L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza

Friedrich Engels (1880)


Versione di Leonardo Maria Battisti, novembre 2017


III. L'EVOLUZIONE CAPITALISTICA

[Cfr. Antidühring 3,2]

Principio della concezione materialistica della storia è: la produzione e lo scambio dei suoi prodotti sono la base d'ogni ordinamento sociale. In ogni società che si presenta nella storia, la distribuzione dei prodotti (che crea classi sociali gerarchiche) si modella su cosa si produce, sul come si produce, sul modo di scambiar ciò che si produce. Onde le cause ultime d'ogni mutamento sociale e di ogni rivolgimento politico stanno nei mutamenti del modo di produzione e di scambio (non nella mente degli uomini, nel grado della loro conoscenza della verità eterna e dell'eterna giustizia); in una parola stanno nell'economia (non nella filosofia). Saper che le istituzioni sociali vigenti sono irrazionali ed ingiuste («la ragione è divenuta assurdità, il beneficio danno»1) è solo un segno che nei metodi di produzione e nelle forme di scambio sono capitati taciti mutamenti pei quali diviene inadatto l'ordinamento sociale adatto alle condizioni economiche precedenti. E i mutati rapporti di produzione devono contener in sé i mezzi per elider gli inconvenienti scoperti, più o meno attuati. Perciò bisogna usare la mente non per inventar tali mezzi, bensì per scoprirli nei fatti materiali esistenti della produzione così come è data.

Detto ciò, quale è la posizione del socialismo moderno? L'ordinamento sociale vigente (il che è ormai invalso) è creazione della classe oggi dominante: la borghesia. Il modo di produzione proprio della borghesia (chiamato da Marx modo di produzione capitalistico) era inconciliabile con l'ordinamento feudale (coi privilegi locali e di ceto; coi legami personali fra lavorante e sfruttatore appo le gilde nelle città o la servitù della gleba nelle campagne). La borghesia elise l'ordine feudale e sulle sue rovine erse l'ordinamento sociale borghese: il regno della libera concorrenza, della libertà di domicilio, dell'uguaglianza ante la legge, di ognuna delle cosiddette delizie borghesi. Tale società permette il libero sviluppo del modo di produzione capitalistico poté svilupparsi liberamente. Dacché il vapore e le nuove macchine utensili trasformarono la vecchia manifattura nella grande industria le forze produttive elaborate sotto la direzione della borghesia si svilupparono con celerità e misure inedite. Ma come prima la manifattura (e l'artigianato sviluppatosi sotto il suo influsso) conflisse coi vincoli feudali delle gilde; così, attuata del tutto, la grande industria confligge coi limiti del modo di produzione capitalistico. Le nuove forze produttive sono schiacciate dalla forma borghese del loro sfruttamento. Tale conflitto fra forze produttive e modo di produzione non è un'idea degli uomini (come quello fra peccato originale e grazia divina) bensì esiste nei fatti, obiettivamente, avulso dal volere e dalla condotta degli uomini che lo hanno causato. Il socialismo moderno è solo il riflesso ideale di tale conflitto reale, che si produce dapprima nella mente della classe che sotto tale conflitto direttamente soffre: la classe operaia.

Che cosa è tale conflitto fra forze produttive & modo di produzione?

Nel medioevo (prima della produzione capitalistica) c'era ovunque la piccola produzione, che presupponeva la proprietà dei mezzi di produzione da parte dei lavoratori: il potere dei piccoli contadini (liberi o servi); l'artigianato delle città. I mezzi di lavoro (terra, attrezzi aratori, laboratori, utensili) erano singoli (atti solo all'uso individuale) onde d'uopo modesti, piccoli, limitati. Per questo solevano pure appartener al produttore stesso. Concentrar tali mezzi di produzione sparpagliati e limitati; estenderli, mutarli nelle potenti leve di produzione moderne è il compito storico del modo di produzione capitalistico e della classe che lo rappresenta: la borghesia. Marx descrisse nel Capitale (Libro I, sezione quarta) come dal ‘400 in poi la borghesia svolse il compito in tre fasi (cooperazione semplice; manifattura; grande industria); e prova che la borghesia poteva mutar quei mezzi di produzione limitati in potenti forze produttive solo mutandoli da mezzi di produzione individuali a mezzi di produzione sociali (usabili solo da una collettività d'uomini). Anziché filatoio, telaio a mano, maglio del fabbro, subentrarono macchina tessili, telaio meccanico, maglio a vapore; anziché la bottega subentrò la fabbrica esigente il lavoro collettivo pure di migliaia di uomini. E come i mezzi di produzione, pure la produzione stessa mutò da una serie di atti individuali in una serie di atti sociali, e i prodotti mutarono da prodotti individuali a prodotti sociali. Il filo, il tessuto, gli oggetti di metallo che ora uscivano dalla fabbrica erano il prodotto comune di tanti operai: dovevano passar dalle mani di ciascuno per essere pronti. Nimo di loro può dir individualmente: «Io ho fatto ciò, è il mio prodotto».

