Introduzione a Per la Critica dell'Economia Politica

Capitolo 1. Produzione, consumo, distribuzione, scambio (circolazione)

1) Produzione.

Individui autonomi. Idee del XVIII secolo.

Dapprima, l’oggetto (Gegenstand) è la produzione materiale. Individui, che producono in società - dunque, è naturale (natürlich) che il punto di partenza (Ausgangspunkt) sia la produzione di individui, determinata [1] socialmente. - Il singolo ed isolato pescatore e cacciatore, con cui iniziano Smith e Ricardo, appartengono a quelle invenzioni (Einbildung) prive di fantasia, che sono le robinsonate [2] del XVIII secolo, le quali in nessun modo significano (ausdrücken) -come, invece, si immaginano gli storici della cultura- reazione ad un’eccessivo raffinamento o ritorno ad una, per altro fraintesa, condizione naturale di vita [3]. Altrettanto poco è fondato su un tale naturalismo il contrat social di Rousseau, che -mediante contratto, appunto- unisce e mette in rapporto (Verhältnis) soggetti per natura indipendenti. parvenza e solo estetica parvenza delle grandi e piccole robinsonate, mentre in realtà sono l’anticipo della «società civile», che nel XVI secolo si va preparando e che, nel corso del XVIII, compie passi decisivi per la sua maturazione. In questa società della libera concorrenza, l’individuo si presenta sciolto dai legami naturali, ecc., che in precedenti epoche sociali lo rendevano membro di un determinato e limitato conglomerato umano. Ai profeti del XVIII secolo, l’individuo del loro stesso secolo -che, da un lato, è il prodotto della dissoluzione delle forme sociali feudali e, dall’altro, è il risultato delle nuove forze produttive sviluppatesi nel corso del XVI secolo- si profila come un ideale, la cui esistenza è già qualcosa di antico: non un risultato della storia, ma il suo stesso punto di inizio. Esso appare individuo secondo natura, giusta la loro raffigurazione (Vorstellung) della stessa natura umana, non come qualcosa che nasca storicamente, sì invece qualcosa di posto dalla natura stessa. Tale inganno si è mostrato, finora, proprio di ogni epoca nuova [4]. Steuart -che per molti aspetti è in contrasto col XVIII secolo e, da aristocratico, sta più sul terreno storico- ha evitato questo semplicismo.

Più ci inoltriamo nel passato storico e più l’individuo -dunque, anche l’individuo produttore- ci si presenta non indipendente, ma sì appartenente ad un tutto più grande: dapprima, in modo del tutto naturale, nella famiglia [5] e nella famiglia allargatasi a tribù; successivamente nella comunità -quali che ne siano le forme diverse-, nata dallo scontro, ma anche fusione, delle tribù. Per la prima volta nel XVIII secolo, con la società civile, le diverse forme della connessione sociale si presentano esterne (entgegen) all’individuo quali mèri mezzi per i suoi scopi privati, quale esteriore necessità [6]. Ma l’epoca, che produce questo punto di vista -dell’individuo isolato-, è appunto quella del rapporti sociali (generali da questo punto di vista) fin qui più sviluppati. Nel senso più letterale, l’uomo è uno z v o n p o l i t i k o n [7]), non solo un animale sociale, ma anche un animale, che solo in società può isolarsi. La produzione del singolo, del tutto al di fuori della società, è una rarità, che può capitare ad un individuo civilizzato che sia stato gettato dal caso in una condizione selvaggia, ma che già possiede dinamicamente le forze sociali; insomma, è un’irrealtà (Unding), così come lo sarebbe lo sviluppo della lingua, in mancanza di individui che vivano assieme e che comunichino tra loro attraverso il linguaggio. su ciò non vale la pena soffermarsi più a lungo. Non ci sarebbe alcun bisogno di toccare questo punto, se qell’insulsaggine -che pure aveva un senso (Sinn und Verstand haben) per gli uomini del XVIII secolo- non fosse stata reintrodotta, con serietà, nell’economia più moderna da Bastiat, Carey, Proudhon. Per Proudhon è del tutto ovvio trattare dal punto di vista della filosofia della storia l’origine di un rapporto economico -di cui egli ignora la storia effettiva-, e così egli mitologizza che ad Adamo o a Prometeo sia venuta in mente quell’idea fissa, che poi hanno introdotto nella storia. Nulla è più noiosamente arido del locus communis [8], che si mette a fantasticare.

