppo speciali, si distingue per comprensibilità generale, chiarezza e straordinaria vivacità, nonostante l'elevatezza scientifica dell'argomento. Da questo punto di vista l'autore non assomiglia... neppur da lontano alla maggioranza dei dotti tedeschi i quali... scrivono i loro libri in una lingua così ottenebrata e arida da farne scoppiare la testa ai comuni mortali». Però ai lettori della letteratura professorale germano-nazional-liberale contemporanea scoppia qualcosa di ben di. verso che la testa.

3. La suddivisione in capitoli dell'edizione inglese corrisponde a quella dell'edizione francese; Marx vi ha cambiato in capitoli le parti del 4. capitolo (che è insieme sezione II), e ha trasformato il 24. capitolo in una sezione VIII e le parti in capitoli.

4. Le Capital Par Karl Marx. Traduzione di M. J. Roy. completamente riveduta dall'autore, Paris, Lachátre, Questa traduzione contiene, specialmente nell'ultima parte del libro, modificazioni considerevoli e integrazioni del testo della seconda edizione tedesca.

5. «Nell'assemblea trimestrale della Camera di commercio di Manchester, tenutasi nel pomeriggio di oggi, ebbe luogo un'ardente discussione sulla questione del libero scambio. Fu presentata una risoluzione di questo tenore: .. per 40 anni si è atteso invano che le altre nazioni seguissero l'esempio del libero scambio dato dall'Inghilterra, e questa Camera ritiene ora giunto il momento di mutare questo punto di vista ". La risoluzione fu respinta con un solo voto di maggioranza, le cifre sono: 21 voti favorevoli e 22 contrari». (Evening Standard, l. novembre 1886).

6. Nell'edizione presente sono tutte contrassegnate con le iniziali F.E.

7. Nell'edizione presente la citazione di Richard Jones si trova nel terzo volume del libro I.

8. Cfr. nella presente edizione il terzo volume del libro I.

9. Nella presente edizione cfr. terzo volume del libro I.

 


Ultima modifica 9.2.2004