Ma la nuova produzione collettiva apparì in una società basata sulla divisione naturale del lavoro (sorta per inerzia senza un piano) che dà ai prodotti la forma di merci il cui scambio (compravendita) rende i singoli produttori capaci di soddisfar i loro svariati bisogni. Nel Medioevo, tale forma scambio combaciava col modo di produzione. Es. Il contadino vendeva prodotti agricoli all'artigiano e a sua volta comprava da lui prodotti artigianali. In tal società di singoli produttori di merci si ingerì il nuovo modo di produzione che mise la divisione pianificata del lavoro regnante nella singola fabbrica accanto alla divisione naturale del lavoro senza piano regnante nella società. Accanto alla produzione individuale apparse la produzione sociale. I prodotti d'ambe furono venduti allo stesso mercato a prezzi quasi eguali. Ma la divisione pianificata fu più forte della divisione naturale del lavoro. Lavorando socialmente le fabbriche producevano prodotti più convenienti dei piccoli produttori isolati. La produzione individuale fu vinta un settore alla volta, la produzione sociale rivoluzionò tutto l'antico modo di produzione. Ma il suo carattere rivoluzionario restò ignoto, tant'è che fu introdotta per accrescer e favorir la produzione di merci. Essa sorse innestandosi su precise leve della produzione e dello scambio di merci già scoperte (capitale mercantile; mestieri; lavoro salariato). Presentandosi come una nuova forma della produzione di merci, pure per la produzione sociale valsero le forme di appropriazione della produzione di merci.

Nella produzione di merci medievale era insensato chiedersi a chi dovesse appartener il prodotto del lavoro. Il singolo produttore soleva forgiarlo da una materia prima di sua proprietà (spesso creata da lui stesso, con mezzi di lavoro propri e col lavoro manuale proprio o della sua famiglia). Manco serviva un atto di appropriazione: gli apparteneva immediatamente. Così il possesso dei prodotti seguiva dal proprio lavoro. Seppur fosse servito l'aiuto altrui, tale aiuto restava cosa accessoria e chi lo forniva soleva mirar ad un'altra ricompensa oltre al salario: l'apprendista e il garzone delle gilde lavoravano per diventar maestri, più che per il vitto e il salario. Poi capitò la concentrazione dei mezzi di produzione in grandi officine e manifatture, il loro mutamento in mezzi di produzione sociali di fatto. Ma i mezzi di produzione e i prodotti sociali furono ancora trattati (come prima) come mezzi di produzione e prodotti individuali. Prima il possessore dei mezzi di lavoro si appropriava il prodotto perché di regola era un prodotto suo proprio, e il lavoro sussidiario altrui era solo l'eccezione; invece ora il padrone dei mezzi di lavoro seguitò ad appropriarsi il prodotto, benché non fosse più il suo prodotto, ma affatto il prodotto del lavoro altrui. Così il capitalista si appropria dei prodotti ormai creati socialmente (non coloro che mettevano difatti in moto i mezzi di lavoro e che invero creavano i prodotti). Mezzi di produzione e produzione sono divenuti sociali invero, ma sono sottoposti ad una forma di appropriazione che presuppone la produzione privata individuale, in cui chi possiede i mezzi possiede il prodotto e lo porta al mercato. Il modo di produzione fu sottoposto a tale forma di appropriazione benché ne tolga il presupposto*1.

In tale contraddizione che è il carattere capitalistico del nuovo modo di produzione, c'è già in nuce l'antagonismo sociale odierno. Più il nuovo modo di produzione invase ogni tipo di produzione e ogni paese economicamente notevole, più soppiantò la produzione individuale fino ai suoi residui insignificanti, tanto più crudamente doveva appalesarsi l'inconciliabilità fra produzione sociale & l'appropriazione capitalistica.

I primi capitalisti, come è suesposto, trovarono già esistente la forma del lavoro salariato; ma il lavoro salariato era eccezione, occupazione ausiliaria, accessoria, transitoria. Il lavoratore agricolo lavorava ogni tanto alla giornata, ma aveva il suo pezzo di terra bastevole pure alla peggio. Le gilde erano organizzate affinché il garzone di oggi divenisse il maestro di domani. Ma tutto mutò tostoché i mezzi di produzione divennero sociali e furono concentrati nelle mani dei capitalisti. Il mezzo di produzione e il prodotto del piccolo produttore singolo perse sempre più di valore e gli restava solo di andare a lavorare a salario dal capitalista. Il lavoro salariato, prima eccezione e complemento, divenne regola e forma base di tutta la produzione; l'occupazione prima accessoria si accaparrò tutto il tempo di lavoro. Il salariato temporaneo mutò in salariato a vita. Inoltre la massa dei salariati a vita divenne smisurata e fu aumentata dal coevo crollo dell'ordinamento feudale, dalla dispersione del personale dei signori feudali, dall'espulsione dei contadini dalle loro fattorie, ecc. Divenne completa la separazione fra i mezzi di produzione (concentrati nelle mani dei capitalisti) & i produttori (ridotti a possedere solo la forza-lavoro). La contraddizione fra produzione sociale & appropriazione capitalistica si appalesò come antagonismo fra proletariato & borghesia2. Si è visto che il modo di produzione capitalistico si inserì in una società di produttori di merci (produttori singoli fra cui lo scambio dei loro prodotti è il solo rapporto sociale). Ma alla produzione di merci corrisponde una società in cui i produttori sono dominati dai rapporti sociali mutui, anziché controllarle. Ognuno produce con mezzi di produzione casualmente posseduti per i suoi bisogni e per il bisogno di scambio. Nimo sa né quanti suoi articoli arrivano al mercato, né in generale quanti ne sono richiesti; nimo sa se il suo prodotto individuale risponde ad un effettivo bisogno, né se potrà ricavarne le spese, né se sarà venduto. Domina l'anarchia della produzione sociale. Ma la produzione di merci, come ogni altra forma di produzione, ha le sue leggi specifiche intrinseche. E tali leggi si attuano malgrado l'anarchia, e per mezzo di essa. Esse appaiono nell'unica forma di nesso sociale rimasta (nello scambio) e si fanno valere sui produttori individuali come leggi coattive della concorrenza. All'inizio le leggi sono ignote ai produttori che devono scoprirle con una lunga esperienza. Ciò significa che: sono leggi che si attuano senza i produttori e contro di loro, come leggi naturali della loro forma di produzione agenti ciecamente. Il prodotto domina i produttori. Riformuliamo daccapo.