Eternizzazione di storici rapporti di produzione. Produzione e distribuzione in generale. Proprietà.

Quando si parla di produzione, si parla sempre di produzione ad un livello determinato di sviluppo sociale -della produzione di individui sociali. Potrebbe dunque sembrare che, in generale, per parlare della produzione o dobbiamo seguire il processo storico di sviluppo nelle sue diverse fasi, oppure dobbiamo chiarir subito che ci limitiamo ad una determinata epoca storica, ad es. quella della moderna produzione borghese che, in effetti, è il nostro tema proprio [9]. Tutte le epoche della produzione hanno certe caratteristiche comuni, certe comuni determinazioni. La produzione in generale è sì un’astrazione, ma un’astrazione sensata [10], nella misura in cui mette effettivamente in evidenza ciò che è comune, lo fissa e ci risparmia ripetizioni. Poiché questo che di generale o comune, isolato mediante raffronto, è esso stesso variamente articolato e si snoda in diverse determinazioni, ne consegue che alcune appartengono a tutte le epoche, altre son comuni solo ad alcune, altre ancora appartengono sia all’epoca più moderna che alla più antica. Non c’è produzione che possa esser pensata senza di esse; ma se le lingue più sviluppate hanno leggi e determinazioni che le accomunano a quelle meno sviluppate, proprio ciò che definisce il loro sviluppo -dunque, la differenza (Unterschied) da quel generale o comune, da quelle determinazioni, che valgono per la produzione in generale- deve essere distinta, in modo che, per l’unità -che deriva dal fatto che il soggetto [della produzione], cioè l’umanità, e l’oggetto [della stessa], cioè la natura, restan gli stessi- non venga dimenticata l’essenziale diversità (Verschiedenheit) [11]. In tale dimenticanza, ad es., consiste l’intera saggezza dei moderni economisti, che vogliono dimostrare l’eternità e l’armonia dei rapporti sociali esistenti [12].

Ad es., nessuna produzione è possibile in mancanza di una strumento di produzione, fosse pure la nuda mano [13]. Né alcuna produzione è possibile senza lavoro passato ed accumulato, si riduca pur esso alla semplice abilità che, attraverso l’uso ripetuto, si è andata depositando nella mano del selvaggio. Il capitale, tra l’altro, è anche uno strumento di produzione, anche lavoro passato ed obiettivato. Dunque, il capitale è un generale, eterno rapporto (Verhältnis) naturale; cioè, (a tale conclusione arrivo,) se trascuro che cosa rende capitale uno "strumento di produzione, un "lavoro accumulato". Conseguentemente, l’intera storia dei rapporti di produzione si presenta in Carey come una falsificazione malignamente organizzata dai governi.

Se manca ogni produzione in generale, allora manca, pure, ogni produzione generale. La produzione è, sempre, un particolare ramo della produzione -ad es., agricoltura, allevamento del bestiame, manifattura, ecc.-; ovvero, essa è la totalità (Totalität) [14]. Il rapporto (Verhältnis), ad un livello sociale dato, fra determinazioni generali della produzione e particolari forme della produzione va svolto altrove (successivamente) [15]. Infine, la produzione non è solo particolare. Al contrario, essa è sempre un certo corpo sociale, un soggetto sociale, che è attivo mediante una totalità, più o meno grande, di rami produttivi [16]. Il rapporto, che l’esposizione (Darstellung) scientifica ha col movimento reale, comunque, non ha qui il suo luogo adeguato. Produzione in generale. Particolari rami della produzione. Totalità della produzione.

E’ una moda far precedere l’economia da una parte generale -appunto quella, che va sotto il titolo di Produzione (per es., cf. J.St. Mill)-, in cui vengono trattate le condizioni generali di ogni produzione. Questa parte generale consiste o si pretende debba consistere:

· 1) nelle condizioni, senza le quali non è possibile produzione alcuna. Cioè, nella realtà deve dare null’altro che i momenti essenziali di ogni produzione. Ma tutto ciò, come vedremo, si riduce ad alcune determinazioni molto semplici, che vengono diluite in piatte tautologie.

· 2) nelle condizioni, che favoriscono più o meno la produzione: in Adam Smith, ad es., la situazione sociale in sviluppo o stagnante. Per dare a ciò -che in A. Smith ha, solo, il valore di un aperçu- un effettivo significato scientifico, sarebbero necessarie ricerche sui periodi dei gradi della produttività nello sviluppo dei singoli popoli -ma questa è una ricerca, che va oltre i limiti del nostro argomento e, nella misura in cui ne fa invece parte, andrebbe svolta insieme allo sviluppo della concorrenza, dell’accumulazione, ecc. da un punto di vista generale, la risposta si riduce a dire che un popolo industriale raggiunge il punto più alto della sua produzione, nel momento in cui raggiunge il suo punto storico più alto. In fact. Il vertice industriale di un popolo, finché la sua preoccupazione maggiore non è il guadagnato, ma sì il guadagnare. In questo gli yankees superiori agli inglesi. Oppure: ad es., che certe razze, certe condizioni, certi climi ed equilibri naturali -quali la vicinanza del mare, la fertilità del suolo, ecc.- sono più favorevoli di altre per la produzione. Ricade di nuovo nella tautologia che la produzione di ricchezza sia più facile, nella misura in cui son presenti in grado più alto i suoi elementi soggettivi ed oggettivi.

Ma questo non esaurisce tutto ciò di cui si occupano gli economisti nella parte generale. La produzione piuttosto, concepita nella sua differenza dalla distribuzione ecc., deve essere esposta come soggetta a leggi naturali eterne ed indipendenti dalla storia (cf. Mill per es.); con la quale operazione si introducono di soppiatto i rapporti borghesi come imprescindibili leggi naturali della società in abstracto. Questo è, più o meno consapevolmente, l’intero scopo di tutta l’operazione. Rispetto alla distribuzione, invece, gli uomini debbono essersi concessi il pieno arbitrio. Facendo del tutto astrazione dalla rozza separazione tra produzione e distribuzione e da quello che è, invece, il loro reale rapporto, va subito chiarito che, per quante diverse forme di distribuzione possano esservi a diversi gradi della società, anche per essa -come per la produzione- deve, comunque, esser possibile ricavare determinazioni comuni e, quindi, annullare tutte le differenze storiche o risolverle in generali leggi umane. Ad es., lo schiavo, il servo della gleba, il lavoratore salariato ricevono, tutti, un certo quanto di nutrizione, che consente loro di esistere, rispettivamente, come schiavo, servo della gleba e lavoratore salariato. Il conquistatore vive dei tributi, il funzionario delle imposte, il proprietario fondiario della rendita o il monaco delle elemosine, il levita delle decime, come che sia, tutti vivono di un quanto della produzione sociale, che è determinato da leggi diverse da quelle, che valgono per lo schiavo, ecc. I due punti fondamentali, che tutti gli economisti inseriscono in questa rubrica sono: 1) proprietà; 2) sicurezza di essa mediante giustizia, polizia, ecc. E’, dunque, molto facile replicare:

· ad 1). Ogni produzione è appropriazione della natura da parte dell’individuo, all’interno e mediante una determinata forma sociale. In questo senso è tautologico dire che la proprietà (l’appropriazione) è una condizione della produzione. Tuttavia, è del tutto risibile saltare da qui ad una forma determinata di proprietà, ad es., la proprietà privata [17]. (Tale proprietà presuppone come sua condizione anche una forma opposta, ovvero, la non-proprietà). La storia mostra, piuttosto, (ad es., presso gli Indiani, gli Slavi, gli antichi celti, ecc.) la proprietà comune come la forma originaria, la quale forma continua a giocare un ruolo significativo in quanto proprietà della comunità. Riguardo alla questione se la ricchezza si sviluppi meglio con l’una o con l’altra forma di proprietà, non è ancora il momento di parlarne. Ma affermare che non si può parlare di produzione -e, dunque, di società- laddove non esiste forma alcuna di proprietà, questa è una tautologia. Un’appropriazione, che non si appropri di nulla, è una contradictio in subjecto.