Nella società medioevale, specie nei primi secoli, la produzione era perlopiù indirizzata al consumo personale, a soddisfare solo i bisogni del produttore e della sua famiglia. Ove c'erano rapporti di servitù, come in campagna, la produzione serviva a appagar i bisogni del feudatario. Così non c'era scambio onde i prodotti manco assumevano la forma di merci. La famiglia del contadino produceva quasi tutto ciò di cui abbisognava (attrezzi; indumenti; vitto). Solo allorché produsse un'eccedenza sul suo consumo e sui tributi in natura dovuti al feudatario, allora iniziò a produrre merci. L'eccedenza immessa nello scambio sociale divenne merce (offerta in vendita). Invero gli artigiani cittadini dovettero produrre per lo scambio fin dall'inizio. Ma elaboravano da soli la maggior parte del loro fabbisogno personale (avevano orti e piccoli campi; mandavano il loro bestiame nel bosco comunale che forniva loro pure legname per costruir e scaldarsi; le donne filavano il lino, la lana, etc.). Fino ad allora la produzione per lo scambio, la produzione di merci, era solo sul nascere. Donde scambio limitato, mercato limitato, modo di produzione stabile; ogni gruppo organizzava la produzione nel suo seno escludendo i prodotti degli altri gruppi: la Marca nella campagna; la gilda nella città.

Ma estesasi la produzione di merci e apparso il modo di produzione capitalistico presero forza più manifesta e con più efficacia le leggi della produzione di merci fino allora latenti. L'eccedenza della produzione immediata crebbe fino a trasformarsi in merce. Il commercio si sviluppò e iniziò a stabilire fra diversi paesi rapporti mutui. I progressi del commercio accelerarono lo sviluppo dell'industria; l'antica stabilità feudale fu affatto rotta. I tributi in natura (frumento o bestiame) mutarono in imposte e in rendite fondiarie (moneta). Tutti i prodotti presero la forma di merci. Apparve l'anarchia della produzione sociale e fu spinta sempre più all'estremo. Ma il principale strumento con cui il modo di produzione capitalistico accrebbe tale anarchia della produzione sociale fu l'opposto dell'anarchia: la crescente organizzazione della produzione divenuta sociale nella fabbrica rimasta privata. Con tale leva, il capitalismo ruppe l'antica pacifica stabilità. Laddove fu introdotta in un ramo di industria non tollerava accanto a sé alcun altro modo di produzione. Laddove si impadroniva di un mestiere ne elideva l'antica forma artigiana. Il campo del lavoro divenne un campo di battaglia. Le colonizzazioni seguite alle grandi scoperte geografiche diedero sbocchi alla produzione e accelerarono la trasformazione dell'artigianato in manifattura. Nonché lotte fra singoli produttori locali; scoppiarono lotte nazionali, come le guerre commerciali del ‘600 e ‘700.3 Infine la grande industria e la creazione del mercato mondiale resero universale la lotta conferendole una violenza inaudita. Ottenere favorevoli condizioni di produzione (naturali o artificiali) decide dell'esistenza di singoli capitalisti o di intere industrie e Paesi. I vinti sono eliminati spietatamente. È la lotta darwiniana per l'esistenza traslata con maggior furore, dalla natura alla società. La condizione dell'animale brado appare come méta dell'evoluzione umana.   La contraddizione fra produzione sociale e appropriazione capitalistica si esibisce ora come antagonismo fra l'organizzazione della produzione nella singola fabbrica e l'anarchia della produzione nell'intera società.

In ambe le forme in cui si appalesa l'intrinseca e originaria contraddizione si muove il modo di produzione capitalistico e descrive quel «circolo vizioso» scoperto da Fourier. Ciò che Fourier non poteva invero capir ai suoi tempi è che tale circolo si contrae, che il moto descrive una spirale più che un circolo, e che raggiungerà la sua fine collidendo col centro come le orbite dei pianeti. È la forza motrice dell'anarchia sociale della produzione che muta sempre più uomini in proletari; e questa stessa massa proletaria alla fine eliderà l'anarchia della produzione. È la forza motrice dell'anarchia sociale della produzione che muta l'infinita perfettibilità delle macchine della grande industria nell'obbligo imposto al singolo capitalista industriale di perfezionar le sue macchine, o di sparire. Ma perfezionar le macchine rende superfluo il lavoro umano. Se introdurre e aumentar le macchine sostituisce milioni di operai manuali con pochi operai addetti alle macchine, allora migliorare il macchinario significa render superflui perfino tali addetti alle macchine, cioè creare una massa di salariati disponibili superiore al bisogno di impiego medio occupabile dal capitale: crear cioè una “popolazione eccedente” (come la nomai io ne: La situazione della classe operaia in Inghilterra, 7 [1845]) disponibile pei tempi in cui l'industria lavora a tutto vapore, gettato sul lastrico nella necessaria crisi seguente. Tale eccedenza è in tutti i tempi una palla al piede della classe operaia nella sua lotta per l'esistenza contro il capitale, regolatore che serve a tenere il salario a livello più basso, il solo atto alle esigenze dei capitalisti. Per dirla con Marx, così la macchina diviene l'arma più potente dei capitalisti contro gli operai; il mezzo di lavoro toglie all'operaio i mezzi di sussistenza; il prodotto dell'operaio diviene strumento per il suo asservimento. Cioè ridurre le spese di produzione è a priori una dilapidazione spietata della forza-lavoro e un lesinar sui normali presupposti della funzione lavorativa. Le macchine (il mezzo più potente per ridurre il tempo di lavoro) mutano nel miglior mezzo per mutar tutta la vita dell'operaio e della sua famiglia in tempo di lavoro disponibile per valorizzare il capitale. Il sopralavoro degli uni diviene il presupposto della disoccupazione degli altri. La grande industria caccia nuovi consumatori su tutto il pianeta ma in patria riduce il consumo delle masse a un minimo di fame, fa crollar il suo mercato interno. «La legge che equilibra sempre la popolazione eccedente relativa (o l'esercito industriale di riserva) col volume e l'energia dell'accumulazione del capitale, inchioda l'operaio al capitale più dei cunei di Efesto che inchiodarono alla roccia Prometeo. Tale legge causa un'accumulazione di miseria proporzionata all'accumulazione di capitale. Così l'accumulazione di ricchezza a un polo equivale all'accumulazione di miseria, lavoraccio, schiavitù, ignoranza, degradazione morale e apoteriosi al polo opposto (cioè dal lato della classe che produce prodotti sotto forma di capitale» [Marx: Capitale I, XXIII, 4].