· A 2). Render sicuri i beni acquisiti ecc. Quando tali trivialità vengono ridotte al loro effettivo contenuto, allora finiscono col dire molto più di quanto credano i loro predicatori. Esattamente che ogni forma della produzione produce i propri rapporti giuridici, le proprie forme di governo, ecc. La rozzezza e la mancanza di conoscenza concettuale (Begriffslosigkeit) consiste, appunto, in questo - nel collegare casualmente (zufällig) ciò che, invece, è organicamente collegato, nel ridurlo ad una mèra connessione della riflessione (Reflexionszusammenhang) [18]. Allo sguardo degli economisti borghesi si impone il fatto che con la moderna amministrazione pubblica (Polizei) si produce meglio che, per es., con il mèro diritto del più forte. Quello che gli economisti dimenticano è, solo, che anche il diritto del più forte è, comunque, un diritto e che, sia pure in altre forme, esso sopravvive addirittura nel loro "Stato di diritto".

Quando compaiono o, al contrario, scompaiono condizioni sociali corrispondenti ad un determinato livello della produzione, allora si presentano naturalmente perturbazioni della produzione, per quanto con gradi e con effetti diversi.

Per riassumere. Vi sono determinazioni comuni a tutti i livelli della produzione, che il pensiero fissa come determinazioni generali; ma le cosi dette condizioni generali di ogni produzione non son altro che momenti astratti, con il cui ausilio non si comprende concettualmente (begreifen) nessun livello della produzione, storicamente effettivo.

Note

1. bestimmen = dal greco m e t a b a l l e i n , dunque, indica l’azione del muovere plasmando.

2. Considerando le osservazioni che -qui, ma anche in altre pagine- Marx fa a proposito della robinsonata, possiamo giungere a tale conclusione. La robinsonata è un costrutto propriamente ideologico (cf. S. Garroni, Tracciati dialettici: 25), basato sul proiettare all’indietro, all’«origine», una condizione, che è desiderata. invece, per il presente; lo scopo è, evidentemente, di legittimare così quella condizione, spacciandola per naturale. La robinsonata, tuttavia, ‘maschera’ questa sua funzione ideologica, assumendo le vesti dell’esempio e del modello epistemologicamente utile. Sotto quest’ultimo aspetto, la robinsonata si combina con la più usuale concezione dell’ astrazione, nel senso che essa pretende indicare una condizione essenziale, perché stabile, in quanto prescinde da quelle determinazioni, che differenziano un periodo storico dall’altro, un tipo di società da un altro; addirittura -come risulta da K. Marx, Resultate des unmittelbaren Produktionsprozesses: 48- la robinsonata finge la relazione economica come se implicasse, solo, il rapporto dell’uomo alla natura e non, anche, quello dell’uomo all’altro uomo, alla società. Una variante della robinsonata Marx la trova in Proudhon, il quale "fa della società una società/persona, una società che in nessun modo è la società delle persone, poiché ha sue leggi particolari, che nulla hanno in comune con le persone di cui pure è composta; una società che ha un «suo proprio intelletto», il quale non è l’intelletto dell’uomo comune, ma sì un intelletto, che il comune intelletto umano non ha." (Das Elend der Philosophie: 110). In evidente coerenza con la critica marxiana, Trotsky definirà Proudhon "il Robinson Crusue del socialismo". (cf. S.S. Prawer, La biblioteca di Marx: 135s) Dalla robinsonata così riplasmata (non basata, quindi, sul mito della persona isolata, sì piuttosto sulla personificazione della società) deriva la problematica, su cui ancor’oggi antropologi e sociologi si interrogano, di come pensano le istituzioni. Per illustrare la posizione di Marx, così scrive S.S. Prawer, op. cit: 134, " La personificazione della società in un eroe mitologico (Prometeo) che Proudhon ha conosciuto per la prima volta in letteratura ha lo scopo di offuscare la verità più che di rivelarla. Chi vede l’intera società umana nelle vesti di un unico personaggio, sostituisce con un fantasma una realtà frammentata e complessa, sostituisce le cose con le parole. Il mito prende il posto della teoria, e tutta la verità si perde in un profano miscuglio di misticismo e di allegoria.". Un altro interessante accostamento è questo: in quanto retrodata -all’origine- la condizione positivamente valutata e da attuarsi nell’attuale, la robinsonata ha qualcosa che, essenzialmente, la coniuga con quel gusto per l’idilliaco, che Marx rimproverava allo stesso Goethe -su questo, cf. ancora Prawer: 114 e Marx-Engels, Moralismo e politica rivoluzionaria: 115s ma, anche, E. Quinet, La rivoluzione religiosa nel secolo XIX, in particolare le pp. 34s, il cui tono realistico è largamente accostabile al discorso marxiano.

3. Per il costante atteggiamento polemico di Marx contro ogni propensione all’idillico, cf.il già cit. Prawer: 130 e 172s. In questa sua polemica, Marx riprende e fa proprio il ‘realismo’, che ispirava Kant -ad es., quando polemizzava contro quei pedagogisti moderni che attribuivano, senz’altro, alla natura umana la tendenza a procedere costantemente dal male al bene (Kant, La religione nei limiti della ragione: 70); ma che ispirava anche Hegel, quando, ad es., caratterizzava come "rozzezza" il cosiddetto ‘stato di natura’ (Grundlinien der Philosophie des Rechts: 339 ed Enzyklopädie, §. 529). Ma l’atteggiamento di Marx -e di Engels- verso lo ‘stato di natura’ presenta anche un altro aspetto fondamentale: potremmo dire che quel motivo viene dai due autori ritematizzato, sia nel senso di sottolineare come la storia inizi su un presupposto ‘naturale’ (Die deutsche Ideologie: 28ss); sia nel senso di procedere ad una conoscenza in dettaglio delle due dimensioni, che -nella tradizione illuministica- definivano proprio lo ‘stato di natura’: quella economica e quella sessuale (per quest’ultima, si pensi ovviamente a Der Usprung der Familie, des Privateigentums und fes Staats).

4. Hegel giunse -leggiamo in G. Lukàcs, Prolegomeni ad un’estetica marxista: 49- "all’interessante tesi secondo cui ciò che di volta in volta sorge come nuovo nella storia deve necessariamente dapprima ricevere una forma semplice, astrattamente universale. Solo a poco a poco, con il consolidarsi della vittoria, i tratti concretamente particolari vengono alla luce del giorno, solo nel suo corso tale processo si sviluppa come totalità realmente concreta, con una dialettica multilaterale e complicata dei momenti universali e particolari. Così Hegel afferma che la prima manifestazione del mondo nuovo è dapprima soltanto la totalità velata dalla sua semplicità, ovvero il suo fondamento universale. Egli afferma ancora che la coscienza che comprende e vive il nuovo «sente la mancanza, nella nuova formazione apparsa, della diffusione e della particolarizzazione del contenuto»." Il tema è ripreso da Marx, quando sottolinea che il movimento storico di conquista del potere da parte della borghesia, per poter essere movimento rivoluzionario, deva attraversare una fase in cui, contro le classi privilegiate, si costruisce un fronte unico, che raccoglie le esigenze e le istanze profonde di tutti gli strati sociali oppressi. Solo in un secondo momento, abbattute le ex classi dominanti, quell’ampio e profondo movimento rivoluzionario ridurrà il proprio significato e portata, contraendosi in dominio della sola borghesia capitalistica. (K. Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einleitung: 388). Il che serve, ad es., a comprendere perché nel pensiero illuministico si siano espresse istanze, che vanno oltre l’ottica capitalistica, ma anche perché quelle istanze fossero destinate a restare insoddisfatte, una volta stabilitosi il dominio capitalistico.