Chieder al modo di produzione capitalistico un'altra distribuzione di prodotti è come chieder agli elettrodi di una batteria di non scomporre l'acqua mentre sono collegati alla batteria, inviando ossigeno al polo positivo e idrogeno al polo negativo.

Spiegato come la perfettibilità della macchina moderna spinta al grado estremo dall'anarchia della produzione nella società, muti in un obbligo di legge per il singolo capitalista industriale a migliorar le sue macchine costantemente, a elevarne sempre la forza produttiva. Del pari muta in legge la semplice possibilità di estendere l'ambito della produzione. L'enorme forza espansiva della grande industria, ante la quale l'espansione dei gas è una bagatella, si palesa ora come un bisogno d'espansione qualitativa e quantitativa che sfida ogni compressione contraria. La compressione sono il consumo, lo smercio, i mercati pei prodotti della grande industria. Ma la possibile espansione dei mercati (sia estensiva sia intensiva) segue leggi diverse, che agiscono in modo molto meno energico. L'espansione dei mercati non può eguagliar l'espansione della produzione. La collisione è inevitabile e diviene periodica poiché non può aver soluzione senza elider il modo di produzione capitalistico. La produzione capitalistica crea un nuovo «circolo vizioso».

Infatti dal 1825 (l'anno della prima crisi generale) tutto il mondo industriale e commerciale, la produzione e lo scambio di tutti i popoli civili e delle loro appendici più o meno barbariche, si sfasciano pressappoco ogni 10 anni. Il traffico langue; i mercati sono saturi; i prodotti restano ammucchiati quanto inesitabili; il denaro contante viene nascosto; il credito svanisce; le fabbriche chiudono; le masse operaie restano senza mezzi di sussistenza per aver prodotto troppi mezzi di sussistenza; bancherotte e vendite all'asta si susseguono. La stasi dura anni, forze produttive e prodotti sono dissipati e distrutti assai, finché i cumuli di merci defluiscono con un gran deprezzamento e produzione e scambio si rimettono gradualmente in moto. Gradualmente la loro andatura accelera, muta in trotto, il trotto dell'industria muta in galoppo, il quale accelera fino a far una sfrenata corsa a ostacoli industriale, commerciale, creditizia e speculativa per ricadere infine, dopo salti mortali, nel fosso del crac. E così via da capo. Tutto ciò lo abbiamo sperimentato ben sei volte dal 1825 al 1877, e in questo anno 1878 lo stiamo sperimentando per la settima volta. La caratteristica di tali crisi è così evidente che Fourier le definì tutte quante definendo la prima crise pléthorique: crisi di sovrapproduzione.

Nelle crisi la contraddizione fra produzione sociale e appropriazione capitalistica assume forma violenta. La circolazione di merci si arresta; il mezzo della circolazione, il denaro, muta in ostacolo per la circolazione; tutte le leggi della produzione e della circolazione delle merci sono sovvertite. La collisione economica raggiunge l'acme: il modo della produzione si ribella contro il modo di scambio.

Che l'organizzazione sociale della produzione appo la fabbrica arrivi al punto di divenir incompatibile con l'anarchia della produzione appo la società (dominandola dall'esterno), si appalesa ai capitalisti stessi con la forte concentrazione dei capitali c'è durante le crisi, con la rovina di molti capitalisti e di molti più piccoli capitalisti. L'intero meccanismo del modo di produzione capitalistico cede alla pressione delle forze produttive da lui stesso create. Esso non sa più mutare in capitale (in sfruttamento della forza-lavoro) tutta questa massa di mezzi di produzione; onde giacciono inoperosi e pure l'esercito industriale di riserva resta inoperoso. Mezzi di produzione, mezzi di sussistenza, operai disponibili, tutti gli elementi della produzione e della ricchezza generale abbondano; ma la «sovrabbondanza diviene fonte di miseria e di penuria» [Fourier] perché è proprio essa che impedisce ai mezzi di produzione e di sussistenza di mutar in capitale. Infatti nella società capitalistica i mezzi di produzione possono attivarsi solo mutando prima in capitale, in mezzi per lo sfruttamento della forza-lavoro umana. La necessità che i mezzi di produzione e di sussistenza assumano il carattere di capitale si erge come uno spettro fra essi e gli operai. Tale necessità da sola impedisce il contatto fra le leve reali e le leve personali della produzione; essa sola vieta ai mezzi di produzione di funzionar e agli operai di lavorar e di viver. Così da un lato è esibita l'incapacità del modo capitalistico di produzione di seguitar a diriger tali forze produttive; dall'altro tali forze produttive sono sollecitate a elider la contraddizione, a togliersi la loro qualità di capitale, a riconoscer il loro carattere di forze produttive sociali.