5. Nella Deutsche Ideologie: 28s, tra i momenti iniziali del percorso storico vengono indicati: a) il rapporto con le necessità naturali immediate; b) la nascita di bisogni nuovi, nel senso di non immediatamente naturali, risultanti dalla produzione di strumenti di lavoro, c) la famiglia, come organizzazione dei rapporti sessuali in vista della procreazione e perpetuazione della specie.. Hegel, a sua volta, nel §. 201 dell’Enciclopedia presenta il ceto (Stand) e la famiglia come mediazioni tra individuo e Stato; si noti che la distinzione -che Hegel fa nei §§ successivi- tra ceto sostanziale/immediato e ceto formale/riflettente, richiama Locke, nel senso che il ceto sostanziale (ovvero, immediato) si identifica con la proprietà privata dei prodotti di una terra, che esso lavora (§.202). La funzione mediatrice dello Stand appare con chiarezza anche nel successivo §. 527.Da notare ancora che il nesso famiglia, Stato e proprietà privata, prima che in Engels, sta in Hegel, Grundlinien: 344. Ciò significa che, se è vero che Marx ed Engels determinano ciò che l’ illuminismo indica con «stato di natura», ciò fanno riprendendo direttamente Hegel.

6. Questo tema, che gioca un ruolo fondamentalissimo nella prospettiva del discorso marxiano, è anche l’autentico punto centrale della riflessione di Hegel -che, però, ovviamente, si colloca in modo esplicito non solo sul particolare piano dell’organizzazione sociale, sì invece, anche, su quello più generalmente filosofico. Il rapporto di reciproca esteriorità fra gli opposti è la proiezione nell’esteriorità di una contraddizione interiore, ovvero, nei termini di Marx, la reciproca esteriorità fra uomo e condizioni sociali è il modo di presentarsi di una contraddizione, interna alla società stessa. Per intendere, comunque, con quanta lucidità Hegel guardasse alla moderna organizzazione sociale, si consideri questo suo testo, tratto dall’ Enzyklopädie, §.527: "Quando son presenti società civile e Stato, i ceti sociali si presentano nella loro differenza; poiché la sostanza universale, in quanto vivente, esiste solo nella misura, in cui si suddivide organicamente; la storia delle Costituzioni è la storia di questa costruzione dei ceti sociali, dei rapporti giuridici degli individui con essi, dei ceti sociali tra i loro e con il loro punto di equilibrio."

7. E’ in questo senso che il giovane Marx aveva usato per l’uomo l’espressione Gattungswesen -il termine «Gattung», infatti, rimanda a Gatte = compagno ed a gatten = unirsi.

8. La stessa insistita polemica di Marx (ma certamente anche di Engels) contro il locus communis -o contro il sano buon senso comune- ha un implicito filosofico di grande importanza. Sta a dire, infatti, che Marx (e, ripeto, anche Engels) concepisce il modo culturale di organizzare l’esperienza, come sua componente essenziale, costitutiva: è appunto per questo che è necessario un forte impegno critico nei confronti dei parametri culturali, che si usano nel giudicarla, e dello stile, che si usa per rappresentarla l’esperienza. In contrasto con questo orientamento (mediante cui si prolunga nel marxismo la lezione di Hegel ed, in generale, della filosofia classica tedesca), si colloca la tematica del "rovesciamento materialistico" della dialettica hegeliana, che finisce -come largamente testimonia, ad es., il L. Feuerbach und der Ausgang der klassischen deutschen Philosophie, di Engels- con il riproporre una variante di meccanicismo, (volgarmente) materialistico, basato sulla tesi che "le cose", astratte dall’esperienza e, dunque, dal rapporto con l’uomo, siano "dialettiche". Questi due orientamenti, in realtà, sembrano entrambi presenti -anche se con accentuazioni diverse- sia in Marx che in Engels.