Tale crescente reazione delle forze produttive al proprio carattere di capitale, tale progressiva ricognizione della loro natura sociale, obbliga pure la classe capitalistica a trattarle sempre più da forze sociali di produzione (nella misura consentita dall'essenza capitalistica). Sia il periodo di grande prosperità industriale col suo credito gonfiato all'estremo, sia lo stesso crac col crollo di grandi imprese capitalistiche, spingono a forme maggiori di socializzazione di mezzi di produzione, esibite dai vari tipi di S.p.A. Molti di tali mezzi di produzione e di scambio sono fin dall'inizio sì enormi da escluder ogni altra forma di sfruttamento capitalistico (es. le ferrovie). Ma ad un ulteriore grado di sviluppo pure tale forma è insufficiente. I grandi produttori nazionali di uno stesso ramo dell'industria si riuniscono in un trust (in un'associazione con lo scopo di regolare la produzione): fissano la quantità totale da produrre, se la ripartiscono fra di loro ed impongono il prezzo di vendita così stabilito a priori. Ma tali trust nei periodi di crisi perlopiù si sciolgono, onde serve una forma di socializzazione ancor più concentrata: tutto il ramo industriale muta in un'unica grande società per azioni; la concorrenza nazionale cede il posto al monopolio nazionale di tale unica società; così capitò nel 1890 colla produzione inglese dell'alcali che ora (fuse tutte le 48 grandi fabbriche) è esercitata da un'unica grande società a direzione unica con un capitale di 120 milioni di marchi.

Nel trust la libera concorrenza precipita in monopolio, la produzione non pianificata della società capitalistica perde contro la produzione pianificata dell'irrompente società socialista (benché all'inizio ancora a vantaggio dei capitalisti). Ma ivi lo sfruttamento è così palese che deve crollar. Niun popolo tollererebbe una produzione diretta da trust, uno sfruttamento della collettività sì evidente fatto da una piccola banda di tagliatori di cedole.

Comunque, con o senza trust, il rappresentante ufficiale della società capitalistica, lo Stato, deve diriger la produzione.*2 L'uopo di mutar in proprietà statale si vede anzitutto nei grandi organismi di comunicazione (poste, telegrafi, ferrovie).

Se le crisi hanno esibito l'incapacità della borghesia a seguitar a diriger le moderne forze produttive, la mutazione dei grandi organismi di produzione e di traffico in società per azioni, trust e in proprietà statale esplica che la borghesia è superflua per ottenere tale fine. Ogni funzione sociale del capitalista è ora svolte da impiegati salariati. I capitalisti non hanno più alcuna attività sociale salvo intascar rendite, tagliar cedole e giocar in borsa, dove si spogliano a vicenda dei loro capitali. Il modo di produzione capitalistico inizia col soppiantar gli operai, e oggi soppianta i capitalisti e li relega fra la popolazione superflua come gli operai (benché all'inizio non li releghi fra l'esercito di riserva industriale).

Ma le forze produttive nelle mani di S.p.A. o trust o dello Stato non perdono ancora il carattere di capitale. Esso è palese nelle società per azioni e nei trust. E lo Stato moderno rimane l'organizzazione che la società borghese si dà per difendere le condizioni generali esterne del modo di produzione capitalistico dalle pretese sia degli operai sia dei singoli capitalisti.

Qualsiasi forma di Stato moderno è per natura una macchina capitalistica, uno Stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale. Più lo Stato si prende le forze produttive, più diviene un capitalista collettivo, più sfrutta i cittadini. Gli operai restano salariati e proletari. Il rapporto capitalistico fra salariato e salariante è spinto all'apice anziché eliso. Ma giunto all'apice si ribalta. La proprietà statale delle forze produttive non è la soluzione del conflitto, ma porta in sé il mezzo formale, la chiave della soluzione.

Tale soluzione può esser solo riconoscer la natura sociale delle moderne forze produttive, cioè il modo di produzione, di appropriazione e di scambio va messo in accordo col carattere sociale dei mezzi di produzione. Ciò può capitar solo se, apertamente e affatto, la società s'impadronisca delle forze produttive (ormai troppo forti per subir ogni altra minore direzione). Così il carattere sociale dei mezzi di produzione e dei prodotti (che oggi si volge contro gli stessi produttori, che sconvolge periodicamente il modo di produzione e di scambio e si impone con forza possente e distruttiva solo come cieca legge naturale) è riconosciuto dai produttori e muta (da causa di turbamento e di crisi periodiche) nella più potente leva della produzione stessa.

Le forze socialmente attive operano proprio come le forze naturali: in modo cieco, violento, distruttivo, finché non le conosciamo e non facciamo i conti con esse. Ma una volta conosciute e capito il loro modo d'agire, le direttive e gli effetti, dipende solo da noi sottometterle sempre più al nostro volere e usarle per raggiunger i nostri fini. Ciò vale specialmente per le odierne potenti forze produttive, da sottometter a produttori associati. Finché ostinatamente ci rifiuteremo di intenderne la natura e il carattere (e l'intelligibilità è ostacolata dal modo di produzione capitalistico e dai suoi sostenitori), tali forze agiranno malgrado noi e contro di noi, e ci domineranno nel modo suesposto. Ma una volta che sia capita la loro natura, in mano ai produttori associati, le forze produttive possono mutar da demoniache dominatrici in docili serve. È la stessa differenza fra la forza distruttiva dell'elettricità nel fulmine della procella e l'elettricità domata dal telegrafo e della lampada ad arco; la differenza fra l'incendio e il fuoco che agisce al servizio dell'uomo.   Così quando le odierne forze produttive saranno stimate secondo la loro natura infine nota, una regolamentazione socialmente pianificata della produzione (secondo i bisogni sia della comunità sia di ogni singolo) sostituirà l'anarchia sociale della produzione. Così il modo di appropriazione capitalistico (in cui il prodotto asservisce perfino l'appropriatore, oltre al produttore,) è sostituito dal modo di appropriazione dei prodotti in base alla natura dei moderni mezzi di produzione stessi: da un lato l'appropriazione sociale diretta come mezzo per mantener e allargar la produzione, dall'altro un'appropriazione individuale diretta come mezzo di vita e di piacere.

Il modo di produzione capitalistico muta sempre più la grande maggioranza della popolazione in proletari, creando la forza che o morirà o compirà tale rivolgimento. Spingendo sempre più alla statalizzazione dei grandi mezzi di produzione socializzati, esso si mette sulla via di tale ribaltamento. Il proletariato ottiene il potere dello Stato e anzitutto muta i mezzi di produzione in proprietà statali. Ma così si elide come proletariato, elide ogni differenza di classe e ogni antagonismo di classe con ciò elide lo Stato come Stato. Le società finora esistite, moventesi in antagonismi di classe, necessitavano dello Stato, cioè di un'organizzazione della classe sfruttatrice per mantener le condizioni di sfruttamento, cioè per mantener classe sfruttata nelle condizioni di sfruttamento (schiavitù, servitù della gleba o semiservitù feudale, lavoro salariato) richieste dal modo di produzione coevo. Lo Stato era il rappresentante ufficiale di tutta la società, la sua incarnazione; ma in realtà era lo Stato della classe sorta a rappresentare tutta la società: nell'antichità era lo Stato dei cittadini aventi schiavi; nel Medioevo era lo Stato dei signori feudali, ai giorni nostri lo Stato della borghesia. Ma, diventando infine l'effettivo rappresentante di tutta la società, lo Stato si rende superfluo da sé. Tostoché spariscono classi sociali da mantenere oppresse, tostoché sono banditi il dominio di classe e la lotta per l'esistenza individuale basata sull'anarchia della produzione finora esistente (e su cui conflitti e sugli eccessi che ne derivano), allora non ci sarà più alcunché da reprimer rendendo inutile un certo potere repressivo, lo Stato. Il primo atto con cui lo Stato si presenta realmente come rappresentante di tutta la società (la presa di possesso dei mezzi di produzione in nome della società) è pure l'ultimo suo atto autonomo in quanto Stato. L'intervento di un potere statale nei rapporti sociali diventa superfluo in un settore dopo l'altro finché a svanir. Al un governo sulle persone si sostituisce l'amministrazione di cose e la direzione dei processi produttivi. Lo Stato non va «abolito»: si estingue da sé. È questo che significa la frase dello «Stato popolare libero» [Marx: Critica del programma di Gotha ] sia per la sua giustificazione temporanea in sede di agitazione, sia per la sua definitiva insufficienza in sede scientifica; del pari il suo significato deve essere usato per valutar pretesa dei cosiddetti anarchici che lo Stato debba essere abolito dall'oggi al domani.

Il possesso di ogni mezzo di produzione da parte della società, fin dall'apparir storico del modo di produzione capitalistico, è stato pensato più o meno oscuramente da singoli o da intere sette come un futuro ideale. Ma per divenir una necessità storica servivano le condizioni materiali della sua attuazione. Ogni progresso sociale diviene effettuabile mercé certe nuove condizioni economiche (non mercé la conoscenza acquisita che l'esistenza delle classi è ingiusta, contro l'eguaglianza, etc.; non mercé la sola volontà d'abolir tali classi). La divisione della società in una classe sfruttatrice e una classe sfruttata, in una classe dominante e una classe oppressa, segue d'uopo dal precedente sviluppo limitato della produzione. Se il comune lavoro sociale fornisce solo un provento eccedente solo di poco ciò che è uopo per un'esistenza grama di tutti, cioè se il lavoro esige tutto o quasi tutto il tempo della maggioranza dei membri della società, allora la società si divide in classi.

Accanto a tale grande maggioranza dedita solo al lavoro, si forma una classe libera dal lavoro direttamente produttivo, incaricata degli affari comuni della società: direzione del lavoro, affari di Stato, giustizia, scienza, arti, etc. Onde la divisione in classi si basa sulla legge della divisione del lavoro. Tale divisione in classi è comunque attuata con forza e rapina, astuzia e inganno4 e la classe divenuta dominante ha sempre artato il suo dominio a spese della classe lavoratrice e mutato la direzione della società in crescente sfruttamento delle masse.

Ma una certa giustificazione storica della divisione in classi vale solo per una certa epoca, per certe condizioni sociali. La divisione in classi segue dalla produzione insufficiente e sarà elisa dal pieno sviluppo delle moderne forze produttive. Infatti, l'elisione delle classi sociali esige un grado di sviluppo storico in cui (nonché l'esistenza di certe classi dominanti) l'esistenza in generale di qualsiasi classe dominante (cioè la stessa differenza di classe) sia divenuta un anacronismo, un vecchiume. Cioè la fine della divisione in classi presuppone un alto grado di sviluppo della produzione in cui l'impossessarsi dei mezzi di produzione e dei prodotti nonché del potere politico, del monopolio educativo e della direzione spirituale da parte di una certa classe è divenuto (nonché superfluo) un ostacolo allo sviluppo economico, politico, intellettuale. Oggi siamo a tale punto. Se la borghesia non ha ancora capito il suo fallimento politico e intellettuale, il suo fallimento economico si ripete regolarmente ogni dieci anni. In ogni crisi la società affoga nelle proprie forze produttive e nei propri prodotti inesitabili, ed è impotente ante l'assurda contraddizione che i produttori non possono consumare perché mancano i consumatori. La forza di espansione dei mezzi di produzione strappa i lacci che il modo di produzione capitalistico ha imposto loro. La loro liberazione da tali lacci è la sola condizione mancante d'uno sviluppo continuo e sempre accelerato delle forze produttive, cioè di un incremento praticamente illimitato della produzione stessa. Di più: l'appropriazione sociale dei mezzi di produzione (oltre all'ostacolo artificiale della produzione) elide la distruzione reale di forze produttive e di prodotti tipica della produzione attuale e che tocca l'acme nelle crisi. Inoltre l'appropriazione sociale dei mezzi a disposizione della collettività una massa di mezzi di produzione e di prodotti, rendendo impossibile l'assurdo contraddistinguersi per il lusso come le classi oggi dominanti e i loro rappresentanti politici. Colla produzione sociale esiste ora per la prima volta (ma esiste) la possibilità di garantir a ogni membro della collettività (nonché un'esistenza affatto materialmente sufficiente e ogni giorno più ricca) pure il libero sviluppo e il libero esercizio delle loro facoltà fisiche e spirituali.*3