9. "Di fatto, Marx si è servito della dialettica hegeliana del concetto per fondare una nuova scienza, la scienza della metamorfosi delle forme sociali obiettive della società capitalistica, una società la cui trama è fatta non di individui ma di rapporti obiettivi, «naturalizzati», di forme-oggetto, di forme-segni, d’ideologie feticiste e non di significati direttamente prodotti dall’attività umana". (J-M. Vincent, Fétichisme et société: 1973: 20). Ciò che rende inaccettabile l’interpretazione di Vincent è che, se Marx avesse voluto semplicemente fornire l’analisi scientifica di un modo di produzione determinato, non solo non avrebbe avuto nessun bisogno del linguaggio di Hegel, ma addirittura avrebbe commesso un gravissimo errore ad usarlo -ed altrettanto erroneo sarebbe stato da parte sua continuare a parlar di dialettica (sia pure ‘materialisticamente rovesciata’). Come si fa, infatti, a separar dialettica da totalità e come si può conservar quest’ultima fornendo non solo una scienza particolare (Einzel - Wissenschaft!), ma addirittura una paradossale scienza, perché scienza di un solo oggetto!? La posizione di Vincent -e d’altronde non solo sua- si basa su una pagina di Engels, che a ben vedere dice invece tutt’altro: "L’economia politica, come scienza delle condizioni e delle forme, nelle quali le diverse società umane hanno prodotto e scambiato e nelle quali hanno volta per volta distribuito i loro prodotti in modo conforme a questa produzione e a questo scambio, l’economia politica in questa estensione così lata, deve ancora essere creata. La scienza economica che sinora possediamo si limita quasi esclusivamente alla genesi e allo sviluppo del modo di produzione capitalistico: comincia con la critica delle sopravvivenze delle forme feudali di produzione e di scambio, dimostra la necessità della loro sostituzione con forme capitalistiche, sviluppa quindi le leggi del modo di produzione capitalistico e delle forme di scambio ad esso corrispondenti, sotto l’aspetto positivo, cioè sotto l’aspetto per cui esse assecondano i fini generali della società e conclude con la critica socialista del modo di produzione capitalistico, cioè con l’esposizione delle sue leggi sotto l’aspetto negativo, con la dimostrazione che, mediante il suo peculiare sviluppo, questo modo di produzione porta al punto in cui esso stesso si rende impossibile." (Fr. Engels, Anti-Dühring: 160s). Vincent, dunque, scambia ciò che l’economia politica ha, di fatto, dato finora, con la prospettiva, che ad essa il marxismo assegna. Son piuttosto A. Smith e D. Ricardo, che tendono a circoscrivere l’ambito dell’economia politica all’industrializzazione capitalistica (H.T. Wilson, Marx’s Critical/Dialectical Procedure: 1).

10. Per la verständige Abstraktion in Hegel, cf., tra l’altro, Enzyklopädie, §. 89 e §. 382, come pure H.H. Holz, Einheit und Widerspruch. I: 6,

11. L’individuazione precisa dell’Unterschied mi consente di comprendere la Verschiedenheit. Come si vede, dunque, mettere in evidenza il generale o comune, per Marx, è funzionale al far emergere la differenza, in quanto lo scopo del conoscere è comprendere la diversità -ovvero, il modo determinato in cui generale e differente si intrecciano volta a volta. Che questo ‘andamento’ conoscitivo appartenga alla prospettiva hegeliana è fuori di ogni possibile dubbio. Si potrebbe obiettare che, se vale il ragionamento di Marx, allora ogni discorso sulla produzione, che sia sufficientemente determinato, è un discorso su una determinata produzione e che produzione determinata si ha, solo, quando ci si riferisca ad una produzione esistente. A questo punto, apparirebbe in piena luce la differenza, lo stacco tra Hegel e Marx: mentre per il primo, il concetto è il reale, e l’esistente è solo una sua esemplificazione, un suo modo di manifestarsi (quasi una sua ‘occasione’), al contrario per Marx, ciò che conta è l’effettivamente esistente. Pur se variamente ripetuta, questa tesi -per quanto riguarda la valutazione di Hegel- è insostenibile; essa può certamente appoggiarsi a numerosi testi dello stesso Hegel, dai quali risulta che ciò che si colloca nel Dasein, nell’esistente, è solo manifestazione dell’idea a concetto, ma tuttavia resta un sostanziale fraintendimento dell’ ‘intenzione’ hegeliana. La principale prospettiva di Hegel, infatti, è di mettere in evidenza la ‘grammatica’ del pensare, i ‘modi’ del suo dispiegarsi; da questo punto di vista, è del tutto ovvio che il pensato funga da esemplificazione del pensare, senza che ciò impliciti la riduzione del primo al secondo.