La società appropriantesi dei mezzi di produzione non produrrà più merci (per cui il prodotto domina il produttore). L'anarchia all'interno della produzione sociale sarà sostituita dall'organizzazione cosciente pianificata. Cessa la lotta per l'esistenza individuale e per la prima volta l'uomo si separa affatto dal regno animale (passando da condizioni d'esistenza ferine a condizioni d'esistenza affatto umane). Le condizioni di vita che finora hanno dominato gli uomini sono ora dominate e controllate dagli uomini, divenendo per la prima volta padroni della natura coscienti e reali poiché padroni della loro organizzazione sociale. Le leggi del loro agire sociale (finora di fronte agli uomini come leggi naturali esterne e padrone) ora sono applicate dagli uomini con piena cognizione di causa, cioè dominate. L'organizzazione sociale degli uomini (finora data loro come necessità imposta dalla natura e dalla storia) diviene ora l'atto della loro libera azione. Le forze obiettive ed estranee dominanti finora la storia passano sotto controllo degli uomini stessi. Tale momento è l'inizio della storia autentica che gli uomini faranno con piena coscienza, e le cause sociali messe in moto da loro produrranno in misura sempre crescente gli effetti che loro hanno voluto. Ecco il salto dell'umanità dal regno della necessità al regno della libertà.5

RIASSUMIAMO BREVEMENTE, PER CONCLUDERE, IL CAMMINO CHE ABBIAMO PERCORSO.
I. Società medioevale.

Piccola produzione individuale. Mezzi di produzione adattati all'uso dei singoli (primitivi, fallaci, di effetti scarsi). Produzione per l'uso immediato sia del produttore sia del suo feudatario. Solo se c'è un'eccedenza di prodotti sul consumo, tal eccedenza è offerta venduta e diviene scambiabile: qui la produzione di merci è solo sul nascere, ma contiene già in sé, in nuce, l'anarchia nella produzione sociale.

II. Rivoluzione capitalistica.

Mutazione dell'industria dapprima colla cooperazione semplice e la manifattura. Concentrazione in grandi officine dei mezzi di produzione prima sparsi: mutazione di essi da mezzi di produzione individuali a mezzi di produzione sociali: mutazione che non tocca in complesso la forma dello scambio: le vecchie forme di appropriazione restano. Appare il capitalista: proprietario dei mezzi di produzione che si appropria pure dei prodotti e li rende merci. La produzione è divenuta un atto sociale; lo scambio e con esso l'appropriazione restano atti individuali, atti del singolo. Il prodotto sociale diviene possesso del capitalista singolo. Contraddizione fondamentale da cui sorgono le altre contraddizioni fra le quali si muove la società odierna e che la grande industria esibisce chiaramente.

A. Separazione del prodotto dai mezzi di produzione. Condanna dell'operaio al lavoro salariato vita natural durante. Antagonismo fra proletariato & borghesia.

B. Crescente rilievo e progressiva efficacia delle leggi dominanti la produzione di merci. Sfrenata lotta di concorrenza. Contraddizione fra organizzazione sociale della singola fabbrica & anarchia sociale della produzione generale.

C. Da un lato perfezionamento delle macchine, reso dalla concorrenza obbligatorio per ogni singolo industriale e che equivale ad un sempre crescente licenziamento di operai: esercito industriale di riserva. Dall'altro lato estensione illimitata della produzione resa del pari obbligatoria dalla concorrenza per ogni singolo industriale. Da ambi i lati sviluppo inaudito delle forze produttive, eccesso di offerta sulla domanda, sovrapproduzione, mercati saturi, crisi decennali, circolo vizioso: lì eccedenza di mezzi di produzione e di prodotti, là eccedenza di operai disoccupati e inopi; ma tali due leve della produzione e del benessere sociale non possono andare insieme poiché la forma capitalistica della produzione impedisce alle forze produttive di agire, ai prodotti di circolare, senza prima mutar in capitale: il che è impedito proprio dal loro eccesso. La contraddizione si spinge all'assurdo: il modo di produzione si ribella contro il modo dello scambio. È provato che la borghesia è incapace di seguitare a dirigere le proprie forze produttive sociali.

D. Obbligatorio riconoscimento parziale del carattere sociale delle forze produttive da parte del capitalista. Appropriazione di grandi organismi di produzione e di traffico, prima da parte di società per azioni, poi di trusts e infine dello Stato. La borghesia prova di essere una classe superflua, tutte le sue funzioni sociali sono ora compiute da impiegati stipendiati.

III. Rivoluzione proletaria.

Soluzione delle contraddizioni: il proletariato conquista il potere pubblico con cui potere muta i mezzi di produzione sociale (fuori dal controllo borghese) in proprietà pubblica. Con tale atto il proletariato libera i mezzi di produzione dal carattere di capitale che finora essi avevano e dà al loro carattere sociale la piena libertà di attuarsi. Diviene possibile una produzione sociale pianificata. Lo sviluppo della produzione rende anacronistica l'ulteriore esistenza di classi sociali distinte. Man mano che sparisce l'anarchia della produzione sociale, sparisce pure l'autorità politica dello Stato. Gli uomini, finalmente padroni della loro forma di organizzazione sociale, diventano padroni della natura e padroni di sé stessi, liberi. È missione storica del proletariato moderno compiere tale azione liberatrice. È missione del socialismo scientifico (espressione teorica del movimento proletario) studiare a fondo le condizioni storiche e la natura dell'azione liberatrice dando così alla classe oggi oppressa ma chiamata all'azione la coscienza delle condizioni e della natura della sua dovuta azione.

Note

*1. Ivi non serve spiegar che, benché la forma di appropriazione resti la stessa, il carattere dell'appropriazione e la produzione siano rivoluzionati dal processo descritto testé. Appropriarsi del prodotto o mio o altrui, sono due tipi di appropriazione. Inoltre: il lavoro salariato, che sta in luce in tutto il modo di produzione capitalistico, è molto antico: per secoli è esistito accanto alla schiavitù in modo sporadico e sparso. Ma il germe si sviluppò fino al modo di produzione capitalistico solo allorché si produssero le condizioni storiche necessarie. [Nota di Engels]

*2. Dico “deve” perché solo se i mezzi di produzione o di comunicazione crescano davvero troppo per essere diretti da società per azioni, cioè se la statizzazione diviene economicamente inevitabile, solo in questo caso (benché fatta dallo Stato attuale) allora è un progresso economico, una compiuta fase preliminare della presa di possesso di tutte le forze produttive da parte della società. Ma di recente (poiché Bismarck si è dato a statizzare) è apparso un falso socialismo (pure in forma servile) che definisce socialistica qualsiasi statizzazione, inclusa quella di Bismarck. Ma se la statizzazione del tabacco fosse socialista, allora Napoleone e Mettemich sarebbero i fondatori del socialismo. Se per motivi politici e finanziari oggi frequenti lo Stato belga ha costruito da sé le sue ferrovie, se Bismarck senza alcuna necessità economica ha statizzato le maggiori linee ferroviarie prussiane anzitutto per manovrarle meglio in caso di guerra, oltretutto per rendere i ferrovieri elettori clientelari del governo, soprattutto per procurarsi una nuova fonte di entrate indipendente dalle decisioni del parlamento: tali non sono state affatto misure socialiste né dirette né indirette, né volenti né nolenti. Altrimenti sarebbero istituzioni socialiste pure le regie compagnie di commercio marittimo, la regia manifattura delle porcellane, perfino i sarti militari o magari la statizzazione dei... bordelli, proposta davvero da un Antonio Razzi degli anni ‘40 dell'800, sotto Federico Guglielmo III. [Nota di Engels]

*3. Poche cifre bastano fanno capire l'enorme forza espansiva dei moderni mezzi di produzione pure sotto la pressione capitalistica. Secondo gli ultimi calcoli di Robert Giffen, la ricchezza complessiva in Gran Bretagna e Irlanda in cifra tonda è:

1814 2.200 milioni di sterline = 44 milioni di marchi
1865 6.100 milioni di sterline = 122 milioni di marchi
1875 8.500 milioni di sterline = 170 milioni di marchi

Per quanto riguarda la distruzione dei mezzi di produzione e dei prodotti nelle crisi al secondo congresso degli industriali tedeschi (Berlino, 21 febbraio 1878) già solo la perdita complessiva dell'industria siderurgica tedesca nell'ultimo crac fu valutata a 455 milioni di marchi al secondo congresso degli industriali tedeschi, Berlino, 21 febbraio 1878 [Nota di Engels]

1. Parole di Mefistofele nel Faust di Goethe.

2. Per Marx, tale contraddizione si supera elidendo «il modo di produzione capitalistico, conservando però la produzione sociale» [Capitale, III, XLIX]. Al contempo, il comunismo «elide la base di tutti i rapporti di produzione e le forme di produzione finora esistite; e per la prima volta tratta coscientemente tutti i presupposti naturali come creazione degli uomini finora esistiti, li priva del loro carattere naturale, e li assoggetta al potere degli individui uniti» [Ideologia tedesca, Libro primo, I. Feurbach, C]. Il ruolo del proletariato e l'obbiettivo del comunismo consistenze esattamente nel superamento di questa contraddizione.

3. Spagna, Portogallo, Olanda, Francia e Inghilterra combatterono guerre commerciali (nel ‘600 e nel ‘700) per il dominio dei traffici commerciali con l'America e l'India (ergo per la colonizzazione di quelle terre). Vinse l'Inghilterra che dominò il commercio mondiale fino alla fine dell'800.

4. Engels allude polemicamente alla teoria di Dühring secondo cui la divisione della società in classi è dovuta solo alla violenza.

5. Engels precisa nell'Antidühring: «Hegel fu il primo a rappresentare in modo giusto il rapporto di libertà e necessità. Per lui la libertà è il riconoscimento della necessità. “Cieca è la necessità solo nella misura in cui non viene compresa”. La libertà è la conoscenza delle leggi naturali che permetta di farle agir dietro un piano per determinati fini, non è l'immaginaria indipendenza da tali leggi. Ciò vale sia per le leggi della natura esterna, sia per le leggi dell'esistenza fisica e spirituale umana» [1, 9]. ]


Ultima modifica 2019.05.20