12. Non è dubbio che, in Marx, la critica alla politische Ökonomie gioca un ruolo del tutto raffrontabile a quello che, nel pensiero di Hegel, gioca la critica della Reflexionsphilosophie.

13. Così Hegel, Enzyklopädie, §.411 - Nella sua corporeità educata e resa propria, la Seele (anima) è per sé singolo soggetto e la corporeità diviene, così, l’esteriorità come predicato, in cui il soggetto si relaziona solo a se stesso. Tale esteriorità è segno (Zeichen) dell’anima. In quanto identità di interno ed esterno -essendo quest’ultimo sottoposto al primo-, l’anima è wirkliche Seele (anima effettiva). La mano in quanto strumento (sott. mia, SG), il piangere, il ridere, tutti, appartengono alla cultura (Bildung). La lingua è l’espressione più compiuta dello spirito. Sullo stresso tema, cf. Hegel, Grundlinien ..., §. 55. Zusatz. Sullo stesso tema, importante il §.22 delle Vorlesungen über Naturrecht Und Staatswissenschaft. D’altronde, che la mano fosse lo "strumento degli strumenti" lo si poteva già leggere in Aristotele, De Anima, III, 8, 432a 1-3.

14. La polemica contro la robinsonata serviva a Marx per mostrare che il soggetto effettivo della produzione è sempre plurale, collettivo; ora, egli passa a mostrare che, per così dire, la stessa produzione -ma come realtà materiale, tecnica- è ‘collettiva’, in quanto costituita da una pluralità di rami produttivi.

15. Perché qui Marx usa Verhältnis? I termini del rapporto, posto quello che Marx ha scritto immediatamente sopra, sono la verständliche Abstraktion da un lato (la produzione in generale) e, dall’altro, la produzione come ramo della produzione. In questo senso, è vero che il rapporto non può che porsi nell’esteriorità.

16. Come si vede, Marx torna alla prospettiva iniziale, ovvero, alla considerazione della produzione come attività umana, sociale, che si svolge, però, mediante una certa attrezzatura tecnica, materiale.

17. La produzione -dunque, una forma d’attività, mediante cui pongo fuori, estraneo da me qualcosa- in tanto può svolgersi, in quanto implicita l’opposta attività, mediante cui rendo a me propria qualcosa. Che le due attività si implichino significa che, se dico l’una dico anche l’altra. Dunque, ho a che fare con una tautologia. Non inutile, però: infatti, la comprensione che tautologica è la reciproca implicazione tra produzione ed appropriazione, mi aiuta a comprendere quanto sia illegittimo ricavare, posta la produzione, la sanzione o legittimazione non dell’appropriazione in generale, ma sì di una forma storica particolare di appropriazione. E’ così che giungo a comprendere come tra forma generale e sua determinata manifestazione storica, l’economista stabilisca un rapporto mistico, dogmatico, non svolto storicamente, non dimostrato (il che rappresenta la piena accettazione da parte di Marx di una modalità critica, che abbiamo già visto -nella nota sulla tautologia- essere centrale per la riflessione di Hegel). E questo l’economista fa non per caso: ciò che egli vuole evitare, infatti, è esattamente che risalti il carattere storicamente determinato (dunque, limitato) della proprietà privata e della proprietà privata nella sua forma specificamente capitalistica.

18. Nettamente dialettica è questa contrapposizione tra la forma di conoscenza, assicurata dal concetto/Begriff, e l’altra, quella della Reflexion, che può solo istituire connessioni esteriori e casuali.

 

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Ultima modifica 24.12.2003